pastorale familiare

Marina Berardi

 

Vi facciamo partecipi della gioia e dell’eco della 23ª edizione del Capodanno in famiglia. Oltre un centinaio i partecipanti giunti a Collevalenza da varie parti d’Italia e pronti a mettere in comune doni e fardelli, uniti dal desiderio di volare alto, come promesso dallo slogan scelto per questo 2018.

Alcuni, alla prima esperienza di un capodanno alternativo, hanno mostrato stupore per il fatto che nonostante l’elevato numero ci si sentisse accolti in modo personale. In questo clima di famiglia qualcuno al rientro ha scritto: "Siamo appena arrivati a casa e già sentiamo la nostalgia di Collevalenza. Ancora grazie mille per tutto. É stato un capodanno indimenticabile", Filippo e Dienira, David.

Paolo e Laura, ci hanno aiutato a riflettere sull’arte di amare e sull’educativo prendendo spunto l’uno dalla concretezza di quella terra che lavora e cura ogni giorno e l’altra dalla metafora della mongolfiera che richiama la meta alta di un amore che passa per scelte e atteggiamenti quotidiani. La vita e gli scritti di Madre Speranza ci hanno poi indicato le coordinate di una santità incarnata che ancora oggi in tanti scelgono di seguire, come ci hanno ricordato attraverso le testimonianze alcuni membri della Famiglia carismatica dell’Amore Misericordioso: Tommaso e Bruna, dei Laici; Sr. Pilar, un’Ancella; Fr. Marcos, un Figlio. In tutto questo abbiamo rafforzato la certezza che prendere quota… insieme si può!

Ce lo hanno ricordato e testimoniato anche Francesca e Alessandro che hanno preso parte all’evento con tre dei loro quattro figli, perché una delle gemelle è stata con i nonni a causa dell’influenza. Ricordo che il giorno di Natale, fra i tanti e graditi messaggi di auguri, ne è arrivato uno che diceva: "Passare il Capodanno da voi sarebbe un sogno, un investimento per la nostra serenità e unità familiare"! L’ultimo giorno, durante il momento delle risonanze, partendo da un discorso già aperto a tavola, Francesca ci ha resi partecipi della loro esperienza di famiglia. Questo uno stralcio del suo intervento.

"Penso che non è il solo essere e dirsi cristiani che può salvare. Essere cristiani, conoscere la religione ti può dare uno spunto in più, ma non ti salva automaticamente.

A partire dalla mia esperienza, direi che ciò che salva è essere cristiani ed avere fede. Essere cristiani ed avere fede sono due cose diverse che, se tenute insieme, trasformano il senso della vita e del dolore. Io posso dire di aver avuto fede quando non ero cristiana, quando non avevo battezzato la figlia più grande, quando ero agnostica. Eravamo, infatti, in attesa di due gemelline, quando ci dissero che una di loro era un caso impossibile, tanto da prevederne la morte nel mio grembo di lì a tre settimane.

In quel momento, ho avuto accanto mio marito che è stato una grande spalla. Ricordo che mi disse: ‘Se Dio ci ha dato questa bimba e ce l’ha data così qualcosa vorrà dire; potrebbe anche sopravvivere e magari dobbiamo essere genitori di questa bambina per ciò che lei è’.

Mi sento di dire che, in quel caso, pur non essendo praticanti, pur non avendo un credo, abbiamo avuto fede. Avere fede significa avere fiducia. Ci siamo detti che se Dio c’era e ci aveva messo in quella inaspettata condizione ci doveva essere un motivo che noi dovevamo imparare a scoprire. Abbiamo compreso che l’unico modo per farlo era vivere la situazione in tutta la sua durezza. È stato un salto nel buio, nel vuoto, ma abbiamo capito che dovevamo e, soprattutto, volevamo fidarci. Se ci si fida, ci si fida senza ma ed è allora che si trova la forza di buttarsi e di amare.

