pastorale familiare

Marina Berardi

Il dono di sé,

                oltre l’altro

Questa riflessione prende spunto da una domanda rivolta da poco ad una giovane pellegrina che vive la dolorosa ferita della separazione e il compito dell’educazione dei figli, divenuto ovviamente più impegnativo: "Quale aspetto valorizzeresti perché la vostra famiglia possa non solo continuare a vivere ma a crescere?". La sua risposta si è trasformata in titolo: il dono di sé.

Probabilmente in famiglia ci si incammina impercettibilmente verso l’allontanamento e la divisione proprio quando si perde di vista la categoria della gratuità e del dono, ma anche quando si esaspera la centralità dell’io a discapito di quel nome nuovo che il sacramento sancisce, il noi in Cristo.

Incontrai questa ragazza quando si presentò tenendo fra le mani e nel cuore un noi frantumato, che ha travolto e sconvolto anche la percezione della sua personale dignità, rimasta per molto tempo prigioniera delle macerie di quel fallimento, degli errori commessi e di segnali sottovalutati.

Grazie ad un cammino umano e spirituale, è arrivata l’intuizione giusta: ripartire dal dono di sé. Ora può continuare a donare se stessa, senza il bisogno di rifiutare un passato doloroso che, comunque, l’ha fatta maturare. Quelle macerie le appartenevano e, sia pur lentamente, è ripartita da questa consapevolezza e dalla certezza di essere amata da un Dio fedele alla sua alleanza e alla sua Parola: "Ti ho amato di amore eterno… Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata" (Ger 31,3.4). Davanti a tanto amore, la risposta di lei non poteva che essere di profonda gratitudine: "Signore, ti lodo perché mi hai fatto come un prodigio; sono stupende le tue opere, tu mi conosci fino in fondo" (Sl 138,14). L’abbandono nasce dal sapersi frutto di un dono, di un sì che viene da lontano, e dal riscoprirsi personalmente un dono: è condizione necessaria per poter tornare ad offrire ciò che si è e ciò che si ha, perché ognuno può dare solo ciò che, a sua volta, ha ricevuto.

Quando si perde la consapevolezza che tutto è dono, e soprattutto che chi ci è accanto è dono, si innescano pretese irrealistiche, false attese, colpevolizzazioni e recriminazioni sterili. Si creano distanze, ci si isola, si cercano surrogati dell’amore nel tentativo di riempire una insoddisfazione che si attribuisce all’altro o agli eventi della vita ma che, a guardarci bene, appartiene a noi.

Ci può aiutare una recente riflessione di Papa Francesco che, riferendosi al tradimento di Giuda, spiega: "Aveva iniziato già prima a separarsi dalla comunione con il Signore e con gli altri, a fare da solo, a isolarsi, ad attaccarsi al denaro fino a strumentalizzare i poveri, a perdere di vista l’orizzonte della gratuità e del dono di sé, fino a permettere al virus dell’orgoglio di infettargli la mente e il cuore trasformandolo da «amico» (Mt 26,50) in nemico e in «guida di quelli che arrestarono Gesù» (At 1,16). Giuda aveva ricevuto la grande grazia di far parte del gruppo degli intimi di Gesù e di partecipare al suo stesso ministero, ma ad un certo punto ha preteso di "salvare" da sé la propria vita con il risultato di perderla (cfr Lc 9,24). Ha smesso di appartenere col cuore a Gesù e si è posto al di fuori della comunione con Lui e con i suoi. Ha smesso di essere discepolo e si è posto al di sopra del Maestro" (12.6.2019).

Anche nel sacramento del matrimonio, la coppia riceve la grazia di essere una cosa sola in Gesù e di essere con-creatrice con Dio nel generare la vita, ma quando "si smette di appartenere col cuore a Gesù", di essere suoi discepoli, di vivere i sacramenti e la comunione con Lui, di fatto si finisce con lo staccarsi anche dalle persone più intime e persino da se stessi. Si perde il senso profondo dell’amore evangelico che è quello di donare la propria vita perché l’altro l’abbia in abbondanza, perché l’altro sia felice, direbbe M. Speranza.

Perdendo "di vista l’orizzonte della gratuità e del dono di sé", si permette "al virus dell’orgoglio" di infettare la nostra mente e il nostro cuore - ci ha detto Papa Francesco -, trasformando il coniuge da amico in nemico, da intimo in estraneo, da alleato in rivale, da aiuto in ostacolo. Anche nella coppia, nella famiglia può accadere di svendere l’amore per molto meno di trenta denari, assoggettati "all’instabilità dell’egoismo che espone sempre l’amare al banale capriccio dell’istante" (D. Pagliacci) e al miraggio del proprio tornaconto, del proprio piacere. Il Siracide saggiamente si chiede: "Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? [...] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso" (Sir 14,5-6).

Questa ragazza sta tentando di imparare ad amarsi davvero, nel senso evangelico del termine, facendosi dono per i suoi figli e per quanti incontra sul suo cammino. Chi ama non pretende di possedere, ma permette all’altro di scoprire il bene che ha in sé, anche al di là della sua capacità di riconoscerlo. Chi ama davvero, pur tra le lacrime, sa lasciare andare, anche quando la scelta dell’altro ha il sapore della schiavitù dell’egoismo e delle proprie passioni.

Mi colpiva una Parola che la liturgia ci ha offerto in questi giorni, in cui si parla della relazione tra Abram e Lot (Gen 13,2.5-18), messi davanti alla scelta di separarsi. Abram lascia che sia Lot a decidere quale terra abitare e questi opta per quella che solo apparentemente è migliore, più fertile. È a questo punto che "ad Abram si rivela la gratuità di Dio, un Dio che sa fecondare i deserti dell’uomo, sa aprire gli orizzonti della sua vita, sa riempire l’esistenza di una pienezza che non ha fine" (Fr. A. Piovano, Messa e preghiera quotidiana, 25 giugno 2019, EDB).

Mi piace pensare che la ragazza venuta pellegrina al Santuario si stia aprendo a Dio che si rivela nella sua vita, a un Dio che non l’ha lasciata sola nel deserto, a un Dio "ricco di misericordia" che desidera condurla alla pienezza del dono di sé, "costi quello che costi", chioserebbe Madre Speranza.

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ultimo aggiornamento 09 luglio, 2019