50° del Santuario

 13  note di storia
P. Mario Gialletti fam

Il perdono nell’esperienza vissuta e nel pensiero di Madre Speranza

"…annegami nell’abisso del tuo amore e della tua misericordia
e rinnovami col tuo preziosissimo Sangue"

(Novena all’Amore Misericordioso, VI giorno)

 

Propongo la riflessione così articolata:

1. l’esperienza vissuta dalla madre

2. nelle testimonianze del processo

3. alcuni episodi della sua vita

4. questo difficile perdono (…)

5. «va’ e anche tu fa’ lo stesso» (Lc 10,37)

1. L’ESPERIENZA VISSUTA DALLA MADRE

Il perdono nel pensiero della Madre. Sarei tentato di dire che sul perdono, negli scritti della Madre, non c’è una riflessione e una elaborazione condotta in modo sistematico e metodico, mentre sicuramente c’è stata una vita che ha incarnato la capacità di perdono, in modo eroico; si potrebbe dire che "in lei è data, fondamentalmente, un’esperienza".

C’è da augurarsi, comunque, che degli studiosi possano avvinarsi agli scritti della Madre per un approfondimento analitico, attento e più competente. Io parto dalla mia esperienza.

È da questa esperienza vissuta della Madre che vorrei partire e vorrei ricordare anche alcune delle valide relazioni proposte nel 1985 durante il Convegno, "la forza del perdono", svoltosi a Collevalenza, in questa stessa sala.

In quel convegno, P. Aurelio Pérez espose alcune considerazioni sull’esperienza vissuta della Madre, a partire dai primi anni, in questi termini:

"Nel 1927 comincia il Diario scritto dalla Madre ma ci sono documenti che attestano come, da almeno 8/10 anni la Madre fosse stata attirata dalla misericordia di Dio e come lo stesso Dio le avesse concesso l’opportunità di fare atti di misericordia e di perdono eroici e l’esperienza mistica della Misericordia divina. Da questo 1927 si colloca il periodo centrale della sua vita durante il quale, soprattutto come Fondatrice, ha dovuto subire l’impatto duro della prova, della incomprensione, della calunnia, in una parola della «persecuzione», come lei stessa la definisce più volte. …

Alla scuola dell’Amore Misericordioso, anche lei ha imparato la misericordia e il perdono dalle cose sofferte. «Molte volte vi ho detto che dobbiamo perdonare coloro che sono divenuti nemici della nostra amata congregazione e di questa vostra madre, e vi dico che non solo dobbiamo perdonarli, ma amarli e scusarli, perché i poveretti non si rendono conto di ciò che dicono o fanno. Sono ciechi, e tenete presente, figlie mie, che per comportarci in questo modo verso i nostri nemici é necessario che i nostri cuori siano dominati dall’amore, dalla presenza di Gesù e dal desiderio di piacergli in tutto»7. …

2. NELLE TESTIMONIANZE DEL PROCESSO

Anche nelle testimonianze al Processo è unanime la convinzione di tutti sulla capacità eroica della Madre di dare il perdono. Ne proponiamo solo alcune.

"Il caso più vistoso di fortezza e generosità nel perdono si ebbe quando la Madre si astenne dal denunciare coloro che l’avevano avvelenata". (Don Lucio Marinozzi, Sessione n. 84)

"Anche quando, nei primi tempi della Congregazione, dovette sopportare la contrarietà di qualche consorella che arrivò al punto di attentare alla sua vita per mezzo del veleno, la Madre diceva di accettare tutto dalla mano del Signore e pregava così per quelle suore: "O Gesù mio, Padre di amore e di misericordia, dimentica tutto, non tenere in conto e perdonale perché sono accecate dalle passioni, dimentica Gesù mio il male che hanno cercato di fare. Me lo concederai Gesù mio? Io desidero solo sentire da te che Tu hai perdonato chi mi ha fatto del male. Io non desidero altro che il perdono per tutte quelle che ti hanno offeso con queste persecuzioni". (M. Sagrario Echevarría eam - Sessione 297)

"Una ulteriore manifestazione di carità verso il prossimo è stata la inesauribile capacità di perdonare, particolarmente quelli che più l’avevano fatta soffrire, un perdono che voleva imitare quello che fa il buon Gesù verso coloro che più l’hanno offeso. Egli perdona, dimentica, non tiene più in conto, ama ancora con cuore di Padre e di Madre.