È così che la nostra fede si è abbinata alla speranza, alla speranza di farcela ma non da soli. Ripensando alle capacità e alle conoscenze di quel momento, dobbiamo riconoscere che non c’erano ma Dio ci ha messo accanto tante persone che, giorno per giorno, lungo il percorso, ci hanno insegnato tutto quello che ci serviva. Abbiamo capito che, comunque, per qualsiasi figlio si impara ad essere genitori di quel figlio e lo si impara insieme a lui. Non si nasce genitori ma lo si diventa, un giorno per volta, crescendo insieme a quel figlio. Noi ne abbiamo quattro ma non ce n’è uno che si assomiglia, non ce n’è uno uguale a un altro, ognuno ha le sue esigenze, le sue capacità o i suoi problemi e sono tutti e quattro tanto differenti.

Per esempio, la gemella con handicap e il maschietto ultimo nato, entrambi con disabilità ed inquadrati nello spettro autistico, sono ai due punti opposti. Una è sorda mentre l’altro ha un udito ipersensibile, tanto che gli dà noia ogni rumore. A lei dà fastidio essere toccata perché ha un tatto ipersensibile mentre lui ha bisogno costantemente di contatto fisico e di stimoli tattici, cosicché fanno terapia singolarmente perché hanno esigenze totalmente diverse.

Avendo cresciuto la gemella con handicap, una bimba grave e difficile da tirar su, eravamo convinti di conoscere la disabilità ed invece ci siamo accorti che non era vero niente. Abbiamo scoperto l’autismo del maschietto a 18 mesi dalla sua nascita e fino ad allora avevamo creduto di crescere un bimbo normale.

Proprio in quel periodo tanto brutto per la nostra famiglia, decidemmo di tornare a Collevalenza per la seconda volta. In quel momento ero incredibilmente arrabbiata con Dio, era un momento di grossa crisi personale, familiare e di fede. In fondo, eravamo stati bravi ad accogliere già una bimba con difficoltà e ora Dio ci puniva mandandoci un altro figlio con una grave disabilità che, tra l’altro, sembrava sano e poi non lo era. Personalmente avevo chiesto a Dio un aiuto, un premio e invece così non è stato. Fu allora che dissi a Dio: ‘Basta, mi hai stancato! Quando la smetti di chiedermi cose difficili?’.

Poi, ascoltando una testimonianza, anche io mi sono soffermata a guardare la parola che è scritta sul cuore dell’Amore Misericordioso: charitas! Dopo aver compreso che nel mio c’era solo tanta rabbia, mi chiesi cosa il Signore avrebbe voluto scriverci, anche attraverso l’esperienza che mi stava chiedendo di vivere. Pensai che nel mio cuore dovessi scrivere: pazienza e amore incondizionato. Sì, incondizionato, perché i figli, il coniuge o le persone che incontriamo non dobbiamo amarli a patto che facciano ciò che vogliamo noi o che siano come li desideriamo, ma per ciò che sono, così come li ama Dio. ‘Ti amo perché sei te e non perché sei come io ti voglio!’. Questo richiede tanta pazienza e tanta apertura mentale, tanto amore, tanto tanto amore. Non è semplice, è un lavoro che si fa tutti i giorni e non è perché uno trova la fede che è salvo o esente dalla fatica. Tutti i giorni ci si arrabbia, tutti i giorni si offende il coniuge, tutti i giorni si dicono parole sbagliate e, allora poi, tutti i giorni ci si chiede scusa, tutti i giorni ci si riconcilia, tutti i giorni si cambia e si cresce, fino all’ultimo giorno.

Con il maschietto, di fatto, abbiamo capito che della disabilità non sapevamo nulla, abbiamo dovuto imparare tutto da capo: ogni bambino è singolo, ogni problema ha le sue caratteristiche. Ogni volta che nasce un figlio si riparte dall’inizio, non c’è una situazione uguale a un’altra.

