ROBERTO LANZA

 

“Dal Rimorso alla Riconciliazione:

il Cammino della Confessione”

"Care figlie, una di voi mi chiedeva: «Madre, che cos’è il sacramento della penitenza? Che sarebbe dell’uomo senza la confessione sacramentale? (Madre Speranza di Gesù)

Lo scopo di questa "meditazione giubilare" non sarà quello di presentare una, più o meno, dettagliata analisi storico-liturgica di tutti gli elementi che costituiscono, in un’unità inscindibile, la realtà del IV° Sacramento. Vorrei concentrarmi soltanto sull’aspetto prettamente ed esclusivamente carismatico, ossia di come lo "descrive" la Madre Speranza. Oggi, uno degli atteggiamenti più graditi a Dio è la fiducia nella sua misericordia; tuttavia, esistono diversi modi in cui si può venire meno a questo aspetto. Uno dei più comuni, purtroppo, è non riconoscere più l’esistenza del peccato, spesso giustificato con l’idea che il senso del peccato sia andato perso nel nostro tempo. Non ritengo che questa sia una valutazione corretta, perché il problema non risiede tanto nel peccato o nella percezione del peccato, quanto piuttosto nella nostra relazione con Dio. Il motivo per cui oggi non si avverte più il senso del peccato è che si è smarrito il rapporto di amicizia con Dio, perdendo così il "piacere" e la gioia della comunione con Lui.

Il senso del peccato è spesso carente perché manca l’esperienza di Dio e la consapevolezza del suo immenso amore. La tradizione spirituale ci ricorda che i santi, avvicinandosi a Dio, si riconoscono peccatori. Questo non è contraddittorio: più si avvicinano a Dio, più sentono la propria inadeguatezza nel rispondere al suo amore. Non si tratta di ipocrisia, ma di una profonda consapevolezza della propria natura limitata, incapace di rispondere adeguatamente all’amore divino. Questa percezione di essere peccatori nasce non da singoli peccati, ma dal riconoscimento di questa inadeguatezza. Può succedere, infatti, che quando non si riconosce di essere peccatori, si perda il bisogno del Salvatore, proprio come chi non si ritiene malato non cerca il medico. Questo atteggiamento chiude "automaticamente" la porta alla misericordia di Gesù, che è venuto per i peccatori, non per chi si crede giusto. Un’altra mancanza verso la misericordia di Dio è non crederci pienamente; molti cristiani sanno della misericordia di Dio a livello teorico, ma questa conoscenza non caratterizza la loro vita quotidiana perché spesso ci si concentra sui propri peccati con orgoglio, più che con vero dolore per aver offeso Dio, cadendo nello scoraggiamento, dimostrando così che ci si affida più a sé stessi che alla misericordia infinita di Gesù e alla sua grazia.

Non possiamo, quindi, iniziare il nostro percorso di riflessione sul sacramento della Confessione senza prima fermarci un attimo nel riprendere in mano la consapevolezza di cosa sia il peccato e soprattutto quali conseguenze provoca nella nostra vita.

 

Ma più in profondità cosa è il peccato?

Il Catechismo della Chiesa Cattolica al numero 1850 dice che il peccato è un’offesa a Dio: "Contro di te, contro te solo ho peccato. Quello che è male ai tuoi occhi, io l’ho fatto".1 Come la prima "offesa", il peccato è una disobbedienza, una ribellione contro Dio, a causa della volontà di diventare "come Dio", conoscendo e determinando il bene e il male. Ancora oggi alcune persone pensano che la parola "peccato", sia stata introdotta dalla Chiesa, per non rimanere disoccupata. 

