l'unione con il «Buon Gesù»

In tutti gli avvenimenti e gli atteggiamenti che hanno caratterizzato la vita di Madre Speranza, fin dalla sua infanzia e nel periodo particolare della sua vita che stiamo vedendo, c'è come un filo conduttore: la ricerca costante della volontà di Dio attraverso l'unione intima con il buon Gesù, attraverso le mediazioni umane, attraverso i bisogni dei poveri. Con queste riflessioni vogliamo far risaltare il desiderio e la ricerca continua dell'unione con il suo «Buen Jesús», fonte e termine di ogni sua scelta ed azione.

 

«... fino ad arrivare alla piena unione con il mio Dio»

Finora, siamo venuti a conoscenza di fatti ed esperienze che hanno in qualche modo segnato la vita della Madre, influendo sicuramente sulla sua formazione umana e spirituale.

L'esposizione e la descrizione dei singoli episodi ed avvenimenti non può fermarsi per noi ad una pura conoscenza storica, o alla soddisfazione della nostra curiosità, bensì ci offre la possibilità di ricavare, attraverso una lettura attenta, gli atteggiamenti che hanno spinto la Madre ad operare determinate scelte, frutto di uno stile di vita radicalmente evangelico.

A questo punto del nostro percorso, potrebbe sorgere questa domanda: da dove attingeva la Madre il coraggio di vivere nella costante ricerca della volontà di Dio, tentando di superare con animo fiducioso le diverse difficoltà e prove?

Tra i molteplici tentativi di risposta appare evidente che l'atteggiamento fondamentale che, da sempre, ha caratterizzato la vita spirituale della Madre è un'intensa unione con il "Buon Gesù", come lei soleva chiamarlo.

Questo sembra essere il segreto di una vita trascorsa nel continuo anelito di conformità alla volontà di Dio, ricercata e vissuta nelle occasioni quotidiane, solo per amore verso di Lui.

La Madre profondamente contemplativa e convinta di poter agire solo con l'aiuto del Signore, diviene sempre più creativa nell'amore.

Indice di questo atteggiamento è quanto lei afferma nei «Consejos prácticos», diretti alle sue figlie nate da poco:

«Non dubito che avvertirete spesso un senso di abbattimento, però potrete dominare questa debolezza del vostro cuore, ponendo la vostra fiducia in Gesù senza pretendere di sostenervi da sole. Pensiamo, figlie mie, che senza Gesù non usciremo mai dal fango delle miserie umane, però ricorriamo alla preghiera poiché è lì dove Gesù si lascia sentire all'anima e le dà forza, delicatezza e grazia per ogni cosa» (1).

E' evidente come la Madre fosse guidata dalla convinzione che la persona umana, debole per natura, è chiamata a riporre la sua fiducia ed il suo abbandono unicamente in Dio mediante la vita di preghiera, dove, entrando in comunione diretto con Lui, percepisce la comunicazione della Sua grazia.

Questa forte esigenza interiore trae le sue origini dall'esempio evangelico:

«Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (2).

La Madre, cogliendo le esigenze di Gesù e la radicalità delle scelte a cui la chiama in modo davvero unico e personale, chiede al Signore di aiutarla a penetrare la verità di sé e quella di Lui:

«Egli faccia sì che la conoscenza di me stessa mi faccia capire sempre più la grande necessità che l'anima mia ha del mio Dio e che per questo io sospiri ardentemente, notte e giorno, solo per Lui e per il compimento della Sua Divina volontà» (3).

Anche anni più tardi, lei sottolineerà l'importanza di questo atteggiamento e troverà ancora in Dio l'unica fonte capace di colmare la sua debolezza e la sua sete di amore:

«Il Buon Gesù mi ha fatto comprendere che ho bisogno di conoscere me stessa e di conoscere Lui. Mi ha detto che la conoscenza di me stessa insieme alla conoscenza di Lui favorirà l'unione intima ed affettuosa dell'anima mia con Lui. Mi dice che Egli è la perfezione ed io l'estrema povertà e che, nonostante ciò, vi è una certa connaturalità e rapporto tra i due; nel mio Dio trovo tutto ciò che mi manca. Egli, Padre mio, si è abbassato fino a me per darmi il suo amore e colmarmi di benefici; ed io mi rivolgo a Lui come all'unico Signore che può sdebitarmi dai peccati e rimediare alla mia irreparabile debolezza assetata di felicità e di amore. In Lui trovo l'una e l'altra cosa dato che per amor mio Lui esaudisce ogni desiderio del mio cuore e contemporaneamente mi dà la perfezione e la felicità che derivano dalla Sua conoscenza. Infatti la mia anima, illuminata dalla luce della fede rientra in se stessa e nell'intimo sento un vuoto che può essere riempito solo dal mio Dio con il suo amore divino; e, poiché il mio desiderio non potrà mai saziarsi completamente qui in terra, dal momento che sempre resta del cammino da percorrere per giungere alla vera unione con il mio Dio, Egli mi ha promesso che questa unione crescerà sempre più, incessantemente, se io non lo impedisco. Mi aiuti in ciò, Padre mio» (4).