Questo è vero anche in altri ambiti della vita. Per esempio, facendo la catechista, ogni volta che mi è affidata una nuova classe, anche lì bisogna iniziare da capo, con un approccio personalizzato su quei bambini. Bisogna avere una elasticità mentale e capacità di adattamento veramente notevoli, bisogna buttarsi e lavorare sempre".

Al loro rientro a casa, Francesca ed Alessandro hanno desiderato immortalare con una foto il luogo in cui hanno affisso con creatività il simbolo di questo Capodanno: le mongolfiere realizzate da bimbi e ragazzi.
A quanto pare, sia pure con qualche difficoltà, stanno comunque provando a fare i compiti a casa: cercare il dialogo, scriversi una lettera, prendersi del tempo, mettendo in conto l’inevitabile fatica, sapendo che ciò che vale non è mai a costo zero. Francesca, eppure, sembra stupirsi che Dio operi proprio dentro le loro umane difficoltà: "Trovo incredibile che gli altri ci guardino come un esempio e che addirittura la nostra figlia primogenita abbia detto ai suoi coetanei e davanti a tutti che ci ammira; evidentemente l’impegno che ci mettiamo per superare le contraddizioni e per stare insieme nonostante i nostri caratteri così diversi, da ugualmente dei frutti. In fondo, come ci è stato ricordato nelle testimonianze, non dobbiamo pretendere subito un effetto immediato alle nostre preghiere perché i tempi nostri non sono quelli di Dio ed ognuno ha il proprio tempo di maturazione".

D’altronde, chi di noi nella vita non ha fatto esperienza di fatica, solitudine, rabbia e incomprensione? Chi non ha mai sofferto a causa di relazioni ferite, del limite personale e altrui? Chi non ha sognato che i propri pensieri e progetti coincidessero con quelli di Dio?

Nella condivisione abbiamo imparato, che far cordata, oltre ad aiutare a sostenersi ed edificarsi reciprocamente, apre il cuore alla riconoscenza, come ha espresso Johnny fin da subito: "Ringrazio il Signore che mi ha dato la possibilità di essere qui con voi, lo ringrazio di avermi fatto conoscere tante persone che per me sono dei piccoli tesori, ne ho conosciute diverse e da ognuno prendo qualcosa per poter migliorare anch’io. Mi rendo conto che ho molto da camminare e da imparare. Posso dire solo grazie per le tante testimonianze di vita perché per me sono dei tesori che porto a casa e che custodisco nel mio cuore per imparare sempre, in ogni circostanza".

L’essere insieme ci fa riscoprire la gioia di essere cristiani e di vivere la fede, così come lo ha ben espresso Ivana: "È stata una grazia vivere quei giorni insieme, conoscere nuove persone, nuovi fratelli. Crescere nella fede è importante e ogni occasione è buona per farlo. E’ sempre un seme che smuove la nostra terra interiore e ci fa crescere... Spero di ripetere più e più volte questa bella esperienza di famiglia! Per me e Giulio venire a Collevalenza è come stare a casa. Quel clima ci riempie sempre il cuore e lo spirito. Grazie veramente tanto!".

Nel concludere, siamo noi a ringraziare i numerosi bambini e ragazzi che, animati con passione dalle Ancelle dell’Amore Misericordioso, hanno fatto la differenza con la loro presenza. Quanta gioia e colori nel momento conclusivo della Festa della Speranza, sprone per tutti a puntare alla meta alta dell’amore.

Il grazie va ad ognuno dei partecipanti, così come a tutti coloro che hanno offerto le loro preghiere e magari anche il sacrificio di non poterci essere. L’Amore Misericordioso non si lascerà certo vincere in generosità, riscaldando con il suo amore la mongolfiera della nostra vita perché continui davvero a volare alto con il vento dello Spirito!

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ultimo aggiornamento 10 febbraio, 2018