pastorale familiare

Marina Berardi

 

 

Famiglia, "…per un sacerdozio santo"

 

 

 

Siamo nel tempo quaresimale e, in continuità con le riflessioni proposte nei mesi scorsi, desideriamo fermarci per accogliere il rinnovato e incalzante invito a fare in noi e nella nostra casa uno spazio di "silenzio", fino a sperimentare che solo il "vuoto" e l’"assenza" di parole vane possono lasciare spazio alla presenza feconda della Parola.

Ci auguriamo che ogni famiglia in questo tempo forte si doni "un tempo" nella giornata per riunirsi attorno alla Parola: per ricercarla e anelarla quale tesoro prezioso, per ascoltarla e lasciarla riecheggiare nel cuore quale fonte di saggezza, per lasciarsi riempire ed orientare da Essa verso l’intima gioia della Pasqua.

L’appello rivolto a ciascun credente e ad ogni famiglia cristiana dal Santo Padre Benedetto XVI è quello di trasformare la Quaresima in "un lungo ‘ritiro’, durante il quale rientrare in se stessi e ascoltare la voce di Dio, per vincere le tentazioni del Maligno e trovare la verità del nostro essere.

Un tempo, possiamo dire, di "agonismo" spirituale da vivere insieme con Gesù, non con orgoglio e presunzione, ma usando le armi della fede, cioè la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio e la penitenza. In questo modo potremo giungere a celebrare la Pasqua in verità, pronti a rinnovare le promesse del nostro Battesimo"1.

Un’ottima intuizione quella di descrivere la Quaresima come tempo, per così dire, "agonistico", come tempo di "palestra" in cui essere ammaestrati con arte allo sviluppo e al combattimento dello spirito.

Prendendo in prestito un termine coniato dal mondo giovanile, potremmo dire che ogni singolo e ogni famiglia dovrebbero diventare dei "palestrati": coloro che, grazie ad ore ed ore di esercizio svolto nel "nascondimento" della propria interiorità ma, allo stesso tempo, insieme ad altre persone che condividono lo stesso ideale, rendono saldo, robusto, bello il proprio spirito e, di conseguenza, quello altrui!

Solitamente i genitori fanno qualsiasi sforzo, magari anche oltre le loro possibilità, per poter garantire ai propri figli e, perché no, a se stessi la possibilità di frequentare un sano sport, o potremmo dire una "palestra", tanto per rimanere nella metafora.

Nel nostro campo però, non si tratta di mettere mano al portafoglio per riuscire a pagare puntualmente una retta, quanto piuttosto di mettere mano al proprio stile di vita perché diventi regola per i propri figli, si tratta di valorizzare la quotidianità come luogo di gara dove mettere tutto il proprio ardore per diventare un… "campione" dello spirito!

Diventare "campione" non significa solo essere primatista, ma farsi "modello". Per una coppia potrebbe significare essere "mediazione" e trasparenza dell’amore di Dio, in forza del "ministero coniugale" ricevuto con il Sacramento del matrimonio. Come ricordava Benedetto XVI al clero di Roma, la missione "di essere mediatore, ponte che collega, e così portare l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita",2 è propria del sacerdote ordinato.

Per analogia e partecipazione, credo che si possa applicare questo criterio anche al sacerdozio comune che ogni laico è chiamato a vivere e che ogni famiglia è chiamata a trasmettere e rendere visibile.

In una palestra, a volte, si possono incontrare persone che svolgono la loro attività in forma quasi ossessiva, fino a farne l’unico o il principale scopo della vita e a legare ad esso il proprio valore personale, la propria "riuscita", disposti a qualsiasi rinuncia pur di raggiungere, a qualunque prezzo, l’agognato obiettivo.

Riportando questo concetto nella nostra "palestra dello spirito", si tratta di fare spazio a Gesù quale principale movente della nostra vita, anche attraverso una ascesi (nome, purtroppo, ormai in disuso!), attraverso un esercizio capace di favorire atteggiamenti e gesti semplici: la preghiera, il digiuno e la carità, con il solo desiderio di consolare e alleggerire il peso di Colui che ha dato la sua vita per noi.

Si tratta – come invita Madre Speranza - di vivere costantemente inchiodati alla croce, o meglio, di viveri abbracciati ad essa, sapendo che su di essa ha riposato il nostro Dio e che la croce è quella che deve addolcire le nostre pene, essere rifugio nelle tentazioni e nostro aiuto in tutti i pericoli3.

Lei stessa si domanda: Perché non portare la croce con gioia ed amore? Perché non ci deve essere dolce portare il giogo del dovere, per quanto questo esiga privazioni e fatiche?4.

In fondo è quanto fa ogni atleta. Per esempio, nelle corse allo stadio, come ci ricorda l’apostolo Paolo, "tutti corrono, ma uno solo conquista il premio" ed è per questo che esorta i cristiani: "Correte anche voi in modo da conquistarlo! Però ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile. Io dunque corro, ma non come chi è senza meta; faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato" (1Cor 9,24-27).

Questo "stile" non si improvvisa, ma ci si educa ad esso e si educa l’altro con l’esempio. Mi torna alla mente, in questo momento, l’invalsa e dilagante tendenza a fondare l’educazione sul principio del piacere, del sentire, dello spontaneismo, quasi che la vita sia un gioco senza regole, senza doveri o riferimento all’altro.

Il tempo forte della Quaresima potrebbe essere, quindi, occasione propizia per dar vita a piccoli e visibili "segni" che la Chiesa, quale madre, propone e che ogni famiglia è chiamata a "personalizzare".

Ho incontrato, per esempio, una famiglia che, in questo tempo, ha deciso di ritagliare almeno un quarto d’ora al giorno per leggere e pregare insieme la Parola, accendendo anche visibilmente una candela che illumini quanto vissuto e condiviso da piccoli e grandi…; altre che, il venerdì, hanno scelto di "digiunare" dal televisore per dedicare del tempo al dialogo fraterno e alla preghiera oppure di togliere qualcosa alla mensa per condividerla con i più poveri...

Molti altri potrebbero essere gli esempi perché, ringraziando il Signore, di famiglie che danno ospitalità a Cristo nella loro casa ce ne sono ancora tante! Questo è, certamente, un modo per rendere concreto, nelle piccole scelte quotidiane, quel sacerdozio santo che ci invita a nasconderci con Cristo nel cuore del Padre attraverso i sacramenti e la preghiera vissuta in famiglia e che ci chiama all’offerta e al sacrificio di noi stessi per il bene dell’altro.


1 Benedetto XVI, Angelus, 21.2.2010.

2 Benedetto XVI, Incontro con i Parroci della Diocesi di Roma, 18.2.2010.

3 Cfr. M. Speranza, El pan 20, 16.

4 Cfr. M. Speranza, El pan 20, 42.

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ultimo aggiornamento 16 marzo, 2010