studi  
 

Padre Aurelio Pérez FAM

"Il Signore mi ha mandato ad annunciare l’anno di misericordia" (Lc 4)

 

Nuova Evangelizzazione e annuncio dell’Amore Misericordioso del Signore

 

Collevalenza 10 dicembre 2011
Incontro per ricordare Papa Wojtyla

Alle ore 17, nella sala convegni, p. Aurelio Pérez, superiore generale fam ha tenuto una relazione (che qui riportiamo) sul tema "L’Amore Misericordioso, via della nuova evangelizzazione".

(seguito)

 

2. IL VANGELO DELL’AMORE MISERICORDIOSO

È ovvio che non possiamo annunciare contenuti diversi da quelli che Gesù ci ha offerto nel suo Vangelo. Vale anche per noi la parola di S. Paolo: "Se io o un altro, o persino un angelo dal cielo, vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi ho annunciato, sia anatema!" (Gal.).

Dunque il contenuto dell’annuncio ce l’abbiamo nel Vangelo, nelle Scritture Sante, così come anche nel patrimonio perenne della Chiesa che mette a nostra disposizione la sapienza pastorale di secoli di evangelizzazione.

2.1. Annuncio essenziale

C’è una essenzialità dell’annuncio che va tenuta molto presente, anche se adattata a metodologie adeguate ai tempi e ai contesti, come vedremo più avanti. Questa essenzialità dell’annuncio della fede è contenuta nel Credo della Chiesa. Ecco perché Benedetto XVI ha messo insieme l’indizione dell’Anno della Fede e il Sinodo sulla Nuova evangelizzazione. Che cos’è il Credo? Non è altro che il concentrato dell’annuncio evangelico, elaborato già in epoca apostolica e postapostolica (il credo degli Apostoli) e poi approfondito con le dottrine di alcuni Concili dei primi secoli, per definire i contenuti della fede messi in dubbio da alcune eresie (credo niceno-costantinopolitano). Il credo dunque è un concentrato della nostra fede, e Papa Benedetto ci invita ad riappropriarci dei suoi contenuti, a meditarlo "nel cuore" e a proclamarlo "con le labbra" anche oggi.

A partire da questa fede essenziale, trinitaria ed ecclesiale, occorrerà sviscerare tutte le risonanze che toccano la vita semplice e complessa, gioiosa e dolorosa del quotidiano. Allora appare come la fede lungi dall’estraniarci dall’esistenza è la cosa più concreta che ci sia, perché nessun aspetto della vita, nessun dramma, nessuna bellezza, nessun dono della creazione rimane esente dallo spessore della fede in Cristo Gesù. Nell’incarnazione Egli ha assunto pienamente la nostra umanità. La fanciullezza, la giovinezza, la famiglia, l’età adulta, la vecchiaia, il dolore e la gioia, la salute e la malattia, il lavoro e il riposo, la politica e la cultura, la preoccupazione per il creato, ogni aspetto della vita è investito dal dinamismo della fede. Siamo agli antipodi di una fede chiusa nelle sagrestie ed estranea alla vita.

2.2. Annuncio "secondo le Scritture".

Insieme con questa concretezza, il partire dalla fede "secondo le Scritture" su cui si basa il Credo, ci rimanda alla necessità di fare della Parola di Dio la sostanza principale di ogni itinerario di trasmissione della fede. Non è certamente un caso che il Sinodo sulla nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede faccia seguito a quello sulla Parola di Dio, dal quale Benedetto XVI ha tratto l’esortazione apostolica "Verbum Domini", che va meditata.

