La lettera

 

Grazie a te, prete

Carissimo,

un Anno Sacerdotale, sono felice come laico, come padre di famiglia.

Il prete mi interessa. Ho bisogno di lui, della sua umanità, del suo mistero, della sua misericordia. Certamente, è come me, eppure egli fa miracoli. L’altare celebra un Dio che gli ubbidisce. Ai suoi piedi, io mi inginocchio.

Sì, benvenuto quest’Anno Sacerdotale, pensato dal Papa con una intuizione storica precorritrice, con una apertura alla spiritualità che è la più grande domanda di questo tempo. Domanda di una società che soffre la perdita della trascendenza, l’amnesia delle origini, l’insignificanza del viaggio, il rifiuto della Casa.

Occorre una spiritualità, una esperienza radicale di Dio – condivisa da preti e laici insieme – una testimonianza di cose future che possa diventare sempre più autenticità di amore per i fratelli, vertenza con gli ultimi.

Intimità profonda, viscerale, con Dio. Esperienza accaduta personalmente. Secondo la sconvolgente vicenda di Ezechiele: "Figlio dell’uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, e poi va’ e parla alla casa di Israele" (Ez 3,1).

Lasciami citare san Francesco, un laico sì, che non fu mai prete. E però quest’uomo, buttato tra le strade dei fratelli, era tutto consumato dalla contemplazione, dalla febbre spirituale. Scrive il suo biografo: "Egli portava sempre Gesù nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nella mani, Gesù in tutte le membra del suo corpo".

È questa appartenenza a Dio che diventa appartenenza all’uomo, alla storia, al tempo. Nessun alibi, nessun disimpegno, nessuna resa.

Ritrovarsi in Dio non è giungere le mani, ma congiungere le proprie mani con quelle di Dio e dei fratelli. Reinventare la contemplazione come sfida dell’amore, passione per la vicenda concreta dell’uomo di oggi.

Nino Barraco

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ultimo aggiornamento 05 settembre, 2009