 

Le tappe dell'unione

Ancora bambina, la Madre espresse il suo forte amore a Gesù in quel grande desiderio di riceverlo nel suo cuore, che la spinse a «rubare» la prima Comunione:

«Da quel giorno cambiarono molte cose per lei: non giocava più alla corda per non molestare Gesù, che stava dentro di lei, con i suoi salti; aveva la preoccupazione di fargli costantemente compagnia, di non lasciarlo mai solo e di non dimenticarlo mai durante la giornata» (5).

Commenta Padre Enrique Arana nel suo lavoro sulla spiritualità apostolica della Madre:

«La convinzione che Gesù Sacramentato aveva preso dimora nel suo cuore e la certezza che la Sua presenza l'accompagnava sempre, formarono in lei una spiritualità eucaristica che sempre fu la sua caratteristica.

Gli aspetti di questa prima esperienza e le caratteristiche di questa unione sono chiaramente di tipo infantile e molto affettivi, però, col passar degli anni, matureranno in una esperienza di unione mistica» (6).

Già a Villena, quanti le erano accanto, si accorsero che in lei vi era qualcosa di particolare che la distingueva dalle altre suore. A quanto ricordano alcune anziane signore, Madre Speranza, oltre a guidare la recita del Santo Rosario e a pregare molto, «a volte, rimaneva tanto assorta, sino al punto che la religiosa che le stava accanto doveva scuoterla; altre volte rimaneva "como elevada del suelo"» (7).

Ormai Claretiana, l'abbiamo vista unita alla Passione di Gesù, imparando l'unione intima con Lui per abbracciare gioiosamente la Sua divina volontà (8); l'abbiamo vista anche ricorrere a Lui per discernere come portare avanti il servizio ai poveri (9).

 

L'unione con Gesù, cammino di libertà

Una delle dimensioni che appare abbastanza chiara nell'esperienza vissuta dalla Madre in questi anni è l'itinerario che il Buon Gesù le ha fatto percorrere per portarla progressivamente verso una maggiore libertà interiore ed unirla a Lui:

« Questa notte il Buon Gesù mi ha nuovamente ripetuto che devo sforzarmi di più per distaccarmi completamente dalle creature e unirmi di più a Lui» (10).

Lei capisce bene questo desiderio di Gesù e desidera corrispondervi ma si rende conto con umiltà che la strada da percorrere perché questa aspirazione divenga realtà è lunga:

«Il Buon Gesù sa che è da molto tempo che provo interiormente la spinta ad amarlo fortemente e, a causa di questo amore, ad abbracciare la croce che più a Lui piace, però si vede che nonostante il mio desiderio non è così. Preghi, Padre mio, perché il mio amore verso il Buon Gesù non sia una illusione, ma una realtà» (11).

Anche diversi anni più tardi la Madre ci fa comprendere che il suo cammino continua:

«Gesù mio, dici che il tuo desiderio è che rinunci di più a me stessa per possedere te, che lotti per godere la vera pace e che muoia a me stessa per vivere la tua vita, ossia l'unione con Te; che devo essere tutta per Te come Tu sei tutto per me e che, di conseguenza, non devo cercare nulla, neppure me stessa, fuori di Te giacché Tu desideri essere per me ogni cosa» (12).

 

Un'unione vitale (mente, cuore, volontà)

L'unione con il Buon Gesù, lungi dall'essere un fatto intimistico o momentaneo, appare in Madre Speranza come l'esperienza più coinvolgente e totalizzante della sua vita. Il cammino di liberazione prima accennato ha proprio la finalità di portarla a fare di Gesù, come lei stessa dirà più volte, il «centro della sua vita». A questo tendono anche le grazie speciali dell'«unione mistica»:

«Mi sono distratta, cioè ho trascorso parte della notte fuori di me e molto unita al Buon Gesù» (13).

«Il Bambino Divino mi ha chiesto di sforzarmi nel pensare a Lui per giungere a far sì che il mio cuore e la mia mente stiano fissi in Lui e che nulla e nessuno mi distraggano da Lui» (14).

La Madre va notando in se stessa il forte e progressivo coinvolgimento affettivo che l'unione con il Buon Gesù produce in lei:

«Non so se è un'illusione, però mi sembra di amare il Buon Gesù più di prima; vi sono momenti, Padre mio, che mi sembra di avvertire nell'anima un movimento interiore che la trasporta verso di Lui, distaccandola dalle cose che non sono Lui, infondendo in me una sete ardente di soffrire per Lui» (15).

Questa crescita nell'unione durerà tutta la vita, tanto che nel marzo del 1952 scrive:

«Gesù mi ripete quello di sempre, che mi ama tanto tanto e che desidera stia unita a Lui.

Gesù ci cerca con amore instancabile, come se non potesse essere felice senza di noi ed io mi sento ferita dal suo amore; il mio povero cuore non può resistere alle sue tenere e soavi carezze e le fiamme del suo amore mi incendiano fino al punto di credere di non farcela a sostenerle» (16).

