Madre Speranza e i Sacerdoti
(don Ruggero Ramella, sdfam)
(Si scrive misericordia, ma si dice preti;
si parla dei poveri, ma si pensa ai preti;
si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti)
Premessa
Quando ho avuto l’incarico di stendere queste righe che raccontassero l’amore e la cura di Madre Speranza di Gesù per i Sacerdoti mi sono subito messo a rileggere quanto fosse già stato scritto a riguardo da chi mi aveva preceduto nel parlare di questo tema; ho così scorso gli scritti di P. Mario Gialletti, P. Giovanni Ferrotti, P. Gabriele Rossi, D. Angelo Spilla, P. Gino Capponi, per dirne solo alcuni, nonché a rileggere le fonti stesse, come gli scritti della Madre, oltre che le varie redazioni delle Costituzioni Fam ed Eam, e particolarmente il Diario della stessa Madre. A conclusione di tutte queste letture ho indugiato non poco su come avrei potuto procedere per arrivare a una mia sintesi, senza ripetere pedantemente quanto già altri avevano egregiamente esposto sul tema. Alla fine ho deciso di ripercorrere lo sviluppo che il tema stesso ha avuto nella coscienza della Madre medesima, ed ho trovato che proprio il Diario (El pan 18) faceva al caso più di tutti gli altri scritti, fonti o studi che fossero. Mi soffermerò quindi soprattutto sul Diario, in ciò che concerne direttamente il nostro tema, integrando con i dati riportati e studiati già da altri per esigenze di compiutezza del tema.
Il periodo claretiano
Tutto comincia con una data, il 18 dicembre 1927; la Madre ha 34 anni; ancora fa parte della Congregazione delle Missionarie Claretiane, in cui era entrata nel 1921, in seguito alla fusione con quest’ultime dell’Istituto Figlie del Calvario, in cui era entrata nel 1914. La Madre si trova a Madrid, dove era stata trasferita proveniente da Toledo fin dal settembre 1926. Dice testualmente la Madre nel suo Diario: Questa notte mi sono distratta (termine che usa la Madre per descrivere le sue frequenti estasi) e il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far sì che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero…Che vuol dirmi Gesù con tutto questo? (18, 3) . La Madre stessa non sa cosa le sta succedendo: perché questo pensiero per i preti? Di fatto parte da una constatazione riguardo ai peccati dei preti, e che deve puntare unicamente ad amare Gesù e ad offrirgli le sue sofferenze (all’interno della sua diffcile collocazione nella Congregazione claretiana) con lo scopo di riparare i peccati del clero; non solo, ma deve adoperarsi affinchè anche chi vive con lei sia animato da questo scopo, addirittura offrendosi come vittima, e non solo occasionalmente, ma investendocene l’intera propria vita. Come dire, qualunque cosa faranno, in qualunque opera saranno impegnati, lei stessa e gli altri con lei, dovranno amare Lui e offrire tutte le sofferenze delle loro vite sempre ed esclusivamente per riparare i peccati del clero. Tale intenzione diventa lo scopo principale, direi unico, e segreto, sottostante a qualunque occupazione la carità li obblighi, delle loro vite e delle loro vocazioni.
Ancella dell’Amore Misericordioso
Passano gli anni, ben 13; la Madre esce dalle Claretiane nel dicembre 1930 per fondare le Ancelle dell’Amore misericordioso (notte di Natale 1930 a Madrid). Si susseguono rapidamente varie fondazioni in tutta la Spagna, fino alla fondazione della Casa di Roma a via Casilina nel 1936. Fin dall’inizio però subisce una campagna denigratoria e continua, particolarmente dall’esterno, fino alle conseguenze di una spaccatura interna; subirà indagini canoniche fino ad essere rimossa, dalla Santa Sede, dal governo della sua Congregazione nel 1941, fino alla completa riabilitazione nel 1952. Nel frattempo era scoppiata la guerra civile nel 1936; le fondazioni in Spagna si rivelarono provvidenziali per il soccorso che le suore poterono così dare nell’assistenza agli orfani in particolare e a povertà di ogni genere. A Roma invece, nel popolare quartiere Casilino, ci penserà la Seconda Guerra mondiale a rendere ancora più necessaria la presenza delle Ancelle tra le popolazioni impoverite e terrorizzate. Nel pieno di tutte queste vicende, dopo ben 13 anni, finalmente, il 16 febbraio 1940, la Madre scrive: Gesù mio, in queste angosce, sofferenze e dolori aiutami a soffrire solo per te, per la tua gloria e per i sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offenderti…(18, 597). Questa volta la Madre chiede l’aiuto a Gesù stesso per soffrire solo per Lui e per la sua gloria, ma subito dopo aggiunge, quasi accomunandolo, anche per il clero. Il suo cammino di intimità con Gesù, negli anni, va di pari passo con la sua preoccupazione per i sacerdoti. La sofferenza che la unisce a quella di Gesù è la medesima per il clero. Il suo cammino spirituale si fonde in maniera singolare con la coscienza sempre più viva di un suo particolare legame con il clero.
Il rinnovo dell’offerta per il clero
Un mese dopo, il 21 marzo 1940, Giovedì Santo (giorno del Triduo pasquale in cui si ricorda l’istituzione del Sacerdozio e dell’Eucaristia, quindi Giorno per eccellenza dei Sacerdoti) la Madre scrive: Gesù mio, oggi, giovedì santo, rinnovo l’offerta fatta al mio Dio nel 1927, quale vittima per i poveri sacerdoti che si allontanano da Lui o l’offendono gravemente. Ti chiedo, Gesù mio, di non lasciarmi un solo istante senza sofferenze o tribolazioni e di fare che la mia vita sia un martirio continuo, lento, ma doloroso, in riparazione delle offese di queste povere anime e per ottenere loro la grazia del pentimento. Gesù mio, il mio desiderio sia solo quello di patire costantemente ad imitazione tua, che volesti essere battezzato con il terribile e doloroso battesimo della tua passione (18, 610). È il giorno dei sacerdoti, ed è proprio per questo che Madre Speranza sente acuto il bisogno di rinnovare l’antica offerta del 1927, un vero e proprio voto di vittima (soffrire per, a favore, al posto) per i sacerdoti, per ottenere con il suo dolore offerto, come Gesù, la conversione e la riparazione del clero, perché i sacerdoti che l’hanno offeso ritornino a Lui, risollevandosi dalla situazione miserevole in cui fossero caduti, in così miserabile povertà, da suscitare la compassione materna della Madre: li chiama infatti "poveri" sacerdoti. Addirittura, per l’ansia di questa riparazione, per far prima, chiede a Gesù di non lasciarla mai senza sofferenze, in modo da avere sempre qualche merito da offrire a favore dei sacerdoti, anzi, il "mai senza sofferenze" diventa la richiesta di un martirio continuo, lento e doloroso, proprio per fare da parte sua il massimo che le è possibile in questa vita per i sacerdoti. La sua vita deve diventare tutto un dolore senza un minimo di sosta, per essere tutta offerta a favore del clero. Vuole imitare Gesù, anzi diventare come Lui sulla Croce, finchè il mondo non sia salvato, finchè il clero tutto non sia santificato e riparato nelle sue colpe. È terribile pensare un sacerdote separato colpevolmente da Gesù: bisogna assolutamente mettere riparo a tale tragedia, costi quel che costi, fino a ricevere nella sua persona e nella vicenda della sua vita il battesimo di Gesù, della sua passione. Madre Speranza chiede con consapevolezza piena lo stesso battesimo, con molta più coscienza di ciò che lei chiede di quanta ne ebbero i due discepoli Giovanni e Giacomo, che cercavano umanamente i primi posti nel Regno. Ricordiamoci che la Madre è nel pieno della sofferenza, anche per le vicende interne alla Congregazione delle Ancelle, e quindi è consapevolissima di quello che sta facendo chiedendo a Gesù il suo stesso battesimo, e tutto a favore del clero.
La notte oscura
Passa un anno e mezzo quando la Madre, già esautorata dal governo delle Congregazione, il 4 ottobre 1941, a Roma, riscrive: Ti prego, Gesù mio, abbi pietà di me e non lasciarmi sola in questi momenti di aridità e oscurità. Ti cerco, Gesù mio, ma non ti trovo; ti chiamo e non ti sento; sono finite per me le dolcezze del mio Dio. Che tormento, Gesù mio! Quale martirio! Solo tu lo sai apprezzare e a te offro tutto in sconto delle mie ingratitudini e delle offese che ricevi dai sacerdoti del mondo intero (18, 660). Madre Speranza è nel passaggio tra la notte oscura dei sensi e la notte oscura dello spirito, in cui, passando dalle malattie (a volte dall’origine oscura, e dalle quali altrettanto oscuramente viene fuori) che spesso la portano sulla soglia della morte, transitando per la disistima degli altri, diventando vittima di vere e proprie ingiustizie, soffrendo la derisione, la solitudine, le vessazioni sull’anima, ed anche fisiche, del demonio, fino alla tristezza più profonda (la tristezza angosciata di Gesù nel Getsemani), fino al dubbio e alla confusione interiore (S. Francesco riceve le stimmate proprio quando crede di aver sbagliato tutto, di fronte alle divisioni interne all’Ordine e al rifiuto del suo ideale radicale da parte dei suoi), ebbene, nel bel mezzo di tutto questo la Madre viene privata della presenza di Gesù, cade nell’aridità più nera, nella notte più oscura. E la Madre che cosa fa? Pensa ai sacerdoti, pensa ad offrire tutto in riparazione dei sacerdoti del mondo intero: questo pensiero è il suo solo conforto. Chiede a Gesù di non lasciarla sola in questa notte. Lamenta che però non lo trova pur bramandone la compagnia, lamenta che lo chiama ma le risponde solo il silenzio. Dio non gli dà più le dolcezze del suo amore, il languore amoroso che tocca la punta del suo spirito e la lascia senza respiro, il languore amoroso che invadeva il suo cuore da innamorata. Le manca profondamente Gesù, le manca il suo volto, il suo respiro, il suo calore, la sua parola, le mancano i suoi baci. È privata dell’amato, è un martirio, si sente morire, e lei offre tutto questo per il clero.
Solo Gesù sa che cosa le passa nell’anima per questa sua assenza, perché lui sa la sofferenza di sentirsi abbandonato dall’anima da lui così abissalmente amata. Ebbene, in questa sua solitudine sconfortante (pensiamo alla nostalgia struggente che il Figlio vive per il Padre, e che percorre in filigrana specialmente tutto il Vangelo di Giovanni, fino al Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?(Mt 27,46)), la Madre offre tutto in sconto dei suoi peccati, delle sue ingratitudini, perché solo adesso che lo ha perso conosce che cosa le ha dato, ma accanto a questo suo dramma personale, che riguarda la sua storia intima col buon Gesù, subito in associazione immediata aggiunge che tutto sia in sconto delle offese dei sacerdoti del mondo intero. Ancora una volta le due cose principali della sua vita, anzi le sole due cose della sua vita emergono nel momento più drammatico. Sono le sole due cose, l’intimità con Gesù e la salvezza dei sacerdoti, che restano stagliate chiare nella confusione più nera; in tutte e due cresce la consapevolezza del peccato, sia dei preti che di lei stessa: Gesù, infatti, viene a mancarle, pensa lei, a causa delle sue ingratitudini e della sua poca generosità. La Madre però sa trasformare, al modo di Gesù, il peccato suo in momento di grazia per sé e per i preti: tutti questi peccati provocano il male, ma questo male diventa causa della sua offerta unita a quella di Gesù stesso. E così il cerchio dell’amore si chiude e niente, nessun male, nessun peccato lo potrà mai spezzare. Questo lei pensa quando tutto invece è contro di questo (cfr. Rm, 8, 35-39).
Due mesi dopo, il 25 novembre 1941, sempre a Roma, la Madre scrive ancora: Dio mio, accetto di cuore tutte le prove, le tribolazioni e le angosce che permetterai mi accadano; le accetto in riparazione dei peccati di tutti i sacerdoti (18, 700). E ancora, un mese dopo, alla vigilia di Natale, il 24 dicembre 1941: sento il trasporto a rinnovare l’offerta come vittima di espiazione in riparazione delle offese dei sacerdoti del mondo intero (18, 707) . Con lucidità e continuità riconsegna tutta la sua vita a Gesù sempre con la stessa intenzione. Trova il massimo conforto nel mezzo della bufera, che periodicamente si acutizza, senza mai darle tregua, nell’offerta unica per i sacerdoti. La vita piena di dolori, tra l’altro da lei stessa ripetutamente richiesti al buon Gesù, nonché la morte, che le si paventa come culmine di tutte queste sofferenze, si concentrano e si sintetizzano nell’unica chiave di lettura e nell’unico scopo dell’unione a Gesù e al clero, al di là della stessa Congregazione delle Ancelle e delle sue opere, che non conoscono tra l’altro tregua, al di là dello stesso Carisma e della stessa missione. Anzi, tutto convoglia a Gesù e al clero, sempre abbinati.
