MADRE SPERANZA: EDUCARE PER … E CON AMORE

(Suor Ana Horvat eam)

«A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano…

Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d'amore,

ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia,

mi chinavo su di lui per dargli da mangiare» (1).

«Porzione del Signore è il suo popolo,

Giacobbe sua parte di eredità.

Egli lo trovò in una terra deserta,

in una landa di ululati solitari.

Lo circondò, lo allevò,

lo custodì come la pupilla del suo occhio.

Come un'aquila che veglia la sua nidiata,

che vola sopra i suoi nati,

egli spiegò le ali e lo prese,

lo sollevò sulle sue ali» (2).

Educare significa prendersi cura dell’altro, aiutarlo a sviluppare le sue potenzialità per diventare ciò che è ed è chiamato ad essere, secondo la propria vocazione, e cioè un uomo con un’umanità pienamente compiuta.

È, «l’opera educativa, che aiuta l’uomo a essere sempre più uomo, lo introduce sempre più profondamente nella verità, lo indirizza verso un crescente rispetto della vita, lo forma alle giuste relazioni tra le persone» (3).

L’opera educativa di Madre Speranza si situa in questa prospettiva avendo non solo un carattere assistenziale, nei confronti delle persone accolte nelle case da lei fondate, ma soprattutto mira alla formazione integrale della persona, favorendo la sua promozione umana e sviluppando al massimo le sue potenzialità.

Nella consapevolezza che l’educazione è «uno dei mezzi principali a disposizione per promuovere una forma più profonda e più armoniosa dello sviluppo umano, e quindi per ridurre la povertà, l’esclusione, l’ignoranza, l’oppressione e la guerra » (4), l’attenzione educativa della Madre si rivolge soprattutto ai bambini provenienti dalle classi sociali meno abbienti e disagiate.

La Madre, nel 1929, annota nel suo diario:

«Nel mese di maggio 1929 capii che il buon Gesù voleva si realizzasse la fondazione di una Congregazione intitolata «Esclavas del Amor Misericordioso» per aprire collegi dove educare orfani e poveri; figli di famiglie numerose e di classi modeste, che avrebbero contribuito all'educazione dei figli secondo le proprie possibilità...

Per questo il lavoro dei nemici della Chiesa in questo tempo è incessante; facilmente inculcano nell'animo dei poveri l'odio alla Chiesa, la persecuzione violenta contro i suoi membri, l'odio contro i ricchi, il desiderio di uguaglianza, o meglio, di uscire dalla loro condizione di povertà senza lavorare, rubando i beni degli altri, incuranti della giustizia divina, e come esseri disumani, coinvolgeranno tutti gli avversari in una lotta sanguinosa.

Di questo sono persuasi i capi, convinti dall'idea che dove meglio si può lavorare è proprio in Spagna, perché i poveri, a causa della loro scarsa cultura, possono essere utilizzati facilmente per grandi sommosse» (5).

Nella stessa pagina del diario, la Madre, esprime l’esigenza che l’educazione dei bambini fosse accompagnata dalla formazione professionale, che avrebbe loro permesso di accedere nella società in maniera dignitosa attraverso il lavoro.

«Capii anche che, in detti collegi, i bambini dovevano ricevere un'educazione solida e quelli che ne fossero stati capaci, avrebbero potuto accedere alle scuole superiori come magistero, commerciali, poste e telecomunicazioni ecc... perché generalmente queste cose sono precluse ai poveri, specie in Spagna dove l'educazione dei poveri è molto trascurata; per questo si avvicina una terribile rivoluzione, infatti i poveri, a causa della loro scarsa cultura, tanto in campo religioso come in quello intellettuale, sono abbandonati» (6).

 

L’EDUCAZIONE PER QUALE UOMO ?

L’uomo non è solo un essere fisico o materiale, egli è anche spirito: un’unità nella dualità. E nel suo essere spirito è aperto alla totalità dell’essere e possiede quella voce che lo chiama a diventare ciò che è, a immagine del suo Creatore.

Il fine dell’educazione va dunque radicato nell’identità profonda della persona umana ed essere all’altezza della sua dignità metafisica, Madre Speranza lo identifica nell’unione dell’uomo con Dio.