Questa unione che coinvolge la sua ragione e le sue energie affettive si estende anche alla sua capacità di decisione e di azione. Avverte con molta chiarezza che il Buon Gesù le chiede: «animarme a hacer por El grandes cosas, cueste lo que me costare» (17).

Il suo grande desiderio è arrivare a una coincidenza totale della sua volontà con quella di Gesù: «(...) pida al Buen Jesús me conceda la gracia, de que yo no desee jamás cosa alguna que no sea intención de El» (18).

Ancora una volta ci rendiamo conto che anche questa «unione delle volontà» è stato un cammino lento e progressivo:

«Il Buon Gesù mi diceva che l'unione più vera, intima e profonda è quella che esiste tra due volontà e che, conformandomi alla volontà del mio Dio, sottometterò la mia e la unirò alla sua; il suo cibo è stato sempre fare la Volontà del Padre Suo, cioè, Padre mio, la sua Volontà è scaturita dalla fusione di due volontà in una sola; questo è ciò che Lui desidera da me. Come giungerò a questo, Padre mio? Io già lo desidero, però ancora non posso dire in verità: "vivo, però non più io, ma il mio Dio vive in me". Debbo dirle con pena, Padre mio, che nonostante il mio desiderio di far piacere al Buon Gesù, nel momento della prova mi dimentico che è nel dolore dove devo unirmi ancor più al mio Dio e rafforzare il mio amore verso di Lui, così pure mi dimentico che conformare la mia volontà alla sua è, secondo Lui, scambiare i cuori, accettare i suoi giudizi come guida per quelli miei e le sue prove come regola della mia volontà. Come otterrò tutto ciò, Gesù mio? Fa' Gesù, che l'amore e la sofferenza mi uniscano fortemente a Te e che possa dire in verità che non ho più una mia volontà» (19).

 

Una unione per...

Possiamo affermare, leggendo con attenzione i suoi scritti, che il Signore porta la Madre ad una simile unione con Lui per prepararla alla missione che l'attende. Colpisce come nelle pagine del diario citate, molto spesso il cammino di libertà interiore e il coinvolgimento globale di tutta la sua persona nell'unione va di pari passo con un «progetto» che, pian piano, va manifestandosi ed esigendo un abbandono totale e deciso al volere di Dio: «¿Qué quiere decir el Buen Jesús con esto, Padre mío? ¿qué labor va a darme?» (20).

L'unione con Gesù provoca in lei addirittura un desiderio di accellerare la realizzazione di quel piano che le viene annunciato ma i cui termini reali non le è dato di capire: «(...) con ansia espero llegue el momento de que El me pida esa labor que dice quiere haga, ayudada de El» (21).

Dio la va educando a rendersi strumento disponibile per la sua azione:

«Es Dios quien actua dentro del hombre, quien quiere dirigir su vida y a El hay que abandonarse, despidiéndose definitivamente de todo lo que es búsqueda de nosotros mismos. Sólo quien se ausenta de sí mismo puede percibir los matices del proyecto de Dios y consiente a Dios pedirle cuanto el desea. Toda circunstancia y acontecimiento llegan saturados de un mensaje revelador de Dios, que, como buen Padre, quiere proveer al alma, purificarla y unirla a El» (22).

 

Maria: un canale privilegiato per l'unione

La Madre, nei primi Consigli pratici rivolti alle sue figlie, indica in Maria la sola Mediatrice potente attraverso cui è possibile «possedere» pienamente Gesù:

«Tengamos en cuenta que el alma no puede poseer a Jesús si no es por medio de María. De todas las felicidades que en la tierra es dado gustar y saborear como anticipo del cielo, la mayor es vivir unidas a María. Esta dicha, hijas mías, es inmensa, Ella prepara a la suprema felicidad que es vivir en Jesús, pues el medio más eficaz para purificar y apresurar nuestra unión con el Amor Misericordioso, es María. Yo creo que cuando por María se nos da a Jesús, es doble el gozo y es más plena la posesión» (23).

La Madre non ha lasciato trattazioni teologiche sulla Santissima Vergine, ma ha sempre espresso nella sua vita e con la sua vita un amore grande ed una filiale riconoscenza verso Colei che ha vissuto l'unione massima con il suo Dio ed è per noi il modello supremo di questa unione e adesione alla volontà divina. Da Maria, lei imparò quel ritornello frequente nel suo cuore e sulle sue labbra: «Ecce Ancilla Domini».