Si intravedono i Figli dell’Amore Misericordioso
Il 13 febbraio 1942, alla quasi conclusione dell’ennesima malattia che l’ha colpita e in una conseguente sua maggiore pace interiore, la Madre scrive: oggi, grazie al buon Gesù , sto migliorando e penso che avrò la grazia di fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e soffrire ancora per i poveri sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offendere il mio Dio (18, 740). Il mondo interiore della Madre è popolato dal clero, ma nello stesso tempo pensa ad esso anche in termini di aiuto concreto, la sua costante offerta in riparazione delle offese del clero al suo Dio fa da sfondo e da fondamento all’opera concreta da parte dei Figli dell’Amore Misericordioso a favore del clero. Sono le due facce di una unica e medesima grazia del buon Gesù, i Figli e la sua sofferenza ambedue per il clero. Infatti i Figli appaiono menzionati per la prima volta nel Diario il 28 marzo 1929, ossia fin quasi dal principio: Il buon Gesù mi dice che è giunto il momento di scrivere le Costituzioni che più tardi serviranno alla Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso e molto presto alla Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso; da queste dovrò estrapolare quanto si riferisce al ramo femminile, lasciando da parte quanto più tardi dovranno osservare i Figli dell’Amore Misericordioso. Questo mi ha spaventato moltissimo, perché non sapevo né cosa metterci, né tanto meno cosa fare. Ho cominciato a piangere come una bambina e la pena mi soffocava, non tanto perché non volessi fare ciò che il buon Gesù mi chiedeva, ma perché non me ne sentivo capace e so che non riuscirò a fare niente di buono (18, 31; cfr D 37-38).
Concretamente non sa che cosa fare, ma dietro l’ispirazione dell’offerta di sé al clero, voluta da Gesù stesso, di quindici mesi prima, ora Gesù ancora le chiede di fare un passo ulteriore, e questo mentre lei vive il travaglio che la porterà all’uscita dalle Claretiane per fondare la nuova Congregazione delle Ancelle. Concentrata su questa fondazione il buon Gesù le chiede di occuparsi anzitutto di una fondazione di là da venire (ben 20 anni dopo), e anzi di trarre le Costituzioni delle Suore dalle Costituzioni base per ambedue gli Istituti, pensate anzitutto per i Figli. Nel tempo cronologico vengono prima le Ancelle, ma nel tempo psicologico ed interiore della Madre, nonché della grazia del buon Gesù, vengono prima i Figli, ed anzi i Figli sono il primo pensiero concreto della Madre, suo malgrado, e anche con sua personale ripulsa, per la viva coscienza della sua incapacità, fino alle lacrime di una bambina, quale la Madre stessa si descrive per la circostanza. Gesù la consolerà dettandole egli stesso le Costituzioni, il 2 aprile 1929: Questa notte mi sono distratta, o meglio, prima di mettermi a letto, inebriata da quanto il buon Gesù mi aveva detto, ho preparato un quaderno e una matita dicendo: "Gesù, sono pronta". E quando già stavo per coricarmi il buon Gesù è arrivato e mi ha dettato le Costituzioni (18, 35-36).
La genesi dell’amore al clero
Da quanto visto finora sembra che Madre Speranza, pur avendo altre idee e altre mire pensando alla fondazione delle Ancelle, si ritrovi suo malgrado a pensare ai Figli e prima ancora al clero, senza una sua volontà originaria, ma costrettavi direttamente dal buon Gesù, a partire dal voto del 18 dicembre del 1927, quasi come un fulmine a ciel sereno, obbedendo a qualcosa che la sovrasta e la cattura nello stesso tempo, al punto di portarla a votare la sua vita al clero in modo particolare. D’altra parte intorno ai 6-7 anni di età la Madre fu portata a servizio dal parroco del suo paese, presso cui avrebbe trovato un luogo più indicato della casa paterna, in mezzo a tanta povertà, abbandono e miseria, per trovare rispetto, aiuto e un orientamento cristiano e morale. Fu così che la Madre ancora bambina si ritrovò in casa del parroco, del quale poi la Madre ne ha parlato sempre con un gratissimo ricordo, e vi rimase fino al 15 ottobre 1914 quando partì per farsi religiosa, cioè fino ai 21 anni. Questi anni della sua infanzia e la benevolenza del parroco, nonché delle sue sorelle che vivevano con lui, devono essere restati molto impressi nel cuore della Madre (cfr. Gialletti, Madre Speranza, ed. L’Amore Misericordioso, pp.22-23). In quella casa ebbe modo di conoscere, almeno in parte, l’ambiente clericale nelle sue virtù e nei suoi difetti. Don Manuel, così si chiamava il parroco, era un bravo sacerdote, fervoroso e zelante, ma aveva un debole per la corrida, cosa poco conveniente per un sacerdote in quei tempi. E questo alla piccola Josefa, nome di battesimo della Madre, non andava proprio giù, soprattutto perché si doveva vestire da civile e uscire di nascosto dalla porta dell’orto. Comunque l’esperienza in casa di D. Manuel fu molto importante per l’educazione della futura Madre Speranza ed è all’origine della sua sensibilità per i problemi dell’ambiente sacerdotale. Un’altra figura che influenzò a tale proposito la sua spiritualità fu il "Cura Valera", un sacerdote suo parente per parte di madre, ritenuto un santo (cfr. Ferrotti, Madre Speranza…pane e sorriso di Dio, ed. L’Amore Misericordioso, pp. 29-30).
S. Teresa di Gesù Bambino
È proprio nella casa del parroco che la Madre si ritrovò a che fare con S. Teresa di Gesù Bambino. Intorno ai 12 anni la Madre stessa racconta che un giorno sentì suonare il campanello della porta e, aprendola, vide una Suora tanto bella che mai aveva visto. Questa suora le disse che era venuta da parte di Dio per dirle che doveva cominciare un’opera da dove lei l’aveva finita., intendendo la devozione all’Amore Misericordioso da diffondere in tutto il mondo. Dopo anni la Madre riconobbe in quella misteriosa suora S. Teresa di Gesù Bambino, che al momento dell’apparizione era già morta da 8 anni (cfr. Gialletti, idem, pp. 24-25). Ora, la Santa Carmelitana di Lisieux nella sua breve vita , tra le altre cose, ebbe sempre una spiccata sensibilità per i sacerdoti, tenendo con numerosi di essi contatti epistolari fino alla fine della sua vita. Un particolare questo da non trascurare nel legame spirituale tra la Madre e la giovane Carmelitana. Insomma, questa attenzione di Madre Speranza al clero ha le sue origini lontane, fin dall’infanzia della Madre stessa, con il suo vissuto che in qualche modo l’ha formata nel suo mondo interiore, prima che questo pensiero prendesse corpo vivo nella sua coscienza riflessa anni dopo, e questo di pari passo con il richiamo all’Amore Misericordioso, legando indissolubilmente queste due realtà, così fondanti e costitutive del Carisma e della Missione della Madre.
La genesi remota dei Figli dell’Amore Misericordioso
L’amore ai sacerdoti e la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso da un certo punto in poi si fanno sempre più una cosa sola. Scrive la Madre nel Diario il 28 gennaio 1942, ancora una volta a letto in pericolo di vita per una polmonite e una peritonite: non si poteva pensare che sarei morta, non essendo ancora stati fondati i Figli dell’Amore Misericordioso (18, 713). Nel contempo però aggiunge: Mi tormentava anche l’idea che il buon Gesù mi portasse con sé prima di realizzare la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, perché non aveva trovato in me la generosità che desiderava. Che pena, Gesù mio! (18, 716). E ancora: Quanto ho sofferto in quei momenti! Solo Gesù sa con quale fervore gli ho promesso di essere più generosa e di affrontare con lui la fondazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, costi quel che costi (18, 717). Lo stesso cardinale Ottaviani, per mandato del papa Pio XII, la rassicura che se fosse morta avrebbe pensato lui alla Congregazione delle Ancelle, come a quella dei Figli che ancora doveva nascere (cfr, D 719). Ma la Madre ritorna a tormentarsi: Soffro molto anche pensando che il buon Gesù mi porta con sé senza farmi fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso; certamente per la mia vigliaccheria nella sofferenza che questa fondazione avrebbe potuto procurarmi. Ho chiesto perdono al buon Gesù e gli ho promesso, col suo aiuto, di impegnarmi al più presto unicamente a fare la sua divina volontà (18, 731).
Non c’è amore senza dolore
Tutto questo tormento, non è la morte infatti che la spaventa, ma di non fare così la volontà di Dio a riguardo dei Figli e del clero, e per questo Gesù, pensa lei, le sta togliendo il compito per il clero, sicuramente la Madre lo trasforma in offerta sempre per l’amato clero, e infatti la Madre continua a scrivere ripetendo il suo leit motiv, il Giovedì Santo, 2 aprile 1942: ti prego, Gesù mio, non dimenticarti dei sacerdoti del mondo intero, per i quali desidero vivere come vittima…Concedimi, Gesù mio, di vivere amandoti in un continuo dolore, per poter espiare in qualche modo, le offese dei tuoi sacerdoti e, dopo una lunga vita di lavoro e sofferenze, veda il mio corpo disfatto nella putrefazione, ma sempre in riparazione dei peccati di concupiscenza della carne, commessi dai sacerdoti. Ti chiedo anche Gesù mio, una e mille volte, che le mie sofferenze non servano a riparare le molte offese che disgraziatamente ti ho arrecato; questa espiazione ti chiedo di riservarmela per il purgatorio, mai per l’inferno, Dio mio, perché laggiù non potrei amarti(18, 756-758). Qui Madre Speranza non solo rinnova il suo voto di vittima, ma, per così dire, lo arricchisce di particolari ulteriori, come identificare il suo amore per Gesù con il dolore continuo, sicchè l’amore ed il dolore diventino la medesima cosa, come se il dolore d’ora in poi fosse il suo amore per Lui, ed il suo amore sempre per Lui fosse il Suo amore, quasi per essere sicura di avere sempre un amore qualitativamente alto, alla stregua dell’amore di Gesù sulla Croce, sempre in favore del suo amato clero, consapevole che l’amore più alto è stato quello della Croce, e a questo amore lei vuole partecipare, e tutto questo per espiare le offese e i peccati dei sacerdoti. C’è poi un secondo particolare, nell’offrire la dissoluzione del suo corpo, dopo il merito di una lunga vita di lavoro e di sofferenze, e precisamente per riparare i peccati della carne dei sacerdoti, quasi che questo tipo di peccato richiedesse una offerta, e quindi un amore, ancora più particolare, arricchito da elementi raccapriccianti, come per far sentire lo stesso raccapriccio di fronte a peccati di tal genere da parte dei sacerdoti, di fronte al peccato di tal genere considerato già in sé stesso, a maggior ragione commesso da un sacerdote.
Un terzo elemento porta la Madre oltre la scena di questo mondo, oltre l’amore e la sofferenza che ella può vivere in questo mondo. Infatti chiede al buon Gesù che gli eventuali meriti acquisiti nella sua vita potessero essere tutti ascritti a favore dei sacerdoti, lasciandola invece con tutte le sue pene che dovrà scontare in purgatorio, non avendo più meriti per ripararle in questa vita perché tali meriti li ha girati in favore dei sacerdoti, in riparazione delle loro colpe e a favore della loro santificazione. Che cosa potrebbe dare e fare di più per i sacerdoti? Ha dato veramente tutto, investendo pure quello che non ha in mano, i meriti, le sofferenze, la morte e la putrefazione del suo corpo, insomma tutto l’amore che le sarebbe possibile su questa terra ed oltre per il suo amato clero. Questo ardore le cresce sempre più dentro di sé anche perché, scrive la Madre il 16 giugno 1942: Gesù mio, fissa lo sguardo soltanto sul fatto che i poveri sacerdoti che ti offendono, deboli nello spirito e nell’amore per te, sono molti e che io desidero soffrire costantemente in riparazione delle offese di questi tuoi poveri ministri (18, 794). I sacerdoti in peccato sono molti, dal tono sembra piuttosto anzi che sono tantissimi, troppi, e per questo sono necessari un dolore ed una offerta di esso costanti, senza sosta, fino all’impossibile, all’inverosimile, fino allo stesso amore che ha avuto Gesù sulla Croce, particolarmente per i sacerdoti, come nella preghiera sacerdotale nel Getsemani (cfr. Gv 17).
