Attualità

Salvatore Mazza

Salvatore Mazza

Amore e perdono

Ama il tuo nemico (cambierai il mondo)

Se c’è una cosa davvero dura da mandare giù, va detto, è quel “Amate i vostri nemici” a cui Gesù invita i suoi discepoli. Perché va bene l’amore, ma a tutto c’è un limite. E amare il nemico è quasi contro natura. Non capiamo come sia possibile per noi, e neppure come sia possibile per Dio amare me che sono buono e quell’altro che è cattivo.  Del mistero dell’amore di Dio verso l’uomo Papa Francesco è tornato a parlare nell’udienza generale di una settimana fa, soffermandosi proprio sul fatto che si tratta di un amore che non è «solo sentimentale, ma compassionevole e concreto» e che si rivolge a tutti, anche a coloro che non cercano Dio o che si possono classificare come “cattivi”.

Sono «quelli che apparentemente non cercano Dio, ma Gesù ci fa pregare  anche per loro, perché Dio cerca queste persone più di tutti… Gesù non è venuto per i sani, ma per i malati e i peccatori, cioè per tutti, perché chi pensa di essere sano, in realtà non lo è. Se lavoriamo per la giustizia, non sentiamoci migliori degli altri: il Padre fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i cattivi. Ama tutti il Padre». E, «alla sera della vita», sarà proprio l’amore il suo metro di giudizio. Per questo allora bisogna «imparare sempre meglio a pregare come Gesù ci ha insegnato », a iniziare proprio dal pregare non per chi ci sta simpatico ma per i nemici, per chi ci odia, per i cattivi. Entrando nel mistero del suo amore tanto infinito che neppure arriviamo a capire, e fidandosi di lui, perché quello e solo quello è l’amore capace di cambiare tutte le cose.

«Perché Gesù chiede di amare i propri nemici, cioè un amore che eccede le capacità umane? In realtà – spiegava nel 2007 Benedetto XVI – la proposta di Cristo è realistica, perché tiene conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio: è la sua misericordia, che si è fatta carne in Gesù e che sola può “sbilanciare” il mondo dal male verso il bene, a partire da quel piccolo e decisivo “mondo” che è il cuore dell’uomo».

Questa pagina del Vangelo, aggiungeva Ratzinger, «giustamente viene considerata la magna charta della nonviolenza cristiana, che non consiste nell’arrendersi al male – secondo una falsa interpretazione del “porgere l’altra guancia” – ma nel rispondere al male con il bene, spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia ». Solo così allora «si comprende che la nonviolenza per i cristiani non è un mero comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità». E dunque «l’amore del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”, una rivoluzione non basata su strategie di potere economico, politico o mediatico». La rivoluzione dell’amore, «un amore che non poggia in definitiva sulle risorse umane, ma è dono di Dio che si ottiene confidando unicamente e senza riserve sulla sua bontà misericordiosa». Ecco la novità del Vangelo, «che cambia il mondo senza far rumore. Ecco l’eroismo dei “piccoli”, che credono nell’amore di Dio e lo diffondono anche a costo della vita».

Per questo Francesco ancora e ancora, senza sosta, ci ricorda che Gesù ci fa pregare anche per i cattivi, i nemici. Perché Dio cerca queste persone più di tutti. E perché solo così si può davvero cambiare il mondo. (23 febbraio 2019)

 

Amare più del dovuto è la forza del perdono

Che la giustizia – parliamo di quella umana – abbia i suoi limiti non è una scoperta di oggi. A prescindere infatti dalle manipolazioni e dalle vere e proprie iniquità delle quali il legiferare è succube nei regimi fortemente ideologizzati, il paradosso di una giustizia strutturalmente incapace di essere davvero giusta è una nozione conosciuta da sempre. Una realtà che già gli antichi romani riassumevano nel proverbio Summum ius, summa iniuria, che appunto fa coincidere il massimo della giustizia con il massimo dell’ingiustizia, a significare che – secondo la definizione della Treccani – l’uso rigoroso e indiscriminato di un diritto o l’applicazione rigida di una norma possono diventare un’ingiustizia.

È qualcosa di cui sarebbe bene che tutti fossimo sempre consapevoli, così da non avere sorprese. Perché, come ha ricordato qualche giorno fa papa Francesco, «nella vita non tutto si risolve con la giustizia». Anzi, «soprattutto laddove si deve mettere un argine al male qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero». Parlava del Padre Nostro, Bergoglio, e rifletteva sull’espressione «come noi li rimettiamo ai nostri debitori» che segue l’invocazione «Rimetti a noi i nostri debiti»: «Non esistono nella Chiesa self made man, uomini che si sono fatti da soli. Siamo tutti debitori verso Dio e verso tante persone che ci hanno regalato condizioni di vita favorevoli». E poi, «per quanto ci impegniamo a vivere secondo gli insegnamenti cristiani, nella nostra vita ci sarà sempre qualcosa di cui chiedere perdono: pensiamo ai giorni trascorsi pigramente, ai momenti in cui il rancore ha occupato il nostro cuore, e così via...».

