studi  
 

Don Ruggero Ramella, sdfam

 

 

Madre Speranza ... e i Sacerdoti

Si scrive misericordia, ma si dice preti;

si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;

 si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti

 

 

Premessa

Quando ho avuto l’incarico di stendere queste righe che raccontassero l’amore e la cura di Madre Speranza di Gesù per i Sacerdoti mi sono subito messo a rileggere quanto fosse già stato scritto a riguardo da chi mi aveva preceduto nel parlare di questo tema; ho così scorso gli scritti di P. Mario Gialletti, P. Giovanni Ferrotti, P. Gabriele Rossi, D. Angelo Spilla, P. Gino Capponi, per dirne solo alcuni, nonché a rileggere le fonti stesse, come gli scritti della Madre, oltre che le varie redazioni delle Costituzioni Fam ed Eam, e particolarmente il Diario della stessa Madre. A conclusione di tutte queste letture ho indugiato non poco su come avrei potuto procedere per arrivare a una mia sintesi, senza ripetere pedantemente quanto già altri avevano egregiamente esposto sul tema. Alla fine ho deciso di ripercorrere lo sviluppo che il tema stesso ha avuto nella coscienza della Madre medesima, ed ho trovato che proprio il Diario (El pan 18) faceva al caso più di tutti gli altri scritti, fonti o studi che fossero. Mi soffermerò quindi soprattutto sul Diario, in ciò che concerne direttamente il nostro tema, integrando con i dati riportati e studiati già da altri per esigenze di compiutezza del tema.

Il periodo claretiano

Tutto comincia con una data, il 18 dicembre 1927; la Madre ha 34 anni; ancora fa parte della Congregazione delle Missionarie Claretiane, in cui era entrata nel 1921, in seguito alla fusione con quest’ultime dell’Istituto Figlie del Calvario, in cui era entrata nel 1914. La Madre si trova a Madrid, dove era stata trasferita proveniente da Toledo fin dal settembre 1926. Dice testualmente la Madre nel suo Diario: Questa notte mi sono distratta (termine che usa la Madre per descrivere le sue frequenti estasi) e il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far sì che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero…Che vuol dirmi Gesù con tutto questo? (18, 3). La Madre stessa non sa cosa le sta succedendo: perché questo pensiero per i preti? Di fatto parte da una constatazione riguardo ai peccati dei preti, e che deve puntare unicamente ad amare Gesù e ad offrirgli le sue sofferenze (all’interno della sua difficile collocazione nella Congregazione claretiana) con lo scopo di riparare i peccati del clero; non solo, ma deve adoperarsi affinché anche chi vive con lei sia animato da questo scopo, addirittura offrendosi come vittima, e non solo occasionalmente, ma investendocene l’intera propria vita. Come dire, qualunque cosa faranno, in qualunque opera saranno impegnati, lei stessa e gli altri con lei, dovranno amare Lui e offrire tutte le sofferenze delle loro vite sempre ed esclusivamente per riparare i peccati del clero. Tale intenzione diventa lo scopo principale, direi unico, e segreto, sottostante a qualunque occupazione la carità li obblighi, delle loro vite e delle loro vocazioni.