Percorrendo gran parte degli scritti della Madre non mi è stato mai dato di poter rilevare, in nessuna situazione, anche le più dolorose, solo una parola di amarezza verso chi l’ha fatta tanto soffrire, né mai ho sentito dalle sue labbra alcun rammarico o risentimento, né l’ho sentito raccontare da altri". (P. Arsenio Ambrogi fam – Sessione 97)

3. ALCUNI EPISODI DELLA SUA VITA

Vorrei però lasciare ora che sia la vita della Madre a parlare, a partire da quanto visse ancor prima di fondare.

a) L’esperienza di Vélez Rubio

Il trasferimento della Madre da Vicálvaro alla comunità di Vélez Rubio fu dovuto al fatto che la Madre fu accusata di una cosa che in realtà non aveva fatto ma le superiore si inclinarono a credere il contrario e ciò finì con un castigo di trasferimento di casa da parte della Madre generale Madre Maria Luisa.

Dei sedici mesi passati in questa casa di Vélez Rubio, la Madre sette li dovette trascorrere, per castigo, isolata dal resto della comunità … in una cella, dove dormiva per terra …

La stessa Madre, in un suo scritto, accenna a questo episodio come se fosse capitato ad una terza persona, mentre, in realtà è una nota autobiografica:

«Non è passato molto tempo che ho avuto modo di parlare con un amico di Gesù, ossia con una persona che amava Gesù, e questi mi diceva che aveva sofferto molto durante un castigo che aveva ricevuto dai suoi superiori; "ho sofferto molto, diceva, vedendo di essere accusata di una cosa che non mi era passata neanche per la testa. La mia natura ribelle mi spingeva a difendermi e scusarmi però, con lo sguardo fisso al Crocefisso, ho trovato la forza per fare il contrario. Mi vedevo disprezzata da tutti, sola e senza tenerezza da nessuno, privata anche del necessario; nonostante tutto era felice, molto felice ma sempre senza staccare mai lo sguardo dal Crocefisso il quale mi ha concesso la grazia, durante tutti questi sei mesi di isolamento, di non aprire mai le mie labbra a una lamentela; e in questo ho imparato ad amare"».

Parafrasando la frase, potremmo dire: lì ho imparato il perdono.

b) Esperienza mistica del sudore di sangue provato da Gesù nell’Orto degli ulivi.

Scrive Madre Aurora Samaniego: "Durante i giorni dell’ottava del Corpus Domini abbiamo più volte sentito Madre Speranza chiedere a Gesù, con insistenza, che le concedesse la grazia di provare ciò che aveva provato nel Sudore di sangue. … Il giorno della festa di san Luigi, 21 giugno, Madre Speranza, appena dopo pranzo, cominciò a sentirsi male … poco dopo sentimmo dei gemiti e nello stesso tempo la casa si riempì di un profumo molto forte … quando potemmo entrare nella sua cella … la trovammo con i vestiti pieni di sangue e sangue in tutto il corpo … poi la vedemmo cadere in estasi e confortata dalla Vergine santissima … essa vedeva Gesù e noi sentivamo le parole che essa diceva …

Cominciò a pregare per la antica Madre generale della Congregazione Madre Maria Luisa Lloret de San Juan facendo insistenza perché la liberasse dal purgatorio oggi stesso che era il suo onomastico. Questa Madre l’aveva fatta molto soffrire con il trasferimento e l’isolamento a Vélez Rubio e anche durante il processo sul presunto miracolo del Padre Claret; aveva dimostrato vera cattiveria con questa santa creatura che adesso si vendicava versando con sommo dolore il suo sangue per liberarla dal purgatorio. Si vede che Gesù deve aver fatto resistenza a questa preghiera e che le dovrebbe avere detto che non sarebbero bastati ancora altri quaranta anni di purgatorio per tutto quello che aveva fatto. A questa punto questa martire cominciò a scusare quella che lei diceva era sua madre, con tanta carità da dover commuovere lo stesso Gesù il quale la portò in purgatorio perché lei stessa la liberasse. Tornò quasi subito con l’anima di Madre Maria Luisa la quale dovrebbe averle chiesto perdono perché la Madre, con volto celestiale, le rispose: Si, sorella mia". (Da las "tres libretas" de Madre Aurora Samaniego; cfr. documento 05981 del 17 - 10 - 1926)

c) Il perdono nella crisi degli anni 1940

«Non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato» (Lc 6,37)

Durante gli anni 1935-1941, su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle (in particolare, di qualche Sacerdote e di qualche Vescovo), si è prodotta: una profonda spaccatura interna, culminata con l’uscita delle Suore ribelli; e un’aspra campagna denigratoria nei confronti della Madre Fondatrice, culminata con la sentenza sospensiva del Santo Uffizio del 18 marzo 1941.

