Verso una cultura della misericordia

Luciano Eusebi
ordinario di Diritto penale nell’Università Cattolica di Milano

 

"DIO È MISERICORDIA"
La giustizia come progettazione
secondo il bene dinnanzi al male

in Notiziario. Istituto Paolo VI, Brescia,
ISSN 0394-0683, n. 71, 2016, pp. 9-13

Presentazione del breve testo autografo, riportato nel corpo dell’articolo, dal titolo "Misericordia" di Giovanni Battista Montini e conservato nell’archivio dell’Istituto Paolo VI di Brescia, segnatura C.1.1.2

Questo inedito non costituisce un semplice appunto, importante sì, ma al pari di molte altre fra le ben note tracce di pensiero autografe del beato Paolo VI, anteriori o posteriori all’inizio del suo ministero petrino (il testo non ha data, ma pare fondatamente da collocarsi negli anni del servizio di Giovanni Battista Montini presso la Segreteria di Stato e la FUCI).

Il brevissimo, folgorante scritto ora pubblicato, infatti, illustra con una sintesi che sorprende e attraverso un linguaggio incisivo anche al di là del contesto ecclesiale il cardine stesso della fede cristiana: che cosa significhi essere Dio amore, la natura salvifica di quell’amore, il fatto che proprio attraverso l’amore Dio agisce secondo giustizia (manifestandosi, in tal modo, giusto), il configurarsi, pertanto, della misericordia non come un atteggiamento complementare o ulteriore alla giustizia, ma come requisito necessario affinché la giustizia si realizzi.

Una prospettiva, evidentemente, di particolare rilievo con riguardo al Giubileo della Misericordia, indetto da papa Francesco. Non tuttavia nel senso di un’occasionale coincidenza tematica, ma in quanto del Giubileo anticipa e riflette il messaggio di fondo: riportare al centro dell’evangelizzazione l’essenziale della fede, cioè l’annuncio per cui la risposta al male secondo ciò che è radicalmente altro dal male, cioè l’amore in quanto espressivo dell’essere stesso di Dio, si manifesta nella risurrezione pienezza di vita anche dinnanzi al male radicale della morte.

Assunto, questo, il quale confuta qualsiasi teorizzazione di una giustizia (retributiva) che si ritenga chiamata ad assumere caratteristiche di corrispettività in rapporto al male e che pretenda di svolgere, in tal modo, una funzione restaurativa del bene. Ma assunto, altresì, in grado di offrire motivazioni (anche) religiose a una sensibilità umana che – preso commiato dall’idea che il giudizio negativo sull’altro (sia questi un individuo o una collettività) autorizzi la ritorsione su di lui del male che gli si attribuisce – si apra a intendere la giustizia, pur sempre, come progettazione secondo il bene dinnanzi al male.

Il brano è profondamente cristologico. Si parla di Dio e il Figlio non viene menzionato in modo diretto: e tuttavia fin dalle prime parole emerge come l’amore con cui Dio ama – con cui ama «i più lontani e più miseri, quelli più avversi e più cattivi» – non è tale in termini irenistici, ma è «un amore salvatore», vale a dire testimoniato nella sua attitudine redentiva attraverso il dono illimitato di sé, fino alla croce, compiuto dal Figlio. Del resto, se – come afferma il beato Paolo VI – «Dio è misericordia», «Gesù Cristo – così principia la bolla Misericordiae vultus con la quale papa Francesco ha indetto il Giubileo – è il volto della misericordia del Padre».

Misericordia

Non basta dire: Dio è Amore, Dio ha amato il mondo; bisogna aggiungere: Dio è Misericordia, Dio ha amato un mondo colpevole. Non figli, non semplici creature, ma ribelli, ma ingrati, ma perduti suoi esseri ha amato. Esseri che non erano degni, né utili, né piacevoli, né in sé, né a Lui buoni.

E quelli più lontani e più miseri, quelli più avversi e più cattivi, quelli ha amato.

Né quest’amore è stato prodigioso solo in sé e per l’intima felicità di Dio; ma lo è stato anche per gli esseri immeritevoli che ne sono l’oggetto inesplicabile. È stato un amore salvatore.

