Collevalenza 6-11 novembre 2017

XVIII Assemblea SDFAM e Delegazione FAM d’Italia

Antonio Colasanto

A Collevalenza, presso la struttura di accoglienza del Santuario, dal 6 all’11 novembre 2017, si è svolta l’annuale Assemblea dei sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso e della delegazione italiana dei religiosi Figli dell’Amore Misericordioso sul tema "Nell’obbedienza sacerdotale del Figlio".

 

Ha aperto i lavori il biblista Don Tonino Nepi di Fermo che ha così introdotto la sua riflessione:

"Il testo che nell’AT esprime chiaramente l’"obbedienza" di Gesù è indubbiamente Eb 5,8 "imparò l’obbedienza da quanto soffrì". Nel NT abbiamo certo altre espressioni, ma metaforiche: "mio cibo è fare la volontà del Padre" (Gv 4,34).

L’obbedienza di Gesù è al cuore del sermone agli Ebrei, il cui tema è l’affermazione di Gesù come "sommo sacerdote misericordioso e degno di fede" (2,17), secondo la nuova traduzione CEI. La posta in gioco è dimostrare la novità, la portata, l’autenticità di questo sacerdozio: e la risposta è proprio nell’obbedienza. Obbedienza e sacerdozio sono indissociabili.

Don Nepi ‘di Gesù sacerdote’ ha detto: mai nel NT, ma allusioni in Le 24, in Gv 19, e in Ap 1. La funzione del sacerdote nell’AT si riassume in Mal 2,7 e nel libro del Levitico. La caratteristica è la sua intimità profonda, il suo "servire al cospetto di Dio": questo avviene in due movimenti.

Egli porta Dio al popolo e richiama i disegni di Dio espressi dalla Torah.

Egli porta il popolo a Dio con tutte le sue esigenze.

Detto altrimenti funge da pontifex, crea cioè un ponte vivendo la sua piena solidarietà umana. Questi due poli, tensione alla volontà divina, e solidarietà e compassione verso i fratelli, costituiscono gli assi portanti o meglio le coordinate del suo essere sacerdote. Ma Eb. privilegia il secondo: solidarietà!

Gesù degno di fede. Certo, Gesù è credibile perché ha avuto un atteggiamento leale, coerente, con il disegno del Padre. Gesù è Misericordioso. Esprime una piena solidarietà, un mettersi in fila con gli altri esseri umani. Diverse volte i Vangeli ci parlano di questa misericordia; Eb 4,15-16 ne parla: Gesù è in grado di intervenire come sommo sacerdote, perché si è immerso nel fango della nostra miseria, eccetto il peccato. Esiste una compassione sterile che è ipocrita Si espone comunque al rischio. La vera solidarietà non sta nel chiudere gli occhi, omertà, con le colpe degli uomini, ma nel portare con loro i pesi della sofferenza che ne deriva.

In Gesù La scuola della misericordia coincide con la via della croce.

Cercata? No, accolta! Gesù offre preghiere e suppliche per essere liberato dalla morte, fu esaudito (!). L’agonia o lotta di Gesù (Le 22,41-44) "Allontana questo calice" (Mc 14,33). "Mio Dio, mio Dio. perché mi hai abbandonato?" (Mc 15,34).

Gesù piange, non si dispera, ma sente nelle più intime fibre la morte imminente. Non è un Dio che lo sacrifica, ma la strada che ha fatto lo ha portato a scontrarsi con la violenza e l’ambiguità degli uomini.

La Passione dal Getsemani al Golgota è presentata come preghiera e come offerta.

Preghiere e suppliche (deesis/iketeria = binomio raro in NT, significa totale apertura all’ingresso, all’invasione di Dio al suo intervento). Una situazione di sofferenza, ancor più drammatica perché rischia di vanificare, buttare alle ortiche tutto un cammino.

Gesù è stato esaudito per la sua "pietà" (eulabeia, 3x qui, 12,28 e 11,7). Che cosa ha chiesto? Il silenzio significa la totale disponibilità: di me fai quello che ti piace. Gesù lascia al Padre tutta la sua vita come offerta. Quello che interessa a Gesù è il suo rapporto con il Padre. Sia fatta la tua volontà /avvenga di me ciò che hai detto ...

