pastorale familiare

Marina Berardi

 

 

Le REGOLE

un segno

d’amore

 

 

 

Abbiamo tutti a cuore il bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città. Non possiamo dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale.
Educare però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande "emergenza educativa", confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e di dare un senso alla propria vita...

Arriviamo così,… al punto forse più delicato dell’opera educativa: trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del progresso umano.

(Lettera del Santo Padre Benedetto XVI)

 

Questo stralcio, tratto dalla lettera del Santo Padre alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, sebbene porti la data del gennaio 2008, appare quanto mai attuale ed è uno spunto per riflettere sull’importanza delle "regole e del farsi "modello" nella delicata arte educativa.

Personalmente ho sempre pensato all’educazione come incontro: tra genitori e figli; tra insegnanti e alunni; tra educatore ed educando e, non meno importante, come incontro tra le diverse agenzie educative, chiamate a parlare un linguaggio univoco e complementare. Incontri che, vissuti nella verità, rendono realmente liberi.

Mi sembra, invece, di notare una certa confusione generata dalla labilità dei ruoli e dei confini, da rapporti che ora tendono ad una eccessiva simbiosi ora esaltano una esasperata autonomia, da una scarsa propositività ed incisività dei modelli, da proposte e linguaggi usati dalle varie agenzie educative spesso diversi e contrastanti tra loro, dall’influenza di modelli massmediali. Come diceva il prof. Tonino Cantelmi in un suo intervento qui al Santuario, ciò che veramente è entrato in crisi nel terzo millennio è la capacità di relazione con l’altro. Oggi la relazione è legata al contingente, ad un tempo breve, senza progettualità e dura il tempo di un’emozione: nulla è stabile, durevole, certo…

Credo che andrebbe ripensato l’abc della vita e cioè rieducata l’affettività, recuperata l’importanza di un sistema valoriale, ricontrattato il significato delle regole elementari del vivere comune.

In una cultura dove si esalta la dimensione dell’io e l’evanescenza delle emozioni, sembra sempre più difficile educare ad un sentimento empatico, ad un riferimento all’altro, al rispetto dell’autentico bene di sé e dell’altro, della famiglia e della collettività.

Madre Speranza, scrivendo alle Superiore, alle quali era affidata la formazione delle religiose e dei bambini accolti nei collegi, già nel 1938, le esorta ad avere un profondo zelo e una sincera passione per l’educazione, perché da questa dipende il progresso dei bambini stessi1. Immagino che questi siano anche i desideri e i sentimenti che muovono qualsiasi genitore o educatore, così da dar ragione di tanti sforzi e sacrifici.

È attraverso il rapporto interpersonale che ciascuno di noi ha costruito il proprio sistema valoriale, la propria identità personale e morale ed è sempre all’interno di una relazione che abbiamo appreso l’importante ruolo delle regole.

Le regole, poche ed essenziali, dovrebbero essere per noi e per i nostri figli come pietre miliari, un aiuto per cimentarsi nell’arte di crescere, per formarsi alla vera libertà, per inserirsi da protagonisti nella collettività. Stabilire una regola non vuol dire coercizione, autoritarismo ma rispetto per ciò che l’altro è chiamato a diventare e per il proprio ruolo, vuol dire offrire la propria autorevolezza che è data dall’autorità e dalla credibilità di chi, oltre a proporla, quella regola tenta di viverla.

Madre Speranza mette in guardia da uno stile autoritario, istintivo, collerico che impedisce all’altro di aprirsi alla relazione educativa e che lo spinge a difendersi, invitando ad entrare nella relazione con la franchezza e la tenerezza di Gesù:

"Dobbiamo essere molto attenti a non confondere l’autorità con la durezza e a dominare l’intolleranza che viene da un carattere forte e brusco, figlio della nostra superbia e della mancanza di carità. Desidero avvertirvi che il malumore e le sfuriate d’ira, non producono mai nelle [persone] e nei bambini effetti salutari, ma effetti molto contrari, poiché fanno sgorgare dal loro cuore la vendetta contro chi li tratta in questo modo; una madre, [un genitore, un educatore], non deve mai sfogare la passione, col pretesto di reprimere e castigare; evitiamo con sollecitudine di provocare l’ira [di quanti ci sono affidati] e dei bambini; educhiamoli secondo una disciplina e riprendiamoli come farebbe Gesù"2.

