note di storia 22
P. Mario Gialletti fam
Ad agosto 2011
i primi 60 anni della Congregazione FAM
Il progetto della fondazione di una nuova Congregazione religiosa per i sacerdoti, la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, Madre Speranza lo conobbe nel lontano 1929 e fin da allora ne trascrisse le Costituzioni – afferma lei stessa – così come le furono dettate dal buon Gesù.
In effetti il progetto preannunziato partirà solo 22 anni più tardi, il 15 agosto del 1951 e parte in una forma apparentemente inusitata e strana che meraviglia la stessa Madre e le procura un vero turbamento.
I primi tre che emettono i voti religiosi per la nuova Congregazione sono: un sacerdote allontanato dalla sua diocesi nella quale non poteva più esercitare il ministero sacerdotale e che era stato accolto dal vescovo di Todi, ma che dovrà lasciare la Congregazione appena un anno dopo, il 28/10/1952; un giovane, Suppini Sanzio Marino che emette i voti come fratello artigiano ma che lascerà l’Istituto appena un anno dopo il giorno 1/8/1952; e Alfredo di Penta, un uomo di 36 anni, che avrebbe dovuto fare teologia e farsi prete e che sarebbe dovuto essere il primo fam.
La stessa Madre così racconta il suo turbamento:
24 febbraio 1951: Il buon Gesù mi dice che è giunto il momento di accettare totalmente il dolore e il sacrificio e che debbo essere pronta ad accogliere tutto quello che Lui vorrà, costi quello che costi.
Mi ha detto che è arrivato il momento di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e che il primo di questi sarà il giovane Alfredo Di Penta che, in occasione dell’anno santo, Egli nella sua provvidenza mi aveva già messo accanto perché mi si affezionasse e potesse così rispondere, con più facilità, alla divina chiamata.
Solo Gesù conosce l’impressione dolorosa che ha prodotto nella mia povera anima la sua decisione. Oppressa dalla pena e piangendo come una bambina, ho preteso spiegare al buon Gesù la mia nullità, i miei timori e cosa mai avrei potuto realizzare con l’aiuto di un secolare che neanche lontanamente pensava di diventare religioso. Il buon Gesù mi ha risposto che questo giovane diventerà religioso, sacerdote e primo figlio dell’Amore Misericordioso.
Io, fuori di me e non in sintonia con Lui, gli ho risposto avventatamente: "Io, Signore, non sono disposta a servire da strumento per farti soffrire collaborando al tuo fallimento; cercati una creatura più adatta per questa impresa, cercati, Signore, un Vescovo, un monsignore o un sacerdote esperto e virtuoso, chiunque tu voglia, ma non io, Signore, e per giunta aiutata da un secolare che non ha la più pallida idea di cosa sia la vita religiosa".
Il buon Gesù mi ascoltava sereno e tranquillo, tollerando, nella sua infinita umiltà, la mia sconsiderata superbia, finché, trafitta nell’anima dal suo sguardo amoroso, ho detto al mio Dio: "Perdonami, Dio mio, ancora una volta e puniscimi con ogni sorta di sofferenze, però fa’ che non pensi più a me stessa, ma solo a darti gloria".
Egli mi ha perdonato e con sguardo amoroso e voce paterna, mi ha detto: "Figlia mia, io non tengo in conto, dimentico, perdono e ti amo tanto, tanto; conosco le sofferenze che ti attendono e le umiliazioni che dovrai subire; ma è mio desiderio che tu passi per queste prove e che il primo dei Figli dell’Amore Misericordioso sia Alfredo". Al che ho aggiunto: "Ecce ancilla, Domini, però Gesù, dimentica il dispiacere che ti ho dato e aiutami, perché nelle prove impari a diffidare di me per confidare unicamente in te". (El pan 18, 1042-1047)
28 febbraio 1951: questa notte mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto di andare a parlare col Vescovo di Todi spiegandogli quanto Lui mi ha chiesto, ossia: la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, il primo dei quali deve essere Alfredo Di Penta e di chiedere al Vescovo di prendere sotto la sua protezione, in via sperimentale, la nascente Congregazione.