Ma possiamo dire che non solo la fede, ma anche l’annuncio dovrà essere "secundum Scripturas". Ora da questa convinzione scaturiscono conseguenze importantissime sia sul contenuto che sulla modalità dell’annuncio: non possiamo annunciare cose diverse da quelle fondamentalmente espresse dal dettato biblico, ma neanche potremo farlo con modalità diverse da quelle che il Padre ha rivelato nel suo Verbo. Non va mai dimenticato quanto S. Giovanni della Croce afferma riguardo alla rivelazione definitiva e totale di Dio nel suo Figlio: non dobbiamo aspettarci un’altra parola diversa, o un’altra rivelazione che non sia contenuta nel Figlio. In Lui il Padre ci ha detto tutto l’essenziale sia riguardo ai contenuti che ai metodi. Si tratta di non dimenticarlo e di renderlo presente e vivo in ogni epoca della storia, fino alla fine del mondo.

Allora comprendiamo quanto sia importante cogliere, riattualizzare e riproporre ai nostri contemporanei il cuore del Vangelo e della Parola di Dio. Ed è a questo punto che cogliamo la centralità della misericordia di Dio nell’annuncio del Vangelo anche a questo nostro mondo.

Che cosa rimarrebbe, infatti dell’annuncio evangelico se togliamo da esso la proclamazione del giubileo di misericordia che Gesù fa nella Sinagoga di Nazaret (Lc 4) per i poveri, i ciechi, i prigionieri, quelli che hanno il cuore spezzato? Che cosa rimarrebbe del programma e dell’attività di Gesù se tagliamo le parabole della misericordia (Lc 15), la parabola del grano e della zizzania, la parabola del buon samaritano, e tante altre? Che cosa rimarrebbe se togliamo dal Vangelo i gesti di misericordia compiuti da Gesù: la samaritana (Gv 4), la peccatrice in casa di Simone (Lc 7), l’adultera (Gv 8), Zaccheo (Lc 19,1-10), il buon ladrone (Lc 23, 39-43), e in generale l’accoglienza dei peccatori che suscitava lo scandalo e i rimproveri dei farisei (Mc 2, 14-17), la commozione viscerale di Gesù di fronte allo smarrimento delle folle (Mc 6,34)), e di fronte alle malattie del corpo e dello spirito che egli guarisce? Proprio riferendosi allo scandalo suscitato da questo suo modo di accogliere i peccatori e mangiare con loro, Gesù, portando a compimento le parole del profeta Osea, dirà per ben due volte a quelli che non capiscono: "Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia voglio e non sacrificio" (Mt 9,13; cf 12,7). Invito che si traduce in un’esortazione esplicita a imitare lo stile con cui Dio agisce nei nostri confronti: "Siate misericordiosi come Dio, vostro Padre, è misericordioso" (Lc 6,36), e in una delle beatitudini del regno: "Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia" (Mt 5,7).

E infine che cosa rimarrebbe del Vangelo di Cristo se togliamo la manifestazione suprema del suo amore misericordioso offertaci nella sua morte e risurrezione? Lui che muore dicendo "Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno", dimostra che l’amore del nostro Dio è l’unico rimedio contro il peccato e ogni forma di male, l’unica vittoria sulla morte, l’unica speranza per non precipitare nella disperazione, l’unica bellezza che può davvero salvare il mondo.

L’amore misericordioso del Signore è il tesoro nascosto nel campo, è la perla preziosa da scoprire, è il pane della vita, è l’acqua viva dello Spirito, e potremmo continuare applicando questa chiave di lettura a tutto il Vangelo e a tutte le scritture sante, "cominciando da Mosè e da tutti i profeti", come fece Gesù con i due discepoli di Emmaus. Mi auguro che molti biblisti possano leggere tutta la Scrittura nella luce della misericordia: mi sembra la chiave ermeneutica migliore per cogliere il cuore della Parola di Dio, il cuore di Dio stesso e l’autentico volto dell’uomo.

Gesù non ha fatto altro che rendere visibile il cuore di Dio, la sua carità infinita e traboccante di misericordia per tutti i suoi figli, e in questo modo ha rivelato la sua identità di Messia, annunciata dai profeti. Non è venuto infatti a gridare e a far udire in piazza la sua voce, né a spezzare la canna incrinata o spegnere lo stoppino dalla fiamma smorta (Is 42, 2-3). Il suo stile è mite e misericordioso, e al tempo stesso fermo e deciso nella verità.