«Può farsi un'idea, Padre mio, di quanto mi ha fatto soffrire il pensiero che il Buon Gesù si è allontanato da me, non per la offerta che gli ho fatto, ma perché è dispiaciuto con me; nella mia tristezza penso che neppure si trovi dentro il mio povero cuore. Questo pensiero mi tormenta e mi fa versare molte lacrime e a malapena mi consente di pregare. La Madre mi ha consolata dicendomi che suo Figlio starà sempre dentro il mio cuore e che non mi lascia un momento, che devo stare tranquilla e dedicarmi più alla contemplazione che alla tristezza; che il Buon Gesù sarà molto più contento se io non lasciandomi invadere tanto dalla tristezza, mi do in pieno a vivere i suoi insegnamenti e, come Lui, a sospirare per le sofferenze e le umiliazioni, sforzandomi di ricopiare in me le sue perfezioni. Come è buona la Madre, Padre mio! Se vedesse con quale amore mi ha trattato dopo che io ho offeso tanto il suo Figlio! Ella, dimenticando tutto il suo dolore causato dalle offese recate al Figlio, ci viene sempre dietro e, come Mediatrice e Madre, cerca sempre di mettere la pace, la riconciliazione e l'unione tra Lui e l'anima; e il Buon Gesù non credo sia capace di non esaudire le suppliche di sua Madre. Chieda alla Madre che non si allontani dal mio fianco e che mi ottenga dal Buon Gesù la grazia di non spaventarmi mai più dello sforzo che necessariamente devo fare per vivere serena e camminare nella perfezione che Gesù mi chiede, in mezzo alle tenebre e all'abbandono» (24).

La Madre soffre e si dispiace per coloro che, fatti oggetto della particolare premura di Maria, «no tienen fervor y no sienten calor» verso di lei (25).

Ella, scrive Padre Valentino Macca, «vuole che la pietà sia fondata sulla verità, si manifesti nel compimento della volontà di Dio, crei disposizioni ed opere le quali rivelino che in ogni devoto di Maria riviva maternamente la prima umile e fedele Ancella dell'Amore Misericordioso beata perché ha creduto, beata perché ha accolto la parola, l'ha custodita e contemplata nel cuore, l'ha servita, compiendo fin sotto la croce la volontà di Dio.

Nella Novena dell'Amore Misericordioso, fin dal primo giorno, la Madre ha espresso tutta se stessa, rivelando le prospettive evangeliche esatte della sua teologia e pietà mariana quando pregò e fece pregare:

«Tu, Madre mia, che generasti e con le tue delicate mani curasti il buon Gesù, educami e aiutami nel compimento dei miei doveri, conducendomi per i sentieri dei comandamenti. Dì per me a Gesù: Ricevi questo figlio; te lo raccomando con tutta l'insistenza del mio cuore materno"» (26).

 

suggerimenti per la riflessione e il dialogo

  1. Come potrò vivere senza il calore, l'amore e l'unione di Colui che è tutto per me? Che cosa posso fare per conquistare di nuovo il Buon Gesù e farlo abitare dentro il mio povero cuore? (Diario, 13.01.1954. El pan 18, 1410)

  2. Alla luce del cammino di unione della Madre, in che misura «il Buon Gesù» è il centro dei nostri pensieri, progetti, energie affettive, sentimenti, desideri, decisioni, azioni concrete?

  3. Come e quanto la volontà di Dio diventa il criterio ultimo del discernimento e delle decisioni personali, familiari e comunitarie?

 

traccia per la riflessione personale e la condivisione

Per la Madre, come per ogni cristiano, la fonte della vita e della fecondità apostolica è stata l'unione con Gesù. Questo momento di riflessione personale possa condurci a sperimentare la centralità di questo Amore che da senso alla nostra vita, sostiene la nostra fragilità, unifica i nostri pensieri e i nostri affetti, dà gioia e pienezza ad ogni nostra azione. Chiediamo a Maria che ci aiuti a crescere nell'unione con il Figlio suo e tra di noi.

 

Lettura dal Vangelo di Giovanni 15, 1-17

«Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: amatevi gli uni gli altri».

 

Papa Francesco, Discorso i partecipanti al congresso internazionale sulla catechesi, 27 settembre 2013

Cari catechisti, buonasera!

Mi piace che nell’Anno della fede ci sia questo incontro per voi: la catechesi è un pilastro per l’educazione della fede, e ci vogliono buoni catechisti! Grazie di questo servizio alla Chiesa e nella Chiesa. Anche se a volte può essere difficile, si lavora tanto, ci si impegna e non si vedono i risultati voluti, educare nella fede è bello! E’ forse la migliore eredità che noi possiamo dare: la fede! Educare nella fede, perché lei cresca. Aiutare i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti a conoscere e ad amare sempre di più il Signore è una delle avventure educative più belle, si costruisce la Chiesa! "Essere" catechisti! Non lavorare da catechisti: questo non serve! Io lavoro da catechista perché mi piace insegnare… Ma se tu non sei catechista, non serve! Non sarai fecondo, non sarai feconda! Catechista è una vocazione: "essere catechista", questa è la vocazione, non lavorare da catechista. Badate bene, non ho detto "fare" i catechisti, ma "esserlo", perché coinvolge la vita. Si guida all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. Ricordatevi quello che Benedetto XVI ci ha detto: "La Chiesa non cresce per proselitismo. Cresce per attrazione". E quello che attrae è la testimonianza. Essere catechista significa dare testimonianza della fede; essere coerente nella propria vita. E questo non è facile.  Non è facile! Noi aiutiamo, noi guidiamo all’incontro con Gesù con le parole e con la vita, con la testimonianza. A me piace ricordare quello che san Francesco di Assisi diceva ai suoi frati: "Predicate sempre il Vangelo e, se fosse necessario, anche con le parole". Le parole vengono… ma prima la testimonianza: che la gente veda nella nostra vita il Vangelo, possa leggere il Vangelo. Ed "essere" catechisti chiede amore, amore sempre più forte a Cristo, amore al suo popolo santo. E questo amore non si compra nei negozi, non si compra qui a Roma neppure. Questo amore viene da Cristo! E’ un regalo di Cristo! E’ un regalo di Cristo! E se viene da Cristo parte da Cristo e noi dobbiamo ripartire da Cristo, da questo amore che Lui ci dà, Che cosa significa questo ripartire da Cristo per un catechista, per voi, anche per me, perché anch’io sono catechista? Cosa significa?