Imparò l’obbedienza da ciò che soffrì" (v.8). Il tema del "soffrendo

s’impara (pathein/mathein)" è comune in tutte le letterature, come principio sapienziale. Stupisce: Ma Gesù non era figlio di Dio? Non aveva certo bisogno di questa educazione! Certo, ma si è fatto uomo, ed ha bevuto fino in fondo il calice dell’umanità.

Il Pastore – ha detto Don Nepi - si è fatto agnello, il più infimo. La croce era il massimo dell’infamia del . fallimento.

 

DON ANGELO SPILLA SDFAM di Caltanissetta ha introdotto il tema: "L’obbedienza per la comunione nel Presbiterio diocesano"

L’obbedienza – ha detto il relatore - è una delle virtù evangeliche che la Chiesa ci addita come necessaria nella sequela di Cristo e nel nostro ministero presbiterale (cfr PO, 15). Una questione particolarmente dibattuta in ambito teologico all’interno della Chiesa è quella di conoscere quale potrebbe essere una base teologica adeguata per cogliere i consigli evangelici originariamente in rapporto con la soggettività battesimale ma anche con il sacerdozio ministeriale. È stato il teologo Hans von Balthasar a fornire una risposta abbastanza pertinente grazie alla quale è possibile cogliere un originale rapporto tra vita consacrata, sacerdozio ordinato e stato laicale battesimale. Balthasar arriva a parlare con convinzione del carattere sacerdotale, non sacramentale dei consigli evangelici, in quanto "esprimono la forma di vita di Gesù, la sua libertà obbediente, povera e casta, che offre totalmente la sua vita per noi".

 

L’obbedienza: una pedagogia centrata su Cristo

L’obbedienza è uno dei cardini irrinunciabili su cui è fondata la vita consacrata. Lungo i tempi è stata vissuta con modalità diverse e criteri che si sono spesso rivelati anche inadeguati per le epoche e culture successive.

Nella vita religiosa l’obbedienza rappresenta la porta d’ingresso al mistero di Cristo ed anche al luogo più segreto, più rivelatore e più profondo.

Newman ha scritto: "Non sapranno che cosa significa vedere Dio, finché non avranno obbedito", e ancora: "La perfetta obbedienza è il metro della santità evangelica".

Sentiamo il bisogno, oggi, di non insistere tanto sull’aspetto ascetico della virtù quanto, invece su quello mistico e cristologico. Occorre fare il passaggio, cioè, dalla ascetica alla mistica dell’obbedienza. Non puntare tanto sulla libertà "rinunciata" (anche se la nostra libertà deve vivere la sua Pasqua e "perdersi" se vuole davvero "trovarsi") quanto invece sull’apprezzamento di una libertà "corroborata", cioè più matura, ampliata. E’ infatti frutto, questo, della irruzione dello Spirito di libertà che prende possesso del cuore credente, espandendovi uno spazio di forma di vita e di risurrezione.

L’osservanza o meno del voto di obbedienza non verrà dal confronto tra il superiore e il religioso chiamato ad obbedire, fra il progetto personale e l’ordine ricevuto, ma nella dialettica fra disegno di Dio e progetto dell’uomo, fra la Parola Dio da noi ascoltata e l’ascolto obbediente nostro. Più che un atteggiamento puntuale, si chiede uno stato d’animo permanente che ci innesta nel cuore di Cristo. "Sia fatta la tua volontà" dovrebbe costituire la sinfonia della nostra vita, facendoci anche noi figli del Padre, sull’esempio, del Signore Gesù.

Praticare l’obbedienza da religiosi, in ogni sua forma concreta, significa accogliere il progetto di Dio su di noi, vivendolo ogni giorno negli avvenimenti personali e nelle prospettive comunitarie.