Così ho fatto e il Vescovo, contento, mi ha detto: "Madre, lei sarà il canale della volontà di Dio e noi due la eseguiremo". Mi sono inginocchiata insieme ad Alfredo per ricevere la benedizione di sua eccellenza che, ponendo la mano sulla testa di Alfredo, ha detto: "m’incaricherò io stesso di farti preparare perché in breve tempo possa diventare sacerdote". (El pan 18, 1055-1057)
In realtà la nuova Congregazione parte con l’idea chiara di essere una nuova Congregazione per i sacerdoti. I primi tre emettono i voti religiosi nelle mani del vescovo di Todi Mons. Alfonso Maria De Sanctis, a Roma, il 15 agosto 1951, nella Cappella della Casa generalizia delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e il 18 di agosto si stabiliscono a Collevalenza nella parrocchia.
Il nuovo istituto religioso parte con una idea chiara delle sue quattro forme di appartenenza alla Congregazione, due delle quali talmente nuove da non essere previste neanche dal Codice di diritto canonico. Si può aderire alla nuova Congregazione di Figli dell’Amore Misericordioso in due forme tradizionali come PADRI (sacerdoti religiosi) e come FRATELLI ARTIGIANI (religiosi non sacerdoti); ma si può aderire alla nuova Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso anche in due forme nuove e impensabili per la tradizione giuridica: come SACERDOTI DIOCESANI CON VOTI (che dovrebbero essere allo stesso tempo veri religiosi e veramente incardinati alla propria diocesi) e come FRATELLI CON TITOLO DI STUDIO (veri religiosi non sacerdoti ma impegnati in un lavoro preferibilmente fuori della casa religiosa, nelle strutture sociali). La stessa Chiesa avrà bisogno di quasi 50 anni per trovare una collocazione giuridica (stretta e condizionata) a questi due nuovi modi di essere religiosi.
In questi primi 60 anni aderiscono alla nuova Congregazione circa 250 persone; una sessantina come sacerdoti diocesani con voti; una trentina come fratelli; gli altri come padri o aspiranti al sacerdozio come padri.
In questi primi 60 anni di quanti hanno professato come fam ne sono già morti 42; più di una settantina hanno fatto la prima professione e poi hanno lasciato la Congregazione.
I primi tre morti sono stati: un Fratello Artigiano nel 1957, un sacerdote diocesano con voti nel 1958, un Padre nel 1969. Di questi tre e di tutti i nostri morti ne conserviamo un ricordo commosso e riconoscente per l’esempio e la testimonianza.
Il primo fam è morto nel 1957;
era un Fratello artigiano: Mariano Cuervo.Era nato nel 1939; venuto dalla Spagna a Collevalenza a 14 anni; nel 1956 aveva fatto la prima professione come Fratello artigiano, a 17 anni; nel 1957 è morto, a 18 anni.
Era un ragazzo! Tanto dolore. Sembra impossibile.
"Non sapete cos’è successo a Mariano? – si legge nei ricordi. - È caduto da un albero e si è fatto molto male". Mariano Cuervo, il Fratello Mariano, all’ospedale si dibatteva tra la vita e la morte. Todi è a otto chilometri da Collevalenza. Mariano vi era stato condotto in fin di vita. Una contadina salendo dalla campagna al paese l’aveva trovato esamine sull’erba del sentiero sotto un grosso pioppo dal quale era caduto. Fu un fremente via vai dall’istituto all’ospedale un incrociarsi di domande ansiose e di risposte meste finché alla comunità che si era raccolta in preghiera nella nuova chiesetta, ora Santuario dell’Amore Misericordioso, giunse il verdetto definitivo: "Mariano è morto".