Per questo Papa Benedetto ci ha più volte ripetuto che il contenuto centrale dell’annuncio e della trasmissione della fede non è fondamentalmente un’idea, o una dottrina o una morale, ma è una persona: Gesù Cristo, Parola vivente di Dio. Possiamo ripetere con San Paolo al mondo di oggi, senza paura e senza ambiguità: "Noi annunciamo Gesù Cristo! E non ci vergogniamo del suo Vangelo".

2.3. L’annuncio dell’Amore misericordioso di Dio è anche il cuore del programma evangelizzatore della Chiesa

Non diamo per scontato che la gente, anche battezzata, conosca il vero volto di Dio. Permettete che, in questo luogo, ricordi le parole di M. Speranza, tratte dal suo Diario, che lo stesso Giovanni Paolo II ricordò ai membri della nostra Famiglia religiosa qui a Collevalenza, 30 anni fa: "L’uomo ha intimamente bisogno di aprirsi alla misericordia divina, per sentirsi radicalmente compreso nella debolezza della sua natura ferita; egli necessita di essere fermamente convinto di quelle parole a voi care e che formano spesso l’oggetto della vostra riflessione, cioè che Dio è un Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi di confortare, aiutare e rendere felice i propri figli; li cerca e li insegue con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro. L’uomo, il più perverso, il più miserabile ed infine il più perduto, è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un padre e una tenera madre"2.

È significativa la risposta che M. Speranza diede a un monsignore che a Roma le chiedeva che cos’era questa nuova devozione dell’amore misericordioso del Signore: "Non è nuova, ma antica quanto il vangelo".

Mi è capitato di sentire una volta un parroco che, abbastanza deluso, mi diceva: "Noi offriamo il cibo, ma la gente non ha fame". Mi chiedo se alle volte stiamo offrendo il cibo di Dio in modo poco presentabile. Oppure se non riusciamo come Chiesa a indovinare il tipo di fame che soffre la gente. Spesso diciamo con una frase un po’ abusata che Dio è la risposta, ma a quali domande? Sappiamo riconoscere davvero le domande vere che oggi la gente si pone e ci pone, a volte gridate, a volte silenziose ma cariche di disperazione, a volte segnate dall’apatia e dall’indifferenza di chi non ha più orizzonti?

Tanti dicono che il male è lo scandalo che smentisce l’amore di Dio per l’umanità. È ovvio che non possiamo bypassare pietisticamente le domande drammatiche sul male e sulla sofferenza del mondo. È per questo che mi sembrano significative le parole che il beato Giovanni Paolo II, ancora quasi convalescente per l’attentato subito, disse nell’omelia della celebrazione eucaristica qui a Collevalenza:

"L’Amore misericordioso tende alla pienezza del bene... Tendendo alla pienezza del bene, l’Amore misericordioso entra nel mondo segnato col marchio della morte e della distruzione… L’Amore misericordioso instaura un incontro con il male; affronta il peccato e la morte. E proprio in ciò si manifesta e riconferma il fatto che questo Amore è più grande di ogni male".

Provo a suggerire qualche considerazione sul terzo e ultimo punto: evangelizzatori nuovi per la nuova evangelizzazione.

 

3. LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE HA BISOGNO DI "EVANGELIZZATORI NUOVI"

Come dovrà essere questa nuova evangelizzazione?

La nuova evangelizzazione, disse Giovanni P. II con un’espressione che è diventata un po classica, sarà "nuova nel suo ardore, nuova nei suoi metodi, nuova nella sua espressione" (Giovanni Paolo II, 9-5-1988).

Questa espressione ci aiuta a riflettere sul Giovanni Paolo II, 9-5-1988).

Questa espressione ci aiuta a riflettere sul "come evangelizzare".