«Siamo chiamate alla dignità di figlie di Dio, a vivere la sua stessa vita. Dio, figlie mie, ha voluto la nostra unione con Lui. In questa unione si realizzano la sua gloria e la nostra felicità …

Sì, tutto è stato fatto per Dio; anche noi siamo state create per Lui, che è il nostro unico fine essenziale, il nostro fine totale. Egli, figlie mie, è la causa e il solo scopo della nostra vita.

Non abbiamo altro motivo di esistere che la sua gloria, ed esistiamo soltanto per procurare quest'unico bene. Per Lui e solo per Lui viviamo e per Lui vivremo nell'eternità. Non viviamo, né moriamo per noi stesse. Se viviamo, viviamo per Dio; se moriamo è ugualmente per Dio, perché sia nella vita che nella morte siamo di Dio» (7).

Il mezzo che l’uomo ha a sua disposizione per raggiungere la pienezza del suo essere e il fine per cui è stato creato è, secondo Madre Speranza, l’uso delle creature ossia

«tutto ciò che non è Dio, tutto quanto è creato, sia le cose materiali che quelle spirituali. Cioè gli alimenti, le piante, gli animali, l'intera creazione materiale, e la grazia, le virtù, i sacramenti, la Chiesa, ecc.

E non soltanto questo, prosegue la Madre, ma anche quanto accade ogni giorno: avvenimenti fisici nel divenire del mondo, avvenimenti morali nella condotta degli uomini, avvenimenti divini nell'intervento della grazia. Tutto è compreso nella generica denominazione di creature» (8).

Madre Speranza sottolinea che l’uomo deve servirsi delle creature come ci si serve degli strumenti che si utilizzano nel lavoro, tenendo ben presente che sono solamente un mezzo per dare gloria a Dio.

«Questo è il loro destino essenziale, per cui nulla deve porsi in contatto con la nostra vita se non con questo fine superiore.

Le relazioni che dipendono dal nostro libero agire, così come quelle che si impongono per cause indipendenti dalla nostra volontà; i rapporti della nostra anima e del nostro corpo, del nostro cuore e dei nostri sensi; con gli angeli e con gli uomini, con gli animali, le piante, gli elementi inanimati, quale orientamento devono avere? quale risultato devono produrre? Far progredire la nostra vita secondo il piano di Dio e aumentare in noi la sua gloria. Figlie mie, questo è il fine superiore di tutti gli avvenimenti creati.

La nostra vita deve essere come una cetra sempre pronta ad elevare un inno di lode al suo Creatore. I rapporti con le creature, sia quelli cercati che quelli sofferti, vengono a toccare le differenti corde per farle risuonare secondo l'armonia desiderata dall'Autore» (9).

L’unione con Dio si realizzain maniera personale mediante lo sviluppo di tutte le potenzialità e capacità, fruttificando i doni di grazia e i talenti che Dio ha donato all’uomo.

Infatti, "nelle creature c'è per noi una duplice utilità: quella che contribuisce al nostro sviluppo umano, naturale, che chiamiamo utilità umana, e quella che coopera al nostro sviluppo divino, soprannaturale, che chiamiamo utilità divina" (10).

Annota la Madre:

«Accanto a questo primo scopo utile della sua gloria, Dio ha posto nelle creature quello della nostra felicità. Egli non ha voluto godere da solo la sua gloria; il suo amore ha voluto renderci partecipi dei suoi beni e gli ha fatto ideare quella meravigliosa attitudine per la quale le creature, strumenti della sua gloria, diventano al tempo stesso strumenti di soddisfazione per noi.

Esse perfezionano il nostro essere per Dio e nello stesso tempo sono causa per noi di una parte proporzionale di felicità, poiché danno alle nostre aspirazioni una certa soddisfazione e serenità. Se nella dilatazione del nostro essere, che aspira a Dio attraverso le creature, proviamo autentiche gioie, queste sono soltanto parziali perché la nostra crescita spirituale avviene per gradi. Però giungerà la grande gioia, la felicità eterna, immensa, alla quale ci prepara il lavoro operato in noi dagli strumenti di Dio.

In tal modo le creature ci forniscono una piccola parte della vera felicità già in questo mondo e ci preparano all'infinito godimento della salvezza eterna. Diciamo, figlie mie, senza stancarci: Oh bontà del mio Dio, fa' che io ti conosca! Oh Amore, fa' che io ti ami!» (11).