È spaventata la Madre di fronte a così tanto dolore necessario, ma ogni volta finisce sempre per dire, come il 16 agosto 1942: Perdonami ancora una volta, Gesù mio, e punisci la mia vigliaccheria con ogni sofferenza, angustia e dolore e fammi vivere in riparazione delle offese che ricevi dai tuoi sacerdoti. Non permettere che io pensi a me stessa, ma solo a te (18, 823). Se ha paura, Gesù non ci deve badare e, anzi, aumenti la dose del dolore, la punisca aumentandole la sofferenza. E Gesù non la risparmia di certo con tutti i problemi che sta vivendo con le Ancelle e i pericoli di scissione in Spagna, nonché le sue paure per la fondazione dei Figli, le sue paure anche per le chiacchiere per il fatto che una suora fondi una Congregazione maschile, e il timore che proprio per queste sue paure e le sue preoccupazioni eccessive, per la sua poca fede, Gesù non le farà fondare i Figli dell’Amore Misericordioso, e le ripetute sue richieste di perdono al buon Gesù per questo sua atteggiamento ondivago, di ripensamenti continui, con le sue paure di essere presa per pazza imbarcandosi in una impresa così originale e fuori del consueto, e soprattutto di non procedere in quest’opera con gioia (cfr. D 774; 777; 935-936).
L’amore di Gesù
Madre Speranza protesta continuamente questa sua paura direttamente legata al clero e alla fondazione dei Figli; per molti versi la fondazione delle Ancelle l’ha terrorizzata di meno, anzi i dolori che le sono pervenuti per questo li ha potuti utilizzare in offerta per riparare i peccati dei sacerdoti, ma questa sua cura per i preti e la conseguente fondazione dei Figli proprio a questo scopo la sta pagando ad un prezzo per lei inimmaginabile fino ad allora.Tutto ciò indica ancora più fortemente la centralità di quest’opera per il clero nel cuore e nell’anima della Madre. Veramente si avverte il sottofondo granitico dell’amore per il clero in tutto ciò che ha fatto la Madre in tutta la sua vita. Il clero, e di conseguenza i Figli, sono stati la grande preoccupazione, il grande dolore, il grande amore della Madre. Non per mortificare ovviamente il resto, le Ancelle, la cura ai poveri, ma nella sua anima c’è evidente una predilezione: il clero e i Figli a loro servizio. Scrive la Madre, il 9 settembre 1942, a Roma: Gesù mio, conoscerti è gran cosa, come pure vivere insieme a te; ma ho paura, molta paura, di conoscere le tue grandezze e praticarle poco per tuo amore e per le anime dei sacerdoti (18, 827). Il centro è l’amore a Gesù, la gran cosa; la conoscenza di Gesù è l’amore a Lui, e l’amore è la conoscenza più profonda che si possa avere dell’altro, e per Gesù, visto l’abissalità del suo segreto, ci vuole una conoscenza abissale, e quindi un amore sublime, appunto una gran cosa, o meglio, la cosa più grande.
Per non parlare del vivere insieme a Lui, vivere quello che vive Lui, provare i suoi stessi sentimenti, respirare il suo respiro, sentire battere dentro di sé i battiti del suo cuore, vivere insomma la sua vita, il suo mondo, avere il suo universo interiore come il proprio universo più intimo, quasi confondersi con Lui, fondersi in una unica cosa con Lui, vivere la sua vita, vedere con i suoi occhi, sentire con le sue orecchie, gustare con i suoi gusti, toccare con il suo tatto, penetrare il segreto di ogni persona, raggiungerla nel segreto più profondo della sua anima e lì amarla con la punta estrema del proprio spirito, lo spirito di Gesù, la sua anima divina in questa nostra carne umana. È questo che vuol dire la Madre col conoscere le grandezze del buon Gesù; il cardinale Pierre de Berulle, mistico del ‘600 francese, parla di queste grandezze, ossia degli stati di vita di Gesù, come il Natale, la Pasqua, la Morte, la Passione, l’Ascensione, la sua vita su questa terra in tutte le sue espressioni: il tutto da rivivere con Lui, in tutta la loro sublimità, senza tener conto della fragilità della nostra carne, non solo della sua fragilità morale, ma anche di quella fisica per la pressione fortissima e quasi insostenibile umanamente, se non intervenisse la grazia di Dio a sostenerci. Questa pressione spiega molto bene il mistero delle numerose malattie della Madre: il nostro corpo è troppo fragile per sostenere le grandezze di Gesù, il suo Cuore, il suo Spirito, la sua Passione d’Amore, il suo rapporto intimo e umanamente irraggiungibile con il Padre; tutto questo fu all’origine anche delle misteriose malattie di Padre Pio, delle sue febbri inverosimili, come dell’ardore che bruciava letteralmente S. Filippo Neri, sempre in preda al calore più esagerato anche in pieno inverno.
Il Getsemani della Madre
La Madre vive tutto questo, e quindi sa ciò che sta dicendo, sia pure racchiuso in poche parole, e ne ha a volte una gran paura. Paura anche di non riuscire a praticarlo con suo sommo rammarico, che continuamente ritorna in maniera ossessiva nei suoi scritti, sentendosene colpevole mille e mille volte, soprattutto perché così non riesce ad amare come vorrebbe, come sente che dovrebbe essere, il suo buon Gesù, e questo la getta in un grande dolore. E parimenti questo stesso dolore lo sente, con la stessa forza e intensità, per la paura di non riuscire ad amare abbastanza gli stessi sacerdoti, e di conseguenza di non riuscire a fare abbastanza per riparare i loro peccati e di operare tutto il possibile per la loro santificazione, fino a sentirsi responsabilmente colpevole per la loro eventuale perdizione, e per i danni da essi arrecati al popolo di Dio. Se poco poco uno entra un pochino dentro questo universo interiore della Madre verrebbe sicuramente schiacciato dall’oppressione che se ne respira al solo affacciarcisi. È un martirio paragonabile solo al Getsemani, dove il dolore di Gesù diventa parossistico, sudando sangue per lo stress a cui il suo fisico è sottoposto, non tanto per la morte imminente, che tantissimi uomini hanno provato prima di lui e dopo di lui, e che tantissimi uomini proveranno fino alla fine del mondo, quanto piuttosto per la consapevolezza viva che per qualcuno il suo sacrificio d’amore sarà vano, particolarmente per dei sacerdoti, i suoi sacerdoti, i suoi apostoli, il suo continuo pensiero nella Preghiera sacerdotale di Gv, 17. La Madre vive questo martirio, al modo di Gesù; Gesù almeno aveva la consolazione di essere innocente, mentre Madre Speranza se ne fa una colpa per la coscienza viva della sua fragilità, nonché del suo stesso peccato, della sua vigliaccheria, delle sue paure, come lei stessa dice senza alcuna esagerazione ai suoi occhi; i nostri occhi forse non se ne accorgono perché non sono entrati in questo mondo interiore della Madre, e di Gesù.
Dopo Gesù, il clero
Guardando a quanto detto finora, volendo per un momento precorrere i tempi, alla fine sembra veramente che tutto il percorso vocazionale della Madre, fin dalla sua infanzia, gli eventi, le Ancelle, il Carisma stesso dell’Amore Misericordioso, tutte le opere, i poveri ed infine gli stessi Figli dell’Amore Misericordioso, e le annesse sofferenze, tutto abbia un solo fine nella vita della Madre: il clero. Lo stesso P. Domenico Cancian, in un suo intervento al Convegno di Collavalenza del 5-8 febbraio 1993, sul "Ruolo profetico di Madre Speranza", afferma: Forse fu l’attività (con i sacerdoti) che più la coinvolse e più le costò (Atti del Convegno, ed. L’Amore Misericordioso p.217). Non solo, ma la sua stessa vita spirituale e mistica, in tutte le sue fasi, e specialmente nel suo giungere alle vette di questa unione mistica e trasformante con Gesù, questa si accompagna sempre soprattutto con la sua preoccupazione per il clero, e il tutto dettato sempre da Gesù, quasi come se la Madre, suo malgrado, subisse, sia pure volentieri, questa sua spinta verso la cura del clero, quasi che in lei non fosse spontanea, ma liberamente accolta da un altro, Gesù stesso appunto. È Gesù stesso che la porta fino in fondo a questa strada sacerdotale della sua vocazione considerata nel suo complesso, come se la Madre fosse stata suscitata quasi esclusivamente per questo, e tutto il resto, proprio tutto, come dicevo pocanzi, servisse a portarla infine a questo.
Dice ancora, infatti, P. Cancian: In un momento di grande sofferenza, il 29 febbraio 1952, quando temeva il fallimento della neonata Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, si sentì dire che era arrivato il momento di scrivere ciò che riguardava il Clero in comunità (i Diocesani con Voti), una cosa tanto grande e di tanto bene spirituale per i sacerdoti; non doveva farsi nessuna illusione, doveva semplicemente scrivere quel che Egli le dettava senza preoccuparsi del risultato, disporsi a soffrire, essere affamata di appartenergli in modo che Lui potesse riempirla dei suoi beni (idem, p. 218); e cita il Diario della Madre, sempre al 29 febbraio 1952: Mentre ascoltavo il mio cuore s’incendiava sempre più nell’amore del nostro Dio e, sembrandomi di non riuscire a sopportare la violenza di questo fuoco, mi vidi obbligata a dirgli: "Basta, Gesù mio, guarda che il mio cuore oppresso non resiste più alla forza dell’amore del mio Dio e Padre, che è per me tutto (18, 1129). E il 1° marzo dello stesso anno la Madre aggiunge: Gesù mi ripete ciò che mi ha detto sempre: che mi ama tanto, tanto e che desidera che resti unita a Lui. Gesù ci cerca con amore instancabile come se non potesse esser felice senza di noi e io mi sento ferita del suo amore, tanto che il mio povero cuore non può resistere alle sue dolci e soavi carezze, e le fiamme del suo amore mi bruciano al punto di credere che non ne posso più (18, 1156). Veramente si può con cognizione di causa dire, e senza esagerazione: si scrive Misericordia, ma si dice preti; si parla dei poveri, ma si pensa ai preti; si aiutano i poveri, ma si guarda ai preti.
Guardando a lei, la Madre ti spinge ad amare i sacerdoti per se stessi, prima ancora di tutte le conseguenze pratiche per venire a loro in aiuto, che vengono e verranno spontanee con la forza di questo amore, la cui fantasia si mostrerà strabordante. Proprio perché non è un progetto a tavolino, ma che si costruisce man mano con la sorpresa che viene dall’amore che la unisce a Gesù, facendola una scolara attenta al desiderio del suo amato, la Madre stessa non vedrà mai sufficientemente completa quest’opera a favore del clero, perché mai l’amore trova applicazioni adeguate ed è sempre bisognoso di trovare nuove applicazioni per soddisfare il fuoco che esso si porta dentro e con cui si identifica; proprio per tutto questo si potrebbe dire che lei ha dato l’input, ma nello stesso tempo ha dato ai Figli la missione di approfondire e sempre più chiarire cosa Gesù le chiedeva veramente per il suo amato clero, evitando di cadere nella peste di un vaga e generica missione, approfondendo così la profonda vocazione sacerdotale di Madre Speranza e dei suoi Figli medesimi, nonché di tutta la Famiglia dell’Amore Misericordioso.