L’obbedienza religiosa trova il suo fondamento nell’obbedienza di Gesù al Padre. In lui l’obbedienza non è una virtù, ma una condizione di dipendenza attiva e di disponibilità a realizzare la sua volontà salvifica e portare a termine la missione a favore degli uomini.

Gesù soffrendo ha imparato ad obbedire. Mi pare qui di comprendere che non c’è altra strada per i suoi discepoli. Facendo riferimento al caso specifico dei religiosi si comprende quindi che l’obbedienza non può essere vissuta come semplice adempimento di un ordine chiesto dal superiore, dalle comunità o da una istituzione.

È un rapporto vitale, legato ai voti, di totale docilità allo Spirito e di disponibilità piena alla volontà di Dio.

 

Specifica particolarità carismatica

Vediamo l’obbedienza soprattutto a confronto con l’impegno di costruire la comunione nel presbiterio diocesano.

L’obiettivo di fondo deve essere questo: essere costruttori di comunione per e fra i confratelli. E per la Congregazione FAM questo è una delle finalità prioritarie.

È un programma ed un impegno che ci tocca da vicino. Un compito da compiere da religiosi secondo il carisma proprio. Impegnarsi come presbiteri religiosi ad essere costruttori di comunione presbiterale, vivendo la fraternità e la comunione presbiterale, prendendosi a cuore i propri confratelli con i quali si condividono le scelte pastorali, realizzando quella comunione di vita presbiterale anche mediante piccoli gesti di carità e di condivisione.

Tutto questo perché contrassegnati da una specifica particolarità carismatica. Madre Speranza ce lo ricorda. Ma perché lo trascuriamo e ci dedichiamo a tante altre cose?: "Affinché il loro lavoro con i sacerdoti del clero diocesano sia fecondo, i Figli dell’Amore Misericordioso devono essere persuasi che tra le opere di carità da realizzare a beneficio dell’umanità la principale è per loro l’unione con i sacerdoti diocesani; e uniti ad essi come fratelli eserciteremo con entusiasmo e solo per amore del Signore tutte le altre opere" (El pan 14,5).

Spesso sentiamo ripetere l’inquietante domanda: I religiosi sono ancora profeti? È una domanda provocante certamente. Ma facciamola nostra: Quale tipo di profezia viene chiesta alla nostra Congregazione e come la viviamo?

Chiediamoci quale è il nostro carisma? Ci impegniamo in opere grandi, tanti progetti, tante iniziative clamorose, nella fede vogliamo spostare le montagne con le nostre opere ed iniziative.

Non comprendiamo, invece, che ci stiamo forse rendendo sordi alle vere necessità.

Siamo chiamati ad essere nella Chiesa sacramento dell’Amore Misericordioso, che è il programma messianico di Gesù. Con un’attenzione particolare:"Consapevoli che Cristo è il Sommo sacerdote misericordioso perché ha offerto se stesso a Dio per noi condividendo le nostre infermità, noi Figli dell’Amore Misericordioso vediamo nei sacerdoti i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini. Per questo motivo abbiamo una priorità ben chiara nella nostra missione:l’unione del clero secolare" (Cost., art. 18).

 

Amore obbediente alla Chiesa locale

Se il ministero ordinato è essenzialmente ecclesiale, è pur vero anche che è segnato anche dalla forma locale della Chiesa.

È propriamente la diocesanità che costituisce la spina dorsale della vita spirituale del presbitero. È una via di santificazione imperniata sulla carità pastorale, cioè sulla dedicazione alla Chiesa a partire dalla sua forma concreta, la Chiesa particolare .

Chiarito questo possiamo anche dire che le altre spiritualità potranno supportare e arricchire quella diocesana, ma non sostituirla: essa dovrà fare da perno per ogni altro elemento spirituale presente nel presbitero.

Ed è in questa linea che si innesta la presenza del presbitero religioso, e quindi dei FAM in genere e dei sacerdoti diocesani FAM nello specifico, nell’impegno per la comunione presbiterale. Un compito assai particolare, determinato e bello; quello di costruire all’interno del presbiterio diocesano la comunione. La Chiesa non è soltanto gerarchica ma anche carismatica. Pertanto non può non accogliere con gratitudine i doni che lo Spirito suscita al suo interno.