Come abbiamo potuto notare Madre Speranza considera l’unione con Dio il fine ultimo dell’uomo e la felicità dell’uomo il fine secondario. La Madre avverte di fare attenzione a non scambiare l’ordine dei fini per non cadere nel rischio che l’uomo diventi "fine in se stesso" nella ricerca egoistica del proprio io.

«Se le creature hanno il compito di farci progredire, è sempre verso Dio; se ne usiamo egoisticamente, fermandoci in noi stesse, le priviamo del loro compito essenziale. Pertanto è necessario che utilizzandole non trascuriamo ciò che costituisce il loro principale obiettivo, e così il motivo che ci muove a farne uso è quello della gloria divina ...

È necessario che prendiamo le cose per elevarci a Dio ed è necessario che le creature e i loro piaceri producano in noi un movimento verso Dio, e non una necessità di riposo in noi stessi o in esse. Dio, dopo aver creato, gioì e si riposò, non nelle creature, bensì nella sua opera, in Se stesso. Così le creature e il loro godimento non hanno altro obiettivo che farci crescere e riposare in Dio; ci serviamo di esse e riposiamo in Lui: è questa, figlie mie, la legge del giusto, e questo è il piano divino» (12).

 

STILE EDUCATIVO

Un ruolo importante, nel processo educativo, riveste il rapporto che si instaura tra l’educatore e l’educando.

L’azione educativa sarà efficace e raggiungerà la sua finalità solo se l’educatore nel suo agire è fermamente convinto della bontà dell’opera educativa e guidato da un amore appassionato per l’uomo, senza sostituirsi a lui, lo aiuta a raggiungere nel grado più alto la perfezione a cui il Signore lo chiama.

«Care figlie, scrive Madre Speranza, tenete presente che non esiste lavoro più nobile e delicato di quello di formare il cuore del bambino. Quale responsabilità la nostra se non insegniamo al bambino a conoscere e amare Dio e a vincere se stesso, per evitare che da grande faccia naufragio investito dall'impeto furioso delle forti passioni della gioventù». (13)

Lo stile educativo di Madre Speranza si radica ed è mosso dalla profonda esperienza mistica ed esistenziale, che lei ha fatto di Dio Amore Misericordioso, "Padre amorevole, che cerca in ogni maniera di confortare, aiutare e rendere felici i suoi figli e li segue e cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di loro" (14).

La relazione educativa, nel pensiero educativo di Madre Speranza, si fonda sull’amore. È l’amore che nell’educatore diventa amorevolezza e nell’educando fiducia e spontanea collaborazione. L’amore trasforma il rapporto educativo in rapporto filiale.

«Credo, sottolinea la Madre, che dobbiamo assomigliare al buon Maestro far trasparire in noi la bontà di Gesù e il suo amore per i poveri; che dobbiamo impegnarci instancabilmente a rallegrare i fratelli, consolare chi è triste, illuminare le povere anime addolorate perché non conoscono Gesù» (15).

Per conformarsi quanto più al Maestro e far giungere le pulsazioni del suo amore tenero e benevolo ad ogni uomo, non occorre che l’educatore sia detentore di grandi conoscenze ed alti saperi, ma lasciandosi rivestita della bontà e della misericordia di Gesù la sua anima diventi trasparenza e concretezza dell’amore divino che tanto più si moltiplica quanto più l’uomo è debole, povero e miserabile (16).

Madre Speranza esorta le suore a coltivare e maturare atteggiamenti e comportamenti materni per essere vere madri per i bambini "ricordando che il cuore della mamma con facilità propende per il figlio più incapace e sventurato; sono per lui, di solito, le espressioni della premura e affetto più vero" (17).

«Dobbiamo essere autentiche madri di chi ha bisogno, afferma Madre Speranza, senza considerare se volutamente si sono cacciati in una situazione dolorosa. Gesù non si comporta così, né per farci del bene considera se gli saremo riconoscenti o meno. Poveri noi se, al momento di crearci, avesse tenuto presente le volte che lo avremmo offeso e le nostre innumerevoli ingratitudini. Egli invece ha rivolto il suo sguardo su di noi solo per colmarci di grazie e amarci con amore infinito» (18).