Ma il peccato e la colpa sono esistiti prima ancora che si pensasse ai pastori ed alle Chiese. Non amare Dio con tutto il cuore ed il nostro prossimo come noi stessi, questo è peccato, il peccato, non è trasgredire a delle norme morali o etiche scritte in un "codice", ma è la rottura di una relazione con Dio, ossia il non credere all’amore di Dio, il vivere separati da Dio. Di fronte al Sacramento della Penitenza rischiamo seriamente, anche noi, di porci proprio in questa mentalità dove la celebrazione del sacramento è semplicemente un rito da fare ogni tanto e di non considerarsi parte attiva in questo percorso sacramentale. Spesso si ha l’impressione, che venga vissuto più come un gesto in cui si scarica il fardello dei propri peccati per continuare poi a vivere come prima, fino a una nuova occasione in cui scaricare il nuovo "peso". Non si tratta di un atteggiamento colpevole o intenzionalmente negativo, ma piuttosto di una tendenza a liberarsi di qualcosa per poter proseguire normalmente, quasi come un alleggerimento della coscienza. Troppo spesso però dimentichiamo che chi si avvicina al sacramento della riconciliazione è un uomo ferito, e il confessore dovrebbe aiutarlo a trovare la verità dentro di sé, quella verità che rinnova l’amore di Dio attraverso il ministero sacerdotale.

Dobbiamo, allora, veramente sottolineare e rivalorizzare il cammino che porta alla celebrazione del sacramento che è importante quanto la celebrazione stessa, perché già nel cammino preparatorio è il Signore che opera. Non si tratta di dire: "domani devo confessarmi", allora vediamo un pò, oggi mi preparo. Quella è la preparazione rituale che non può dire nulla alla vita, è il preparare il discorsetto da fare, è un pò come preparare gli addobbi, è un discorso formale che non mi tocca; si può, infatti, ripetere un rito centinaia di volte senza averlo mai vissuto. La preparazione, il cammino, è fondamentale, perché è il momento in cui io davvero mi accorgo del mio desiderio di aderire al Signore, ma non ci riesco perché nonostante tutto il peso della carne, l’inclinazione al male, mi impedisce di aderire al Signore con tutte le mie forze e me ne dispiace. Il punto fondamentale è qui: "me ne dispiace", questo vuol dire convertirsi!

 

È questo il punto centrale!

Il peccato più grave che spesso commettiamo è che Dio rimane una presenza superficiale nella nostra vita. Ma questo ci dispiace veramente? Se sì, dovremmo desiderare il contrario, e chiederci: «Ci importa davvero vivere come piace al Signore?». Spesso, però, ci troviamo a confessare peccati che in realtà non vogliamo davvero abbandonare. Accettiamo come normale e conveniente ciò che ci fa comodo, senza un vero pentimento o dolore per i nostri errori. Confessiamo perché ci è stato insegnato che certe azioni sono peccati, ma senza un autentico coinvolgimento.

È come un bambino al catechismo che dice ciò che la maestra vuole sentire, senza davvero crederci, può anche ricevere un premio, ma ciò non significa che sia veramente convinto di ciò che dice. Questo vale anche per noi grandi. Io ho l’impressione, e parlo per me, che molte volte la risoluzione di cambiare vita non ci sia; ossia se devo essere sincero e guardarmi dentro e rispondere alla domanda: "Ma hai davvero intenzione di cambiare stile di vita?", credo che la risposta sia molto dura da dare. Continuo a fare quello che facevo prima, mi accorgo che non va bene, ma non ho intenzione di cambiare.

 

Il problema è tutto qui!

Allora il sacramento inizia nel momento in cui io cammino in questa direzione di cambiamento. Il catechismo romano, nato dal Concilio di Trento, diceva: "Nel suo cuore vi sia la contrizione, nella sua bocca la confessione, nelle sue opere la feconda soddisfazione".