Madre Speranza, vedendo le tante difficoltà e i tanti rischi a cui va incontro il presbitero, giustamente si è innamorata di questa missione. Proprio perché le è stato chiesto dal Signore: "Ce ne sono tante Congregazioni…, ne mancava una che si dedicasse al mio amato clero".

In conformità all’esempio di Gesù obbediente alla volontà del Padre, siamo chiamati a verificarci con il nostro carisma. Il presbiterio diventa, allora, il luogo della nostra santificazione. Ce lo addita la Chiesa come necessaria nella sequela e nel nostro ministero; il presbiterio, luogo privilegiato nel quale dovremmo trovare i mezzi specifici di formazione, di santificazione e di evangelizzazione ed essere aiutati a superare i limiti e le debolezze che sono propri della natura umana. Per evitare di vivere il proprio sacerdozio in modo isolato e soggettivistico e cercare di favorire la comunione fraterna dando e ricevendo il calore della fraternità e dell’amicizia, dell’assistenza affettuosa e della correzione fraterna.

Non solo è un dono di grazia ma costituisce pure la nostra risposta di amore come imitazione e prolungamento della vita stessa di Cristo. Nell’obbedienza, come attuazione di amore. È questa obbedienza che ci qualifica soprattutto come "religiosi", perché è attraverso di essa che ci inserisce profondamente nel rapporto che esiste tra il Figlio e il Padre.

Madre Speranza ce lo ha insegnato: I preti sono la mia passione. Non dimentichiamoci come la Madre avverte l’orrore per le situazioni di peccato di tanti suoi ministri, e delle anime consacrate in genere. Continua e moltiplica la sua preghiera al buon Gesù per ottenere per tutti la sua Misericordia, fino a fare la sua offerta come vittima per il clero: "Il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far si che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero" (Diario, 18,3).

Nell’obbedienza a quanti il Signore ci pone accanto, superiori religiosi e vescovi diocesani, non smarriamo questo meraviglioso carisma; anzi una missione con più incidenza: l’eredità sacerdotale. E nei nostri fratelli presbiteri, fragili, stanchi, ammalati, anziani, coloro che vivono nella solitudine, vediamo per primo noi stessi, bisognosi di misericordia e ricchi del dono di grazia sacramentale ricevuto.

 

DON CIRO GALISE SDFAM di Pagani-Nocera Inferiore, ha svolto una riflessione sulla "Obbedienza nel Presbiterio diocesano"

Così Paolo VI parlava della virtù dell’obbedienza nella Chiesa: "È un tema compromesso, in primo luogo, dall’aura di libertà che soffia in tutta la mentalità moderna, contraria alle limitazioni e alle costrizioni della spontaneità e dell’autonomia della persona umana, e anche dei gruppi associati in confronto con un’autorità esteriore; e compromesso, in secondo luogo, dall’apologia della libertà, nei suoi vari aspetti di libertà personale, come esigenza della dignità umana (cfr.Gaudium et spes, n. 17), di libertà dei figli di Dio (cfr.Eccli. 15, 14-15), proclamata dal Vangelo (cfr.Gaudium et spes, n. 41), di libertà di conversione (cfr.Ad gentes, n. 13), di libertà della Chiesa (cfr. Dign. humanae, n. 13), di libertà nella Chiesa (cfr.Lumen Gentium, n. 37), di libertà religiosa nell’ambito degli ordinamenti civili (cfr.Dign. humanae) Come si fa a parlare di obbedienza dopo tutte queste affermazioni, tanto conformi allo spirito umano, alla maturità della psicologia contemporanea, allo sviluppo della società civile, alle insofferenze disciplinari delle nuove generazioni? Perfino il nome di «obbedienza» non è più tollerato nella conversazione moderna, anche là dove, per forza di cose, ne sopravvive la realtà: nella pedagogia, nella legislazione, nei rapporti gerarchici, nelle norme militari, e così via. (Paolo VI, Udienza generale del 16 ottobre 1968)