La profezia della Madre per il clero
È stata una vera e propria profezia, che si staglia quasi da sola nel deserto, a mo’ di Giovanni Battista con la sua voce che grida nel nulla (cfr. Mt 3, 1), in quanto il presente, specialmente da dopo il Concilio in poi, nel cantiere di una ricomprensione della Chiesa e della fede in un mondo contemporaneo tormentato e confuso, vede anche la confusione dei sacerdoti, specialmente in relazione alla loro autocoscienza e alla faticosa ricerca di una identità, a fronte di un laicato che sembra quasi aver bisogno di una diminutio del sacerdozio ministeriale per poter affermare il suo ruolo, presuntemente mortificato nel passato. È qui che i Figli dell’Amore Misericordioso potranno trovare un compito magnifico vivendolo anzitutto sulla stessa pelle del proprio sacerdozio per poter essere di aiuto, con questa forte autocoscienza ritrovata, anche agli altri, e questo con tutta la forza dell’esperienza spirituale della Madre, che essi per primi sono chiamati obbligatoriamente a fare propria e a prolungarla nel tempo, perché Gesù continui a dettare, come alla Madre, man mano la sua volontà su quanto sia necessario fare per il suo clero, per i suoi sacerdoti. I Figli sono chiamati ad incarnare lo stesso spirito sacerdotale della Madre e a vivere nelle loro singole persone e nel loro insieme la stessa esperienza di unione a Gesù, da cui scaturisce la stessa unione al clero, andando di pari passo per l’influenza determinante che l’una esercita sull’altra, come dire che non ci sarebbe lo stesso amore della Madre al clero, e che i Figli sono invece tenuti ad avere per vocazione, senza la stessa unione spirituale e mistica della Madre a Gesù.
Le offese dei sacerdoti a Gesù
Continuando ad arricchire il nostro discorso, seguendone lo sviluppo nella coscienza e nell’esperienza di Madre Speranza, la Madre parla sempre di offese, parlando dei peccati dei preti, che i sacerdoti arrecano a Gesù. Ne scrive anche il 9 novembre 1942: Sostieni, Dio mio, la debolezza del mio cuore sofferente dicendomi che non lascerai di amarmi un solo momento e che tutte le sofferenze di questo tempo di prova le userai a beneficio dei poveri sacerdoti che hanno avuto la disgrazia di offenderti e di quelli che ti stanno ancora offendendo (18, 835). Bisogna richiamarci all’esperienza umana di tutti, per capire cosa veramente sono queste offese per Gesù; spesso abbiamo un po’ tutti una visione troppo ieratica ed impassibile di Gesù, che non è del Vangelo, e questo ci impedisce di capire che il suo amore e l’amore stesso che ci richiede sono realtà che coinvolgono la carne di un uomo, il suo cuore di carne, la sua mente che si confonde di fronte agli smacchi della vita, degli eventi, delle persone, proprio come avviene per ognuno di noi nella realtà spicciola e quotidiana delle nostre vite; pensiamo che Gesù non c’entra con tutto questo, con queste nostre debolezze e fragilità, poiché nell’immaginario collettivo egli abita piuttosto in una specie di limbo più che paradiso, senza vivere e capire fino in fondo il nostro interiore, perché lui è in definitiva Dio, e perciò superiore a tutte queste emozioni umane, ma ovviamente non è così. Se fosse così allora le offese sarebbero rapportabili solo alla giustizia, sarebbero delle violazioni al codice divino, alla sua Legge, ma così non ci sarebbe neanche più posto per la Misericordia, che invece nasce da un amore che sente e soffre e respira tutte le emozioni che vive anche un uomo, e prima ancora Dio stesso, alla di cui immagine siamo stati fatti, come ci viene detto nella Genesi (cfr. Gen 1, 27).
Quel povero amore che sentiamo come umani è quello che resta dopo la grande offesa del peccato originale; l’immagine divina in noi è stata deturpata, ferita, ma non distrutta; è per questo che il Figlio di Dio dal cuore della Trinità viene a noi e può parlarci perché ancora l’amore è la base comune, la lingua comune con cui ancora possiamo interloquire tra noi e Dio, tra Dio e noi; è ancora viva la radice di questo amore, che è il medesimo, ma in noi è gravemente ferito, come gravemente ferito è il cuore di Lui, come quando siamo feriti da chi amiamo particolarmente. È in questo male che ci siamo fatti che si capisce il senso di queste offese a Lui, si capisce il male che gli abbiamo fatto e che continuiamo a fargli, buttandogli continuamente in faccia che non sappiamo che farcene del suo amore, proprio come faremmo con chi ci ama disperatamente. E i sacerdoti sono da Lui particolarmente amati, e perciò sono proprio quelli che più hanno potere di ferirlo, proprio come succede a noi, perché ognuno di noi ha sempre qualcuno che più di tutti è capace di ferirci, di farci del male, proprio per l’amore speciale ed irripetibile che ci lega a qualcuno in particolare. Si sentono così tutto il dispiacere, le lacrime, il gemere di Dio stesso: nell’Antico Testamento spesso Dio viene ritratto con questi sentimenti, che non sono una metafora, un’immagine per farci capire qualcosa a noi, parlando un linguaggio molto umano, ma sono invece la descrizione esatta del cuore di Dio, del suo dolore per un amore rifiutato, disprezzato, deriso. Da qui le sofferenze da offrire per consolare il cuore di Gesù, il cuore di Dio, come quando noi sentiamo il bisogno di soffrire con la persona amata perché ci sembra l’unico modo di consolarla per il suo dolore, anzi, se potessimo prenderemmo tutta la sua sofferenza per liberarla totalmente da essa, preferiremmo soffrire noi piuttosto che vederla soffrire. È questo che spinge la Madre all’offerta in riparazione delle offese dei sacerdoti.
La riparazione di Gesù e della Madre
Ma il discorso non finisce qui. Dice infatti la Madre, sempre il 9 novembre 1942: Copri e perdona, Gesù mio, tutti i loro peccati con la tua inestinguibile carità, fa’ che le loro anime diventino gradite ai tuoi occhi. Tu, Dio mio, che togli i peccati del mondo, nella tua grande misericordia, cancella quelli dei poveri sacerdoti (18, 836). Lo feriscono particolarmente le offese dei preti, ma non possono uccidere il suo amore per loro; è questa sua carità, l’amore esponenziale di cui è capace Dio, che sopperirà al loro amore fragile, li raggiungerà nel loro abisso e là parlerà invincibilmente al loro cuore, li condurrà nel deserto, e una volta faccia a faccia loro soli parlerà finalmente al loro cuore e li ferirà mortalmente con il suo amore, a cui non potranno più opporre resistenza alcuna (cfr. Os 2, 16). Il suo amore è più grande, è un amore che ama per tutti e due, e tutta la loro libertà sarà "costretta" a cedergli per la dolce violenza dell’amore. Madre Speranza è vivamente cosciente di questo, e vuole contribuire, a mo’ di Gesù, con la Croce delle sue sofferenze, sofferenze per amore, quell’amore che Gesù le immette continuamente dentro il suo cuore, fino a sentire come Lui, fino a vivere il dramma che Lui vive, fino a tutta l’angoscia dell’amore rifiutato. A volte si guarda, oggettivando quello che vive, e se ne spaventa, come la Madre stessa scrive il 25 marzo 1944: Quanto poco ti ho imitato, Gesù mio, anche se affermo di volerti amare tanto, tanto! Dov’è il mio amore? eppure tante volte ti dico di voler soffrire in riparazione delle offese che ricevi dai poveri sacerdoti del mondo intero, quando invece non sono capace di accettare con gioia le sofferenze che tu mi mandi! (18, 918).
Nascono i Figli dell’Amore Misericordioso
La Madre però riesce poi sempre a vincere le sue paure, e a dispetto di esse rinnova di tanto in tanto il voto di vittima per il clero, come alla prima professione dei primi tre Figli dell’Amore Misericordioso, il 15 agosto 1951: Mi sono distratta e tutto il tempo della cerimonia l’ho trascorso fuori di me e unita al buon Gesù, al quale ho chiesto di benedire questi tre figli e la nascente Congregazione. Ho anche rinnovato la mia offerta di vittima volontaria per le offese che il buon Gesù riceve dai sacerdoti del mondo intero (18, 1081). Le sue paure le vince solo stando sempre con Lui, e di questo ne ha sempre più chiarezza; l’unione intima e costante con Gesù, senza lasciar passare un solo secondo senza questa unione, evitando di fermarsi a pensare, a guardare le cose che avvengono, perché è allora che monta la paura; deve invece solo abbandonarsi e vivere semplicemnte l’unione con Gesù, ed è questo che risponde alla domanda di Gesù su cosa avesse bisogno per essere fedele alla sua offerta di vittima per i sacerdoti, come la Madre scrive il 18 marzo 1952: Gesù mi dice di chiedergli ciò di cui ho bisogno per me, per le anime per le quali mi sono immolata come vittima, per i figli e le figlie. Per queste anime, figli e figlie, Ti chiedo Gesù mio di illuminarle con la tua luce perché capiscano e sperimentino il vuoto e il nulla delle cose umane e di attirarli a te, manifestandoti come loro bene supremo e fonte di ogni bene. Concedi alla loro volontà la forza e costanza di cui hanno bisogno per non desiderare e volere nulla all’infuori di Dio. Per me, Gesù mio, non desidero altro che fare la volontà di Dio, amarlo tanto, tanto, e restare da sola con Lui per parlargli e ascoltarlo (18, 1219).
Le paure e le incertezze riguardo al suo amore per il clero vanno di pari passo alle paure e alle incertezze per la fondazione dei Figli, riguardo ai quali si sente sempre poco generosa, lasciando così intravedere che tutto è opera di Gesù, malgrado lei stessa, malgrado che si pensi più un ostacolo che uno strumento efficace allo scopo. Ancora una volta la Madre sembra subire quanto avviene anche per opera sua, ma anche malgrado lei stessa, e questo a volte, e ripetutamente, la getta nello sconforto, da cui però si risolleva ogni volta buttandosi letteralmente nelle braccia della Misericordia di lui, con costante confidenza e fiducia, come lei stessa dice il 7 dicembre del 1951, in occasione della tonsura del primo Figlio dell’Amore Misericordioso: Mi sono distratta e unita al buon Gesù, gli ho chiesto nuovamente di perdonarmi per i dispiaceri causatigli nella fondazione di questa amata Congregazione: gli ho promesso di nuovo di essere più fedele, col suo aiuto, alla sua volontà e gli ho chiesto la grazia che questo figlio arrivi ad essere un santo sacerdote e un fedele figlio dell’Amore Misericordioso e che non ami niente e nessuno che possa ostacolare la sua unione totale con Lui (18, 1094). Ecco l’unione totale a Gesù prescritta anche per i Figli, intendendo l’unione che ella stessa vive con tutte le sue modalità. Nella convinzione della sua fragilità, nella coscienza della debolezza del suo essere strumento imperfetto ed insufficiente per quest’opera a favore del clero, quando si sente nulla e solo bisognosa del generoso perdono del buon Gesù, allora inconsapevolmente e contemporaneamente staglia e definisce la natura intima della vocazione all’Amore Misericordioso per il clero, una natura profondamente contemplativa e mistica, nonché sacerdotale, per la particolare unione quasi ipostatica dell’uomo sacerdote col Gesù divino. Il Figlio dell’Amore Misericordioso comprende questo guardando ai sacerdoti, e lo comprende perché lo vive prima nell’intimo della natura sacerdotale di se stesso.
