pastorale familiare |
Marina Berardi |
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I
l calendario liturgico, ormai giunto al termine, ci ha accompagnato pedagogicamente lungo quest’anno pastorale offrendoci l’opportunità di un cammino di crescita nella fede e nell’amore, fino a condurci alla grande celebrazione conclusiva della Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo.Quella domenica mi trovavo in una affollatissima parrocchia romana, alla cosiddetta Messa dei bambini, anche se questi non erano i più numerosi; oltre ai catechisti e ad altri fedeli, infatti, erano tanti i genitori che li avevano accompagnati. Il loro esserci parlava da solo, eloquente segno di una convinzione profonda e di un cammino di fede, finalmente e visibilmente, "formato famiglia".
Il sacerdote e i ministranti, attraverso la solennità dei riti, dei paramenti, dei gesti e delle parole, hanno fatto emergere il significato più profondo della speciale celebrazione. Nell’omelia dialogata, i bambini sono stati invitati a dire chi fosse per loro un re e a pensare in che modo, invece, Gesù aveva scelto di manifestare agli uomini la sua regalità. Puntuali, chiare, reali le risposte, oserei dire, sorprendenti per la loro profondità. Questo, in particolare, il passaggio del celebrante rivolto ai bambini, che ha dato vita alle mie riflessioni: Cristo ha manifestato tutta la sua regalità nell’obbediente ascolto e compimento della volontà del Padre; allo stesso modo, anche i genitori debbono obbedire!
Credo che, oggi più che mai, alla genitorialità vada restituita la propria vocazione: l’obbedienza a Dio, da cui trae origine ogni paternità e maternità. Come ci ricorda il profeta Isaia, nella lettura della prima domenica di Avvento, il Signore, è nostro padre; noi siamo l’argilla che lui plasma, siamo opera delle sue mani (cf. Is 64,7). All’uomo e alla donna, che insieme sono il "capolavoro di Dio" fatto a sua immagine e somiglianza, Egli ha dato il potere e il compito di custodire la vita e le nuove generazioni, di indicare come meta la piena maturità di Cristo, di essere trasparenza del suo amore, manifestazione della sua gloria e di aspirare alla santità.
L’obbedienza a Dio richiede, innanzitutto, un ascolto umile, desideroso di scoprire e di sottomettersi liberamente alla volontà di Colui che ci ha amati e che ha donato suo Figlio per noi. L’obbedienza dei genitori nasce e si fonda sulla consapevolezza di essere stati resi partecipi da Dio della sua opera creatrice e di essere "con-creatori" con Lui nel far sbocciare una nuova vita, nel custodirla e portarla a pienezza.
Non, dunque, detentori della vita altrui, neanche quando questi fossero i propri figli; non ostentatamente sicuri di sé e della propria forza, perché senza di Lui non possiamo far nulla (cf Gv 15,4.5); non indiscussi padroni dei propri progetti e sogni, ma collaboratori di un Progetto più grande.
Sì, se i genitori obbedissero all’Amore, avremmo famiglie molto più felici. È Gesù stesso ad assicurarlo: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena" (Gv 15,10-11).
Il primo comandamento, che racchiude in sé tutto, ce lo ha insegnato Gesù dall’alto di quella croce abbracciata per amore e per obbedienza al Padre: amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato (cf Gv 15,12).
Allora, sinonimi della felicità piena non sono il piacere e la gratificazione, l’appagamento e la soddisfazione, la contentezza e la spensieratezza (come propone un qualsiasi dizionario, compreso quello elettronico!), quanto piuttosto il dono e la rinuncia di sé, a qualunque costo, in qualsiasi circostanza, solo per il bene dell’altro: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita" (Gv 15,13).
L’obbedienza va incarnata e vissuta nella quotidianità, il luogo dove ogni membro dovrebbe imparare a "dare la vita" nelle piccole cose, nei gesti, nelle parole e a "dare alla luce" il bello e il bene pensato da Dio per chi ci ha messo accanto, nelle semplici scelte di tutti i giorni.
Sulla scia del prossimo incontro mondiale di Milano su Famiglia, lavoro e festa, potremmo chiederci: come, concretamente, la nostra famiglia riesce a riempire di festa la ferialità, il lavoro, gli impegni e a vivere la festa come "occasione" propizia e come giorno del Signore? Attraverso il nostro stile di vita, quali valori trasmettiamo ai nostri figli?
Oggi, molte famiglie sperimento il sovraccaricarsi degli impegni, risentono della precarietà economica e lavorativa, guardano con sfiducia al futuro, fino a rendere più difficile e a perdere il gusto dello stare insieme.
Personalmente, penso che la festa nasca dalla presenza unica e gratuita dell’altro, nella gratitudine e nello stupore di averlo accanto, qualsiasi sia la condizione in cui ci si trova. La festa è quel tempo in cui, almeno apparentemente, non c’è nulla da produrre o da realizzare, se non l’intessere relazioni significative che nutrano di sé e che accolgano l’altro, così, semplicemente, felici di esserci.
Oggi, per una famiglia, darsi del tempo non è facile, così come non lo è salvaguardarlo dalle mille insidie esterne o anche solo custodire e difendere la domenica, come tempo sacro, ricco di valore, di Presenza.
Credo che si debba ripartire da qui, perché è dal santificare la festa, attraverso l’ascolto della Parola, il nutrirsi di Cristo e della comunione fraterna, che ha origine l’autentica difesa della gioia e della vita, che si scopre il senso più profondo delle ripetitive azioni di ogni giorno, che si trova il coraggio di superare li più dure difficoltà e la forza per vivere l’amore come rinuncia di sé e apertura all’altro: tutto diventa tempo sacro perché abitato da un ascolto obbediente del comando del Signore.
Una domenica così la si sceglie se si è convinti che il primo compito di un genitore è quello di trasmettere valori alti, di aiutare i propri figli a scoprire la loro vocazione di consegnare loro ciò che è duraturo, ciò che rimane, ciò che "né tignuola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano" (Mt 6,21), più che accumulare per loro tanti beni o ambizioni effimere.
In molte case si issano inferriate e porte blindate, si posizionano allarmi per difendersi da possibili furti senza accorgersi che lasciamo che tesori momentanei ci rubino il bene più prezioso: il cuore (cf Mt 6,21), gli affetti, il tempo, la possibilità di stare insieme.
Va dove ti porta il cuore. Quante volte, questa espressione male intesa, finisce con il portare papà e mamme su strade non vere, pericolose, dove non esiste più alcuna segnaletica e dove, in nome della propria libertà, si relega in un remoto angolino la responsabilità nei confronti dell’altro. La passione del "cuore", a volte, può allontanare dalla verità, dal partner, dai figli. Di fronte a papà e mamme eccessivamente presi dai propri impegni, persi dietro i propri hobby o la propria immagine, interessati ad altre relazioni, come diceva M. Speranza, sono soprattutto i bambini a soffrirne, tanto da arrivare a gridare il loro disagio nei modi più diversi. È allora che nella famiglia finisce la festa.
Parafrasando una frase del S. Padre Benedetto XVI, potremmo dire che ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono genitori che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile ai loro figli... Soltanto attraverso uomini e donne, genitori toccati ed illuminati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. E solo allora sarà di nuovo festa!
Santa Famiglia di Nazaret …
Disponi le menti dei genitori,
affinché con carità sollecita,
cura sapiente e pietà amorevole,
siano per i figli guide sicure
verso i beni spirituali ed eterni.
(Stralcio di un preghiera del Beato Giovanni Paolo II)
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ultimo aggiornamento
14 dicembre, 2011