Dio amando il peccatore dà esempio di somma indulgenza, salvandolo di pari esigenza. Si piega sul male la misericordia, ma non perché resti tale e perché sia vinta la giustizia, ma piuttosto perché la giustizia sia ricomposta nei suoi diritti ed abbia la sua rivendicazione. Dio ama il cattivo non perché tale, ma per farne un buono; e mentre spinge la tolleranza fino a cancellare le conseguenze fatali del peccato, restaura l’assolutezza della legge morale riconducendo in essa il peccatore.

Questo singolare rapporto della misericordia con la giustizia è uno dei problemi più profondi e più chiaramente risoluti dal cristianesimo. A nessuno vien nemmeno fatto di pensare che la misericordia di Dio, annunciata come si deve, e svelata nella sua sorgente e nel suo termine, ch’è l’Amore, sia corriva col male e indebolisca la forza dell’imperativo morale; ma piuttosto è a tutti palese ch’essa, ed essa sola, è capace di ricuperare il bene perduto, di ripagare nel bene il male compiuto e di generare nuove forze di giustizia e di santità.

È chiarissimo, nel pensiero del Beato, che l’amore di Dio si pone agli antipodi di qualsiasi logica fondata sulla reciprocità dei comportamenti: non dipende da un giudizio sull’altro e, dunque, non rappresenta un corrispettivo per i suoi meriti. «Dio ha amato un mondo colpevole»: e il suo amore è stato «prodigioso», cioè foriero di una non guadagnata opportunità di salvezza per «esseri immeritevoli»(1). In altre parole, il suo amore è senza confini e del tutto gratuito.

Solo la misericordia riversata sul peccatore – sulla concretezza della situazione esistenziale di ciascun peccatore – rivela davvero l’amore di Dio: «Non basta dire: Dio è Amore», «bisogna aggiungere: Dio è Misericordia».

Ma è proprio tale iniziativa antitetica rispetto al male – con cui Dio, in conformità col senso profondo della tzedaka veterotestamentaria, fa il primo passo (2) verso chi, senza quella disponibilità, non può reperire, da solo, la salvezza – che si fa giustizia: «si piega sul male la misericordia», «perché la giustizia sia ricomposta nei suoi diritti». Non c’è pertanto – e questo è il fulcro dell’intera riflessione – una giustizia che possa essere altrimenti ristabilita (il pensiero corre alle classiche dinamiche compensative), cui eventualmente accedano, come un passaggio successivo (un superamento di cui non è dato cogliere in modo chiaro, a quel punto, il contenuto), l’amore, la misericordia o il perdono. «È [solo] riconducendo in essa il peccatore» che «Dio restaura [che si restaura] l’assolutezza della legge morale», e pertanto la giustizia.

L’atteggiamento di misericordia, del progettare il bene dinnanzi al male, risulta in questo senso dinamico: nulla che possa assomigliare a quell’indifferenza dinnanzi al male tante volte stigmatizzata da papa Francesco. La misericordia «si piega sul male», spiega il futuro pontefice bresciano, «non perché resti tale e perché sia vinta la giustizia», bensì perché essa «abbia la sua rivendicazione»: «Dio ama il cattivo non perché tale, ma per farne un buono». Agire per il bene in contesti di male, del resto, richiede molta intelligenza e anche molto coraggio, se si valutano i costi che ne possono derivare.

Sono concetti ripresi con lapidaria chiarezza nel periodo conclusivo del testo in esame: «a nessuno vien nemmeno fatto di pensare che la misericordia di Dio […] sia corriva col male e indebolisca la forza dell’imperativo morale». Al contrario, «essa ed essa sola» – ribadisce il beato Paolo VI – «è capace di ricuperare il bene perduto, di ripagare nel bene [corsivo nostro] il male compiuto», vale a dire di ristabilire la giustizia: così da «generare nuove forze di giustizia e di santità».

Concetti, questi, in cui giustamente Giovanni Battista Montini vede un apporto prezioso del cristianesimo alla cultura umana nel suo complesso, apporto che investe un tema cruciale per il futuro stesso dell’umanità: la quale – al di là degli stessi interrogativi morali – non è in grado di reggere più, stante la possibilità resasi effettiva nel secondo dopoguerra di una distruzione totale del pianeta, il perpetuarsi di reciproche ritorsioni del male, presentate come rispondenti a giustizia, tra soggetti che, hegelianamente, si percepiscano come antagonisti.