Come mai Mariano? Ma perché proprio tu? Com’è stato? L’altro Mariano di casa, il mutolino di Collevalenza che curava l’orto della comunità e si piccava di buon artigiano, ricostruiva con la sua mimica particolare le ultime sequenze della tragedia chissà se seguendo i dettami della fantasia o traducendo la realtà. Mariano si sarebbe arrampicato sul grosso albero per ispezionare un nido alloggiato tra i suoi rami, ma si sarebbe incontrato con una serpe che l’avrebbe spaventato fino a perdere l’equilibrio e cadere giù.
… Il Santuario dell’Amore Misericordioso apriva le porte per celebrare il suo primo funerale ad un ragazzino di León che pur ora bussava timidamente alle porte della giovinezza. Le Ancelle e i Figli dell’Amore Misericordioso si strinsero fisicamente e spiritualmente intorno alla Madre Speranza. Per la prima volta la morte visitava la famiglia dei Figli e aveva scelto la vittima più fresca, il figlio più giovane.
Colta di sorpresa, ancora giovanissima, con uno sparuto drappello di elementi giovani ad ingrossarne le file, la Congregazione non disponeva di un pantheon e neppure di una semplice tomba per deporre il suo primo defunto. Fu un giovane del vicino paese di Torrececcona a prestare la sua come aveva fatto Giuseppe d’Arimatea con il Signore. Nel ridente cimitero di Collevalenza, nella tomba distinta dalla scritta: "Famiglia Angeli" Mariano ha riposato durante diversi anni.
… Col passare degli anni la Congregazione ha superato in fretta le fasi dello sviluppo e ora lo stesso Mariano rimarrebbe stupito se vedesse quali proporzioni ha assunto la cittadella di Madre Speranza.
Si è provveduto anche all’onorato riposo dei defunti e Mariano ha potuto lasciare la tomba prestata per venire a riposare definitivamente in territorio proprio.
Tra vigne e campi di grano, non lungi dal sentiero ritorto della Via Crucis, pudicamente mimetizzato da un boschetto di querce, è sorto il pantheon dell’accresciuta famiglia dell’Amore Misericordioso.
Il secondo fam è morto nel 1958;
era un sacerdote diocesano con voti: Don Luigi Leonardi.Era nato nel 1899; nel 1918 si trovò al fronte sul Grappa; l’8 dicembre del 1924 fu ordinato Sacerdote; dall’agosto del 1933 fu Parroco di San Matteo in città a Fermo; nel 1945 nominato Presidente della Sottosezione Diocesana Unitalsi e Direttore della Compagnia delle Dame di Carità di Fermo. Dall’8 dicembre 1954 fa parte della Congregazione dei FAM come SD con Voti; insieme a Mons. Lucio Marinozzi sono stati i primi due sacerdoti diocesani che, pur restando incardinati alla propria diocesi, sono entrati a far parte della Congregazione di Madre Speranza. La notte del 26 febbraio 1958 muore improvvisamente, a 59 anni.
"Fine inattesa per tutti, ma non per Lui, che ne aveva avuto misteriosamente preavviso – testimonia nei suoi scritti Mons. Lucio Marinozzi - Più volte la Madre raccontava che il Signore l’aveva mandata ad avvertire don Luigi della sua prossima fine; una sera mentre stava scrivendo nell’Ufficio Parrocchiale a pianterreno della Casa del Clero, don Luigi vide entrare la Madre. Egli si meravigliò di vederla a Fermo, perché la sapeva a Collevalenza, la Madre gli disse di mettere le sue cose in ordine, perché la sua fine era imminente. Don Luigi rispose che aveva tanto da fare e che doveva lavorare per la proclamazione del dogma della Mediazione universale di Maria, ma la Madre gli ripeté di sistemare tutto, perché nei prossimi giorni il Signore sarebbe venuto a prenderlo; allora don Luigi concluse: "Va bene, farò come Lei dice" e si alzò per baciarle la mano, ma non toccò nulla perché la Madre stava lì con il solo spirito, mentre il corpo era rimasto inerte a Collevalenza.