Il mistero dell’uomo-sacerdote
La convinzione profonda del mistero dell’uomo-sacerdote di Cristo aggiunge ancora più dolore al cuore della Madre, che infatti si addolora particolarmente per i sacerdoti che celebrano la Messa in stato di peccato mortale abituale, come ella stessa scrive il 31 marzo 1952: Devo confessare che sono contenta, molto contenta! Perché quanto più soffro, tanto più aumenta il mio amore per Dio, l’aspirazione di compiere io stessa e che si compia in me la sua divina volontà e sento ardere in me più forte il desiderio della salvezza delle anime e della gloria di Dio. Quale gioia provo quando vedo anime che amano davvero il buon Gesù! E, al contrario, quanto soffro nel vedere anime consacrate, specialmente sacerdoti, che hanno l’ardire di offenderlo! Come possono queste anime celebrare la santa messa, senza decidersi a lasciare lo stato di peccato in cui si trovano, per unirsi al divin Crocifisso e per mezzo di Lui a Dio?(18, 1252). Riecheggiano qui le stesse parole di orrore di Padre Pio che scrive al suo Padre spirituale il 7 aprile 1913: Venerdì mattina (28 marzo 1913) ero ancora a letto, quando mi apparve Gesù. Era tutto malconcio e sfigurato. Egli mi mostrò una grande moltitudine di sacerdoti regolari e secolari, fra i quali diversi dignitari ecclesiastici; di questi, chi stava celebrando, chi si stava parando e chi si stava svestendo delle sacre vesti. La vista di Gesù in angustie mi dava molta pena, perciò volli domandargli perché soffrisse tanto. Nessuna risposta n’ebbi. Però il suo sguardo si riportò verso quei sacerdoti; ma poco dopo, quasi inorridito e come se fosse stanco di guardare, ritirò lo sguardo ed allorchè lo rialzò verso di me, con grande mio orrore, osservai due lagrime che gli solcavano le gote. Si allontanò da quella turba di sacerdoti con una grande espressione di disgusto sul volto, gridando: "Macellai!". E rivolto a me disse: "Figlio mio, non credere che la mia agonia sia stata di tre ore, no; io sarò per cagione delle anime da me più beneficate, in agonia sino alla fine del mondo. Durante il tempo della mia agonia, figlio mio, non bisogna dormire. L’anima mia va in cerca di qualche goccia di pietà umana, ma ohimè mi lasciano solo sotto il peso della indifferenza. L’ingratitudine ed il sonno dei miei ministri mi rendono più gravosa l’agonia. Ohimè come corrispondono male al mio amore! ciò che più mi affligge è che costoro al loro indifferentismo, aggiungono il loro disprezzo, l’incredulità"…Questa apparizione mi cagionò tale dolore nel corpo, ma più ancora nell’anima, che per tutta la giornata fui prostrato ed avrei creduto di morirne se il dolcissimo Gesù non mi avesse (consolato)…(Padre Pio da Pietrelcina, Epistolario, vol. I, ed. Padre Pio da Pietrelcina, S. Giovanni Rotondo, 1992, pp. 350-351). E ancora di più la stessa Madre ricalca la sua sofferenza e sconcerto per tali situazioni: Non riesco a concepirlo; essi conoscono il buon Gesù e sanno quanto gli è costata la nostra salvezza; un tempo l’hanno amato e oggi non ne vogliono sapere: sono schiavi delle passioni, del vizio. Preghiamo molto per queste anime! (18, 1253). È particolarmente nella celebrazione della Messa che il sacerdote vive l’espressione più alta del suo sacerdozio e della sua unità per via sacramentale con Gesù.
È un’unità che si avvicina di più all’ipostasi dell’io del sacerdote con l’io di Gesù, tanto che ne condivide più da vicino di chiunque altro fedele il sacrificio della propria vita per la salvezza degli uomini; nelle parole della consacrazione in particolare il sacerdote dà anche la sua carne e il suo sangue unitamente a quelli di Gesù con la stessa motivazione di salvezza universale, lì fa sua la preghiera e i suoi contenuti perché in lui, e non solo per la sua interposta persona, Gesù preghi il Padre con l’atto supremo d’amore, talmente supremo da stagliarsi per l’eternità come cifra fissa del dono del Figlio al Padre, una cifra, una misura che si è verificata nella carne di un uomo, con la carne di un uomo, e per cui tale è la misura del dono non solo del Figlio, ma anche di qualunque uomo unito al Figlio, particolarmente, e a maggior ragione, di un prete. Non solo, ma il prete compie una vera e propria opera di mediazione per ottenere la salvezza degli altri, come un alter Christus, compiendo nel contempo opera di riparazione e mediazione quale quelle del Figlio, perché in finale unito in modo unico e speciale al Figlio. Il Figlio trascina con sé in questo atto supremo d’amore tutta l’umanità in quanto ha preso su di sé tutto il peccato del mondo, anzi si è fatto addirittura peccato (cfr. 2Cor 5,21) per sottolineare fino a che punto Gesù ha raggiunto l’uomo fino alle radici prime del suo peccato, al punto da confondersi con il peccato, non essendo mai ovviamente peccatore. Questo dovrebbe essere anche per il sacerdote, cosa che mai sarà piena su questa terra, ma almeno il sacerdote in questione non dovrebbe aver perso la grazia, la vita stessa di Dio, non dovrebbe essere cioè in un peccato mortale abituale mentre celebra la Messa. Celebrare in tale stato sarebbe veramente il massimo dell’assurdo con le premesse di sopra. Eppure ciò avviene, ed è questo che provoca lo sconcerto della Madre stessa, anche di fronte al modo con cui trattano la messa alcuni sacerdoti, come se non avessero a che fare con Lui, senza legame psicologico e affettivo con Lui, come dei burocrati del sacro, in una sorta di mondanità spirituale, quale quella che denuncia spesso papa Francesco.
La riparazione pressante
Più la Madre avverte l’orrore per le situazioni di peccato di tanti suoi ministri, e delle anime consacrate in generale, più la Madre continua e moltiplica la sua preghiera al buon Gesù per ottenere per tutti la sua infinita misericordia, anche perché lo stesso Gesù la esorta continuamente ad espiare per il suo clero, chiedendole anche di affidare tutti costoro a Maria sua Madre per la loro conversione. Non solo, ma chiede anche preghiere ad altri, per esempio ai suoi padri spirituali, perché ella possa cooperare sempre di più col buon Gesù alla santificazione dei preti, vincendo la sua poca generosità in quest’opera, di cui la Madre continua ad ogni occasione a rimproverarsi. Di nuono richiede la decomposizione del suo corpo in riparazione delle colpe sessuali dei sacerdoti ed il purgatorio per sé lasciando che i suoi pochi meriti servano qui sulla terra in espiazione delle colpe dei poveri sacerdoti. È tutto un leit motiv che si ripete continuamente nello scorrere degli anni e degli eventi, con tutte le opere che la Madre appronta, particolarmente a favore del clero, specialmente con i suoi Figli, ma soprattutto con il suo intervento in prima persona (cfr. D 1284-1285; 1292-1294; 1301; 1309).
Il diavolo contro
Anche i Figli continuano ad essere fonte di preoccupazione continua, sia per se stessi, sia perché la buona o meno riuscita della fondazione determinerà il bene o meno che si potrà fare in favore dei sacerdoti, la sua più forte preoccupazione, che sempre la attanaglierà fino alla fine della sua vita. Per questo decide il suo trasferimento definitivo a Collevalenza per seguire più da vicino i Figli appena agli inizi così tanto incerti, oltre che per l’ultima grande opera che il Signore vuole da lei, la realizzazione di un Santuario dedicato al suo Amore Misericordioso (cfr. D 1084-1086). E ne ha ben donde, perché il diavolo non gradisce affatto questa sua opera sacerdotale, e infatti la Madre stessa racconta il 27 febbraio 1952: questa notte il "tignoso" mi ha maltrattato molto e mi ha detto così tante stupidaggini che non credo lui possa realizzare; ma se così accadesse, con l’aiuto del buon Gesù, sono disposta a soffrire quanto Lui gli permetterà, perfino la separazione per sempre dai miei poveri figli che è ciò che più mi costa; poiché ardo dal desiderio di stare con loro per comunicare e renderli partecipi delle grazie che il buon Gesù effonde su questa povera creatura (18, 1112). Di nuovo ritorna che l’opera a favore del clero della Madre è qualcosa che non si esaurisce in qualche opera esterna, ma piuttosto qualcosa di più profondo che viene da un coinvolgimento esistenziale, e come frutto di una vita spirituale e mistica di intima unione con il buon Gesù: così è nell’esperienza e nel vissuto quotidiano della Madre, e così la stessa Madre vuole, auspica che si ripeta anche nelle esistenze dei suoi Figli, aprendo, come già è stato detto, la strada ad uno sviluppo ulteriore dell’opera sacerdotale dei Figli dell’Amore Misericordioso, la cui sola misura è la fantasia del’amore per i preti, una fantasia ed un amore quali quelli di Gesù, acquisibili solo in una vita di intensa e profonda unione col buon Gesù stesso, quale dei sacerdoti in particolare possono avere.
Inoltre il diavolo si affaccerà sempre più spesso nella vita della Madre, specialmente quando ella mette concretamente mano alla sua opera sacerdotale: ad ogni tappa lui è lì per tormentarla spiritualmente, fisicamente e persino portandola a volte sull’orlo del pericolo per la sua stessa vita. Ma la Madre non demorde, e come continuamente risorge, si può dire nello stesso momento in cui vive nell’angoscia, dalla coscienza della sua fragilità, delle sua poca generosità, a detta di lei, della sua paura gettandosi sempre nelle braccia della misericordia del suo Dio, così riprende sempre il suo piglio e continuamente riprotesta la sua offerta al buon Gesù per il suo amato clero, così in questa occasione è disposta a rinunciare a ciò che le preme di più, stare vicino ai suoi figli nei loro inizi difficoltosi ed incerti. Desidera tanto affiancarli e confortarli in tutto, sente come una madre le loro sofferenze in questi primi passi, come ancora dice lo stesso 27 febbraio 1952: vorrei animarli a camminare sempre nella via della perfezione, ossia nell’amore, nel sacrificio, nello zelo per le anime e a seguitare a far parte della nascente Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, poiché credo che soffrano molto e in diverse occasioni debbano sentirsi umiliati, anche se a me mai l’hanno fatto capire; ma mi rendo conto che dev’essere molto duro per un uomo sentirsi compatito, perché lo si crede ingannato da una povera religiosa. E questi commenti oggi sono molto frequenti, perfino da parte di persone assennate. Poveri figli! (18, 1113).
Gli inizi molto incerti dei Figli
Soffre talmente per essi, vedendo, nelle loro incerte sorti, le incerte sorti della sua stessa opera sacerdotale, fino al punto di paventarne la disgregazione e la soppressione sul nascere. Il 29 febbraio 1952 la Madre scrive: la mia mente è un autentico vulcano: mi sembra sia giunto il momento di separarmi dai figli e che questi non seguiteranno a far parte della nascente Congregazione, che i sacerdoti di questa diocesi (Fermo) non entreranno più e tutto crollerà. Nella mia angoscia e nel mio dolore, so dire solamente "povero Gesù! Poveri figli! Che vergogna patiranno se il santo Ufficio scioglierà la Congregazione, anche fosse solo temporaneamente!" (18, 1129-1130). L’angoscia per la sorte della nascente Congregazione e per i singoli membri la attanaglia a più riprese, senza interruzione (cfr. D 1161; 1260; 1268; 1273; 1303-1304; 1316-1318; 1321-1322; 1325; 1361;1363; 1367-1368), fino al settembre 1952. Gesù però non le fa mancare il suo sostegno e la sua consolazione, anche se la Madre non riesce sempre a consolarsi immersa nelle sue previsioni a tratti sempre più nere; Gesù la esorta lo stesso a pregare e ad offrire tutte queste sofferenze sempre in riparazione dei peccati dei sacerdoti, ricordandole il suo voto di vittima per questo; la Madre però si sorprende ad accettare tutte le sofferenze, ma non la separazione dai figli, così in apprensione per loro: ama Gesù profondamente, e vuole soffrire tanto per Lui e per i sacerdoti, anche al posto dei figli; mercanteggia con Gesù affermandogli di voler rafforzare i figli con la sua vita consunta dal dolore; infine si appena con Gesù per le sue reazioni non generose di fronte alle burrasche che investono i suoi figli: burrasche fuori, burrasche dentro il suo cuore, dentro il suo stesso rapporto intimo con Gesù, è lacerata, ma alla fine si abbandona, esausta in tutto il suo essere.
Infatti il 15 aprile 1952 la Madre scrive: Le mie sofferenze, angosce e dolori siano sempre in riparazione delle offese dei sacerdoti del mondo intero. Dirai che è poca cosa quella che ti offro per una riparazione tanto grande, ma uniscila al tuo Amore Misericordioso e tutto verrà saldato; me lo prometti? Dimmi di sì! Ed io che cosa ti prometto? Nulla, poiché ogni cosa mia è tua e il mio povero cuore non può amarti di più, anzi devo dirti di attenuare un po’, perché non resisto a questo fuoco del tuo amore (D1302). Tutti i dolori alla fine, anche quelli per le vicende dei figli (Fermo non li vuole più e il Vaticano sta in procinto di sopprimerli), sono ben poca cosa di fronte all’enormità del peccato del clero di tutto il mondo, grande per la sostanza, per i soggetti coinvolti e le dimensioni spazio temporali, tanto che solo Gesù può riparare adeguatamente con il suo amore, mentre lei può fare qualcosa solo se aggiunge le sue sofferenze, unendole alla riparazione di Gesù. È per amore di Lui che fa tutto questo, ma il suo amore è insufficiente a tutto ciò, e nello stesso tempo però le sembra già il massimo che può fare, le sembra già il massimo dell’amore che lei può sostenere per Lui: il fuoco dell’amore che le è dentro la sta bruciando viva, al punto che, pur cosciente della sua quasi inutilità, chiede a Gesù di diminuire il fuoco dell’amore che lei ha dentro, di diminuire l’amore che lei prova per Lui; vorrebbe amarlo di più, ma non può, si sente morire; paradossalmente l’insufficienza della sua riparazione di fronte al peccato del clero si sposa con il sentirsi morire per amore di Lui, non può riparare più di tanto perché di più morirebbe d’amore. Sarebbe schiacciata dalla constatazione di queste due realtà se non avesse la consolazione che Gesù saprà ben completare e supplire alle sue deficienze. Si rassegna ad amarlo così, come anche il clero, ha raggiunto il culmine possibile, e l’accetta per solo sfinimento.
