Pastorale Familiare

Marina Berardi

Le strade dell’educare:

VIA dell’ABBANDONO

Nel leggere la parola abbandono è facile che tra le prime cose che tornano in mente ci siano le personali esperienze di deprivazione, di separazione e di solitudine, la paura per il dolore che in questi momenti si prova, un dolore che attanaglia fino a togliere le forze, il respiro.

Vorremmo provare ad ampliare la prospettiva, imparando ad alzare lo sguardo ed essere grati per un distacco necessario, a benedire il Signore che, fidandosi di noi, vuole portarci alla piena maturità nell’amore: dall’intimità del dolore per l’assenza dell’altro nasce la novità dell’incontro e la fecondità della relazione.

Gesù stesso, come ricordava Papa Francesco a una giovane partenopea, ha percorso questa via: «Il nostro Dio è il Dio delle parole, dei gesti, dei silenzi […] Il più grande silenzio di Dio è la croce: Gesù ha sentito il silenzio del padre fino a chiamarlo abbandono: "Padre perché mi hai abbandonato?" E poi è successo quel miracolo, quella parola, quel gesto grandioso che è stata la risurrezione. Ma il nostro Dio è anche Dio dei silenzi, e sono silenzi che non puoi spiegare se non parli con il crocifisso... […] Io non posso ingannarti dicendo: andrà tutto bene, sarai felice, avrai una buona fortuna, soldi. No, il nostro Dio fa anche i silenzi. Parole, gesti e silenzi, queste tre cose devi unirle nella tua vita. Questo mi viene da dirti: scusami, non ho un’altra ricetta» (21.3.2015).

Il Papa ci spinge "a parlare con il Crocifisso", a fare unità, ad integrare le varie esperienze della nostra vita senza pretendere di escludere - ammesso e non concesso che ci si riesca! - quelle dolorose e negative per rincorrere solo ciò che percepiamo come piacevole, positivo, attraente. Non ci sono ricette ma ci sono persone che, come sta facendo lui, lasciano lungo il loro cammino pietre miliari, dei segnali stradali che orientano il nostro pellegrinare terreno.

Una di queste persone è M. Speranza, la quale ci svela il segreto di quell’esperienza che ogni cristiano, prima o poi, è chiamato ad attraversare: "…abbandonarsi a Gesù, camminare al passo che a Lui piace, accettando solo per amore tutte le prove, angustie e sofferenze che Lui creda opportuno inviarci"1. La radicalità della sequela ci chiede di lasciare che sia il Signore a marcare il ritmo, pronti a seguirlo laddove Lui vorrà condurci, fino a saperGli cedere il passo, anche di fronte ad eventi umanamente incomprensibili.

C’è una strada preferenziale che può aiutarci ad aderire con tutto il cuore alla volontà di Dio, anche quando questa ci fa soffrire, non la comprendiamo e non riusciamo a vederla2: è la via dell’ab­bandono, questa volta sinonimo di quella incondizionata fiducia che il bambino indifeso ha verso chi si prende cura di lui. È solo a questa condizione che l’assenza diverrà presenza a se stessi e all’Altro/altro, il travaglio interiore - e non solo - si trasformerà in vita, finalmente liberi di mettere in conto anche il totale dono di sé, offrendo il proprio grembo e il proprio cuore affinché gli altri "abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza" (Gv 10,10b).

Ad Elisa Lardani, nella sala parto dell’Ospedale di Orvieto, lo scorso febbraio, nessuno ha tolto la vita, l’ha offerta da se stessa… per poi riprenderla di nuovo (cf. Gv 10,17-18), questa volta per sempre! Suo marito Luca, infermiere e presente in sala parto, ha percorso con lei la via della croce, fino a quando ha consegnato la vita nelle mani del Padre. Mi ha colpito quando Mons. Bonetti, che ha presieduto le esequie in un Duomo gremito di fedeli, ha spiegato che quel quarto figlio Elisa lo aveva desiderato con tutta se stessa, anche dopo che Luca le espresse qualche timore.