Era avvenuto in questo caso quel fenomeno che tante volte la Madre raccontava, cioè la bilocazione.
Don Luigi si impressionò molto a questo fatto, e si preparò meticolosamente, come era nel suo carattere, scrisse il testamento preciso in ogni dettaglio, andò a confessarsi dal Padre cappuccino, che era il suo confessore, e si congedò visitando delle persone con le quali aveva rapporti d’affari o di ministero sacerdotale (dopo la sua morte costoro capirono benissimo che quella visita o quel saluto era un addio)".
Continua il racconto di don Lucio: "La sera precedente si trattenne a cena e a ricreazione con i suoi confratelli serenamente, come sempre, poi scese nelle sale inferiori della portineria per conversare con dei giovani, erano giovani amici che venivano a passare delle serate insieme con il Parroco, indi a tarda sera risalì nella sua camera per il consueto riposo notturno, ma purtroppo di lì a poco entrò nel riposo eterno.
Quando si sentì male, bussò alla parete della camera del confratello vicino, lo trovammo che si dimenava tra dolori spasmodici al petto, invocava l’assoluzione e l’olio santo, perché si sentiva morire…
Si cercò di confortarlo, ma fu questione di pochi minuti.
Spirò sotto lo sguardo di Maria Mediatrice, ne aveva fatto riprodurre il particolare del volto e lo aveva appeso davanti al letto.
Era la notte del 26 febbraio 1958, mese ed anno centenario delle Apparizioni di Lourdes, luogo tanto caro al suo cuore devoto della Madonna".
Don Luigi Leonardi e la sua devozione a Maria Mediatrice.
Nella sua attività pastorale furono notevoli i Pellegrinaggi dell’Unitalsi a Lourdes e Loreto; aveva commissionato un grande quadro a olio raffigurante Maria Mediatrice, al pittore Elis Romagnoli di Morrovalle. Il giorno 8 dicembre 1956, festa dell’Immacolata, nella Chiesa del Carmine in Fermo fu benedetta una grande tela, un quadro di metri 6x3. Il vescovo non vedeva bene che la nuova tela prendesse nella Chiesa del Carmine a Fermo il posto del celebre quadro della Natività del Baciccia; don Luigi lo donò al Santuario dell’Amore Misericordioso dove si trova attualmente, in Basilica.
Don Luigi aveva fatto scolpire precedentemente anche una statua di Maria Mediatrice di piccola dimensione; era riuscita molto bella, con una splendida doratura (la tenevamo nel refettorio del Seminario).
Si diceva che don Luigi avesse offerto la sua vita per la proclamazione del dogma della Mediazione universale di Maria, voleva raccogliere firme da mandare a Pio XII perché procedesse alla proclamazione del dogma. Ma ormai volgeva al tramonto la giornata terrena che Dio gli aveva concessa: il 26 febbraio 1958, all’età di 59 anni, un gravissimo infarto troncò la sua vita.
Il terzo fam è morto nel 1969;
era un Padre: P. Nello MontecchianiEra nato nel 1940; era entrato nel seminario vescovile di Todi; nel 1959 è passato al seminario della nostra Congregazione per frequentare il 4° anno di liceo; il 14 agosto 1960 inizia l’anno di noviziato a Campobasso e il 15 agosto 1961 emette la Prima Professione
È ordinato Sacerdote il 24 ottobre 1964 da S. E. Mons. Norberto Perini; il 15 agosto 1968 emette la Professione Perpetua nel Santuario dell’A.M. Alla fine del 1968 aveva terminato di dare ormai quasi tutti gli esami di università nella facoltà di filosofia: gli restava da presentare solo la tesi di laurea, mentre la notte del giorno 24 gennaio 1969 alle 2,50 moriva per emorragia cerebrale. Aveva solo 29 anni.