La contrizione è il primo e più importante passo del sacramento della Riconciliazione, si tratta di un atteggiamento profondo e sincero del cuore, in cui il penitente riconosce la propria indegnità e debolezza. Questo non è semplicemente un sentimento di rimorso o di paura per le conseguenze del peccato, ma piuttosto un dolore profondo che scaturisce dalla consapevolezza di non essere riusciti a contraccambiare l’amore che Dio ha per noi. La confessione è la fase successiva ed è il frutto naturale della contrizione. Una volta riconosciuto e provato dolore per i propri peccati, il penitente è chiamato a confessarli davanti a Dio attraverso il sacerdote. Questo atto non è solo una formalità o un resoconto delle proprie mancanze, ma un atto di umiltà e di fiducia nella misericordia divina.

La soddisfazione, o penitenza, è l’ultima fase del sacramento; dopo aver confessato i propri peccati, il penitente riceve dal sacerdote una penitenza, che può consistere in preghiere, opere di carità o atti di mortificazione. La soddisfazione ha un duplice scopo: riparare, per quanto possibile, il danno causato dal peccato e contribuire alla purificazione interiore del penitente. È un modo concreto di dimostrare la sincerità del pentimento e l’impegno a vivere secondo la volontà di Dio.

Il sacramento della Riconciliazione, quindi, non è solo un rito di purificazione, ma un vero e proprio cammino di conversione e di ritorno all’amore di Dio. Una verità così ben descritta dalla Madre Speranza: "Basta soltanto che riveli le mie piaghe ad un padre, ad un intimo amico, ad un esperto e caritatevole medico, ossia che cerchi un Dio sublime, il quale dopo avermi aperto le braccia ed ascoltato, pronunci sul mio capo quelle onnipotenti parole che Egli solo può pronunciare: Figlia, alzati, i tuoi peccati ti sono perdonati". E ancora evidenziava: "Care figlie, credo che tutte sappiate che soltanto la confessione sacramentale reca sollievo al cuore oppresso dal peccato e straziato dal rimorso per l’iniquità commessa; soltanto la confessione istituita da Gesù e praticata dalla Chiesa è capace di aprire gli occhi al cieco volontario e rivelargli con meravigliosa chiarezza tutto l’orrore della sua situazione morale".2

Il sacramento della riconciliazione è il "sacramento del cammino" un momento importante nel cammino spirituale dell’uomo, un percorso di crescita che non termina mai. Confessarsi non significa rimanere intrappolati nel rimorso, ma al contrario, è un atto di conversione e apertura verso Gesù, che ci attende con il perdono del Padre. Questo sacramento è un incontro con la misericordia divina, manifestata attraverso il ministero della Chiesa, dove Dio ci avvicina con amore infinito e conosce intimamente la nostra condizione umana. La celebrazione del sacramento diventa allora, importante come cammino terapeutico che dà forza, energia. È una cura ricostituente, è un ottimo integratore spirituale, perché è la dinamica di riconoscimento del mio peccato e l’accoglienza di una forza divina che mi abilita a fare la volontà di Dio, per cui io intervengo personalmente e attivamente a contribuire alla mia guarigione e non lascio tutto questo compito alla grazia deresponsabilizzandomi.

 

Come concludere?

Fratello caro, in questo abbraccio di Amore Misericordioso, siamo chiamati a riconoscere la grandezza del dono che ci viene offerto, è solo quando ci mettiamo con sincerità e profondità davanti al Padre, aprendo i nostri cuori alla riconoscenza, che possiamo veramente comprendere la profondità del Suo Amore Misericordioso…solo chi ha sperimentato questo abbraccio divino, solo chi ha sentito sulla propria pelle la carezza di un Dio che non giudica ma ama senza riserve, può varcare la soglia della Riconciliazione con autentica gioia, ed è soltanto, in quell’incontro profondo, che scopriremo la bellezza ineffabile della Misericordia, una bellezza che ci trasformerà, e ci condurrà verso la pienezza della vita.

E così sia.


1 Salmo 51

2 Le Ancelle dell’Amore Misericordioso (1943) (El Pan 8)

 

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ultimo aggiornamento 17 febbraio, 2025