Quanti come me erano presenti, hanno visto che quel giorno non c’è stato spazio per i perché, i ma, i se… ma solo per un dolore composto e pieno di speranza, per la lode e la letizia di chi ha scoperto di essere oggetto di un amore unico e speciale, di essere parte di un progetto più grande: "Gesù mi ripete – scrive M. Speranza - che debbo tenere presente che se l’amore non soffre e non si sacrifica, non è amore. Che insegnamento, Dio mio! Adesso capisco perché il tuo amore è tanto forte ed è fuoco che brucia e consuma. Hai sofferto tanto, tanto! Gesù mio, fa’ che ti segua nel dolore e mai dica, basta, davanti alla sofferenza"3. Questa è anche la cifra dell’amore di Elisa. Un Amore che, impastato con il Dolore, ha pervaso l’intera celebrazione, che traspariva dai tanti occhi lucidi, dai piccoli particolari che Luca ed Elisa avevano pensato e preparato insieme, come ha detto don Luca al termine della celebrazione: "Elisa non avrebbe voluto testimonianze al suo funerale: Luca me l’ha comunicato, perché più volte ne avevano discusso, preparando quel momento fin nei dettagli. Strani discorsi fra giovani innamorati, eppure indispensabili. Non ne voleva perché temeva l’esagerazione che interviene facilmente in questi frangenti; soprattutto, non voleva che le parole sulla sua persona distogliessero l’attenzione dall’abbraccio al Signore della vita cui ritornava, nella gioia.

Prendendo la parola, quindi, siamo avvertiti che potremmo dispiacerle; se corriamo il rischio, non è solo per l’insopprimibile bisogno del cuore: è per cercare di corrispondere proprio al suo desiderio di dare gloria a Dio. Questa celebrazione, oso dire, sarebbe piaciuta a Elisa: è stata "traboccante", come la "buona misura versata nel grembo", ma senza esaltazioni troppo facili della sua persona. La santità efficace, del resto, non è esclusivamente quella proclamata e, a ben vedere, non c’è bisogno di dire tutto immediatamente. Niente esaltazioni, dunque, niente "santa subito". Semmai, ‘senza fretta’".

È vero, Elisa è riuscita perfettamente nel suo intento. Non ci ha affatto distratti ma, piuttosto, ci ha donato di partecipare alla gioia piena nella comunione dei santi, al suo totale abbandono alla volontà del Padre. La Parola, l’Eucarestia, la Comunità sono diventati il luogo in cui ritrovarsi e stringersi per fare unità, per vivere in cordata la paradossale esperienza della gioia cristiana!

Non è stato un funerale ma la celebrazione di un "Sì" arrivato al suo compimento, di un "matrimonio": la celebrazione delle Nozze eterne. Luca, infatti, mentre suonava la marcia nuziale, ha portato all’altare Elisa, aiutato dai suoi cinque fratelli, con Chiara, Francesco e Maria che, insieme ad altri bambini, lo seguivano.

"Da quando è accaduto – ha detto Luca nella sua breve e commovente testimonianza – mi ripeto: ‘A testa alta, fino in fondo’… Portando la bara di Elisa ho capito perché a testa alta, fino in fondo. Perché a testa alta ho visto Lui. È la mia forza, il mio coraggio… ‘Siamo nati e non moriremo mai più’. Noi abbiamo scelto di guardare in faccia la vita e scommetterci, senza paura. Abbiamo scelto di amare fino in fondo"4.

Per questo amore, Elisa ha versato tutto il suo sangue, come Gesù sulla croce, per dare alla luce quella vita tanta desiderata. Il nome scelto? Maddalena. Poi… Maddalena Elisa! Non poteva che essere così, non poteva che essere questa la sua ultima parola: "lei è l’annuncio della Risurrezione", come ha detto Mons. Bonetti. Così è stata vissuta tutta la S. Messa: abbiamo davvero visto il Cristo Risorto!

Tutto questo, però, non si improvvisa, è frutto di un paziente, tenace e appassionato cammino personale, familiare ed ecclesiale. Lei, brillante psicologa, sempre pronta con umiltà e discrezione a sostenere i più sofferenti e disagiati, apparteneva con il marito Luca alla Comunità Maria di Orvieto, all’associazione Servi familiae del progetto Mistero grande e alla Pastorale familiare diocesana5. Ma lasciamo che sia Don Luca a descriverci chi era Elisa: "Tanti fra noi, in effetti, hanno conosciuto questa giovane donna riconciliata con le urgenze, consapevole del dono del tempo e quindi solerte nel darsi da fare, ma paziente nell’attendere, tutta compresa nell’attimo presente. Con questa fiducia nella fecondità del seme che cresce silenziosamente, trasmetteva pace.