Ancella dell’Amore Misericordioso

Passano gli anni, ben 13; la Madre esce dalle Claretiane nel dicembre 1930 per fondare le Ancelle dell’Amore misericordioso (notte di Natale 1930 a Madrid). Si susseguono rapidamente varie fondazioni in tutta la Spagna, fino alla fondazione della Casa di Roma a via Casilina nel 1936. Fin dall’inizio però subisce una campagna denigratoria e continua, particolarmente dall’esterno, fino alle conseguenze di una spaccatura interna; subirà indagini canoniche fino ad essere rimossa, dalla Santa Sede, dal governo della sua Congregazione nel 1941, fino alla completa riabilitazione nel 1952. Nel frattempo era scoppiata la guerra civile nel 1936; le fondazioni in Spagna si rivelarono provvidenziali per il soccorso che le suore poterono così dare nell’assistenza agli orfani in particolare e a povertà di ogni genere. A Roma invece, nel popolare quartiere Casilino, ci penserà la Seconda Guerra mondiale a rendere ancora più necessaria la presenza delle Ancelle tra le popolazioni impoverite e terrorizzate. Nel pieno di tutte queste vicende, dopo ben 13 anni, finalmente, il 16 febbraio 1940, la Madre scrive: Gesù mio, in queste angosce, sofferenze e dolori aiutami a soffrire solo per te, per la tua gloria e per i sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offenderti…(18, 597). Questa volta la Madre chiede l’aiuto a Gesù stesso per soffrire solo per Lui e per la sua gloria, ma subito dopo aggiunge, quasi accomunandolo, anche per il clero. Il suo cammino di intimità con Gesù, negli anni, va di pari passo con la sua preoccupazione per i sacerdoti. La sofferenza che la unisce a quella di Gesù è la medesima per il clero. Il suo cammino spirituale si fonde in maniera singolare con la coscienza sempre più viva di un suo particolare legame con il clero.

 

Il rinnovo dell’offerta per il clero

Un mese dopo, il 21 marzo 1940, Giovedì Santo (giorno del Triduo pasquale in cui si ricorda l’istituzione del Sacerdozio e dell’Eucaristia, quindi Giorno per eccellenza dei Sacerdoti) la Madre scrive: Gesù mio, oggi, giovedì santo, rinnovo l’offerta fatta al mio Dio nel 1927, quale vittima per i poveri sacerdoti che si allontanano da Lui o l’offendono gravemente. Ti chiedo, Gesù mio, di non lasciarmi un solo istante senza sofferenze o tribolazioni e di fare che la mia vita sia un martirio continuo, lento, ma doloroso, in riparazione delle offese di queste povere anime e per ottenere loro la grazia del pentimento. Gesù mio, il mio desiderio sia solo quello di patire costantemente ad imitazione tua, che volesti essere battezzato con il terribile e doloroso battesimo della tua passione (18, 610). È il giorno dei sacerdoti, ed è proprio per questo che Madre Speranza sente acuto il bisogno di rinnovare l’antica offerta del 1927, un vero e proprio voto di vittima (soffrire per, a favore, al posto) per i sacerdoti, per ottenere con il suo dolore offerto, come Gesù, la conversione e la riparazione del clero, perché i sacerdoti che l’hanno offeso ritornino a Lui, risollevandosi dalla situazione miserevole in cui fossero caduti, in così miserabile povertà, da suscitare la compassione materna della Madre: li chiama infatti "poveri" sacerdoti. Addirittura, per l’ansia di questa riparazione, per far prima, chiede a Gesù di non lasciarla mai senza sofferenze, in modo da avere sempre qualche merito da offrire a favore dei sacerdoti, anzi, il "mai senza sofferenze" diventa la richiesta di un martirio continuo, lento e doloroso, proprio per fare da parte sua il massimo che le è possibile in questa vita per i sacerdoti. La sua vita deve diventare tutto un dolore senza un minimo di sosta, per essere tutta offerta a favore del clero. Vuole imitare Gesù, anzi diventare come Lui sulla Croce, finché il mondo non sia salvato, finché il clero tutto non sia santificato e riparato nelle sue colpe. È terribile pensare un sacerdote separato colpevolmente da Gesù: bisogna assolutamente mettere riparo a tale tragedia, costi quel che costi, fino a ricevere nella sua persona e nella vicenda della sua vita il battesimo di Gesù, della sua passione. Madre Speranza chiede con consapevolezza piena lo stesso battesimo, con molta più coscienza di ciò che lei chiede di quanta ne ebbero i due discepoli Giovanni e Giacomo, che cercavano umanamente i primi posti nel Regno. Ricordiamoci che la Madre è nel pieno della sofferenza, anche per le vicende interne alla Congregazione delle Ancelle, e quindi è consapevolissima di quello che sta facendo chiedendo a Gesù il suo stesso battesimo, e tutto a favore del clero.