 

L’autorità a servizio della comunità, la comunità a servizio del Regno

In questo disegno s’inserisce la funzione dell’autorità. L’autorità è, dunque, al servizio della comunità, come il Signore Gesù che lavò i piedi ai suoi discepoli, perché, a sua volta, la comunità sia a servizio del Regno (cf. Gv.13,1-17). Soltanto se il superiore, da parte sua, vive nell’obbedienza a Cristo e in sincera osservanza della Regola, i membri della comunità possono comprendere che la loro obbedienza al superiore non solo non è contraria alla libertà dei figli di Dio, ma la fa maturare nella conformità a Cristo, obbediente al Padre (cf. Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, Il servizio dell’autorità e l’obbedienza,2008).

 

Per una spiritualità di comunione e per una santità comunitaria

La spiritualità di comunione si prospetta come il clima spirituale della Chiesa all’inizio del terzo millennio e dunque come compito attivo ed esemplare della vita consacrata a tutti i livelli. Essa trova il suo irrinunciabile riferimento nel mistero eucaristico, sempre più riconosciuto come centrale, proprio perché «l’Eucaristia è costitutiva dell’essere e dell’agire della Chiesa» e «si mostra alla radice della Chiesa come mistero di comunione».Ascoltare, infatti, significa accogliere incondizionatamente l’altro, dargli spazio nel proprio cuore. La creazione di un clima favorevole al dialogo, alla condivisione e alla corresponsabilità.

L’autorità si dovrà preoccupare di creare un ambiente di fiducia, promovendo il riconoscimento delle capacità e delle sensibilità dei singoli.

 

Il discernimento comunitario

Nella fraternità, animata dallo Spirito, ciascuno intrattiene con l’altro un prezioso dialogo per scoprire la volontà del Padre e tutti riconoscono in chi presiede l’espressione della paternità di Dio e l’esercizio dell’autorità ricevuta da Dio al servizio del discernimento e della comunione.

Se il discernimento vero e proprio è riservato alle decisioni più importanti, lo spirito del discernimento dovrebbe caratterizzare ogni processo decisionale che coinvolga la comunità. Ecco alcuni di questi atteggiamenti

– la determinazione a cercare niente altro che la volontà divina, lasciandosi ispirare dal modo di agire di Dio manifestato nella Sante Scritture e nella storia del carisma dell’Istituto, e avendo la consapevolezza che la logica evangelica è spesso "capovolta" di fronte a quella umana che cerca il successo, l’efficienza, il riconoscimento;

– la disponibilità a riconoscere in ogni fratello o sorella la capacità di cogliere la verità, anche se parziale, e perciò ad accoglierne il parere come mediazione per scoprire assieme il volere di Dio, fino al punto di saper riconoscere le idee altrui come migliori delle proprie;

– l’attenzione ai segni dei tempi, alle attese della gente, alle esigenze dei poveri, alle urgenze dell’evangelizzazione, alle priorità della Chiesa universale e particolare, alle indicazioni dei Capitoli e dei superiori maggiori;

– la libertà da pregiudizi, da attaccamenti eccessivi alle proprie idee, da schemi percettivi rigidi o distorti, da schieramenti che esasperano la diversità di vedute;

– il coraggio di motivare le proprie idee e posizioni, ma anche di aprirsi a prospettive nuove e di modificare il proprio punto di vista;

– il fermo proposito di mantenere l’unità in ogni caso, qualunque sia la decisione finale.

 

L’obbedienza fraterna per la comunione nel presbiterio diocesano.

San Benedetto, verso la fine della sua Regola, afferma: «La virtù dell’obbedienza non deve essere solo esercitata nei confronti dell’abate, ma bisogna anche che i fratelli si obbediscano tra di loro, nella piena consapevolezza che è proprio per questa via dell’obbedienza che andranno a Dio». «La vera fraternità, la comunione presbiterale si fonda sul riconoscimento della dignità del fratello, e si attua nell’attenzione all’altro e alle sue necessità, nella capacità di gioire per i suoi doni e le sue realizzazioni, nel mettere a sua disposizione il proprio tempo per ascoltare e lasciarsi illuminare. Ma ciò esige d’essere interiormente liberi.