Io parlerò di tre cose: uno, due e tre, come facevano i vecchi gesuiti… uno, due e tre!

1. Prima di tutto, ripartire da Cristo significa avere familiarità con Lui, avere questa familiarità con Gesù: Gesù lo raccomanda con insistenza ai discepoli nell’Ultima Cena, quando si avvia a vivere il dono più alto di amore, il sacrificio della Croce. Gesù utilizza l’immagine della vite e dei tralci e dice: rimanete nel mio amore, rimanete attaccati a me, come il tralcio è attaccato alla vite. Se siamo uniti a Lui possiamo portare frutto, e questa è la familiarità con Cristo. Rimanere in Gesù! E’ un rimanere attaccati a Lui, dentro di Lui, con Lui, parlando con Lui: rimanere in Gesù.

La prima cosa, per un discepolo, è stare con il Maestro, ascoltarlo, imparare da Lui. E questo vale sempre, è un cammino che dura tutta la vita. Ricordo, tante volte in diocesi, nell’altra diocesi che avevo prima, di aver visto alla fine dei corsi nel seminario catechistico, i catechisti che uscivano dicendo: "Ho il titolo di catechista!". Quello non serve, non hai niente, hai fatto una piccola stradina! Chi ti aiuterà? Questo vale sempre! Non è un titolo, è un atteggiamento: stare con Lui; e dura tutta la vita! E’ uno stare alla presenza del Signore, lasciarsi guardare da Lui. Io vi domando: Come state alla presenza del Signore? Quando vai dal Signore, guardi il Tabernacolo, che cosa fate? Senza parole… Ma io dico, dico, penso, medito, sento… Molto bene! Ma tu ti lasci guardare dal Signore? Lasciarci guardare dal Signore. Lui ci guarda e questa è una maniera di pregare. Ti lasci guardare dal Signore? Ma come si fa? Guardi il Tabernacolo e ti lasci guardare… è semplice! E’ un po’ noioso, mi addormento... Addormentati, addormentati! Lui ti guarderà lo stesso, Lui ti guarderà lo stesso. Ma sei sicuro che Lui ti guarda! E questo è molto più importante del titolo di catechista: è parte dell’essere catechista. Questo scalda il cuore, tiene acceso il fuoco dell’amicizia col Signore, ti fa sentire che Lui veramente ti guarda, ti è vicino e ti vuole bene. In una delle uscite che ho fatto, qui a Roma, in una Messa, si è avvicinato un signore, relativamente giovane, e mi ha detto: "Padre, piacere di conoscerla, ma io non credo in niente! Non ho il dono della fede!". Capiva che era un dono. "Non ho il dono della fede! Che cosa mi dice lei?". "Non ti scoraggiare. Lui ti vuole bene. Lasciati guardare da Lui! Niente di più". E questo lo dico a voi: lasciatevi guardare dal Signore! Capisco che per voi non è così semplice: specialmente per chi è sposato e ha figli, è difficile trovare un tempo lungo di calma. Ma, grazie a Dio, non è necessario fare tutti nello stesso modo; nella Chiesa c’è varietà di vocazioni e varietà di forme spirituali; l’importante è trovare il modo adatto per stare con il Signore; e questo si può, è possibile in ogni stato di vita. In questo momento ognuno può domandarsi: come vivo io questo "stare" con Gesù? Questa è una domanda che vi lascio: "Come vivo io questo stare con Gesù, questo rimanere in Gesù?". Ho dei momenti in cui rimango alla sua presenza, in silenzio, mi lascio guardare da Lui? Lascio che il suo fuoco riscaldi il mio cuore? Se nel nostro cuore non c’è il calore di Dio, del suo amore, della sua tenerezza, come possiamo noi, poveri peccatori, riscaldare il cuore degli altri? Pensate a questo!