Anche la Madre visse con tanta sofferenza il decorso di questa malattia, almeno fino al giorno precedente la morte. In una nota di archivio si legge:
"24 Gennaio 1969 - Ieri sera, verso le 17, abbiamo riportato a casa P. Nello, ormai in fin di vita, ed è morto questa mattina alle 2,50. Verso le ore 11 accompagno la Madre a prendere un po’ d’aria, nel bosco. Parliamo di varie cose e anche di quanto è successo ieri. Mi dice la Madre che la notte precedente stava pregando tanto il Signore, perché ci lasciasse in vita il P. Nello. Il Signore le rispose che non lo avrebbe fatto e che se essa lo potesse vedere, come lo vedeva Lui, neanche glielo avrebbe chiesto. La Madre supplicò di farglielo vedere. E il Signore accondiscese. Erano circa le ore 3 del mattino del giorno 23. La Madre dice di averlo visto tanto bello, tanto luminoso, pareva un santino. Il Signore aggiunse: «Se vivesse anche altri cento anni, non diverrebbe più bello di così». Ad assistere il P. Nello in ospedale, alle 3 del mattino del giorno 23, c’erano Suor Fiducia, Suor Annalisa e P. Gialletti. Nessuno dei tre ha notato niente, e neanche il P. Nello ha ripreso conoscenza. E il Signore se lo ha portato con Sé".
La solenne liturgia della Messa esequiale, presieduta da Padre Arsenio Ambrogi, Superiore generale della Congregazione e concelebrata da vari altri Sacerdoti, religiosi e diocesani, si svolse in una atmosfera di pietà, di pacato dolore, di fiduciosa speranza nelle realtà eterne. Tutti sappiamo che durante la S. Messa la Madre lo vide vestito da Sacerdote, nello splendore della gloria del Paradiso. La salma venne provvisoriamente tumulata nel locale cimitero di Collevalenza per essere poi definitivamente posta nel cimitero della Congregazione a valle del Santuario.
All’inizio dell’ultimo anno di Teologia, per una speciale concessione ottenuta dalla Madre per i primi seminaristi della Congregazione venne ordinato Sacerdote, insieme ad altri due compagni da Mons. Norberto Perini, Arcivescovo di Fermo, nella chiesa della Casa Generalizia delle Ancelle dell’Amore Misericordioso a Roma. Era il 24 ottobre 1964, vigilia della festa dell’Amore Misericordioso. La commozione e la gratitudine verso il Signore per un dono tanto grande saranno più tardi espressi con queste parole:
"Grazie Signore che ti fidi di me. Dammi un cuore grande e generoso, un cuore puro che sappia sollevare le miserie senza macchiarsi. Grazie, Signore, perché quando andrò in cerca di una luce che rischiari la mia mente, so che posso trovarla in Te, e se cerco un cuore che sappia amarmi così come sono, che riscaldi con il suo affetto il freddo delle colpe, so che sei Tu. Dammi un cuore che possa soddisfare alle tue esigenze, capace di palpitare dei tuoi sentimenti, di perdersi in Te".
L’indomani della sua Ordinazione celebrò la S. Messa nel Santuario di Collevalenza ed ebbe insieme ai suoi compagni il privilegio e la sorpresa di benedire un Vescovo polacco che sapendoli Sacerdoti Novelli si era inginocchiato dinanzi ad essi. Quel Vescovo diventerà dopo qualche anno Giovanni Paolo II!
Ultimati gli studi teologici fu aggregato alla casa di Collevalenza con diversi incarichi. Il 15 luglio 1965 si iscrive e frequenta a Perugia l’Università nella Facoltà di Filosofia.