 

La fraternità sacerdotale, dono di grazia per i sacerdoti

Nella vita del sacerdote vi è un tessuto ricchissimo di relazioni umane di ogni genere, all’interno della carità pastorale, sia di tipo discendente che di parità e, anche se notiamo la mancanza dell’esperienza coniugale, tuttavia la "solitudine" di celibe è ben abitata, come ricorda la Pastores dabo vobis, al n. 74: "Si tratta di una solitudine abitata dalla presenza del Signore, che si mette in contatto nella luce dello Spirito, con il Padre (…) anzi si può affermare che non è capace di vera fraternità chi non sa vivere bene la propria solitudine (…) ma si dà anche una solitudine che nasce da difficoltà varie e che, a sua volta, provoca ulteriori difficoltà".

 

La fraternità sacerdotale, testimonianza efficace per il popolo di Dio

Riflessi immediati della fraternità sacerdotale si hanno sul popolo cristiano perché il sacerdote, l’uomo della comunione con Dio, è anche l’uomo totalmente coinvolto nelle vicende del suo popolo, l’uomo per gli altri, l’uomo del servizio alla comunità, della dedizione pastorale alla comunità concreta. Ad essi porterà dunque la sua ricca esperienza di comunione e di condivisione, perché la fraternità produce fraternità.

Carissimi amici sacerdoti, la nostra vita e il nostro ministero diventeranno, di per se stessi, eloquente catechesi per l’intera comunità a noi affidata, se saranno radicati nella verità di Cristo. La fraternità sacerdotale è:

– dimostrazione che l’uomo è a immagine di Dio-Trinità e prova visibile dell’amore del Padre;

– riflesso nel mondo della carità di Cristo e dono dello Spirito che continua l’azione degli Apostoli;

– vocazione pienamente realizzata e esempio di comunione per tutta la chiesa;

– segno efficace di evangelizzazione e fonte di gioia dello stare insieme con i fratelli;

– seme di nuove vocazioni e entusiasmo e perseveranza nel cammino sacerdotale;

– fucina di iniziative pastorali e spinta continua alla generosità del dono di sé;

– attuazione visiva del Regno di Cristo e presenza profetica nel popolo di Dio.

Dobbiamo costringerci alla fraternità per comportarci in maniera degna della vocazione che abbiamo ricevuto.

"Vi esorto dunque io, il prigioniero del Signore, a comportarvi in maniera degna della vocazione che avete ricevuto, con ogni umiltà, mansuetudine e pazienza sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace.

Un solo corpo, un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vocazione, un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo"(Ef 4,1-6).

 

P. AURELIO PEREZ, Superiore Generale Fam, ha svolto un’ampia riflessione su "L’obbedienza di un consacrato, secondo la Chiesa, Madre Speranza e le Costituzioni".

Partiamo dalla Parola: "come per la disobbedienza di un solo uomo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l’obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti." (Roma 5, 19).

La disobbedienza del peccato è roba nostra, l’obbedienza della giustificazione appartiene a Cristo, è dono di grazia. Nell’obbedienza di Cristo noi siamo stati salvati. "Non serviam!" è il peccato di Lucifero che sancisce la sua ribellione a Dio. Il maligno cerca di estendere questo suo atteggiamento alla nostra condizione umana, spesso in modo molto seducente: fa appello alla nostra libertà di scegliere tra il bene e il male e al nostro desiderio di "essere come Dio". La disobbedienza a Dio viene presentata come una rivendicazione della dignità umana e del suo vero sviluppo, quasi che obbedire alla Parola del Signore ci rendesse schiavi. Gesù ci ha salvati "facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce" (Fil 2,8). Non è altra la sapienza della croce. Lo stesso Figlio di Dio non si è sottratto a questa scuola, anzi "imparò l’obbedienza dalle cose che patì" (Eb 5).