Se avremo un po’ della sua serenità, affiorerà in ciascuno l’immagine della donna vera che Elisa ha saputo essere. Scopriremo la fragranza della sua testimonianza, cadute, debolezze, esitazioni e paure comprese. Ecco l’eredità di valore inestimabile e duraturo: è la certezza, per la sua famiglia e per noi tutti, di non avere a che fare con un mito irraggiungibile del passato, ma con una compagna di strada nel presente, che attesta a ciascuno "anche tu ce la puoi fare".

Luca, hai visto? Ce l’ho fatta ad esserti fedele sempre, ad amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. La mia assenza ti strazierà, non sai come mi dispiace, però è il segno che ce l’hai fatta anche tu. Abbiamo mantenuto la promessa fattaci davanti a Dio e in lui quasi 12 anni fa. Sei un uomo di parola, sposo mio. Questa è fatta: missione compiuta. Proseguiamo con la prossima, adesso: io dal cielo, tu dalla terra. Che il nostro amore sia fecondo e generi figli liberi e capaci di amare; loro parleranno anche di noi e per noi.

Chiara, Francesco, Maria, ascoltate la mamma: io ho visto che Gesù è vincitore della morte. Io l’ho visto vivo oltre la tomba. L’ho visto vivo quando mi ha liberato dalle schiavitù della mia giovinezza, dal rischio di sprecare la mia vita. Anche voi potete vivere senza perdere tempo, facendo il bene senza stancarvi mai. L’ho visto vincitore quando mi ha liberato dall’egoismo, per rendermi capace di vivere per voi. Io ho visto Gesù vivo quando tutto il sangue, tutta la vita usciva dal mio corpo: la sua presenza – e accanto a lui c’era la mia amica Chiara Corbella – mi ha fatto trasalire. In quell’istante il sangue e le lacrime hanno smesso di scappare, e io ho visto che siamo nati e non moriremo mai più.

Famiglia mia carissima, mamma, papà, Alessandro, amici tutti: io ho fatto l’esperienza che l’ultima parola non è morte, ma vita in Dio, e così ve la trasmetto, con la mia ultima parola: Maddalena. Lei è annuncio di Risurrezione.

Luca mio, coi nomi dei figli abbiamo fatto un centro perfetto, non trovi?!

A noi, che abbiamo conosciuto e voluto bene a Elisa, l’incarico di ricordare alla sua bambina e ai suoi che hanno ottime ragioni per non piangere e che, anzi, possono esultare ­­– senza fretta­ – di avere una donna così ad attenderli alla meta verso cui tutti pellegriniamo.

Un ultimo pensiero: questo è fra te e me, Elisa. Me lo hai detto a chiare lettere che mi amavi. Bellezza travolgente. Non ho avuto la tua prontezza, la tua libertà e la tua intensità perché tu potessi ascoltarlo dalla mia voce, ma anch’io ti amo, amica mia vera. Come un prete può e deve amare una donna sposata, una mamma. Ora non lo tacerò e, nel tempo che mi è donato, voglio che la tua famiglia senta che è vero. Come te, voglio amare, in Cristo; grazie a te, sono persuaso che ho anch’io – veramente – questo potere. Grazie di averlo liberato, amica mia vera. A presto: ci vediamo"6.

Sì, ci vediamo e ti chiediamo di aiutarci a riconoscere l’Amore il giorno in cui ci verrà incontro e ci chiederà il totale abbandono nelle Sue braccia. Elisa sei stata e sarai per sempre una Parola speciale di Dio per noi, una Parola eterna nel cuore di quanti ti hanno amata e, come dice S. Paolo, una lettera di Dio scritta nei nostri cuori… con lo Spirito del Dio vivente (cf. 2Cor 3,2-3).

Grazie per l’Amore vissuto e cantato in pienezza nella quotidianità, fino al tuo ultimo fiducioso e generoso "Sì". Un grazie tutto particolare per l’ultima lettera che hai desiderato lasciarci: la tua Famiglia speciale.


1 Madre Speranza, Lettere personali, El Pan 19, 2207.

2 Madre Speranza, Diario, El Pan 18, 1370.

3 M. Speranza, Diario, El Pan 18, 1190.

4 http://costanzamiriano.com/2015/03/06/mamma-elisa/

5 http://www.lavoce.it/la-tragica-scomparsa-di-elisa-lardani-dopo-le-complicazioni-del-parto/

6 Don Luca Castiglioni, dal blog di Costanza Miriano: http://costanzamiriano.com/2015/03/06/mamma-elisa/

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ultimo aggiornamento 21 marzo, 2017