La notte oscura

Passa un anno e mezzo quando la Madre, già esautorata dal governo della Congregazione, il 4 ottobre 1941, a Roma, riscrive: Ti prego, Gesù mio, abbi pietà di me e non lasciarmi sola in questi momenti di aridità e oscurità. Ti cerco, Gesù mio, ma non ti trovo; ti chiamo e non ti sento; sono finite per me le dolcezze del mio Dio. Che tormento, Gesù mio! Quale martirio! Solo tu lo sai apprezzare e a te offro tutto in sconto delle mie ingratitudini e delle offese che ricevi dai sacerdoti del mondo intero (18, 660). Madre Speranza è nel passaggio tra la notte oscura dei sensi e la notte oscura dello spirito, in cui, passando dalle malattie (a volte dall’origine oscura, e dalle quali altrettanto oscuramente viene fuori) che spesso la portano sulla soglia della morte, transitando per la disistima degli altri, diventando vittima di vere e proprie ingiustizie, soffrendo la derisione, la solitudine, le vessazioni sull’anima, ed anche fisiche, del demonio, fino alla tristezza più profonda (la tristezza angosciata di Gesù nel Getsemani), fino al dubbio e alla confusione interiore (S. Francesco riceve le stimmate proprio quando crede di aver sbagliato tutto, di fronte alle divisioni interne all’Ordine e al rifiuto del suo ideale radicale da parte dei suoi), ebbene, nel bel mezzo di tutto questo la Madre viene privata della presenza di Gesù, cade nell’aridità più nera, nella notte più oscura. E la Madre che cosa fa? Pensa ai sacerdoti, pensa ad offrire tutto in riparazione dei sacerdoti del mondo intero: questo pensiero è il suo solo conforto. Chiede a Gesù di non lasciarla sola in questa notte. Lamenta che però non lo trova pur bramandone la compagnia, lamenta che lo chiama ma le risponde solo il silenzio. Dio non gli dà più le dolcezze del suo amore, il languore amoroso che tocca la punta del suo spirito e la lascia senza respiro, il languore amoroso che invadeva il suo cuore da innamorata. Le manca profondamente Gesù, le manca il suo volto, il suo respiro, il suo calore, la sua parola, le mancano i suoi baci. È privata dell’amato, è un martirio, si sente morire, e lei offre tutto questo per il clero.

Solo Gesù sa che cosa le passa nell’anima per questa sua assenza, perché lui sa la sofferenza di sentirsi abbandonato dall’anima da lui così abissalmente amata. Ebbene, in questa sua solitudine sconfortante (pensiamo alla nostalgia struggente che il Figlio vive per il Padre, e che percorre in filigrana specialmente tutto il Vangelo di Giovanni, fino al Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,46)), la Madre offre tutto in sconto dei suoi peccati, delle sue ingratitudini, perché solo adesso che lo ha perso conosce che cosa le ha dato, ma accanto a questo suo dramma personale, che riguarda la sua storia intima col buon Gesù, subito in associazione immediata aggiunge che tutto sia in sconto delle offese dei sacerdoti del mondo intero. Ancora una volta le due cose principali della sua vita, anzi le sole due cose della sua vita emergono nel momento più drammatico. Sono le sole due cose, l’intimità con Gesù e la salvezza dei sacerdoti, che restano stagliate chiare nella confusione più nera; in tutte e due cresce la consapevolezza del peccato, sia dei preti che di lei stessa: Gesù, infatti, viene a mancarle, pensa lei, a causa delle sue ingratitudini e della sua poca generosità. La Madre però sa trasformare, al modo di Gesù, il peccato suo in momento di grazia per sé e per i preti: tutti questi peccati provocano il male, ma questo male diventa causa della sua offerta unita a quella di Gesù stesso. E così il cerchio dell’amore si chiude e niente, nessun male, nessun peccato lo potrà mai spezzare. Questo lei pensa quando tutto invece è contro di questo (cfr. Rm, 8, 35-39).