3.1.  I veri e "nuovi" evangelizzatori sono i santi

L’evangelizzazione sarà nuova nel suo ardore se verrà rafforzata sempre più l’unione con Cristo, primo evangelizzatore, e se saremo animati dal suo Spirito.

Il nuovo tempo dell’evangelizzazione ha inizio con la conversione del cuore. Quando Gesù ha iniziato a predicare il Vangelo ha detto semplicemente: "Il tempo è compiuto e il Regno di Dio è vicino, convertitevi e credete nel Vangelo!" (Mc 1, 15)

Saranno autentici evangelizzatori solo coloro che sapranno offrire alla comunità degli uomini un’elevata qualità di vita cristiana. Questa è la chiave del rinnovato ardore della nuova evangelizzazione: se deriva da un rinnovato atto di fiducia in Gesù Cristo; se si radica nella sua Parola; se culmina nella vita sacramentale; se avrà desiderio di trasmettere agli altri la gioia della fede; se non nasconderà la propria fede né prescinderà da essa nel modo di affrontare e risolvere i diversi problemi dell’esistenza. L’ardore apostolico non è fanatismo, ma coerenza di vita cristiana.

La mancanza del fervore di spirito si manifesta nella stanchezza, nella delusione, nel disinteresse e soprattutto nella mancanza di gioia e di speranza. Benedetto XVI ha sottolineato fin dall’inizio del suo Pontificato un pericolo tipico del nostro tempo, che atrofizza l’ardore apostolico nell’annuncio del Vangelo: lo ha chiamato la "dittatura del relativismo". Come a dire che non c’è nessuna verità, ognuno ha le sue verità, o convinzioni, e pertanto, che bisogno ci sarebbe di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo?

Lo stesso Giovanni Paolo II si chiedeva: "È ancora attuale la missione tra i non cristiani? Non è forse sostituita dal dialogo interreligioso? Non è un suo obiettivo sufficiente la promozione umana?... Non ci si può salvare in qualsiasi religione?" (RM 4). Sentite un pensiero luminoso di Paolo VI a questo proposito: "Gli uomini potranno salvarsi anche per altri sentieri, grazie alla misericordia di Dio, benché noi non annunciamo loro il vangelo; ma potremo noi salvarci se, per negligenza, per paura, per vergogna - ciò che san Paolo chiamava "arrossire del vangelo" (Rm 1,16) - o in conseguenza di idee false, trascuriamo di annunziarlo? Perché questo sarebbe allora tradire la chiamata di Dio che, per bocca dei ministri del vangelo, vuol far germinare la semente; dipende da noi che questa diventi un albero e produca tutto il suo frutto. Conserviamo dunque il fervore dello spirito" (EN 80). Ricordiamo in proposito l’autocoscienza che aveva S. Paolo sul suo compito di annunciatore del vangelo: "Guai a me se non annunciassi il Vangelo!"

"Il vero missionario è il santo" (RM 90; cf ChL 17; LG 1).

Parlando ai vescovi d’Europa Giovanni Paolo II così descriveva i nuovi evangelizzatori di cui ha urgente bisogno la Chiesa oggi: "Occorrono araldi del vangelo esperti in umanità che conoscano a fondo il cuore dell’uomo d’oggi, ne partecipino gioie e speranze, angosce e tristezze, e nello stesso tempo siano dei contemplativi innamorati di Dio. Per questo occorrono nuovi santi: i grandi evangelizzatori dell’Europa sono stati i santi. Dobbiamo supplicare il Signore perché accresca lo spirito di santità nella Chiesa e ci mandi nuovi santi per evangelizzare l’Europa".

Trovo molto interessante questa sottolineatura sui santi come i veri evangelizzatori. Ho l’impressione che oggi abbiamo un po’ separato, anche a livello ecclesiale, la vita concreta dall’annuncio della fede. La fede è qualcosa di dinamico, e i primi secoli della Chiesa ci offrono in questo senso una constatazione molto interessante: i primi Padri erano contemporaneamente grandi Pastori e guide, grandi Teologi e uomini di cultura, e grandi Santi. Coniugare queste tre cose mi sembra estremamente interessante, oltre che vitale per la diffusione della fede. Proprio perché la fede non può essere separata dalla vita.