Nel nostro lavoro educativo dobbiamo "sforzarci di far capire a chi ci è affidato che Gesù è per tutti un Padre buono, che ci ama di amore infinito, senza distinzioni. L'uomo più perverso, il più miserabile e perfino il più abbandonato è amato con immensa tenerezza da Gesù, che è per lui un Padre e una tenera Madre" (19).

«Dobbiamo essere pazienti, scrive la Madre, anche con le persone maleducate. Esse sono sgarbate, grossolane, scorrette ma noi incontrandole, pensiamo che se abbiamo avuto un'educazione più raffinata dobbiamo trasmetterla a chi non ce l'ha compatendole e usando loro carità» (20).

Tutta l’opera educativa di Madre Speranza è soffusa dallo spirito materno e dall’amore per chi la Provvidenza divina le ha affidato. La stessa correzione, fondata sul rispetto dell’educando, deve essere impregnata di amore perché, spiega la Madre:

«Il nostro spirito umano è fatto in modo tale che si ribella al rigore, ma cede alla bontà; per questo vi raccomando che comandiate sempre con mitezza e mai per forza; tenete presente che la durezza manda tutto in rovina: rende aspri i cuori, allontana la carità, genera odio, fa il bene di cattivo umore al punto che nessuno lo gradisce; invece la mitezza fa ciò che desidera del cuore dell’educando e lo modella secondo i suoi progetti …» (21).

La correzione non deve essere quasi mai fatta nel momento stesso quando si è commesso l’errore e tantomeno quando l’educatore è irritato oppure poco sereno "aspettiamo, consiglia la Madre, che la pace e la serenità si siano ristabilite nella nostra anima; non dimentichiamo che il rigore e il bastone, non aiutano mai i deboli: sono più adatti a uccidere un vivo che risuscitare un morto" (22).

«Credo, annota la Madre, che per educare i bambini che la divina Provvidenza ci ha affidato, dobbiamo avere più cuore che scienza, più pazienza che pedagogia ed essere per loro più madri che maestre. È vero che tante volte dobbiamo punire il bambino come farebbe sua madre, ma non dimentichiamo che lei addolcirebbe il dolore di suo figlio; ossia, unirebbe castigo e gioia. Se faremo così il bambino dimenticherà presto il dolore del castigo e passerà alla più schietta allegria.

Mai dite a queste creature parole dure e tanto meno volgari. Non commettete l'errore di far loro credere che è vero quello che pensano, cioè che non li amiamo come prima. Questo significa comportarsi con pochissima prudenza» (23).

È indispensabile per l’educatore nel suo agire farsi amare dai bambini e non farsi temere, far prevalere la dolcezza e la mitezza sull’inflessibilità e la severità, saper attendere ma anche esigere, acconsentire ma anche negare.

«San Paolo, scrive la Madre, diceva che si era fatto piccolo con i piccoli e che si sentiva tra i fedeli non come un saggio ma come una madre che serve ai propri figli e che non disdegna di fare per loro i servizi più penosi e più umili. E io vi dico: "Siate umili, figlie mie, prudenti, caritatevoli e vi guadagnerete il rispetto, la fiducia, l'obbedienza e l'amore di chi vi è stato affidato" …

Dobbiamo essere buone ma senza debolezza, chiedere senza esagerazione, indulgenti ma senza fomentare il vizio per mancanza di rettitudine nella repressione. Stiamo molto attente perché la nostra rigidità sia sempre guidata dalla ragione e dalla carità» (24).

L'azione educativa si esprime nella fermezza e nella dolcezza e si esercita mediante l'esempio. Il ruolo dell'educatore, infatti, è essenzialmente un ruolo di esemplarità e di testimonianza. Egli ottiene dall’educando atteggiamenti e comportamenti ispirati alla giustizia ed alla verità, se egli per primo si comporta in maniera giusta e veritiera ed, acquista credibilità e autorevolezza, di fronte alle persone a lui affidate, soltanto se nella sua vita esprime coerenza tra ciò che insegna e ciò che pratica. A tal fine, esorta la Madre,

«non fate nulla che essi non possano fare; non insegnate ciò che voi non praticate credendo così di assolvere alla vostra missione. No, figlie mie, dovete essere luce per quelli che vi circondano, ricordando che a nulla servono le prediche smentite dalle opere» (25).

