I COMANDAMENTI (3)
Non nominare il nome Dio invano

 

Sac. Angelo Spilla

 

 

Presso i semiti, il nome esprimeva l’essenza delle persone, la sua identità, e pronunciare il nome di Dio significava averlo in persona, alla propria presenza. Il nome presso il popolo ebraico veniva concepito molto più di un segno convenzionale dato a cose e persone per comunicare. Fa parte integrante di chi lo porta; esprime il suo compito nell’universo, lo distingue e lo caratterizza. Stava per indicare la realtà stessa nella sua identità più profonda. Chi riconosce il nome di una persona entra in un rapporto di comunione intima e profonda. La persona si manifesta in modo misterioso per il suo nome.

Per gli orientali potremmo dire che il nome è il doppio della persona: lì dove sta il nome sta anche la persona.

Ancora più complessa, però, era la questione del nome di Dio.

Rispettare il nome, non utilizzandolo banalmente, significava dunque onorare Dio riconoscendone la Sua grandezza. Per questo presso le popolazioni dell’antico Oriente si ignorava l’atto blasfemo, quello che noi oggi chiamiamo blasfemia nel linguaggio colto.

Chi crede in Dio userà il suo nome solo per benedirlo e lodarlo perché, quando lo pronunciamo, "Dio si volta verso di noi".

Ci ricordiamo della vocazione di Mosè quando Dio lo chiama dal roveto ardente presso il monte di Dio, l’Oreb. Una voce proclama il nome sacro divino. Mosè riceve la missione di ritornare in Egitto per liberare il suo popolo e questi dice a Dio che gli parla: "Ecco io vado dagli Israeliti e dico loro: ‘Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi’. Ma diranno: ‘Qual è il suo nome? E io che cosa risponderò loro?’. Dio disse a Mosè: ‘Io sono colui che sono’! E aggiunse: ’Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi’"( Es 3,13-14).

Notiamo intanto una cosa sorprendente. Questo nome non è un sostantivo ma un verbo:" Io sono". La tradizione ebraica lo riporta con quattro consonanti: JHWH, ricollegandolo al verbo essere. Da notare però che c’è la proibizione nel pronunciarlo. Gli ebrei chiameranno Dio con il termine ‘Adonaj, cioè Signore.

Gianfranco Ravasi ne dà la sua spiegazione quando scrive: "La risposta è proprio nel significato del nome presso gli orientali. Se esso incarna la realtà di una persona, è ovvio che il nome di Dio è ignoto e ineffabile, proprio come il suo essere misterioso". Ciò significa che il "nome di Dio" rimanda a un verbo, " Io-Sono", a una presenza efficace, a un’azione che si insinua e opera nella storia degli uomini. La liberazione esodica, che seguirà, ne è testimonianza viva e sperimentabile".

Ma c’è pure una seconda parte in questo comando: "Non pronunzierai il nome del Signore invano"(Es 20,7 e Dt 5,11). "Invano" ("shaw’) indica qualcosa di falso, di vuoto, vano, inutile. È il termine con cui si indica l’idolo.

Questo secondo comando si collega al primo. La vera bestemmia è scambiare il nome e la persona di Dio con nome "vano" di una cosa inutile e impotente. Un precetto che va contro la falsa religione; sarebbero gli idoli di oggi che ci costruiamo. Pensiamo al vitello d’oro del deserto che si era costruito il popolo ebreo (cfr Es 32). Il secondo comandamento proibisce la fabbricazione e il culto delle immagini – idoli.

Ma vediamo ancor più concretamente il significato di questo secondo comandamento. Il nome di Dio è Dio stesso: bestemmia e imprecazione banalizzano il rapporto fra l’uomo e la divinità e offendono chi crede.

Questo comandamento, quindi, invita a recuperare il rispetto verso Dio e proibisce la strumentalizzazione del suo nome quando lo si usa per coprire soprusi, giustificare guerre o violenze o giurare il falso. Nessuna guerra, nessuna violenza, nessuna ingiustizia deve essere compiuta in nome di Dio, perché Dio non benedice il male.

Il nome di Dio è nome santo ed esige riverenza e amore. Pensiamo però a quanti atteggiamenti di leggerezza che sconfinano addirittura anche nel disprezzo: bestemmia, spettacoli dissacranti, scherno a pubblicazioni altamente offensive del sentimento religioso.

Ricordiamoci che offendendo Dio non si commette soltanto una colpa morale, ma si viola pure il diritto delle persone al rispetto delle proprie convinzioni religiose.

Come ci dovrebbe essere di richiamo la poesia di Davide Maria Turoldo (1916 – 1992), religioso e poeta dell’Ordine dei Servi di Maria, cantore di Dio e servo degli uomini: "È tra i primi tuoi comandamenti: non nominate il nome di Dio invano. Cosa abbiamo fatto del tuo nome, Signore! Non invocatemi più fino a quando un solo fanciullo è rovinato da voi grandi… Non nominatemi più, uomini, almeno per molti anni. Quale altro nome così macchiato e deturpato? Quanto è il sangue innocente versato in mio onore? E quante le ingiustizie che fui costretto a coprire? Per favore, non nominate il mio nome invano".

Coltiviamo una reverente venerazione verso il nome santo di Dio. Non dimentichiamoci di questo: quando pronunziamo il nome di Dio, Dio si gira verso di noi.

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ultimo aggiornamento 20 dicembre, 2016