Pensando ai  santi, ci accorgiamo che in fondo ognuno di loro è stato grande esperto in umanità e innamorato di Dio, e pertanto un vero evangelizzatore, perchè ha reso visibile, palpabile, attuale, vivo nella propria vita il Vangelo di Cristo. Ognuno di loro ha reso "nuovo" e "vero" il Vangelo per i suoi contemporanei. A questa schiera appartengono nel nostro tempo quelle che chiamerei "le sante della misericordia": S.ta Teresa di Gesù Bambino, S.ta Faustina Kovalska, la Venerabile Madre Speranza.

In fin dei conti ciò che motiva e spinge ad evangelizzare è solo la carità di Cristo, come ci ricorda Papa Benedetto nella "Porta fidei":

7. "Caritas Christi urget nos" (2Cor 5,14): è l’amore di Cristo che colma i nostri cuori e ci spinge ad evangelizzare. Egli, oggi come allora, ci invia per le strade del mondo per proclamare il suo Vangelo a tutti i popoli della terra (cfr Mt 28,19). Con il suo amore, Gesù Cristo attira a sé gli uomini di ogni generazione: in ogni tempo Egli convoca la Chiesa affidandole l’annuncio del Vangelo, con un mandato che è sempre nuovo. Per questo anche oggi è necessario un più convinto impegno ecclesiale a favore di una nuova evangelizzazione per riscoprire la gioia nel credere e ritrovare l’entusiasmo nel comunicare la fede.

3.2. Un’evangelizzazione nuova nei suoi metodi e affidata alla responsabilità di tutti i cristiani

L’evangelizzazione deve essere nuova nei suoi metodi anche a motivo dei nuovi ambiti in cui l’annuncio deve essere rivolto. La RM al N.37 parla di ambiti territoriali, di mondi e fenomeni sociali nuovi, di aree culturali o aeropaghi moderni che devono essere evangelizzati.

Quanto agli ambiti territoriali si assiste ad un superamento dei criteri strettamente geografici di evangelizzazione; anche all’interno delle antiche cristianità permangono vaste zone non evangelizzate per cui si impone anche in questi paesi non solo una nuova evangelizzazione, ma in certi casi anche una prima evangelizzazione.

Quanto ai mondi e fenomeni sociali nuovi assistiamo ad una rapida e profonda trasformazione delle situazioni umane: basti pensare all’urbanizzazione, alle forti migrazioni di popoli di differente religione, ai rifugiati... tutto questo influisce sulla metodologia missionaria che è chiamata con urgenza ad adeguarsi a queste nuove situazioni. Luoghi privilegiati della missione diventano le grandi città dove stanno nascendo nuovi costumi e modelli di vita, nuove forme di cultura e di comunicazione.

Infine è necessaria una evangelizzazione nuova nei metodi anche riguardo ai nuovi aeropaghi moderni di cui parla la RM n.37: il mondo della comunicazione con i suoi nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici; l’impegno per la pace; la promozione della donna; il mondo del lavoro; il mondo della politica; la salvaguardia del creato; la cultura e la ricerca scientifica.

Tutti aeropaghi da evangelizzare offrendo loro il senso cristiano della vita come antidoto alla disumanizzazione e alla perdita dei valori (RM, 37, 38, 86).

Siamo a una svolta epocale nella storia dell’umanità: la Chiesa è chiamata a dare una risposta generosa e lungimirante ai problemi che la missione le pone dinanzi; le è chiesto di affrontare questa sfida ponendo in atto una evangelizzazione nuova nei metodi che le permettano di proiettarsi verso nuove frontiere con lo stesso coraggio che mosse i missionari del passato e la stessa disponibilità ad ascoltare la voce dello Spirito (RM 30).