L’amore la incalza
Ma si rassegna per poco, perché poi torna alla carica tornando a chiedere e sofferenze su sofferenze per riparare i peccati passati e attuali del clero del mondo intero (cfr. D 1308, 1338). In piena burrasca per le sorti della congregazione dei Figli, ad amarezza su amarezza si aggiunge la pena di aver dimenticato, a detta di lei, il voto di vittima per i sacerdoti, e questo la getta ancora di più nello sconforto, come riporta il 7 maggio 1952: ho dimenticato anche la mia offerta come vittima per il clero e così temo che la mia sofferenza, invece di essere di sollievo per queste povere anime, non sia servita ad altro che ad offendere il buon Gesù. Preferisco morire anziché offendere il mio Dio o smettere di fare la sua divina volontà; voglio sempre farlo contento; voglio vivere solo per amarlo e, unita a Lui, vivere soffrendo e morire amando (18, 1313-1314). L’amore di Gesù e per Lui giganteggia anche nel bel mezzo delle sue burrasche interiori; sembra di risentire le parole del profeta Geremia: Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto violenza e hai prevalso. Sono diventato oggetto di derisione ogni giorno; ognuno si beffa di me. Quando parlo, devo gridare, devo urlare: "Violenza! Oppressione!" . Così la parola del Signore è diventata per me causa di vergogna e di scherno tutto il giorno. Mi dicevo: "Non penserò più a lui, non parlerò più nel suo nome!". Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, trattenuto nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo (Ger 20, 7-9).
L’unione totale col buon Gesù
Sì, l’amore di Gesù e per Lui nella Madre vince su tutto, nel bene e nel male, scrive infatti la Madre il 1° giugno 1952: Credo che il mio amore per Dio non sia conforme col mio comportamento, perché cerco il mio benessere anziché la carità, il mio piacere anziché il sacrificio e trascuro il mio dovere per vivere unita a Lui, senza badare che per questa ambita contemplazione ho a disposizione l’eternità, mentre invece in questo breve esilio debbo soffrire, lavorare per la gloria di Dio e riparare quale vittima di espiazione (per i sacerdoti del mondo intero), ad imitazione del buon Gesù (18, 1348). Che cosa infatti le sta succedendo? Lo dice lei stessa poco prima, nello stesso Diario: Non so cosa mi sta succedendo poiché mi sento senza forze e con una specie di disgusto e tedio per le cose che mi circondano; provo la tentazione di restare in camera da sola con Dio e debbo sforzarmi per stare insieme ai figli e alle figlie, perché sento una prostrazione morale che non mi permette di provare gioia per le cose che mi circondano, ma nonostante questo credo di amare il buon Gesù tanto, tanto, fino al punto che molte volte il mio debole cuore non riesce a sopportare questo fuoco ardente e debbo gridare: "basta, Gesù mio, allevia un po’ perché non resisto oltre" (18, 1347). La Madre ormai è entrata nell’unione totale col buon Gesù, sta entrando nel pieno dell’unione trasformante nel suo rapporto con Gesù, e si rammarica di voler più contemplare Dio che soffrire in riparazione come vittima, ma questa unione è più forte di lei, la attrae inesorabilmente.
Si dimentica di sé, e pensa soltanto alla gloria di Dio e alla salvezza delle anime, e per questo ha un grande desiderio di patire in riparazione, ma senza le inquietudini che aveva prima, prova una grande felicità e una grande pace, appena turbata dal pensiero che le sembra di non soffrire più, chè forse, dubita lei, è per egoismo. Pur attratta da Lui, e godendo della sua presenza, non ha però desiderio di morire per godere di più della presenza di Dio, ma desidera vivere per servirlo ancora. Nello stesso tempo prova anche un grande distacco da tutto, sentendosene in qualche modo colpevole, ma non può farci nulla: desidera soltanto essere sola, in compagnia con Dio; sente una grande pace; sta completamente assorta nella contemplazione, senza qualche sforzo da parte sua, né la turbano più di tanto i problemi (cfr. P. Mario Gialletti, Ruolo profetico di Madre Speranza, Atti del Convegno di Collevalenza 5-8 febbraio 1993, ed. L’Amore Misericordioso, pp. 57-58) . Al culmine di questo stato, il 30 gennaio 1954, la Madre scrive: Non so che dire, mi sembra di essere ogni giorno più assorta in questo letargo e, senza rendermi conto, lo sguardo, la mente e il cuore si fissano nel buon Gesù, rimanendo come immersa in Lui, senza curarmi di quello che succede intorno a me, né adempiere i miei doveri, camminando per casa senza preoccuparmi – a mio parere – di vedere, come prima, cosa fanno i figli e le figlie (18, 1440). Sembra di sentire lo stesso S. Paolo che in qualche modo descrive la stessa esperienza: Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere. Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo. Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede (Ef 1, 21-25).
I Diocesani con voti
Nel frattempo, malgrado le mille contrarietà, la sua opera sacerdotale conosce dei progressi. Il 29 febbraio 1952 Gesù le dice che è giunta l’ora di scrivere ciò che riguarda il clero diocesano con voti, raggiungendo così il culmine della sua cura per i sacerdoti: l’attenzione a loro arriva fino al punto di metterli a parte della vita comune con i Figli dell’Amore Misericordioso, aggregandoli a titolo personale ad essi con i voti, considerandoli membri della Congregazione a tutti gli effetti. Tutto quello che Madre Speranza aveva pensato fosse necessario approntare per la cura del clero, mediante in particolare l’opera dei suoi figli, con questo ramo raggiunge il massimo, rendendo inoltre questi stessi sacerdoti a loro volta curatori attenti, con la stessa grazia carismatica dei Figli, ai loro confratelli diocesani, animandoli in tutti i sensi dal di dentro del presbiterio diocesano (cfr. D 1140). Troverà per questo però tante incomprensioni e difficoltà, che faranno parte di tutto l’armamentario che il diavolo appronterà per contrastare quest’opera a favore del clero diocesano; già avevamo detto che il diavolo si fa sentire nella vita della Madre quando soprattutto ella metterà in opera i suoi progetti a favore del clero, e lui puntuale si presenta ad ogni fase, mettendo ostacoli quanti più ne può, arrivando anche alla violenza fisica contro la Madre stessa, per punirla di essere comunque riuscita, malgrado i suoi lacci. Scrive Madre Speranza il 12 marzo 1952: Questa notte sono stata molto angosciata, perché il "tignoso" non mi ha lasciato in pace; sembra si sia infuriato perché sto scrivendo ciò che riguarda i sacerdoti diocesani con voti; ho avuto tanta paura ed oggi non mi sento bene (18, 1194). Finalmente però l’8 dicembre 1954, a Fermo, i primi due diocesani emettono i loro primi voti (cfr. D 1518).
Il voto di vittima dei Figli (e Figlie)
Un’altra evento ancora fa avanzare la sua opera sacerdotale. Scrive la Madre, il 6 maggio 1952: Oggi, Gesù mio, è un grande giorno perché un figlio con generosità si è offerto come vittima di espiazione per i sacerdoti deboli del mondo intero. Gesù mio, accetta la generosa vittima e, col tuo amore e la tua misericordia, perdona, dimentica e non considerare le offese di queste anime che, accecate dalla forza delle passioni, hanno dimenticato che sono a te consacrate. Fa’ che questa vittima, che oggi si è generosamente offerta per loro, corra sempre verso il dolore come un assetato e che la tua bellezza, la tua bontà, la tua misericordia e il tuo amore catturino il suo cuore e vi accendano il forte e ardente fuoco dell’amore (18, 1306-1307). È il culmine della delineazione del Figlio dell’Amore Misericordioso. È il Figlio dell’Amore Misericordioso continuatore dello spirito sacerdotale della Madre. È l’erede fedele di ciò che Gesù ha voluto dalla Madre dalla sua fanciullezza fino alla morte, ciò che come un filo rosso ha congiunto tutte le fasi della vita della Madre, comprese tutte le sue opere, nonché il compito della proclamazione del suo Amore Misericordioso in tutte le contrade del mondo, in tutte le periferie esistenziali dell’uomo, come direbbe Papa Francesco. Ogni figlio e figlia dell’Amore Misericordioso dovrebbe emettere questo voto di vittima in riparazione dei peccati dei sacerdoti e per la loro santificazione, trovandovi qui il senso e il culmine della propria vocazione di uomini e di Figli e Ancelle dell’Amore Misericordioso, come la Madre stessa fin dai primordi si auspica, per comando di Gesù, in occasione della prima volta che emetterà questo voto in quel lontano 18 dicembre 1927: Questa notte mi sono distratta e il buon Gesù mi ha detto, che non debbo desiderare altro che amarlo e soffrire, per riparare le offese che riceve dal suo amato clero. Debbo far si che quanti vivono con me sentano questo desiderio di soffrire e offrirsi come vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero (18, 3).
Il compiacimento di Gesù la spinge
La gioia e la consolazione che le vengono dall’intravedere finalmente una compiutezza nella sua missione sacerdotale, Gesù stesso gliela conferma il 21 dicembre 1953: Mi ha detto (Gesù) che si rallegra e si rallegrerà insieme ai primi figli e ancelle dell’amore Misericordioso e a questa povera creatura che Egli ha chiamato ad essere loro Madre. Io, facendo leva sulla gioia del buon Padre (Gesù), gli ho chiesto e credo di averlo ottenuto, che sia sempre Lui a reggere il timone di queste due navi o Congregazioni, che benedica tutti i miei figli e figlie e mi conceda la grazia di ricrearsi sempre con loro(18, 1379). A sigillo di queste parole Gesù le fa trascorrere una notte intera di estasi: nella quale ho goduto tanto, tanto, senza giungere a saziarmi. Egli si è mortificato colmando di carezze questa povera creatura, e il mio cuore esultava di gioia e ho creduto di perdere la testa (18, 1380). Fra le delizie di questo loro incontro, Gesù rassicura più volte la Madre di essere: contento del comportamento e dello stato d’animo dei miei figli e figlie. Che cosa ho provato ascoltando da Lui queste parole, poiché il mio unico desiderio è di dar gloria a Dio e che i figli e le figlie vivano sempre uniti a Lui con un grande amore, dandogli sempre quello che chiede loro, lavorando senza sosta per la sua gloria e per la santificazione delle anime (18, 1381).