«Mi dici, Gesù mio, di accettare per tuo amore il nuovo calice. Con la tua grazia, io sono disposta a soffrire con gioia tutto ciò che vuoi mandarmi, o permetti che mi facciano... Dammi però molta carità; e aiutami a piegare la mia superbia che mi dà molta guerra, perché pretende farmi retrocedere davanti alla lotta... Tu già sai che spesso la mia natura si ribella al vedere che l’odio implacabile si scaglia contro di me; che l’invidia desidera farmi scomparire; che le lingue fanno a pezzi la mia reputazione; e che persone di alta dignità mi perseguitano» Diario, 27 giugno 1941 (n. 651; 653).

u «Mi dici, Gesù mio, che sarai nemico dei miei nemici e che affliggerai quanti mi affliggono. Ma io ti prego, Padre di amore e di misericordia: perdona, dimentica e non tenere in conto, perché sono accecati. Dimentica, Gesù mio, tutto il male che pretendono farmi; e considera invece tutto il bene che hanno reso alla mia povera anima. Essi infatti, con i loro imbrogli e le loro calunnie, mi hanno unita maggiormente a Te... Così ti prego di perdonarli e di avere compassione di tutti. Me lo concederai, Gesù mio? Io non desidero altro che sentire da Te che perdoni i miei nemici; perché, con il cuore pieno del tuo amore, non desidero altro che il perdono per tutti coloro che ti hanno offeso con questa persecuzione» . Diario,16 settembre 1941 (n. 655-657).

«Figlie mie, non è molto che una di voi mi chiedeva: "Perché le opere di zelo debbono essere così perseguitate? E la nostra stessa opera, con la quale noi non pretendiamo altro che fare il bene nell’esercizio della carità, perché deve essere trattata in questo modo?". E’ fuori dubbio che le opere di zelo e tutto ciò che è per la gloria di Gesù deve necessariamente portare il sigillo della contraddizione. E molte volte gli ostacoli e le contrarietà vengono proprio da dove, umanamente parlando, uno dovrebbe attendersi un aiuto... Non critichiamo però le persone che ci presentano il calice amaro, perché esse sono gli strumenti di cui Gesù stesso si serve; e davanti a Lui, piuttosto che demeritare, penso che avranno un merito. Facciamo in modo che non passi neppure un giorno senza che abbiamo pregato fervorosamente per tutti quelli che pensiamo ci hanno ferito». Consigli pratici, anno 1941 (n. 156-157; 160).

d) Don Esteban Ecay

DON ESTEBAN ECAY IZCUE entrò nella Congregazione Claretiana il 17 agosto 1899; fu destinato alla provincia del Messico. Nel giugno 1914 fu incardinato nella stessa diocesi di Los Angeles. Ritornato in Spagna conobbe ed appoggiò la Madre nella attività che, come Claretiana, svolse in Calle Toledo ed in Calle del Pinar. Insieme al Marchese de Zahara e la Contessa de Fuensalida, fu tra i benefattori che maggiormente sostennero, con il beneplacito del Vescovo di Madrid, le iniziative apostoliche promosse da Madre Speranza. Anche quando la Madre dette vita ad una nuova fondazione, Don Esteban, pur incontrando difficoltà con il Vescovo di Madrid, continuò ad appoggiare l’opera. Con l’apertura della casa di Alfaro, Don Esteban vi si trasferì come cappellano. Morì in Alfaro il 18 settembre 1936.

"Quando morì, la Madre pregava tanto per lui e faceva tante penitenze e digiuni perché pensava che per il suo carattere irascibile chissà quanto purgatorio dovesse fare. Ma il Signore le apparve e le disse che noi vedevamo gli scatti d’ira di Don Estaban Ecay, ma non vedevamo tutte le volte che lui si tratteneva, per cui era già in paradiso".

(Sessione n. 76 Data: 23.9.1988 Ore: 9,00 Teste n. 10 Suor Ines Riesco)

e) Il carro e il cavallo

«Ricordo, figlie mie, che stando a Roma, nei primi tempi della fondazione, c’era una suora che mi dava un po’ di grattacapi... la vedevo come una farfalla girando di qua e di là e pregavo il Signore per lei. Pregavo sì, ma a volte mi veniva meno la pazienza - non avevo capito che dovevo usare nei suoi confronti più pazienza che rigore . Un giorno, ci trovammo nella casa vecchia, le suore stavano nell’orto dove sorge attualmente la casa generalizia. Quel giorno ero nera, perché quella figlia me l’aveva combinata grossa. Stando in casa mi affacciai a una finestra che dava sull’orto e, vedendo quella suora mi dicevo: ‘Se potessi stare lì... ma appena viene le do una penitenza che non se la scorda finché campa!’ Ero immersa in questi pensieri, quando passò un uomo con un carro carico di frutta, tirato da un cavallo. Mentre passava davanti alla finestra dove io mi trovavo, il cavallo inciampò e cadde, spargendo per terra tutta quella frutta. Quell’uomo senza badare alla frutta perduta, si apprestò a liberare il cavallo, lo aiutò ad alzarsi da terra e, con gran delicatezza lo accarezzava e gli puliva le ferite perché la polvere non provocasse un’infezione.

