... ascoltando la parola del papa e rileggendo gli scritti della Madre ....

Sabato, 11 gennaio 2014 - Papa Francesco alla meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae
(da: L’Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.008, Dom. 12/01/2014)

 

 

Come dev’essere il prete

 

 

 

 

Benedetto XVI

 

È «il rapporto con Gesù Cristo» che salva il prete dalla tentazione della mondanità, dal rischio di diventare «untuoso» anziché «unto», dall’idolatria «del dio Narciso». Il sacerdote, infatti, può anche «perdere tutto» ma non il suo legame con il Signore, altrimenti non avrebbe più nulla da dare alla gente. È con parole forti, e proponendo un vero e proprio esame di coscienza, che Papa Francesco si è rivolto direttamente ai preti rilanciando il valore della loro unzione. Lo ha fatto nell’omelia della messa celebrata sabato mattina, 11 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta.

"Di conseguenza un religioso senza orazione è come un soldato senza armi in campo di battaglia". (Madre Speranza 14,84 nel 1954)

Collevalenza, 29 ottobre 1952

Molto Rev.do Padre Gino Capponi fam - Collevalenza

Amato Figlio: ti raccomando di avere sempre presente che, se desideri progredire nella santità e nella attività di apostolato, la prima cosa che devi cercare è quella di essere molto unito al Nostro Dio, per mezzo della orazione e del sacrificio; tu lo sai che la orazione è il mezzo che collega tutte le nostre facoltà interiori con il Nostro Dio.

Devi stare tanto attento, figlio mio, che tutta l’attività di apostolato sia per te un mezzo di santificazione e mai una occasione di dissipazione o di tiepidezza spirituale o, addirittura, di occasione di peccato; finirebbe per essere l’inizio della rovina totale; e questo ti potrebbe succedere con molta facilità se ti lasci assorbire dalle attività esteriori al punto da non avere più il tempo di fare i tuoi esercizi di pietà; lasceresti che la tua anima un po’ alla volta si vada indebolendo.

Da questa anemia, figlio mio, ti verrebbe un abbattimento morale che darebbe possibilità alle tue passioni di rivivere, aprendo la strada a tristi occasioni; infatti è molto facile, figlio mio, che con l’amore soprannaturale alle anime si vada mescolando insensibilmente anche un elemento naturale e sensibile; si corre il rischio di tranquillizzarsi mutuamente con il pretesto che direttamente si cerca solo di fare o ricevere il bene ma, poco a poco, si può arrivare a commettere imprudenze o a permettersi certe familiarità che portano quasi sempre a un disastro.

Abbi presente, figlio mio, che pochi meriti potrai guadagnare per te se non sei un’anima di vita interiore; abbi presente che le tue azioni esteriori sortiranno molto poco valore poiché la grazia del Nostro Dio mai potrà rendere fecondo un ministero che lascia poco spazio alla orazione.

Perdonami, figlio mio, se mi sono permessa darti questi avvertimenti e se torno a chiederti una e mille volte che sia tuo fermo proposito e impegno quello di vivificare le tue opere esteriori per mezzo dello spirito di orazione.

Prega perché io riesca a compiere in ogni istante la volontà del buon Gesù; prega perché con la chiarezza della luce della fede la mia anima si riconcentri in se stessa e dentro di me io prenda coscienza di un grande vuoto che può essere riempito solo dal mio stesso Dio; questo è quanto anche io chiedo per te. (Madre Speranza 19, 1888-1890 nel 1952)

Il Pontefice ha proseguito la meditazione sulla prima lettera di Giovanni già iniziata nei giorni scorsi. Il brano proposto dalla liturgia (5, 5-13) — ha spiegato — «ci dice che abbiamo la vita eterna perché crediamo nel nome di Gesù». Ecco le parole dell’apostolo: «Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio».

È «lo sviluppo del versetto» proclamato nella liturgia di venerdì e sul quale il Papa aveva già centrato la sua meditazione: «E questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede». Infatti, ha ribadito il Pontefice, «la nostra fede è la vittoria contro lo spirito del mondo. La nostra fede è questa vittoria che ci fa andare avanti nel nome del Figlio di Dio, nel nome di Gesù».

