Il Regno di

Dio paziente e misericordioso

Francesco Follo *

 

 

La lettura di Mt 13, 24-43 ripresenta il pensiero di Gesù in tre parabole: quella del grano e della zizzania, quella del granellino di senape, e infine quella del lievito. Suggeriscono quattro considerazioni:

– La crescita del regno

– La Pazienza di Dio

– L’interessamento dei servitori verso il loro padrone

– Il campo designerebbe il mondo intero

1) La crescita del Regno

Tre sono le parabole che in questa domenica il Vangelo ci fa meditare: quella del grano e della zizzania, quella del granellino di senape, e infine quella del lievito.

Queste tre parabole raccontano l’amore con cui Dio cura tutte le cose; della sorprendente iniziativa Divina che con "giustizia" e "mitezza" tiene nel palmo della sua mano la vita dell’uomo.

Il Regno dei Cieli sempre viene, vince e si afferma se, con umiltà, l’uomo si lascia guidare da Dio che dona ai suoi figli «la buona speranza», che rende il cuore umano, seppur piccolo, capace di contenere tutta la Grazia e di tendere al Regno celeste

Per descrivere il Regno dei Cieli, Gesù ci presenta tre immagini, che hanno in comune il verbo "crescere": il grano buono e la zizzania "crescono" insieme per poi essere separati, il grano di senape "cresce" per diventare un grande albero, il pugno di lievito nella farina fa crescere la massa della pasta. 

Quindi, una delle caratteristiche  del Regno dei Cieli è quella di non essere qualcosa di statico, ma di dinamico, destinato a "crescere" ogni giorno e in ogni circostanza.

La parabola del granellino di senape che diventa un albero indica la "crescita" del Regno di Dio sulla terra. Sulla bocca di Gesù questa era anche una temeraria profezia. Chi poteva immaginare, poco meno di duemila anni fa, che il Vangelo predicato in villaggi sconosciuti al resto del mondo a povera gente, non istruita e con lavori umili quali quello del contadino e del pescatore avrebbe in poco tempo conquistato il mondo? Anche la parabola del lievito nella farina significa la "crescita" del Regno, non tanto però in estensione, quanto in intensità; indica la forza trasformatrice del vangelo che  come lievito "crescere" la farina e la prepara a diventare pane.

Queste due parabole furono comprese facilmente dai discepoli, non così la terza, del grano e della zizzania, che Gesù fu costretto a spiegare loro a parte. Il seminatore –disse il Messia- era lui stesso, i figli del regno sono il seme buono,  i figli del maligno sono la zizzania, il campo è il mondo e la Chiesa, che è il pezzo di mondo salvato, e la mietitura è la fine del mondo, quando "i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro". Gregorio Palamas commenta: "I servi del Padre si accorsero che c’era la zizzania nel campo, che cioè gli empi e i cattivi erano mescolati ai buoni e vivevano insieme con loro, persino nella Chiesa di Cristo. Dissero al Signore : ‘Vuoi che andiamo a raccogliere la zizzania?’, in altri termini: ‘che togliamo questa gente dalla terra facendola morire?’ … Col tempo, molti empi e peccatori, nel vivere insieme con uomini pii e giusti giungono al punto di pentirsi e di convertirsi; si mettono alla scuola della pietà e della virtù, e smettono di essere zizzania per diventare grano. Così gli angeli, afferrando di forza tali uomini prima che potessero pentirsi, rischiavano di sradicare il grano, raccogliendo la zizzania. Per di più, ci sono spesso stati uomini di buona volontà fra i figli e i discendenti dei cattivi. Per questo, colui che sa ogni cosa prima che succeda non ha permesso che la zizzania fosse sradicata prima il momento opportuno" (Omelia 27,  PG 151, 345-353). Dunque se vogliamo essere salvati dal castigo alla fine del mondo e ereditare il Regno eterno di Dio dobbiamo essere grano e non zizzania, astenendoci da ogni parola vana o cattiva, esercitandoci nelle varie virtù e producendo veri frutti di penitenza. In questo modo diventeremo degni del granaio celeste, e saremo chiamati figli del Padre, l’Altissimo, e, lieti e risplendenti della gloria divina, entreremo come eredi nel Regno celeste.

 

2) La Pazienza di Dio

Credo che il tema più importante della parabola sia la pazienza di Dio. La liturgia di questa domenica lo sottolinea con la scelta della prima lettura che è un inno alla forza di Dio che si manifesta sotto forma di pazienza: "Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza, perché, quando vuoi, tu eserciti il potere. Con tale modo di agire hai insegnato al tuo popolo che il giusto deve amare gli uomini, e hai dato ai tuoi figli la buona speranza che, dopo i peccati, tu concedi il pentimento" (Sap 12, 16-19).