L’educatore, quindi deve essere un testimone della verità e del bene diffondendo intorno a sé il buon profumo dell’amore e della misericordia di Gesù. È, ancora, l’amore che trasforma l’ambiente educativo in un ambiente accogliente in cui l’educando si sente come a casa sua, accolto e trattato con carità e amore (26).Anche il più piccolo e povero, esortava la Madre, deve trovare, nelle nostre case non una struttura fredda, magari efficientissima, ma un "focolare"in cui si respira un clima di famiglia.

A questo proposito nella, già citata, pagina del Diario del maggio del 1929 Madre Speranza scrive:

«Capii che debbo eliminare da questi collegi tutto ciò che avesse aspetto di assistenziale; e a questo fine noi religiose dobbiamo mangiare gli stessi alimenti dei bambini, evitando così il cattivo effetto che produce in questi il vedere che le religiose mangiano cibi diversi dai loro e di miglior qualità» (27).

Ci aiuti Maria, che ha amato ed educato Gesù, a trasmettere a chi a noi è affidato i valori che lo rendano artefice di un mondo più giusto, solidale e fraterno mantenendo viva la speranza, lasciandosi sorprendere da Dio e vivendo nella gioia (28).


(1) Os 11, 3-4.

(2) Dt 32, 9-11.

(3) Giovanni Paolo II, Evangelium Vitae, 97.

(4) J. Delors (a cura di), Nell’educazione un tesoro. Rapporto all’UNESCO della Commissione Internazionale sull’Educazione per il Ventunesimo Secolo (1996), tr. it. Armando, Roma 1997, p. 11.

(5) Madre Speranza Alhama, Diario, Maggio 1929.

(6) Ibid.

(7) Madre Speranza Alhama, El Pan 8, n. 117-118.

(8) Madre Speranza Alhama, El Pan 8,, n. 28-29.

(9) Ibid, n. 35, 37-38.

(10) Ibid, n. 60.

(11) Madre Speranza Alhama, El Pan 8, n. 40, 43-44.

(12) Ibid, n. 69, 71.

(13) Madre Speranza Alhama, El Pan 8, n. 1251.

(14) Madre Speranza Alhama, Diario, 5 novembre 1927.

(15) Madre Speranza Alhama, El Pan 2, n.55.

(16) Cfr. Madre Speranza Alhama, El Pan 2, n.73.

(17) Madre Speranza Alhama, El Pan 20, n.202.

(18) Madre Speranza Alhama, El Pan 2, n.56.

(19) Ibid, n.67.

(20) Madre Speranza Alhama, El Pan 5, n.324.

(21) Madre Speranza Alhama, El Pan 11, n.57.

(22) Ibid. n. 73. .«Ci è molto facile irritarci, comandare con cattivo viso, minacciare e castigare; in questo non abbiamo bisogno di maestri perché la nostra natura lo porta con sé; mentre ci è molto difficile dominare le passioni, moderare il temperamento, sopportare con pazienza e carità i difetti del nostro prossimo, sopportare che il fuoco della impetuosità e della collera sia passato, prendere le cose con pazienza, pregare prima di fare una correzione e scegliere con vera carità i mezzi di correzione; tutto questo esige una virtù risoluta e un grande amore al Nostro Dio; se amiamo il nostro prossimo facilmente riusciremo a sopportar i suoi difetti; se non lo amiamo non avremo pazienza per sopportare le sue debolezze e non staremo lavorando per la sua correzione».Ibid. n. 68.

(23) Madre Speranza Alhama, El Pan 2, n.51, 54,55.

(24) Madre Speranza Alhama, El Pan 11, n. 50, 63.

(25) Madre Speranza Alhama, El Pan 20, n. 182.

(26) Cfr. Madre Speranza Alhama, El Pan 11. n. 57.

(27) Madre Speranza Alhama, Diario, Maggio 1929.

(28) Cfr. Papa Francesco, http://www.vatican.va/holy_father/francesco/homilies/2013/documents/papa-francesco_20130724_gmg-omelia-aparecida_it.html.