3.3.  Una evangelizzazione nuova nelle sue espressioni

Come la fede, anche l’evangelizzazione non può dirsi realizzata se non si esprime adeguatamente nelle forme che le sono proprie; il vino nuovo va versato in otri nuovi (Mt 9,17); dovrà quindi preoccuparsi sia della fedeltà ai contenuti (buona conoscenza della verità di Cristo), sia della fedeltà al linguaggio (comprensibile a tutti).

Non possiamo annunciare il Vangelo in linguaggio incomprensibile o datato che non tocca la sensibilità e le situazioni dell’uomo d’oggi. Gesù è maestro nella pedagogia dell’incarnazione che si fa vicina, comprensibile. Era la sua capacità di toccare la vita, con esempi semplici e nello stesso provocanti, che faceva dire alla gente: "Nessuno ha parlato come quest’uomo!".

La fede non è complicata. Forse noi l’abbiamo ridotta a volte ad un oggetto di laboratorio, ma sono i santi che testimoniano una fede semplice, che parla al cuore, alla mente e a tutta la vita. Uno dei pericoli dell’uomo d’oggi è proprio la frammentazione dell’esistenza. Il termine semplice viene dal latino "sine plica" = senza piega, lineare, immediato, comprensibile. Esattamente il contrario di "complicato" ("cum plica"), che dice confusione, mancanza di chiarezza. E dove c’è confusione si apre la porta a tutta una serie di conseguenze negative.

Forse appunto le espressioni nuove per dire la fede dovranno partire dal linguaggio accessibile, chiaro, che sappia differenziare i destinatari dell’annuncio, parlando ai bambini (che non sono stupidi, sono solo bambini) con il linguaggio che loro possono cogliere, così ai giovani, alle famiglie, agli adulti, agli anziani. Pensiamo alla ricaduta che questo discorso ha sulla qualità e la preparazione delle omelie di noi presbiteri, sulla qualità e la preparazione dei catechisti e delle catechesi, dei percorsi di fede, ecc.

Capite in questa linea quale ambito privilegiato suppone la parrocchia per l’evangelizzazione: potremmo dire che nessun ambito territoriale come una comunità parrocchiale vede insieme bambini, ragazzi, adolescenti, giovani, sposi, famiglie, adulti, anziani, malati, e per di più di ogni ceto sociale. La parrocchia è davvero "esperta in umanità", come la Chiesa, perché è cellula viva della Chiesa locale, e quindi è anche un laboratorio privilegiato per l’opera dell’evangelizzazione nella società attuale.

Ma desidero in proposito mettere l’accento su quell’evangelizzazione trasversale, per molti versi sovra parrocchiale, che è costituita dalla grande ricchezza e varietà degli Ordini monastici, degli Istituti religiosi, antichi e nuovi, dei movimenti e dei cammini di fede, delle aggregazioni laicali che lo Spirito Santo ha fatto nascere e sta facendo crescere per questo nostro tempo in modo davvero prodigioso. Tutte queste realtà vanno coinvolte in modo dinamico nell’opera della nuova evangelizzazione, perché a mio avviso sono quelle che possono dire molto alla sfida che suppone per l’annuncio del Vangelo la società globalizzata, pluriforme, laicizzata, succube della "dittatura del relativismo" e quindi senza valori morali e punti solidi di riferimento.

Una evangelizzazione nuova deve ritrovare il grande soffio dello Spirito della Pentecoste. Essa dovrà essere nuova anche nei metodi, coinvolgendo maggiormente i laici e tutte le persone di buona volontà. Non mi ci soffermo, ma capite quale grande capitolo di riflessione si apre al coinvolgimento di tutti i battezzati, dico tutti, nell’opera della trasmissione della fede, cominciando dalle famiglie. Se costatiamo infatti un’emergenza educativa, è perché le cosiddette "agenzie educative", in primis la famiglia, la scuola e la chiesa, trovano enormi difficoltà nello svolgere il loro compito.