La pazienza di Dio non è un semplice aspettare, è longanimità, misericordia, volontà di salvare. "Non sai che la pazienza di Dio ti spinge alla conversione?" (Rm 2, 4). Lui è davvero, "un Dio di pietà, compassionevole, lento all’ira e pieno di amore" (Sal 85, salmo responsoriale della Messa di oggi).

Dunque, nel Regno di Dio non c’è posto perciò per servi impazienti che non sanno far altro che invocare i castighi di Dio e indicargli di volta in volta chi deve colpire. Gesù un giorno rimproverò due discepoli che gli chiedevano di far piovere fuoco dal cielo su coloro che li avevano rifiutati.

Imitare la pazienza di Dio non implica che dobbiamo aspettare la mietitura come quei servi trattenuti a fatica perché pronti ad agire con la falce in pugno, quasi fossimo ansiosi di vedere la faccia dei malvagi nel giorno del giudizio.

Questa pazienza non implica neppure che dobbiamo rimanere a braccia conserte e senza far niente, ma anzi dobbiamo lavorare con impegno a cambiare noi stessi e, per quanto ci è possibile, gli altri da zizzania in buon grano. In questo mondo sarà esaudita la preghiera d’inizio della Messa di oggi: "Ci sostenga sempre, o Padre, la forza e la pazienza del tuo amore; fruttifichi in noi la tua parola, seme e lievito della Chiesa, perché si ravvivi la speranza di veder crescere l’umanità nuova, che il Signore al suo ritorno farà splendere come il sole nel tuo regno" (Colletta della XVI Domenica del Tempo Ordinario, Anno A).

 

3) L’interessamento dei servitori verso il loro padrone

«Considerate, invece, l’affettuoso interessamento dei servitori verso il loro padrone. Essi si sarebbero già levati per andare a sradicare la zizzania, anche se in tal modo non avrebbero agito in modo discreto e opportuno. Questo tuttavia mostra la loro cura per il buon seme e testimonia che il loro unico scopo non sta nel punire il nemico – non è questa la necessità più urgente – ma nel salvare il grano seminato. Essi perciò cercano il mezzo per rimediare rapidamente al male fatto dal diavolo. E neppure questo vogliono fare a caso, non s’arrogano infatti questo diritto, ma attendono il parere e l’ordine del padrone. "Vuoi, dunque, che andiamo a raccoglierla?" (Mt 13,28) – gli chiedono. Cosa risponde il padrone? Egli vieta loro di farlo, dicendo che c’è pericolo, nel raccogliere la zizzania, di sradicare anche il grano. Parla così per impedire le guerre, le uccisioni, lo spargimento di sangue.» (secondo San Giovanni Crisostomo (344/354 – 407) in Matth. 46,1).

 

4) Il campo designerebbe il mondo intero

«Ma, mentre dormono coloro che non praticano il comando di Gesù che dice: "Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41 Mc 14,38 Lc 22,40), il diavolo, che fa la posta (1P 5,8), semina quella che viene detta la zizzania, le dottrine perverse, al di sopra di ciò che alcuni chiamano i pensieri naturali, e al di sopra dei buoni semi venuti dal Logos. Secondo tale interpretazione, il campo designerebbe il mondo intero e non solamente la Chiesa di Dio; infatti è nel mondo intero che il Figlio di Dio ha seminato il buon seme e il cattivo la zizzania (Mt 13,37-38), cioè le dottrine perverse che, per la loro nocività, sono «figlie del maligno». Ma ci sarà necessariamente, alla fine del mondo, che vien detta «la consumazione del secolo», una mietitura, perché gli angeli di Dio preposti a tale compito raccolgano le cattive dottrine che si saranno sviluppate nell’anima e le consegnino alla distruzione, gettandole, perché brucino, in quello che viene definito fuoco (Mt 13,40). E così, «gli angeli», servitori del Logos, raduneranno «in tutto il regno» di Cristo, «tutti gli scandali» presenti nelle anime e i ragionamenti «che producono l’empietà», e li distruggeranno gettandoli nella «fornace di fuoco», quella che consuma (Mt 13,41-42) così del pari coloro che prenderanno coscienza che, poiché hanno dormito, hanno accolto in sé stessi i semi del cattivo, piangeranno e saranno, per così dire, in collera con sé stessi. Sta in ciò, in effetti, "lo stridor di denti" (Mt 13,42), ed è anche per questo che è detto nei Salmi: "Hanno digrignato i denti contro di me" (Ps 35,16). È soprattutto allora che "i giusti brilleranno", non tanto in modo diverso, come agli inizi, bensì tutti alla maniera di un unico "sole, nel regno del Padre loro" (Mt 13,43)». (secondo Origene (185– 254) in Matth. 10, 2).


* Monsignor Francesco Follo è osservatore permanente della Santa Sede presso l’UNESCO a Parigi.

 

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ultimo aggiornamento 13 novembre, 2017