Io contemplavo la scena mentre aspettavo quella figlia per darle una bella penitenza; ero talmente assorta in quest’idea che non pensavo alla lezione di quella caduta del cavallo. In quel momento ebbi una distrazione e dissi: ‘Signore, perché debbo vedere la scena di questo cavallo?’. Dice ‘Non ti rendi conto?’ - ‘No, perché? Cosa c’entro io con questo cavallo?’ ‘Sì che c’entri con questo cavallo, perché tu stai aspettando una figlia per farle questo e quello, dato che sta facendo delle cose che non ti sembrano giuste; ed é una creatura, un’anima a me consacrata, e tu, appena viene, gliene dirai tante e le darai una penitenza, che non scorderà facilmente...

Che ha fatto quell’uomo con il suo cavallo? Avrai notato come si é preoccupato di aiutarlo ad alzarsi e gli ha pulito bene le ferite perché la polvere non le infettasse, senza badare alla perdita economica provocata dalla caduta’.

...Quando arrivò quella figlia l’abbracciai perché, francamente, la lezione fu così grande che non ero capace di dirle niente»

f) Di fronte al tentato scisma - Il perdono nella crisi degli anni 1965

«Benedite coloro che vi perseguitano: benedite e non maledite» (Rm 12,14)

Durante gli anni 1960-1965, sempre su istigazione di persone esterne alla Congregazione delle Ancelle e in concomitanza con la realizzazione dell’Opera di Collevalenza, si è prodotta una forte contestazione delle scelte operative della Madre Fondatrice, culminata con l’uscita di un folto numero di Suore dissidenti e con il fallimento del loro tentativo di dar vita a una nuova fondazione religiosa.

«Signore, ricordati che l’apostolo Pietro, che ti amava moltissimo e che era capace di qualunque cosa pur di difenderti, fu il primo a rinnegarti... E Tu lo hai perdonato. Perché oggi — Giovedì Santo, giorno di perdono — non dovresti perdonare anche queste Figlie mie e dimenticarti di tutto? Perché non mi dici che le perdoni e che posso stare tranquilla, in quanto non hai più nulla contro di loro? Guardale, Signore, come hai guardato Pietro: perché se lui ti rinnegò per paura, le mie Figlie lo hanno fatto per essere state addottrinate da un tuo Ministro, il quale — come un Giuda — si è permesso di riempire la loro testa di tante cose che realmente io avrei potuto commettere se Tu non mi avessi assistito e se non fossi Tu a guidare la barca delle due Congregazioni. Signore, questo è il giorno del perdono: e io non ti lascerò in pace fino a quando non mi dici che non ti ricordi più di quanto queste Figlie hanno pensato, detto e fatto. Tu dichiari che perdoni, dimentichi e non tieni in conto: questo è il momento, Signore!... Oggi, giorno del Giovedì Santo, di nuovo te lo ripeto: perdona queste Figlie mie; e perdona questo Ministro tuo, per causa del quale (si è creata) questa situazione». Preghiere in estasi, 15 aprile 1965 (n. 328-329; 335).

«L’intenzione di queste Figlie non è mai stata di fare del male, ma del bene; e il Signore le ricompenserà. Io avevo bisogno che il Signore mi presentasse una simile amarezza in questa Santa Quaresima (del 1965). Dato che in questi momenti non posso fare penitenze speciali, almeno posso offrire al Signore questo grande dispiacere. Questo è il concime di cui deve alimentarsi la Congregazione: la sofferenza e il dolore... Cosicché, Figlie mie, non scandalizzatevi, ma chiedete al Signore che queste Consorelle possano resuscitare con Lui; e che non abbiano a soffrire per quello che è successo e che sta succedendo. Sono sorelle nostre. E al loro posto, noi che avremmo fatto? Forse, peggio; molto peggio!». Esortazioni, 18 aprile 1965 (n. 378).

(segue)

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ultimo aggiornamento 16 marzo, 2010