Permettetemi di concludere con una parola sullo stile e sul prezzo dell’evangelizzazione.

Lo stile misericordioso dell’evangelizzatore

Diceva S. Kierkegaard che altrettanto importante quanto la verità, se non di più, è il modo di proporla. E il card. Bagnasco, recentemente, ha affermato che l’uomo d’oggi difficilmente accetta la verità se non è accompagnata dalla misericordia.

In Gesù "la misericordia e la verità si sono incontrate" perché Lui è, contemporaneamente, la Verità e la misericordia di Dio, fatte carne.

Ora sappiamo che lo stile di Gesù nell’annunciare la buona notizia dell’ amore di Dio che salva, è uno stile di misericordia, di semplicità, di povertà di spirito: "Ecco viene a te il tuo re, umile, cavalcando un asinello". "Non farà udire in piazza la sua voce, non spegnerà lo stoppino dalla canna smorta, non spezzerà la canna incrinata". E contemporaneamente è uno stile di fermezza nella verità e di vera libertà: "Proclamerà il diritto con fermezza, non si abbatterà e non verrà meno".

L’evangelizzazione è anche questione di stile. Quello che Gesù stesso ha vissuto e quello che ha chiesto ai suoi discepoli prima di inviarli in missione (cf. Mc 6,7-13 e par.; Lc 10,1-12). Questo stile racchiude la mitezza del maestro, la capacità di ascolto sincero e di dialogo, l’accoglienza di tutti, specialmente di chi è più debole o lontano; l’evitare l’arroganza di chi si sente in possesso della verità e vuole imporla con la forza; il rispetto per la situazione concreta di chi riceve l’annuncio, e contemporaneamente la libertà per non lasciarsi condizionare o strumentalizzare da logiche di successo mondano. Mi sembra che dobbiamo sempre vigilare per non essere succubi di metodologie di annuncio che ricalcano i modelli mondani della potenza, del numero, del grande dispiegamento di mezzi, dimenticando la sapienza della croce e il "quando sono debole allora sono forte".

Il prezzo dell’evangelizzazione

Concludo dicendo che è fonte di grande gioia essere, oggi, nelle nostre circostanze, annunciatori di Cristo e del suo Vangelo di misericordia. Ma implica anche il prezzo della testimonianza, del non vergognarci di lui quando siamo derisi o perseguitati per il suo nome. È il prezzo santo da pagare per trasmettere anche oggi la fede, senza paura, guardando a Colui che è "l’autore e il perfezionatore della fede".

Non dimentichiamo che il Cristo che noi annunciamo è un Messia Crocifisso "scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani", ed è il Risorto che il Padre ha risuscitato per la nostra giustificazione.

Facciamo nostra l’esortazione di S. Pietro alle prime comunità immerse nella prova per il Vangelo: "E chi potrà farvi del male se sarete ferventi nel bene? Se poi dovete soffrire per la giustizia beati voi! Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza." (1Pt 3, 13-16)

La preghiera per la nuova evangelizzazione

Ben cosciente dell’arduo compito di lanciare al mondo il messaggio dell’Amore misericordioso, centro e cuore della buona notizia del vangelo anche per il nostro tempo, Giovanni Paolo II, 30 anni fa, concludeva così la sua omelia presso questo Santuario:

"Oh! di quanta potenza d’Amore hanno bisogno l’uomo moderno e il mondo! Di quanta potenza dell’Amore misericordioso …

Amore misericordioso, Ti preghiamo, non venire meno!

Amore misericordioso, sii infaticabile!

Sii costantemente più grande di ogni male, che è nell’uomo e nel mondo. Sii più grande di quel male, che è cresciuto nel nostro secolo e nella nostra generazione!

Sii più potente con la forza del Re crocifisso!".

Maria, stella della nuova evangelizzazione, prega per noi!

P. Aurelio Pérez FAM

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ultimo aggiornamento 11 febbraio, 2012