2. Il secondo elemento è questo. Secondo: ripartire da Cristo significa imitarlo nell’uscire da sé e andare incontro all’altro. Questa è un’esperienza bella, e un po’ paradossale. Perché? Perché chi mette al centro della propria vita Cristo, si decentra! Più ti unisci a Gesù e Lui diventa il centro della tua vita, più Lui ti fa uscire da te stesso, ti decentra e ti apre agli altri. Questo è il vero dinamismo dell’amore, questo è il movimento di Dio stesso! Dio è il centro, ma è sempre dono di sé, relazione, vita che si comunica… Così diventiamo anche noi se rimaniamo uniti a Cristo, Lui ci fa entrare in questo dinamismo dell’amore. Dove c’è vera vita in Cristo, c’è apertura all’altro, c’è uscita da sé per andare incontro all’altro nel nome di Cristo. E questo è il lavoro del catechista: uscire continuamente da sé per amore, per testimoniare Gesù e parlare di Gesù, predicare Gesù. Questo è importante perché lo fa il Signore: è proprio il Signore che ci spinge a uscire.

Il cuore del catechista vive sempre questo movimento di "sistole - diastole": unione con Gesù - incontro con l’altro. Sono le due cose: io mi unisco a Gesù ed esco all’incontro con gli altri. Se manca uno di questi due movimenti non batte più, non può vivere. Riceve in dono il kerigma, e a sua volta lo offre in dono. Questa parolina: dono. Il catechista è cosciente che ha ricevuto un dono, il dono della fede e lo dà in dono agli altri. E questo è bello. E non se ne prende per sé la percentuale! Tutto quello che riceve lo dà! Questo non è un affare! Non è un affare! E’ puro dono: dono ricevuto e dono trasmesso. E il catechista è lì, in questo incrocio di dono. E’ così nella natura stessa del kerigma: è un dono che genera missione, che spinge sempre oltre se stessi. San Paolo diceva: «L’amore di Cristo ci spinge», ma quel "ci spinge" si può tradurre anche "ci possiede". E’ così: l’amore ti attira e ti invia, ti prende e ti dona agli altri. In questa tensione si muove il cuore del cristiano, in particolare il cuore del catechista. Chiediamoci tutti: è così che batte il mio cuore di catechista: unione con Gesù e incontro con l’altro? Con questo movimento di "sistole e diastole"? Si alimenta nel rapporto con Lui, ma per portarlo agli altri e non per ritenerlo? Vi dico una cosa: non capisco come un catechista possa rimanere fermo, senza questo movimento. Non capisco!

3. E il terzo elemento – tre - sta sempre in questa linea: ripartire da Cristo significa non aver paura di andare con Lui nelle periferie. Qui mi viene in mente la storia di Giona, una figura davvero interessante, specialmente nei nostri tempi di cambiamenti e di incertezza. Giona è un uomo pio, con una vita tranquilla e ordinata; questo lo porta ad avere i suoi schemi ben chiari e a giudicare tutto e tutti con questi schemi, in modo rigido. Ha tutto chiaro, la verità è questa. E’ rigido! Perciò quando il Signore lo chiama e gli dice di andare a predicare a Ninive, la grande città pagana, Giona non se la sente. Andare là! Ma io ho tutta la verità qui!. Non se la sente…Ninive è al di fuori dei suoi schemi, è alla periferia del suo mondo. E allora scappa, se ne va in Spagna, fugge via, si imbarca su una nave che va da quelle parti. Andate a rileggere il Libro di Giona! E’ breve, ma è una parabola molto istruttiva, specialmente per noi che siamo nella Chiesa.

Che cosa ci insegna? Ci insegna a non aver paura di uscire dai nostri schemi per seguire Dio, perché Dio va sempre oltre. Ma sapete una cosa? Dio non ha paura! Sapevate questo voi? Non ha paura! E’ sempre oltre i nostri schemi!  Dio non ha paura delle periferie. Ma se voi andate alle periferie, lo troverete lì. Dio è sempre fedele, è creativo. Ma, per favore, non si capisce un catechista che non sia creativo. E la creatività è come la colonna dell’essere catechista. Dio è creativo, non è chiuso, e per questo non è mai rigido. Dio non è rigido! Ci accoglie, ci viene incontro, ci comprende. Per essere fedeli, per essere creativi, bisogna saper cambiare. Saper cambiare. E perché devo cambiare? E’ per adeguarmi alle circostanze nelle quali devo annunziare il Vangelo. Per rimanere con Dio bisogna saper uscire, non aver paura di uscire. Se un catechista si lascia prendere dalla paura, è un codardo; se un catechista se ne sta tranquillo, finisce per essere una statua da museo: e ne abbiamo tanti! Ne abbiamo tanti! Per favore, niente statue da museo! Se un catechista è rigido diventa incartapecorito e sterile. Vi domando: qualcuno di voi vuole essere codardo, statua da museo o sterile? Qualcuno ha questa voglia? [catechisti: No!] No? Sicuro? Va bene! Quello che dirò adesso lo ho detto tante volte, ma mi viene dal cuore di dirlo. Quando noi cristiani siamo chiusi nel nostro gruppo, nel nostro movimento, nella nostra parrocchia, nel nostro ambiente, rimaniamo chiusi e ci succede quello che accade a tutto quello che è chiuso; quando una stanza è chiusa incomincia l’odore dell’umidità. E se una persona è chiusa in quella stanza, si ammala! Quando un cristiano è chiuso nel suo gruppo, nella sua parrocchia, nel suo movimento, è chiuso, si ammala. Se un cristiano esce per le strade, nelle periferie, può succedergli quello che succede a qualche persona che va per la strada: un incidente. Tante volte abbiamo visto incidenti stradali. Ma io vi dico: preferisco mille volte una Chiesa incidentata, e non una Chiesa ammalata! Una Chiesa, un catechista che abbia il coraggio di correre il rischio per uscire, e non un catechista che studi, sappia tutto, ma chiuso sempre: questo è ammalato. E alle volte è ammalato dalla testa….