Una riflessione che ha portato il Santo Padre a porsi una domanda decisiva: com’è il nostro rapporto con Gesù? Questione davvero fondamentale, «perché nel nostro rapporto con Gesù si fa forte la nostra vittoria». Una domanda «forte», ha riconosciuto, soprattutto per «noi che siamo sacerdoti: come è il mio rapporto con Gesù Cristo?».

«La forza di un sacerdote — ha ricordato il Pontefice — è in questo rapporto». Infatti quando la sua «popolarità cresceva, Gesù andava dal Padre». Luca, nel passo evangelico della liturgia (5, 12-16), racconta: «Ma egli si ritirava in luoghi deserti a pregare». Così «quando si parlava sempre di più» di Gesù «e le folle, numerose, venivano ad ascoltarlo e a farsi guarire, lui dopo andava a trovare il Padre». Un atteggiamento, ha puntualizzato il Papa, che costituisce «la pietra di paragone per noi preti: andiamo o non andiamo a trovare Gesù».

Di qui scaturiscono una serie di domande che il Pontefice ha suggerito per un esame di coscienza: «Qual è il posto di Gesù Cristo nella mia vita sacerdotale? È un rapporto vivo, da discepolo a maestro, da fratello a fratello, da povero uomo a Dio? O è un rapporto un po’ artificiale che non viene dal cuore?».

«Noi siamo unti per lo spirito — è stata la riflessione proposta dal Papa — e quando un sacerdote si allontana da Gesù Cristo invece di essere unto, finisce per essere untuoso». E, ha notato, «quanto male fanno alla Chiesa i preti untuosi! Quelli che mettono la forza nelle cose artificiali, nelle vanità», quelli che hanno «un atteggiamento, un linguaggio lezioso». E quante volte, ha aggiunto, «si sente dire con dolore: ma questo è un prete» che somiglia a una «farfalla», proprio «perché sempre è nella vanità» e «non ha il rapporto con Gesù Cristo: ha perso l’unzione, è un untuoso».

Pur con tutti i limiti, «siamo buoni sacerdoti — ha proseguito il Papa — se andiamo da Gesù Cristo, se cerchiamo il Signore nella preghiera: la preghiera di intercessione, la preghiera di adorazione». Se invece «ci allontaniamo da Gesù Cristo, dobbiamo compensare questo con altri atteggiamenti mondani». E così vengono fuori «tutte queste figure» come «il prete affarista, il prete imprenditore». Ma il sacerdote, ha affermato con forza, «adora Gesù Cristo, il prete parla con Gesù Cristo, il prete cerca Gesù Cristo e si lascia cercare da Gesù Cristo. Questo è il centro della nostra vita. Se non c’è questo perdiamo tutto! E cosa daremo alla gente?».

Quindi il vescovo di Roma ha ripetuto la preghiera proclamata nella orazione colletta. «Abbiamo chiesto — ha detto — che il mistero che noi celebriamo, il Verbo che si fatto è carne in Gesù Cristo fra noi, cresca ogni giorno in più. Abbiamo chiesto questa grazia: il nostro rapporto con Gesù Cristo, rapporto di unti per il suo popolo, cresca in noi».

«È bello trovare preti — ha rimarcato il Papa — che hanno dato la vita come sacerdoti». Preti dei quali la gente dice: «Ma sì, ha un caratteraccio, ha quello e ha quello, ma è un prete! E la gente ha il fiuto!». Invece, se si tratta di «preti, a dire una parola, "idolatri", che invece di avere Gesù hanno i piccoli idoli — alcuni sono devoti del dio Narciso — la gente quando vede questo dice: poveracci!». Dunque è proprio «il rapporto con Gesù Cristo», ha assicurato il Pontefice, a salvarci «dalla mondanità e dall’idolatria che ci fa untuosi» e a conservarci «nell’unzione».

Rivolgendosi infine direttamente ai presenti — tra i quali un gruppo di sacerdoti di Genova con il cardinale arcivescovo Angelo Bagnasco — Papa Francesco ha così concluso l’omelia: «E oggi a voi, che avete avuto la gentilezza di venire a concelebrare qui con me, auguro questo: perdete tutto nella vita ma non perdete questo rapporto con Gesù Cristo. Questa è la vostra vittoria. E avanti con questo!».

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ultimo aggiornamento 12 febbraio, 2014