Dunque, afferma il futuro pontefice, «questo singolare rapporto della misericordia con la giustizia è uno dei problemi più profondi e più chiaramente risoluti [corsivo nostro] dal cristianesimo».

Eppure, proprio i credenti non sempre sono sembrati esserne consapevoli, fino a teorizzare che lo stesso nucleo portante della fede, la risurrezione, altro non sia se non il miracolo conseguente a una dinamica satisfattiva imperniata sul male patito da Gesù (un male che già avrebbe fatto giustizia), piuttosto che il rivelarsi di come l’amore divino testimoniato dinnanzi al male da Gesù sia vera vita, nonostante lo scandalo della morte. Quasi che la giustizia manifestatasi sul Golgota da chi fu «giusto per gli ingiusti» (1Pt 3,18) proprio nulla abbia di diverso, salvo il soggetto che ne patisce il peso, rispetto alle caratteristiche della risposta al male che gli uomini hanno definito come giustizia. E quasi, dunque, che la salvezza sia stata prodotta dal male pagato (e da applicarsi) per il male: l’esatto contrario del messaggio di Gesù (3).

Il che ha portato a metabolizzare senza problemi, nello stesso ambito cristiano, secoli di guerre giuste (4) e di sanzioni penali meramente ritorsive, non esclusa la pena di morte. Ma ha portato anche a una diffusa carenza esplicativa – tanto più delicata da quando non si può far conto su un tramandarsi per così dire sociologico del cristianesimo – in merito all’esigenza di rendere comprensibile, a tutti, che cosa si voglia dire attraverso i dogmi fondamentali della fede.

Le parole del beato Paolo VI, a un tempo profetiche e radicate nelle origini cristiane, anticipano pertanto alcune espressioni innovative sulla giustizia dei pontefici che gli sono succeduti. In particolare, le parole coraggiose di San Giovanni Paolo II contenute nel titolo del messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002, poco dopo l’attentato alle Torri gemelle: Non c’è giustizia senza perdono. Affermazione che, di recente, ha trovato continuità nell’esortazione postsinodale Amoris laetitia di papa Francesco, laddove afferma che «la misericordia è la pienezza della giustizia» (n. 311).

Sono enunciati di grande portata, poiché con essi si supera, nel medesimo senso del testo che commentiamo, la separazione – sia nei termini di una contrapposizione, sia nei termini di rapporto gradualistico – tra giustizia, da un lato, e amore/misericordia/perdono, dall’altro.

Tali enunciati, come quel testo, non alludono, ovviamente, a un perdono e a una misericordia inerti dinnanzi al male, bensì al fatto che la giustizia tradisce se stessa ove non presupponga la rinuncia a riprodurre i contenuti del male cui intenda opporsi e non si concepisca come un’opportunità di riappropriazione del bene, ma anche di (re)integrazione sociale, per chi abbia sbagliato. «La giustizia – asseriva San Giovanni Paolo II già nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1997 – mira soprattutto a ripristinare relazioni autentiche con Dio, con se stessi, con gli altri»; per cui, proseguiva, «non sussiste alcuna contraddizione fra perdono e giustizia». Ciò che conduce papa Francesco a parlare di una giustizia «umanizzatrice» e «genuinamente riconciliatrice» (5): cui compete l’obiettivo non già di remunerare, ma di tornare a tendere giusti rapporti che non lo sono stati.

Si tratta di un approdo, quello che il futuro Paolo VI ebbe a preconizzare, il quale fa chiarezza rispetto a una certa faticosità teologica che continua a contraddistinguere altri testi contemporanei in materia. Si consideri un passo dell’enciclica Deus Caritas est di papa Benedetto XVI, nella quale si argomenta: «L’amore appassionato di Dio per il suo popolo – per l’uomo – è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia» (n. 10). Ma si consideri anche la bolla Misericordiae vultus, in cui si dice che «giustizia e misericordia» non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà» e che «la giustizia di Dio è il suo perdono» (n. 20); peraltro affermandosi successivamente: «La giustizia da sola non basta (…). Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia» (n. 21).