Due mesi dopo, il 25 novembre 1941, sempre a Roma, la Madre scrive ancora: Dio mio, accetto di cuore tutte le prove, le tribolazioni e le angosce che permetterai mi accadano; le accetto in riparazione dei peccati di tutti i sacerdoti (18, 700). E ancora, un mese dopo, alla vigilia di Natale, il 24 dicembre 1941: sento il trasporto a rinnovare l’offerta come vittima di espiazione in riparazione delle offese dei sacerdoti del mondo intero (18, 707). Con lucidità e continuità riconsegna tutta la sua vita a Gesù sempre con la stessa intenzione. Trova il massimo conforto nel mezzo della bufera, che periodicamente si acutizza, senza mai darle tregua, nell’offerta unica per i sacerdoti. La vita piena di dolori, tra l’altro da lei stessa ripetutamente richiesti al buon Gesù, nonché la morte, che le si paventa come culmine di tutte queste sofferenze, si concentrano e si sintetizzano nell’unica chiave di lettura e nell’unico scopo dell’unione a Gesù e al clero, al di là della stessa Congregazione delle Ancelle e delle sue opere, che non conoscono tra l’altro tregua, al di là dello stesso Carisma e della stessa missione. Anzi, tutto convoglia a Gesù e al clero, sempre abbinati.

 

Si intravedono i Figli dell’Amore Misericordioso

Il 13 febbraio 1942, alla quasi conclusione dell’ennesima malattia che l’ha colpita e in una conseguente sua maggiore pace interiore, la Madre scrive: oggi, grazie al buon Gesù , sto migliorando e penso che avrò la grazia di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e soffrire ancora per i poveri sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offendere il mio Dio (18, 740). Il mondo interiore della Madre è popolato dal clero, ma nello stesso tempo pensa ad esso anche in termini di aiuto concreto, la sua costante offerta in riparazione delle offese del clero al suo Dio fa da sfondo e da fondamento all’opera concreta da parte dei Figli dell’Amore Misericordioso a favore del clero. Sono le due facce di una unica e medesima grazia del buon Gesù, i Figli e la sua sofferenza ambedue per il clero. Infatti i Figli appaiono menzionati per la prima volta nel Diario il 28 marzo 1929, ossia fin quasi dal principio: Il buon Gesù mi dice che è giunto il momento di scrivere le Costituzioni che più tardi serviranno alla Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e molto presto alla Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso; da queste dovrò estrapolare quanto si riferisce al ramo femminile, lasciando da parte quanto più tardi dovranno osservare i Figli dell’Amore Misericordioso. Questo mi ha spaventato moltissimo, perché non sapevo né cosa metterci, né tanto meno cosa fare. Ho cominciato a piangere come una bambina e la pena mi soffocava, non tanto perché non volessi fare ciò che il buon Gesù mi chiedeva, ma perché non me ne sentivo capace e so che non riuscirò a fare niente di buono (18, 31; cfr D 37-38).

Concretamente non sa che cosa fare, ma dietro l’ispirazione dell’offerta di sé al clero, voluta da Gesù stesso, di quindici mesi prima, ora Gesù ancora le chiede di fare un passo ulteriore, e questo mentre lei vive il travaglio che la porterà all’uscita dalle Claretiane per fondare la nuova Congregazione delle Ancelle. Concentrata su questa fondazione il buon Gesù le chiede di occuparsi anzitutto di una fondazione di là da venire (ben 20 anni dopo), e anzi di trarre le Costituzioni delle Suore dalle Costituzioni base per ambedue gli Istituti, pensate anzitutto per i Figli. Nel tempo cronologico vengono prima le Ancelle, ma nel tempo psicologico ed interiore della Madre, nonché della grazia del buon Gesù, vengono prima i Figli, ed anzi i Figli sono il primo pensiero concreto della Madre, suo malgrado, e anche con sua personale ripulsa, per la viva coscienza della sua incapacità, fino alle lacrime di una bambina, quale la Madre stessa si descrive per la circostanza. Gesù la consolerà dettandole egli stesso le Costituzioni, il 2 aprile 1929: Questa notte mi sono distratta, o meglio, prima di mettermi a letto, inebriata da quanto il buon Gesù mi aveva detto, ho preparato un quaderno e una matita dicendo: "Gesù, sono pronta". E quando già stavo per coricarmi il buon Gesù è arrivato e mi ha dettato le Costituzioni (18, 35-36).

(segue)

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ultimo aggiornamento 15 gennaio, 2014