Queste consolazioni, oltre che confermarla nella strada intrapresa, ancora di più la spingono ad essere generosa nell’offerta di sé e delle sue sofferenze per l’amato clero, e perciò si lamenta di essere invece trattata da malata e da bambina, non venendo soddisfatta a suo dire nel suo desiderio di dolore da offrire in riparazione dei peccati dei sacerdoti e per la loro santificazione. Il 2 giugno 1952 scrive: Tu mi neghi le sofferenze che mi davi ogni giovedì (la Madre in quel giorno spesso ha rivissuto la passione di Cristo), sicuramente per la mia vigliaccheria nel dolore. Non fare così, Padre mio (così a volte chiama Gesù), smetti di trattarmi come una malata; concedimi di più e aumenta le mie sofferenze, angosce e dolori per poter riparare in qualche modo le mancanze dei sacerdoti del mondo intero ed ottenere la perseveranza per quelli che vivono come buoni sacerdoti. Gesù mio, perdona la mia vigliaccheria; non trattarmi come una debole bambina e fa’ che io viva sempre immersa nel dolore, per riparare in qualche modo le offese che il peccato (dei sacerdoti) ha inflitto al mio Dio; per me, ti prego, finchè duri il mio pellegrinaggio terreno, di lasciarmi la pena e la vergogna di averti offeso, finchè la morte non mi porti in purgatorio dove potrò soffrire per espiare le mie colpe senza più paura di offenderti…Perdonami, Gesù mio, ancora una volta e purifica la mia povera anima, perché possa unirsi per sempre a te (18, 1352-1353). Ancora per l’ennesima volta i suoi meriti li dona ai sacerdoti in riparazione dei loro peccati, mentre per sé si riserva la sofferenza del purgatorio, che se potesse vivrebbe al posto di tutti i sacerdoti, in loro vece, e in qualche modo lo vive anche qui in terra, almeno nelle sue intenzioni che si fanno preghiera con Gesù, soffrendo per tutta la vita la pena e la vergogna per averlo offeso in qualsiasi modo, specialmente con la paura che la paralizza nel fare la volontà di Lui, specialmente per quel che riguarda l’opera sacerdotale che Gesù le ha affidato. Ha provato il dolore di Gesù durante la sua passione che ella rivive, e quindi sa quale dolore è stato e continua in qualche modo ad essere: è da lì che scaturisce ancora di più in lei il bisogno e il desiderio di soffrire, malgrado le sue paure ed il suo terrore a volte, col fine di alleviare in qualche modo Gesù, di restituirgli in qualche modo una adeguata risposta al suo dolore amoroso, soprattutto per i poveri sacerdoti, che in qualche modo nella loro miseria vede più poveri di tutti i poveri, portando su di sé tutto il peso, se solo lo potesse, della riparazione sacerdotale. Sente fino a senirsene male l’amore di Gesù, e parimenti sente il dolore di Gesù per l’amore disprezzato, specialmente da chi invece più dovrebbe apprezzarlo, i preti.
L’assenza di Gesù
Non le basta mai quindi la sofferenza, né il dolore da offrire sempre per l’amato clero, anche quando ormai è entrata nell’unione trasformante, fin dal 1954: la Madre infatti in questa fase della sua vita interiore, come già detto, prova continuamente una grande pace. Non ha altri desideri che la gloria di Dio; si mostra indifferente di fronte alla morte (cfr. Gialletti, idem, p.59). Scrive l’11 febbraio 1954: Da tempo avevo il desiderio di soffrire, oppure morire, per unirmi al mio Dio; ma oggi è per me la stessa cosa vivere o soffrire, purchè Lui sia contento e glorificato; penso solo a contemplarlo e desidero ardentemente che mi chieda qualcosa per accontentarlo (18, 1468). Ma visto che Gesù non le chiede più nulla in questa fase dell’unione trasformante, ecco che cosa si inventa la Madre il 5 gennaio 1954: Vorrei offrire al buon Gesù qualcosa che gli piaccia e che a me costi; e credo che ciò che più gli piace e che a me costa, è supplicarlo di privarmi della sua dolce presenza, di quella immensa felicità che produce nella mia anima e che il tempo di vita che ancora mi resta me lo faccia trascorrere nel buio, senza altre consolazioni spirituali; ossia che non Lo veda, né lo senta finchè la mia povera anima non lascerà il carcere del mio corpo. Il buon Gesù mi conceda quanto gli ho chiesto, che credo sia quello che più possa farmi soffrire; che mi aiuti a soffrire questo martirio della sua assenza, senza lacrime, tristezza o lamenti e tutto per la sua gloria e in riparazione delle offese che commettono i suoi poveri sacerdoti (18, 1399-1400). Vive immersa nella presenza di Gesù, mentre si distacca sempre più da tutto, pur presente lucidamente ad ogni cosa; sente di allontanarsi sempre più da tutto, come se in qualche modo non la riguardasse più, immersa com’è, suo malgrado, in una pace e in una consolazione senza fine; eppure sente che qualcosa deve ancora fare per Lui, e guardandosi intorno nella sua anima non trova di meglio che fare ancora qualcosa per il suo amato clero, la sua idea fissa, che non tramonta neanche nell’oceano di pace in cui è bagnata continuamente fin nel profondo del suo spirito, fino alla punta della sua anima; sembra che il clero sia l’unica cosa che ancora la tiene su questa terra. E che cosa potrebbe ancora dare per questo amato clero? Ma proprio ciò che più la lega, che l’ha sempre dolcemente legata, e che ora la avvolge senza sosta, facendola sensibilmente entrare in quello che dovrebbe essere un assaggio del paradiso di Dio, la continua presenza di Gesù, che la ricolma di dolcezza e consolazione, in una sorta di estasi interiore e diuturna, respiro delle sue notti e delle sue giornate. Vederlo, sentirlo, toccarlo con i sensi spirituali più vivi di quelli della carne: rinuncia a tutto per riparare i peccati dei sacerdoti, e per fargli il dono più grande che le sia possibile per Lui; per Lui e per i preti rinuncia a Lui. Immagina già quanto le costerà, e per questo accetta questo martirio, tutto per Lui e per i sacerdoti.
Il martirio richiesto comincia però prima ancora dell’assenza di Gesù. La Madre entra in un vortice di dubbi e ripensamenti, di tormenti e ribadimenti dell’offerta, sentendosi colpevole di aver fatto l’offerta di questo sacrificio sperando che Gesù non l’avrebbe accettata, vedendo così vanificata, pensa lei, l’offerta stessa, ed offendendo nel contempo Gesù per la sua falsità e segreta ingenerosità (18, 1402-1404). Gli chiede allora (8 gennaio 1954): di perdonarla ancora una volta e di non far caso ai suoi sentimenti. Sia duro e non mi premi più con la sua presenza e le sue dolci carezze, però che non si allontani troppo da me e non permetta che l’offenda ancora, ma che l’abbia sempre presente e la mia mente e il mio cuore siano fissi in Lui (18, 1405). La Madre precisa i termini di questo martirio, ossia fa salvo ciò che dipende da lei e dalla sua volontà, da cui dipende per la sua parte il suo pensiero fisso in Lui, rinunciando al suo farglisi presente sensibilmente e con la sua consolazione per quello che riescono a percepire i suoi sensi spirituali, e fisici contemporaneamente, per pura grazia di Lui. In questo suo tormento di innamorata, dove la fantasia galoppa all’ennesima potenza, tanto che a noi esterni ci potrebbe far sorridere, finalmente Gesù scompare, gettandola ancora di più nel dolore e nello sconforto. Scrive la Madre il 12 gennaio 1954: Quanto soffro! Sono già quattro giorni che non vedo, né sento, né trovo il mio Amato! è vero che gli offro questo sacrificio in riparazione delle offese che commettono i sacerdoti del mondo intero, ma è anche vero che…ho tanta paura che il buon Gesù si sia allontanato da me, non tanto per rallegrarsi col mio sacrificio, ma per punire la mia vigliaccheria e la mia poca generosità…Sembra che mi manchi la vita e piango, non perché mi vedo privata della presenza del buon Gesù, ma perché credo che sia molto offeso (aveva desiderato, sia pure per un momento che Gesù non l’esaudisse) e così non posso vivere (e per la sua assenza e il perché di questa per sua colpa) (18, 1406-1407). Va avanti a lungo a scrivere di questo (cfr. D 1408-1417); aveva chiesto il sacrificio dell’assenza di Gesù, ma Lui non solo l’ha esaudita, anche se per pochi giorni, ma rincara la dose togliendole la consolazione della certezza che questo suo sacrificio fosse gradito a Lui e potesse così produrre gli effetti desiderati con la riparazione dei peccati dei sacerdoti del mondo intero.
È troppo insopportabile il martirio a cui viene sottoposta, pensando di aver combinato un grosso pasticcio, e non era certo questo quello che avrebbe voluto; soprattutto è addolorata per il dolore arrecato a Gesù con questa sua offerta maldestra. Scrive il 14 gennaio 1954: Sono terrorizzata al pensiero di vivere senza più vedere il buon Gesù e senza sapere da Lui cosa gli succede e cosa lo fa soffrire di più, se restare nascosto o mortificarsi con questa povera creatura. Il mio egoismo mi ha portato a desiderare di vederlo anche solo per una volta ancora, per domandargli se c’è qualche altra prova che gradisce al posto di questa, aggiungendo che non posso vivere senza di Lui e senza che Lui continuamente mi dica cosa debbo fare per le due Congregazioni, perché diversamente combinerò solo guai (18, 1414). La Madre è disperata, abbandonata per sua colpa, almeno così crede lei, allora si propone per un’altra offerta, in cui spera di riuscire meglio, ma ha accettato l’assenza del suo amato comunque. Sembra di assistere ad un litigio tra innamorati, dove il loro amore si caratterizza e si tormenta in mille sfumature, incomprensibili a chi li guarda dall’esterno del loro amore appassionato.
Si ripete in qualche modo quanto vine narrato nel Cantico dei cantici: L’amato mio se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa; l’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non mi ha risposto. Mi hanno incontrata le guardie che fanno la ronda in città; mi hanno percosa, mi hanno ferita, mi hanno tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate l’amato mio che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! (Ct 5, 6-8). Resta il fatto che per il clero la Madre rinuncia in qualche modo al suo amato, dopo aver perso per Lui già tutto il resto, indifferente com’è ad ogni cosa, vivendo solo di Lui e per Lui. La Madre giunge in qualche modo a congelare il suo progresso spirituale, la stessa unione trasformante, in favore dei sacerdoti. Per loro, in questa vita, rinuncia in qualche modo al buon Gesù, paradossalmente, alle dolcezze della sua presenza, per essere più precisi, e non solo in questa vita, visto che ripetutamente rimanda la riparazione dei suoi peccati al purgatorio, dove ancora dovrà rinunciare alle dolcezze del suo Gesù, e che dovrà scontare a causa di questi, avendo dato i suoi meriti riparatori per sé proprio ai sacerdoti, in riparazione dei loro peccati e per la loro santificazione.
La bellezza dell’amato
Finalmente Gesù, che aveva accettato comunque la sua primitiva offerta del martirio della sua assenza, le ridona la percezione della sua presenza, e la Madre allora si effonde in un canto di gioia per la bellezza del suo amato, come scrive l’8 febbraio 1954: Possa aver fissa in me la bellezza di Dio e questa costringa il mio cuore ad amarlo ogni giorno con più intensità. Questo amore obblighi Lui a concedermi grandi sofferenze, angosce e dolori, sempre in riparazione dei peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero (18, 1463). Anche di fronte all’estasi della bellezza del suo amato la Madre si ricorda sempre dei sacerdoti e di chiedere al suo bel amato tutto il dolore per sé a favore della santificazione del suo amato clero. Nella storia d’amore tra lei e Lui non passa un istante che ambedue non si ricordino dei sacerdoti: il loro amore all’unisono li guarda con amore di particolare predilezione, si direbbe particolarmente esclusiva.
Gli ultimi anni
Negli ultimi anni della sua vita, la Madre fin dal 1976 visse ritirata nella propria stanza, senza occuparsi più dei problemi della Congregazione. Parlava poco e sembrava sempre assorta; P. Mario Gialletti ne dà una testimonianza viva: Anche quando la Madre poteva dare l’impressione di non riuscire a seguire le cose era semplicemente immersa in Dio e godeva di quella tranquillità che ha l’anima che vede le cose in Dio…Anch’io ho potuto constatare infinite volte che anche in quel periodo la Madre era molto presente e a conoscenza di tutto, tanto che a volte, al momento opportuno, dimostrava di conoscere le cose meglio e più profondamente di chi le stava vivendo addirittura (P. Mario Gialletti, idem, pp.60-61). La Madre aveva sostanzialmente impostata la sua opera a servizio dell’Amore Misericordioso e della sua diffusione nel mondo intero, particolarmente nella sua valenza sacerdotale, a servizio del clero. Consegnava la sua eredità particolarmente alla Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso, senza per questo rinunciare a dare un orientamento fortemente sacerdotale anche alla Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, come si evince direttamente dal n.18 delle Costituzioni delle stesse Ancelle: La Congregazione, in virtù del carisma, secondo le proprie possibilità e risorse di cui dispone, abbraccia tutte quelle opere di carità nelle quali l’Amore Misericordioso vuole essere annunciato e testimoniato. Di preferenza essa si dedica all’educazione dei bambini poveri e abbandonati, agli umili, agli emarginati e handicappati, ai giovani, agli anziani e ai malati più bisognosi; ne ha cura con il cuore stesso del Cristo e si impegna per la loro promozione integrale "senza riguardi umani e senza altro limite che l’impossibilità morale" (Cost. 1949, art. 2). La Congregazione aprirà case per accogliervi ogni categoria di indigenti. La vita della Madre Fondatrice, con la sua costante dedizione al Clero, conferisce alla nostra vocazione-missione un profondo orientamento sacerdotale. Ella ci invita ad offrirci all’Amore Misericordioso per i sacerdoti del mondo intero. La Congregazione è anche particolarmente disponibile a collaborare nell’attività dei Figli dell’Amore Misericordioso poiché la loro missione deriva dal medesimo carisma.