Eppure quante volte ci diciamo incapaci di perdonare, o non disposti a farlo? Qui si entra in una spirale, perché « se tu non perdoni Dio non ti perdonerà ». Per cui, «pensiamo se siamo capaci di perdonare: “Padre, io non ce la faccio perché quella gente mi ha fatto tanto male”, ma se tu non ce la fai chiedi al Signore che ti dia la forza di perdonare». È la forza del messaggio di Gesù: «Amore chiama amore, perdono chiama perdono... perché se non ti sforzi di perdonare, non verrai perdonato; se non ti sforzi di amare, nemmeno verrai amato». Gesù infatti «inserisce nei rapporti umani la forza del perdono. Nella vita non tutto si risolve con la giustizia. Soprattutto laddove si deve mettere un argine al male, qualcuno deve amare oltre il dovuto, per ricominciare una storia di grazia. Il male conosce le sue vendette, e se non lo si interrompe rischia di dilagare soffocando il mondo intero».

«Alla legge del taglione, quello che tu hai fatto a me, io lo restituisco a te – ha detto ancora il Papa – Gesù sostituisce la legge dell’amore: quello che Dio ha fatto a me, io lo restituisco a te!». Nel tempo che segue la Pasqua, Francesco spinge ciascuno a pensare «oggi se io sono capace di perdonare, e se non mi sento capace chiedo al Signore che mi dia la grazia di perdonare. Dio dona a ogni cristiano la grazia di scrivere una storia di bene nella vita dei suoi fratelli, specialmente di quelli che hanno compiuto qualcosa di spiacevole e di sbagliato. Con una parola, un abbraccio, un sorriso, possiamo trasmettere agli altri ciò che abbiamo ricevuto di più prezioso: il perdono». E colmare così i vuoti e i limiti di una giustizia umana che non potrà mai essere perfetta. (4 maggio 2019)

 

Il perdono apre una strada nuova

Capita spesso di puntare il dito. Purtroppo è una di quelle tentazioni alle quali è quasi impossibile resistere. Si tranciano giudizi, si condanna – quasi sempre senza appello, ovviamente, perché quelli personali sono i tribunali meno garantisti – si sparla. Si è sempre pronti a misurare gli altri sul nostro metro – ma guai se gli altri ci misurano sul loro – e spesso o quasi sempre tale atteggiamento viene giustificato con la prescrizione della legge, anche a scapito dell’umanità. Ma non è questo che Gesù ci ha insegnato, ha detto qualche giorno fa Papa Fancesco, ricordando l’episodio narrato dal Vangelo della donna adultera e la «malvagità» di scribi e farisei che volevano lapidarla «secondo la legge».

Quello che Gesù invece ci mostra in questo episodio è come si debba uscire da ogni «prospettiva di giudizio e condanna». Che poi è la stessa di tanti cristiani di oggi: da «Quando noi sparliamo degli altri, buttiamo delle pietre, siamo come questi» che, «chiusi nelle strettoie del legalismo» si sentivano «tutori della Legge e della sua fedele applicazione». Al contrario di Gesù, che invece «impersona la misericordia di Dio che perdonando redime e riconciliando rinnova». Egli «non è venuto nel mondo per giudicare e condannare, bensì per salvare e offrire alle persone una vita nuova». Del resto, chi può dirsi senza peccato, e chi dunque potrebbe gettare la prima pietra? È con questa semplice, disarmante domanda che Gesù «fa appello alla coscienza di quegli uomini: loro si sentivano “paladini della giustizia”, ma Lui li richiama alla consapevolezza della loro condizione di uomini peccatori, per la quale non possono arrogarsi il diritto di vita o di morte su un loro simile».

“Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Queste parole – ha spiegato una volta Benedetto XVI commentando lo stesso brano evangelico, e citando Sant’Agostino – sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto. È la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo».

In tal modo il Vangelo, ha detto ancora Bergoglio, «invita anche ciascuno di noi a prendere coscienza che siamo peccatori, e a lasciar cadere dalle nostre mani le pietre della denigrazione e della condanna, del chiacchiericcio, che a volte vorremmo scagliare contro gli altri».

E quando infine congeda la donna con le «parole stupende: “Va’ e d’ora in poi non peccare più”, apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più».