Il rischio è che questi passaggi non del tutto lineari possano tuttora avallare, specie con riguardo alle realtà terrene, l’idea di un ambito proprio della giustizia cui restino in linea di principio estranei la misericordia e il perdono: ambito solo eventualmente superabile sul terreno del supererogatorio o, comunque, solo nel rapporto con Dio. Un pericolo nei cui confronti restano pertinenti alcune parole del già citato Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2002: «nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una "politica del perdono" espressa in atteggiamenti sociali e in istituti giuridici [corsivo nostro] nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano» (n. 8) (6).

È interessare constatare, peraltro, quanto osserva il papa emerito Benedetto XVI in una recente intervista: «A mio parere, continua a esistere la percezione che noi abbiamo bisogno della grazia e del perdono. Per me è un ‘segno dei tempi’ il fatto che l’idea della misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante» (7). Né del pari manca di sorprendere come nell’elaborazione giuridica laica si siano diffusi universalmente, da alcuni anni, studi, corsi accademici ed esperienze concrete di c.d. restorative justice, a partire dal settore paradigmatico del diritto penale (8). Uno sviluppo, questo, che certamente si affianca a trend inveterati di segno opposto, ma che non era nemmeno immaginabile solo pochi decenni orsono.

L’apporto culturale cristiano, pur non estraneo, nel profondo, a queste nuove sensibilità, dovrebbe saper essere dialogicamente in grado di corroborare questi percorsi. Il risultarne sopravanzato costituirebbe un paradosso. Il che, del resto, priverebbe l’intero corpo sociale di quella chiarificazione sul senso del fare giustizia nei rapporti fra le persone e fra i popoli che attiene al profilo più autentico, per riprendere il pensiero del beato Paolo VI, della fede cristiana.

Il contributo più efficace che la Chiesa può offrire alla cultura contemporanea si situa, forse, proprio sul terreno tipicamente religioso. Vale a dire nel rimarcare come la giustizia dal punto di vista religioso, la giustizia di Dio, nulla abbia a che fare con dinamiche di ritorsione e in nessun modo possa essere utilizzata come modello per avallarle. Intento, questo, che accomuna la missio del Giubileo e la ratio delle parole preveggenti di Giovanni Battista Montini.

 


(1) Parole che sembrano anticipare, fra l’altro, le convergenze di cui alla Dichiarazione congiunta del 31 ottobre 1999 tra Chiesa Cattolica e Federazione Luterana Mondiale sulla dottrina della giustificazione (cfr., in particolare i nn. 15 e 19).

(2)Cfr., in proposito, E. WIESNET S.I., Pena e retribuzione: la riconciliazione tradita. Sul rapporto fra cristianesimo e pena (1980), Giuffrè, Milano, 1987. Afferma FRANCESCO: «Dio è così: Lui fa sempre il primo passo, Lui si muove verso di noi» (Udienza generale del 27 marzo 2013).

(3)Circa l’approccio complessivo alla giustizia di Dio e degli uomini nella prospettiva teologica si consenta il rinvio, anche per ampi riferimenti bibliografici, a L. EUSEBI, La Chiesa e il problema della pena. Sulla risposta al negativo come sfida giuridica e teologica, La Scuola, Brescia, 2014.

(4)Cfr. in proposito C. BRESCIANI - L. EUSEBI (a cura di), Ha ancora senso parlare di guerra giusta? Le recenti elaborazione della teologia morale, Dehoniane, Bologna, 2010.

(5)Così FRANCESCO, Lettera ai partecipanti al XIX Congresso internazionale dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale del III Congresso dell’Associazione Latinoamericana di Diritto Penale e Criminologia, 30 maggio 2014, n. 3.

(6) Cfr. in proposito L. EUSEBI, La questione penale. Un autorevole magistero recente, in Rivista di teologia morale, 2003, 2, pp. 181 ss.

(7) Cfr. Intervista a S.S. il papa emerito Benedetto XVI sulla questione della giustificazione per la fede, in D. LIBANORI (a cura di), Per mezzo della fede. Dottrina della giustificazione ed esperienza di Dio nella predicazione della Chiesa e negli Esercizi Spirituali, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2016, p. 128.

(8) Cfr. per esempio, sull’intera problematica, L. EUSEBI (a cura di), Una giustizia diversa. Il modello riparativo e la questione penale, Vita e Pensiero, Milano, 2015; G. MANNOZZI - G. LODIGIANI (a cura di), Giustizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Il Mulino, Bologna, 2015.

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ultimo aggiornamento 16 giugno, 2017