La disciplina, le regole ed il loro rispetto nascono dunque dall’amore autentico e ne sono un inequivocabile segno: a un genitore, a una madre "costa riprendere e vigilare, ma in questo modo sa che il tacere è un veleno che può portare alla morte le persone a lei affidate; lei non vorrebbe dispiacere nessuno, però vede che ci sono persone che è giusto e necessario dispiacere e correggere". Una madre sa trattare i figli "con educazione e tenerezza, ma dimostra loro che sa anche farsi temere, rispettare ed obbedire, senza guardare al fatto se con questo [i figli] la amano di più o di meno"3.

Credo che proprio quelle regole che appaiono come un pianeta a molti sconosciuto e da altri abbandonato, quasi fossero una inutile zavorra o un limite alla libertà, dovrebbero tornare ad essere segnali indicatori per non perdere la via maestra verso cui ogni individuo è diretto: la maturità e la pienezza dell’amore, la realizzazione della propria vocazione alla vita.

Il nostro riferimento ad un’antropologia cristiana ci porta a dire che nell’educativo il compito più appassionante è quello di giungere e far giungere i nostri figli e quanti ci sono affidati "alla piena maturità di Cristo" (Ef 4,13), ad essere perfetti come il Padre nostro che è nei cieli (cfr. Mt 5,48)!

Nel concludere, vorrei rendervi partecipi di un progetto che i membri della pastorale familiare e giovanile del Santuario, unitamente alla Parrocchia di Collevalenza, stiamo cercando di realizzare: avviare un’iniziativa rivolta a quanti hanno a cuore l’educativo, invitando ciascuno a "sedersi" e "giocarsi" attraverso la frequentazione di una "scuola" o, per riprendere una metafora già usata, una "palestra per genitori/educatori" o anche, come direbbe Madre Speranza, un "taller", una bottega dove si condivide la passione per un’arte ormai in disuso e dove si fa "esperienza di famiglia", con momenti da vivere insieme ai propri figli.

Ovviamente genitori ed educatori sono al contempo protagonisti e destinatari: chiamati a svolgere una missione davvero impegnativa e complessa, oggi più che mai sentono il bisogno di essere ascoltati nei loro timori, progetti, motivazioni, gioie, speranze… ma anche il desiderio di donare ad altri quanto, giorno dopo giorno, hanno appreso. Il nostro sogno è quello di offrire un tempo ed un luogo di incontro per la condivisione e la riflessione, per far accrescere sempre più e meglio la consapevolezza dell’inderogabile ed inestimabile compito di educare alla vita e alla scoperta di senso.

È una iniziativa aperta a tutti, anche ed in particolare a quei genitori che si sentissero schiacciati da inevitabili insuccessi e da involontari errori: nulla va perduto, tutto può essere occasione per "rimettersi sulla strada", nel tentativo di recuperare quei "guasti" che vanno messi in conto con sano realismo, a causa della fragilità della nostra natura umana e delle ferite che ciascuno porta in sé. I figli non desiderano genitori perfetti (sarebbero inimitabili!), ma genitori ed educatori capaci di mettersi in discussione e appassionati per la propria crescita.

La prima regola d’oro che va rispettata da genitori ed educatori, a mio avviso, è proprio questa: non stancarsi mai di educarsi per… educare.

Chiudo con una pensiero di Madre Speranza dove invita ogni genitore ed educatore a tener ben presente che "ha tanti imitatori della sua condotta, quante sono le [persone] da guidare e i bambini da educare. Cosicché il bene o il male che [ognuno] opera è molto grande…"4.

Nell’educare diventa, dunque, indispensabile far riferimento ad un "modello; porre "segnali" che orientino il cammino; farsi "mediazione" all’incontro con l’unico Maestro.


1 Cfr. M. Speranza, El Pan 20, 66.

2 Ibidem, 67 (marzo 1944).

3 Ibidem, 731 (dicembre 1962).

4 Ibidem, 67 (marzo 1944).

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ultimo aggiornamento 18 maggio, 2010