Si tratta di «un invito che vale per ognuno di noi», ha affermato Papa Francesco, «Gesù quando ci perdona ci apre sempre una strada nuova per andare avanti. In questo tempo siamo chiamati a riconoscerci peccatori e a chiedere perdono a Dio. E il perdono, a sua volta, mentre ci riconcilia e ci dona la pace, ci fa ricominciare una storia rinnovata. Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella, una vita libera dal peccato, una vita generosa». In questo modo Gesù «ci apre la porta a una vita nuova», e per tale motivo non dobbiamo mai avere paura, non dobbiamo mai stancarci di «chiedere perdono ». Perché Dio, il Papa ce lo ripete fin dal primo giorno del suo pontificato, di sicuro non si stanca mai di perdonare i suoi figli. (13 aprile 2019)

 

Gioia e perseveranza nei momenti di prova

Il cristianesimo è gioia. Papa Francesco, così come i suoi predecessori, ha sempre molto insistito su questo concetto, tanto da arrivare a dire che «un cristiano senza gioia o non è cristiano o è ammalato». Questo però non vuole dire che per essere un bravo cristiano sia necessario o doveroso mostrarsi con il sorriso perennemente stampato sul viso; come in tutte le cose umane, anche riguardo a questo tema bisogna avere i piedi per terra, consapevoli che «la vita cristiana – ha detto qualche giorno fa durante la Messa mattutina a Santa Marta – non è un carnevale, non è festa e gioia continua». E quindi, oltre ai momenti belli, vanno messi in conto anche i momenti brutti, i momenti “bui”, di “distacco” dell’anima. L’importante, in quei casi, è non cedere alla «desolazione», non «lasciarsi cadere», ma essere «perseveranti» e ricordare «i giorni felici dell’incontro con il Signore».

Nella Lettera agli Ebrei, ha osservato il Papa, l’autore si rivolge ai «cristiani che stanno passando un momento buio», una fase di persecuzione interna ed esterna. Un’esperienza che tutti abbiamo fatto, perché la vita cristiana è così: «Ha dei momenti bellissimi e dei momenti brutti, dei momenti di tepore, di distacco, dove tutto non ha senso... il momento della desolazione. E in questo momento, sia per le persecuzioni interne sia per lo stato interiore dell’anima, l’autore della Lettera agli Ebrei dice: “Avete solo bisogno di perseveranza”. Sì. Ma perseveranza, perché? “Perché fatta la volontà di Dio, otteniate ciò che vi è stato promesso”. Perseveranza per arrivare alla promessa». Ed è quando «le cose sembrano perdere senso», che allora «i cristiani devono perseverare per arrivare alla promessa del Signore », senza «andare indietro». Memoria e speranza sono le cose che servono per superare la desolazione e lo sconforto. Memoria dei momenti belli di quando si è incontrato il Signore, «il tempo dell’amore»; speranza per quanto ci è stato promesso. Così si fa «resistenza nei momenti brutti», «una resistenza della memoria e della speranza, una resistenza con il cuore: il cuore, quando pensa ai momenti belli, respira, quando guarda alla speranza, può respirare, pure. Quella è la cosa che noi dobbiamo fare nei momenti di desolazione, per trovare la prima consolazione e la consolazione promessa dal Signore».

Anche oggi, ha osservato ancora Papa Bergoglio, «tanti, tanti uomini e donne che stanno soffrendo per la fede ma ricordano il primo incontro con Gesù, hanno speranza e vanno avanti. Questo è un consiglio che dà l’autore della Lettera agli Ebrei per i momenti anche di persecuzione, quando i cristiani sono perseguitati, attaccati: “Abbiate perseveranza”». E «anche quando il diavolo ci attacca con le tentazioni, con le nostre miserie», bisogna «sempre guardare il Signore» e avere «la perseveranza della Croce ricordando i primi momenti belli dell’amore, dell’incontro con il Signore e la speranza che ci spetta». E nemmeno dobbiamo mai vergognarci di questa nostra “umanità”.

«Nel Cenacolo – disse nel 2006 Papa Benedetto – gli Apostoli non sapevano che cosa li attendeva. Intimoriti, erano preoccupati per il proprio futuro. Continuavano ancora a sperimentare lo stupore provocato dalla morte e risurrezione di Gesù ed erano angosciati per essere restati soli dopo la sua ascensione al cielo. Maria, assidua insieme agli Apostoli nella preghiera, insegnava la perseveranza nella fede. Con tutto il suo atteggiamento li convinceva... che si poteva porre la propria fiducia in Dio, donando senza riserve a Lui se stessi, i propri talenti, i propri limiti e il proprio futuro». Anche noi dobbiamo sapere che non siamo mai soli. (Avvenire, 9 febbraio 2019)

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realizzazione webmaster@collevalenza.itultimo aggiornamento 10 luglio, 2019