Verso una cultura della misericordia

Mons. Domenico Cancian

 

La perdono, Padre*

È questo il titolo del libro di Daniel Pittet che porta la straordinaria prefazione di Papa Francesco. La testimonianza di Daniel – scrive il Pontefice – è «necessaria, preziosa e coraggiosa… Sono felice che altri possano leggerla oggi e scoprire a che punto il male può entrare nel cuore di un servitore della Chiesa». Dopo aver espresso tutta la sua sofferenza e aver chiesto umilmente perdono, il Papa esprime ammirazione per chi ha avuto il coraggio di incontrare il proprio aguzzino, 44 anni dopo, offrendogli perdono.

Il libro inizia in modo tragico: racconta l’aggressione del babbo alla moglie incinta di Daniel. Segue il "caos dell’infanzia". Sfrattati dal loro paese d’origine, i genitori di Daniel si separano e il babbo praticamente sparisce fino al momento in cui, verso la fine della sua vita, non avrà una provvidenziale e commovente riconciliazione con il figlio.

«Io e i miei fratelli veniamo dispersi tra famiglie affidatarie e istituti». La madre cade in depressione. In questa già tristissima situazione, avviene il peggio: un prete religioso, P. Joel Allaz, lo violenta per ben 4 anni, dall’età di 9 anni fino a 13. Le violenze si susseguono numerose in modo brutale e umiliante. Daniel non riesce ad aprirsi con nessuno. Un’esperienza terribile che, nonostante l’aiuto di tante persone, lo porta a crisi d’angoscia, alla depressione e perfino alla meningite.

Dopo 18 anni di terapia, Daniel si sente libero di raccontare in modo realistico e talvolta crudo la triste vicenda, una «traccia indelebile, che resterà per sempre» (p.37).

Dai monaci di Einsieldeln riceve l’attenzione giusta e impara a non generalizzare: «quel che mi è capitato non significa che tutti i preti sono marci. La mia esperienza mi autorizza a dirlo. La mia fiducia nella Chiesa è intatta» (p.84).

Daniel non perde la fede, anzi questa diventa più forte. Riesce a costruire una bella famiglia, amicizie sincere. Dalla moglie si sente capito, accolto, amato. Diventa padre di sei figli (una adottata).

Daniel vuole rendersi utile alla famiglia della Chiesa «che non ho rinnegato […] perché in essa ho conosciuto persone piene di umanità e impegnate nella loro vocazione» (p.99). S. Giovanni Paolo II lo incontra, gli afferra la spalla e gli dice: «Il Signore ti protegge perché hai fede» (p.101). Accetta di guidare, insieme alla moglie, l’associazione Apostolato della preghiera, organizzando conferenze, testimonianze, preghiere.

Il lungo percorso lo porta alla capacità di denunciare lo stupratore, con lo scopo di fare verità fino in fondo, di aiutare gli abusati che hanno taciuto e soprattutto di interdire a livello pastorale e civile il religioso perché non faccia altri danni. Accetta di testimoniare, comparendo in televisione davanti ai giornalisti che, al termine dell’intervista, gli chiedono: «ma lei chi è oggi?». Daniel risponde: «Sono un uomo in piedi!» (p.127). Tuttavia, in questa situazione, avverte ancora la tentazione del suicidio, perché denunciare un abuso è doloroso, provoca vergogna e ulteriore sofferenza. «Ho reagito cercando e ottenendo un risarcimento per torto morale».

Finalmente Joel è sospeso dal ministero. Il vescovo Genoud chiede perdono a Daniel a nome della Chiesa. Glielo chiede anche Joel, il quale, si scopre, ha abusato di tante persone.

Daniel ricorda con sincera gratitudine tutti coloro che l’hanno aiutato. Dice con sicurezza a se stesso: «Ho la fede, la vera fede, quella che ho scelto io. È un atto libero. […] Ho continuato a pregare ogni giorno» (pp. 162, 165). Scrive un libro, dal titolo: Amare è donare tutto, che raccoglie testimonianze esemplari di religiosi/e e che Papa Francesco fa distribuire in piazza San Pietro.

L’ultimo capitolo del libro La perdono, Padre racconta l’incontro, dopo 44 anni, il 12 novembre 2016, tra Daniel e il suo stupratore. «Il mio carnefice! Mi sono alzato, gli sono andato incontro e, senza riflettere gli ho teso la mano: "Ciao Joel" mi sono sentito di dirgli».

Lo definisce un uomo dallo sguardo spento. «Penso che abbia sofferto, in particolare durante l’infanzia; era grasso e poco amato. Il mio carnefice è un debole che ha usato violenza per creare delle relazioni» (p.184).

Daniel tiene presente la parola di Gesù: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Capisce che quella persona è veramente malata, dissociata. «L’ho perdonato e ho costruito la mia vita su quel perdono» (p.186).

L’aveva perdonato fin da quando aveva 12 anni. «Il perdono non ha niente a che vedere con la giustizia degli uomini che condanna, né con la scusante che annulla il problema. Il perdono non cancella la ferita, ma mi ha reso libero, non dipendo più da lui, mi ha messo in piedi». Daniel non ha mai messo in discussione il perdono.

«Il titolo del libro, La perdono Padre, è da prendersi alla lettera».

Concludo con tre riflessioni:

1) Daniel ci presenta la potenza sconvolgente del male che devasta l’uomo - sia il carnefice che la vittima - e che si innesta anzitutto a livello psico-patologico, come emerge in varie espressioni del tipo: «Io sono un mostro; sono dissociato e schizofrenico, il mostro si è mangiato l’umano».

Domanda: Perché non prevenire (nella misura del possibile)? E curare? Padre Joel dice che tutto è cominciato con l’essersi sentito incapace di relazioni fin da piccolo.

2) La pedofilia è un crimine. C’è quindi una gravissima responsabilità. Gesù arriva a dire che è meglio "legarsi una pietra al collo e gettarsi in mare". Joel afferma di «aver fatto strage di innocenti, di essere un Giuda, di morire lasciando dei danni irreparabili».

Domanda: Come è possibile che, durante il suo percorso cristiano, sacerdotale e religioso, padre Joel non abbia avvertito nella sua coscienza la tragica contraddizione evangelica? Come è possibile che i formatori, la comunità e i confratelli non si siano resi conto e non l’abbiano di fatto aiutato?

3) L’onnipotenza della Grazia e della Misericordia del Signore può trasformare anche le forme peggiori di male, fino a permettere che si parli, paradossalmente, di "Felix culpa!". E ciò attraverso la Grazia e la responsabilità del perdono. È impressionante come Daniel riesca, con molto sacrificio, a conservare la Fede, anzi, a farla crescere, a sviluppare relazioni molto positive dal punto di vista umano e cristiano, a superare l’odio e a ritrovarsi "in piedi" davanti a Dio, agli altri e a se stesso. Ma anche lo stesso Joel ha la possibilità di una profonda conversione che non toglie la speranza: «morirò lasciando dei danni, ma ho fiducia».

Mi pare che anche l’esperienza del perdono in extremis di Gesù al buon ladrone vada a incoraggiare la speranza della conversione di tutti gli uomini, compreso il peggior peccatore.


*) D. Pittet, La perdono, Padre, prefazione di Papa Francesco, Edizioni Piemme, Segrate 2017.

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ultimo aggiornamento 08 settembre, 2017