Ma attenzione! Gesù non dice: andate, arrangiatevi. No, non dice quello! Gesù dice: Andate, io sono con voi! Questa è la nostra bellezza e la nostra forza: se noi andiamo, se noi usciamo a portare il suo Vangelo con amore, con vero spirito apostolico, con parresia, Lui cammina con noi, ci precede, – lo dico in spagnolo – ci "primerea". Il Signore sempre ci "primerea"! Ormai avete imparato il senso di questa parola. E questo lo dice la Bibbia, non lo dico io. La Bibbia dice, il Signore dice nella Bibbia: Io sono come il fior del mandorlo. Perché? Perché è il primo fiore che fiorisce nella primavera. Lui è sempre "primero"! Lui è primo! Questo è fondamentale per noi: Dio sempre ci precede! Quando noi pensiamo di andare lontano, in una estrema periferia, e forse abbiamo un po’ di timore, in realtà Lui è già là: Gesù ci aspetta nel cuore di quel fratello, nella sua carne ferita, nella sua vita oppressa, nella sua anima senza fede. Ma voi sapete una delle periferie che mi fa così tanto male che sento dolore - lo avevo visto nella diocesi che avevo prima? E’ quella dei bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. A Buenos Aires ci sono tanti bambini che non sanno farsi il Segno della Croce. Questa è una periferia! Bisogna andare là! E Gesù è là, ti aspetta, per aiutare quel bambino a farsi il Segno della Croce. Lui sempre ci precede.

Cari catechisti, sono finiti i tre punti. Sempre ripartire da Cristo! Vi dico grazie per quello che fate, ma soprattutto perché ci siete nella Chiesa, nel Popolo di Dio in cammino, perché camminate con il Popolo di Dio. Rimaniamo con Cristo - rimanere in Cristo - cerchiamo di essere sempre più una cosa sola con Lui; seguiamolo, imitiamolo nel suo movimento d’amore, nel suo andare incontro all’uomo; e usciamo, apriamo le porte, abbiamo l’audacia di tracciare strade nuove per l’annuncio del Vangelo.

Che il Signore vi benedica e la Madonna vi accompagni. Grazie!

Maria è nostra Madre,
Maria sempre ci porta a Gesù!

Facciamo una preghiera, uno per l’altro, alla Madonna.

Lettura di nostra Madre:

Lettura per giorni di ritiro in preparazione alla rinnovazione dei voti (22.6.1961; El pan 17, 30-31)

«Fare dono di se stessi al Nostro Dio significa, figlie mie, il Fiat perpetuo in mezzo a tutti gli avvenimenti; vuol dire il desiderio semplice e filiale in tutto di fare la volontà del nostro Dio; significa l'abbandono totale alle disposizioni del Buon Gesù. Darsi a Dio, vuol dire, figlie mie, abbandonarsi nelle braccia del Buon Gesù, lasciandoci portare da Lui come un bimbo nelle braccia di sua madre, incaricare Lui di provvedere a tutte le nostre necessità. Da parte nostra accontentiamoci di amarlo e servirlo come vere Ancelle del suo Amore Misericordioso, supplicandolo di concederci la grazia che tutte noi giungiamo a distaccarci da noi stesse per entrare in Lui, e che rimanendo in questo forno del suo Amore, le nostre anime si purifichino da ogni scoria, diventino splendenti, ardenti e docili alle sue divine ispirazioni e da Lui illuminate risplendano sempre con la viva luce del suo Amore, della sua carità e del sacrificio. In questo modo illumineremo tutti coloro che ci circondano, cercando che sia Lui solo a riempire i nostri cuori e che Lui ci aiuti a svuotarli di tutto ciò che non sia Lui e le cose Sue, sforzandoci sempre più nel santificare le anime, non con parole eloquenti, ma con il profumo soave del sacrificio, della carità e del rinnegamento di sé».