Madre Speranza aveva capito bene la lezione quando Gesù le diceva di voler unirla alle sofferenze della sua passione, "perché in essa hai molto da imparare" (Diario ...). L’obbedienza è un sacrificio? Senz’altro lo è, e a volte in modo estremamente duro. Ma è sacrificio nel senso che abbiamo sentito sottolineare da Don Tonino: "sacrum tacere", rendere sacro per il Signore qualcosa, in questo caso noi stessi: "Offrite voi stessi come sacrificio spirituale, santo e gradito a Dio.

Detto questo provo ad accennarvi tre punti di riflessione sul tema: Obbedienza secondo la Chiesa. La "promessa" fatta al Vescovo. Obbedienza nellesperienza e nell’insegnamento di Madre Speranza.

 

La "promessa" fatta al Vescovo

Pensando alla vostra realtà specifica di confratelli diocesani che condividete con noi religiosi interni i tre voti di obbedienza, castità e povertà, non possiamo dimenticare il punto da cui voi partite. Vorrei ricordare a tutti noi lo spirito di quella che chiamiamo promessa di obbedienza fatta al Vescovo il giorno della nostra Ordinazione presbiterale. Lo faccio servendomi delle parole di Mons. Mauro Piacenza, che commentava, nel 2009, quella domanda del Vescovo e la nostra relativa risposta:

«Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto ed obbedienza?»

«Si, lo prometto!» - abbiamo risposto.

 

Obbedienza nell’esperienza e nell’insegnamento di Madre Speranza

A riguardo del voto e della virtù dell’obbedienza troviamo molti riflessioni ed esortazioni negli scritti della Madre. E uso questi termini (riflessioni ed esortazioni) perché la Madre, da una parte vive una grande esperienza mistica di unione con il Signore, e questo lo riflette nel senso letterale della parola, e dall’altra le è connaturale il ruolo di Madre, per cui non si stanca di esortare, insistere, motivare i figli e le figlie ad acquistare i sentimenti di Gesù.

D’altra parta la Madre era una persona estremamente concreta che conosceva bene l’animo umano e anche le resistenze che l’obbedienza evangelica trova nella nostra natura. Essa è la principale virtù della vita religiosa, perché con la castità offriamo il corpo, con la povertà offriamo i beni, ma con l’obbedienza offriamo la nostra stessa volontà, cioè la facoltà che l’uomo più apprezza e utilizza.

 

Obbedienza secondo le nostre Costituzioni

Infine permettete solo qualche accenno al testo delle nostre Costituzioni:

La maggior parte degli articoli raccolgono lo spirito e spesso la lettera di quanto la Madre ci dice a proposito dell’obbedienza. Ma sottolineo qualche articolo che evidenzia anche la sensibilità attuale della Chiesa sul modo di vivere questo voto:

La fede mi insegna ad obbedire al mio superiore. Una delle difficoltà maggiori dell’obbedienza sta nel fatto che la volontà divina di solito ci si manifesta attraverso i legittimi Superiori, persone con i loro limiti e difetti .

"La fede mi insegna ad obbedire al mio Superiore non per la sua persona, non per le sue doti e le sue qualità, ma perché rappresenta per me Gesù stesso.

Con spirito di fede e di amore, ci impegniamo in una obbedienza attiva e responsabile, mettendo a disposizione del piano di Dio, tanto le energie della mente e della volontà quanto i doni di natura e di grazia, coscienti di offrire la nostra collaborazione alledificazione del corpo di Cristo.

"Non è contrario all’obbedienza manifestare con semplicità al Superiore le difficoltà che si possono incontrare nell’esecuzione di un comando, essendo, però, sempre disposti ad obbedire se il Superiore crede opportuno insistere".

 

Concludendo - ha detto P. Aurelio Pèrez - preghiamo spesso come Madre Speranza:

«Si compia, Dio mio, la tua divina volontà, per molto che mi faccia soffrire .

Si compia la tua volontà, per quanto io non la comprenda. Si compia la tua volontà, anche nel caso che io non la veda».

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ultimo aggiornamento 14 dicembre, 2017