Ma fu soprattutto al servizio nel Santuario che dedicò con passione e gioia il suo tempo e le sue migliori risorse. Profondamente impregnato del messaggio dell’Amore Misericordioso riusciva a comunicarlo ai pellegrini che venivano al Santuario, specialmente nel ministero della Confessione. Scriveva:
"Provate a immaginare la vostra vita piena di miserie con un Dio giudice severo e vendicatore: sarebbe stato meglio non esistere. La sicurezza di trovare in Lui un cuore più che paterno, che ci considera come una cosa tutta sua, che ci accompagna pieno di misericordia, ci ridà speranza, ci ridà vita… Non abbiamo nessun titolo nel presentarci a Lui, non possiamo pretendere nulla per l’osservanza della sua legge come il pubblicano del Vangelo ed è una fortuna. Un dono da offrire l’abbiamo anche noi, però è un dono di cui non ci possiamo vantare ma tanto utile: i nostri peccati. Sei Padre per questo: per amare e perdonare".
In alcune frasi di un suo articolo che potete leggere con grande utilità spirituale nel numero di gennaio 1966 della rivista "L’Amore Misericordioso" viene molto bene espressa la gioia della sua fede nel perdono di Dio:
"Dovevi scontare per le tue malefatte, ebbene ha pagato Lui per te e un prezzo più che abbondante. Sapeva che, una volta ripartito non l’avresti più ricordato, mentre ne avevi bisogno per saziare la fame della tua anima più divorante di quella del corpo. Ed è rimasto per farsi mangiare, per saziarti. Ti ha fatto pagare forse? Ti ha rinfacciato la tua ingratitudine? Ti ha umiliato facendoti vedere le tue brutture? Niente di tutto questo; dimentica tutto ed è disposto a lasciare passare se a volte inciampi, basta che veda la tua volontà di camminare. Ti difende anche contro le accuse degli uomini: "nessuno ti ha condannata? Neppure io ti condanno" È questo l’amore; donare o meglio lasciarsi prendere senza neppure sperare ricompensa. E Dio si è donato così a te. Poteva fare di più? L’Amore ha superato se stesso".
Il suo stato d’animo mi sembra meravigliosamente espresso nel suo articolo: "Un prete si confessa" uscito sempre nella rivista "L’Amore Misericordioso" del numero di marzo 1966:
"Dove andrò io povero e misero come sono? Non mi conosci? Non vedi come la mia anima è piena di ondeggiamenti, di miserie, di quelle miserie che non fanno morire, che non la scuotono né la precipitano con violenza nel fondo e per questo più pericolose. Vivo ancora, o Signore. Ma è una vita annoiata, senza slancio, senza gioia, senza amore. La mia anima è arida, secca, aperta a tutti, dove entra chi vuole. Vado cercando di riempirla di mille cose, di attaccarmi qua e là e più la riempio più sono insoddisfatto, più sono vuoto perché non ci sei Tu. Signore, non Ti ho ancora conosciuto, non Ti ho aperto la porta che a metà e Tu non sei entrato perché non vuoi essere solo. Non vuoi che altri turbino il tuo amore per me. A Te, Signore, lo posso dire perché mi ami: entra nel mio cuore fin laggiù, dove tenacemente si nasconde quel rimpianto, dove ogni tanto mi rifugio per godere quella gioia che ho abbandonato. Ti ho promesso di lasciare tutto e intanto tengo la mano allungata a troppe cose. Cosa posso dare io agli altri? Ancora hai fiducia di me?".
In un articolo scritto da P. Nello Montecchiani nel gennaio del 1967, due anni prima della sua morte, ci sono alcune frasi che possono considerarsi un programma e una sintesi della sua vita:
"Vivere è generosità sempre pronta a dare e a darsi. È mettere a disposizione di chi te lo chiede il proprio tempo e qualità. Quando non esisterai più per te, ma unicamente per gli altri, avrai fatto qualcosa di importante".
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ultimo aggiornamento
13 giugno, 2011