 

Dalla «Exhortación» di Nostra madre del 4.1.1965 Cfr El pan 21, 265-277

«E così, dite voi ora: Signore, ti supplico con la Madre, non contare questi giorni in cui mi sono lasciata trasportare dalla superbia, dal mio amor proprio, dalla simpatia, dal "cosa diranno"... Dimenticati di tutto, Signore! Fa' che il mio cuore non coltivi nessuna simpatia disordinata per alcuna creatura, ma che il mio amore sia sempre solo per Te. Con il tuo amore e unita a te, il mio cuore possa aiutare coloro che soffrono ed io sia sempre disposta a quanto mi chiedi, tutto quello che ti posso dare. Adesso te lo do con il lavoro, Signore; che io renda ciò che devo. Domani sarà con i malati, con i poveri pellegrini che verranno al santuario... ebbene che io possa offrire loro il profumo del buon esempio, che possa aiutarli a camminare nella santità, a trasformarsi, a unirsi a te. Tutto ciò Signore, mediante il mio buon esempio giacché non posso farlo con la mia capacità, né con l'intelligenza. Aiutami, Signore, perché io sia una vera Ancella del tuo Amore Misericordioso e che tutte quelle persone che con me trattano, che sono vicino a me, si sentano spinte verso di Te, trascinate dal mio buon esempio, dalla mia pazienza, dal mio spirito di sacrificio, dal mio amore per Te e dal mio lavoro.

Però la Madre insiste sempre nel lavoro! Non pensate, figlie mie, che io insisto tanto sul lavoro perché pretendo di più da voi, (sebbene sia vero che da qualcuna speravo un po' di più perché si sono lasciate andare abbastanza...); no, desidero che il vostro lavoro sia per Gesù e che la notte possiate dire: "Signore, aiutata da Te, ho potuto darti tanto; aiutata da Te il mio cuore si è liberato dall'amore per la creatura, la mia mente è stata fissa soltanto in Te e nel darti gloria". E' questo quanto desidero e voglio per le mie figlie e figli. Questa mattina ho detto al Signore: "Vado là per dare un po' d'incoraggiamento a quelle figlie". Non dubito, che il Signore lo abbia fatto già, però sentivo il bisogno di venire per dirvi: "Coraggio, figlie mie! Cominciamo da oggi, perché vostra Madre sarà sempre al vostro fianco, pregherà per voi ogni giorno, vi aiuterà..."».

 

Preghiera della Madre:

«Gesù mio, aiutami perché io possa darti quanto mi chiedi e che in ogni momento della mia vita non faccia altro che la vostra santa volontà. E' vero che sono molto povera, però quanto sono felice, Gesù mio, nel possedere una libertà per offrirtela, un cuore per amarti, una intelligenza per occuparmi di te e una voce per parlare di Te ai miei fratelli; dei sensi per sacrificarli per Te, un corpo per sottoporlo alle sofferenze che credi bene inviarmi ed un tempo più o meno lungo per servirti mediante l'esercizio della carità, ed ancora una eternità per amarti senza fine!» (El pan 2, 81).

 

Recita del Magnificat


(1) El pan 2, 20

(2) Gv 15, 4-5.

(3) Diario, 19.2.1928, El pan 18, 20.

(4) Diario, 13.3.1942, El pan 18, 1220.

(5) gialletti p. mario, Madre Speranza, Ed. L'Amore Misericordioso, p. 24. Cf. anche testimonianza di Madre Mª Esperanza Pérez del Molino.

(6) arana p. enrique, La espiritualidad apostólica en Madre Esperanza, Trabajo para la Licencia, Roma 1985, p. 80.

(7) Cf. scheda Novembre 1992, p. 9.

(8) Cf. Diario, 5.4.1928, El pan 18, 21-24.

(9) Cf. «Exhortación», 15.8.1966, El pan 21, 912-sgg; lettera di Madre Pilar Antín a Padre Felipe Maroto, 13.12.1928.

(10) Diario, 26.2.1928, El pan 18,21.

(11) Diario, 26.2.1928, El pan 18, 24-25.

(12) Diario, 25.11.1941 El pan 18, 677-679

(13) Diario, 5.11.1927. , El pan 18, 2

(14) Diario, 24.12.1927, El pan 18, 4

(15) Diario, 5.4.1928, El pan 18, 29.

(16) Diario, 2.3.1952, El pan 18, 1156-1158 Cf. Diario, 25.11.1941, doc. 323; 29.12.1953, doc. 545.

(17) Diario, 5.1.1928, El pan 18, 7

(18) Diario, 5.4.1928, El pan 18, 30

(19) Diario, 23.3.1952, El pan 18, 1243-1245.

(20) Diario, 26.2.1928. El pan 18, 21-24

(21) Diario, 5.4.1928. El pan 18, 21

(22) arana p. enrique, o.c., p. 88.

(23) El pan 2, 72.

(24) Diario 13.1.1954, El pan 18, 1410-1413 . Cf. «Las tres libretas», 21.6.1928, doc. 5994.

(25) Cf. macca p. valentino ocd, Maria madre e mediatrice di misericordia, Ed. L'Amore Misericordioso, Profilo n. 15, p. 15.
Cf. Exhortación, 18.12.1959. El pan 21, 10-20

(26) macca p. valentino ocd, o.c., p. 15.