La Madre poteva ormai cantare il cantico di Simeone: Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo Israele (Lc 2, 29-32). E lo stesso poteva dire, obbedendo alla parola di Gesù: Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite "Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare" (Lc 17, 10). Aveva tanto lavorato in tutta la sua vita, con una attenzione diuturna per i poveri a tutto campo, e poi tutti i travagli delle fondazioni, in ultimo il Santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza; ma un occhio particolare lo ebbe sempre per i Figli e per la loro opera sacerdotale, per i preti, poveri tra i più poveri, perché spesso soli, abbandonati e poco considerati, fuori e dentro della Chiesa, cosa che l’aveva letteralmente mangiata in tutta la vita esterna ed interiore, tanto da far camminare insieme, come più volte sottolineato, la sua vita spirituale-mistica con il suo amore appassionato per il clero, un amore di una vera e propria madre, che soffre e si rallegra per i suoi figli. In particolar modo i Verbali (1954-1958) delle riunioni di comunità dei primi Figli a Collevalenza ne sono una testimonianza di questa sua cura e sollecitudine, specificando ogni volta i particolari di questa missione, chiarendo i significati più reconditi delle Costituzioni ispirate dallo stesso buon Gesù fin dal 1929, missione così radicata profondamente nella sua esperienza interiore, il cui spirito voleva trasmettere con ansia anche ai suoi Figli.
L’eredità sacerdotale
Il numero 18 delle Costituzioni dei Figli dell’Amore Misericordioso così recita: Consapevoli che Cristo è il Sommo Sacerdote misericordioso perché ha offerto se stesso a Dio per noi (cfr. Eb 9,14) condividendo le nostre infermità (cfr. Eb 4,15), noi Figli dell’Amore Misericordioso vediamo nei sacerdoti i primi destinatari e mediatori della misericordia di Dio per gli uomini. Per questo motivo abbiamo una priorità ben chiara nella nostra missione: "L’unione del clero secolare" (El Pan 13,3). "Il fine principale di questa Congregazione è l’unione del clero diocesano con i religiosi, i quali devono porre tutto l’impegno e la cura nell’unirsi ai sacerdoti, essendo per loro veri fratelli, aiutandoli in tutto, più con i fatti che con le parole " (El Pan 14,1). In questa unità che Gesù ha chiesto al Padre per i suoi (cfr, Gv 17), è promossa la pienezza della santità sacerdotale, che ci rende capaci di annunciare e di comunicare a tutti la sollecitudine misericordiosa del Buon Pastore per il suo gregge. "Affinchè il loro lavoro con i sacerdoti del clero diocesano sia fecondo, i Figli dell’Amore Misericordioso devono essere persuasi che tra le opere di carità da realizzare a beneficio dell’umanità , la principale è per loro l’unione con i sacerdoti diocesani; e uniti ad essi come fratelli eserciteranno con entusiasmo e solo per amore al Signore tutte le altre opere"( El Pan 14,5).
Tutto questo negli anni si è tradotto in collaborazioni in loco, nell’accoglienza in tutte le case, fino all’assistenza diuturna per tutte le età e i più svariati problemi personali, come per i sacerdoti anziani e quelli in difficoltà, obbedendo fin nei particolari più minuti al dettame del numero 7 del Direttorio, in applicazione dei nn. 18-19 delle Costituzioni: La nostra Madre ha voluto, fin dall’inizio, che tutte le case dei Figli dell’Amore Misericordioso siano case del clero: case, cioè, di accoglienza, aperte a tutti i sacerdoti del clero diocesano che desiderino trascorrere un periodo più o meno lungo, secondo i casi, tra i Figli dell’Amore Misericordioso, o per rimettersi, o per riposare e ritemprare lo spirito nella pace della casa religiosa. La vita comunitaria, nelle nostre case, dovrà rifulgere in tutta la sua ricchezza, perché i sacerdoti diocesani si innamorino di essa e ne comprendano la fondamentale importanza. Teniamo presente che, a questo fine, la Madre ha esigito, fin dal principio, la presenza continua in comunità di almeno un religioso. Le case del clero dei Figli dell’Amore Misericordioso devono offrire un clima di famiglia per tutti, in modo particolare per i sacerdoti giovani e per i sacerdoti anziani ed ammalati, che saranno coinvolti attivamente nella vita di comunità per quanto è possibile. E ancora al numero 9: Si curino, anche, le visite ai sacerdoti anziani, ammalati, che vivono soli, collaborando, dove è possibile, con le iniziative diocesane in loro favore. Cercheremo di essere preparati per eventuali richieste di predicazione e formazione del clero, come esercizi spirituali, ritiri, accompagnamento spirituale, attività formative varie. E al numero 10: Dobbiamo coltivare costantemente "un vivo interesse per lavorare con il clero giovane". Si cercherà di essere vicini ai sacerdoti giovani che escono dal seminario e si debbono "difendere da molti pericoli…".
La fraternità sacerdotale
In definitiva la Madre ha consegnato ai suoi Figli un metodo ben preciso per avere concretamente cura dei sacerdoti, come lei ha fatto in tutta la sua vita, ossia la fraternità sacerdotale, da trasmettere ai sacerdoti medesimi per imparare, a loro volta, ad avere l’uno cura dell’altro, a proprio vantaggio e del gregge (cfr, Gv 13, 34-35; 17, 20-23), offrendo una casa, una famiglia, un luogo pieno di calore, amicizia, considerazione, rispetto, amore, premura, misericordia, perdono, viscere di maternità; e prima ancora della casa di mattoni, la Madre ha voluto che il cuore dei suoi stessi figli divenisse questa stessa casa, un cuore non semplicemente umano, ma il cuore stesso del buon Gesù, mediante lo Spirito del Figlio e del Padre, che alberga nel cuore dei figli per l’unione intima di ciascuno di loro col buon Gesù stesso, alimentata anche da una vita di preghiera e contemplazione, da cui far scaturire la propria azione pastorale, diffondendo così a tutto campo l’Amore Misericordioso, principalmente e particolarmente presso i sacerdoti. Proprio come nella vita della Madre, in cui tutte le sue opere scaturiscono dall’esperienza personale dell’intima unione col buon Gesù, così deve essere anche per i suoi figli, in cui la Madre stessa ha voluto incarnare, per un prosieguo nel tempo, il suo esperienziale abbinamento della sua vita intima con Gesù con la sua passione per i preti, in un crescendo continuo fino alla fine della vita. Recita infatti così il numero 8 delle Costituzioni: "La vita dei Figli dell’Amore Misericordioso non è né puramente attiva né puramente contemplativa, ma è attiva e contemplativa allo stesso tempo" (El Pan 13,112). Al seguito di Cristo, misericordia incarnata, siamo chiamati ad accogliere, facendone profonda e personale esperienza, l’Amore Misericordioso di Dio e a testimoniarne il primato nella nostra vita…Questa ispirazione centrale del nostro carisma illumina tutto il nostro essere e operare. Perciò, al di là di ci ciò che già fanno i figli dell’Amore Misericordioso per i sacerdoti, sarà soprattutto lo spirito sacerdotale e contemplativo della Madre, da lei ereditato, e che devono curasi di far sempre più proprio, che detterà loro la inesauribile fantasia dell’amore per servire concretamente ed efficacemente i preti, oggi e nel futuro.
Conclusione
All’inizio di questo mio lavoro non avevo una tesi da dimostrare, ma semmai da verificare, come mi sembra sia riuscito, una intuizione, ossia:
il legame indissolubile tra la vita spirituale e mistica di Madre Speranza e la sua "passione" per i preti;
i preti, infatti, sottostanno a tutta la sua opera, il Carisma dell’Amore Misericordioso e la sua diffusione, nonché le missioni prioritarie delle due Congregazioni EAM e FAM;
il tutto ispirato costantemente, e dalla Madre fedelmente e soffertamente attuato, dalla volontà e dal dettato diretto del buon Gesù;
particolarmente la missione sacerdotale FAM, in quanto i primi destinatari dell’Amore Misericordioso sono proprio i preti, primi ed indispensabili araldi di esso presso tutti i poveri del mondo, ossia tutti gli uomini feriti dal peccato e dalle sue drammatiche e tragiche conseguenze;
i FAM, come la Madre, esplicano la loro cura ai sacerdoti soprattutto offrendo loro la fraternità sacerdotale, applicandola per primi tra loro stessi nelle loro comunità, e nel servizio diretto ai preti, nonché insegnandola con questo vissuto ai preti stessi, perché la vivano a loro volta con i loro confratelli diocesani in seno ai presbiteri parrocchiali e diocesani in particolare;
ad alcuni di questi preti poi, come vocazione nella vocazione, viene offerta la possibilità di entrare, a titolo personale, a far parte della stessa Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso con la professione religiosa dei tre voti di povertà, castità e obbedienza, per essere pienamente Figli, condividendo lo stesso Carisma dei confratelli religiosi, con tutti i vantaggi spirituali e materiali che vengono dalla vita in comune, e diventando nel contempo gli avamposti della loro stessa missione, potendo agire dal di dentro della vita del presbiterio diocesano, di cui continuano a far parte pienamente come membri effettivi e come operatori diretti della missione diocesana stessa.
Infine anche i laici stessi vengono coinvolti, avvicinandosi alla Madre, in questo suo amore privilegiato per i preti, imparando anch’essi ad amarli, a guardarli con occhi fraterni e con le viscere di una madre, compatendo le loro debolezze di uomini e adoperandosi in tutti i modi per il loro bene e la loro santificazione, per la riuscita della loro gravissima missione sacerdotale. A questa cura sono particolarmente chiamati i Laici dell’Amore Misericordioso (ALAM), che vivono dello stesso Carisma e della stessa spiritualità della Madre, dei Figli e delle Ancelle dell’Amore Misericordioso, per essere a loro volta animatori presso tutti i fedeli di questa cura così centrale nella vita di Madre Speranza, e nella Chiesa, per il clero, particolarmente amato dal buon Gesù.
Sarebbe auspicabile, a tale proposito, che si venga a costituire sulla falsa riga dell’ALAM una associazione similare di Sacerdoti dell’Amore Misericordioso (ASAM), dove possano confluire i sacerdoti che, pur non sentendosi chiamati alla vocazione di Diocesani con voti (SDFAM), vogliono però usufruire del Carisma e della missione prioritaria per il clero, partecipando in qualche modo dei vantaggi spirituali e materiali della fraternità sacerdotale, tanto auspicata da Gesù stesso, dalla Madre e dai più recenti documenti della Chiesa, a sostegno di tutto il clero in questi tempi così difficili e, per dirla con Paolo VI, magnifici. Ciò sarebbe un bel coronamento di tutta l’opera sacerdotale di Madre Speranza, che nella sua lunga vita ha gettato un seme destinato sicuramente a una misura colma e traboccante di frutti.
Roma, 18 ottobre 2013
Festa di S. Luca Evangelista
Bibliografia essenziale
- Madre Speranza di Gesù, Diario, trad. it., ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza, 2007
- Ferrotti Giovanni, Madre Speranza…pane e sorriso di Dio, 5^ edizione, ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza, 2008
- Gialletti Mario, Madre Speranza, 6^ edizione, ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza, 2002
- Rossi Gabriele, Madre Speranza Alhama Valera, 3 voll., ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza 2010
- Spilla Angelo, Dentro uno stile di comunione-Madre Speranza ai sacerdoti, ed. L’ Amore Misericordioso, Collevalenza, 2010
- Valli Aldo Maria, Gesù mi ha detto-Madre Speranza testimone dell’Amore Misericordioso, ed. Ancora, Milano, 2011
- AA.VV., Ruolo profetico di Madre Speranza-Atti del Convegno di Collevalenza-5-8 febbraio 1993, ed. L’Amore Misericordioso, Collevalenza, 1994