LA FEDE DI SAN GIUSEPPE e di MADRE SPERANZA
LA FEDE COME OBBEDIENZA
La volta scorsa abbiamo cercato di riflettere, illuminati dalla parola del Signore, sulla fede che attraversa delle prove, e su come non si possono attraversare le prove della fede se viene a mancare quella dimensione fondamentale che si chiama fiducia.
Un aspetto da non dimenticare mai è che la fiducia è figlia dell’amore. Un bambino si fida di suo padre, perché sa che suo padre lo ama e si prende cura di lui in qualunque situazione. È ciò che S. Giovanni, in una delle sue mirabili sintesi, dice nella sua prima lettera: "E noi abbiamo conosciuto e creduto l'amore che Dio ha in noi" (1Gv 4,16). Cioè l’oggetto più alto della nostra esperienza di fede è l’amore di Dio per noi e in noi(1).
Se uno mi chiedesse ragione della mia fede: dimmi in che cosa credi e perché credi? Io dovrei rispondere così: Credo che Dio mi ama e ama tutti perché tutti siamo figli suoi, e ama il mondo che ha creato, e ci ama così tanto che ha inviato nel mondo il suo Figlio non per condannare il mondo ma per salvarlo. Ecco perché la fede ci chiede di mantenere fisso lo sguardo su Gesù che è l’origine e il compimento della fede stessa.
Ma oggi vogliamo fare un passo avanti, e se la volta scorsa dicevamo, illuminati dalla parola di papa Francesco, che non c’è una fede staccata dalla verità, oggi cercheremo di comprendere che non c’è fede senza obbedienza a Dio. Abramo è nostro padre nella fede perché si è fidato di Dio e gli ha obbedito anche nella prova più dura.
San Paolo scrive nel saluto iniziale della lettera ai Romani:
" 1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il vangelo di Dio – 2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture 3e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, 4costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore; 5per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia di essere apostoli, per suscitare l'obbedienza della fede in tutte le genti, a gloria del suo nome, 6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo -, 7a tutti quelli che sono a Roma, amati da Dio e santi per chiamata, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo!
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Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché della vostra fede si parla nel mondo intero."
Ho accennato la volta scorsa all’obbedienza della fede in Abramo. Potremmo fermarci a lungo a meditare sull’obbedienza di Abramo, e di Maria, e prima ancora di Gesù stesso al Padre. Gesù è il modello supremo di obbedienza: "… fino alla morte e morte di croce". Il suo cibo era fare la volontà del Padre. "Non hai gradito né olocausti né sacrifici per il peccato. Allora ho detto: Ecco, io vengo - poiché di me sta scritto nel rotolo del libro - per fare, o Dio, la tua volontà" (Eb 10,6-7).
Egli, "pur essendo Figlio, imparò l'obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono" (Eb 5,8-9).
Le ultime parole di Gesù sulla croce "Tutto è compiuto!" (Gv 19,30), attestano che l'obbedienza è stata il motivo ispiratore di tutta la sua vita.
Ecco, mantenendo sempre fisso lo sguardo su Gesù, e insieme a lui su Maria, beata perché ha creduto e ha detto sempre "Eccomi!" alla volontà di Dio, questa sera vogliamo avere davanti agli occhi l’obbedienza della fede come è brillata in San Giuseppe e in Madre Speranza. Siamo all’inizio del mese di marzo, in quest’anno dedicato a San Giuseppe, di cui celebreremo la festa il giorno 19. Perché la Sacra Scrittura parla spesso dei testimoni della fede, e la stessa lettera agli Ebrei dopo averci presentato Gesù come origine e compimento della fede, parla in questi termini: "Circondati da un così gran numero di testimoni…"
LA FEDE DI SAN GIUSEPPE
È bello, anzitutto, pensare che il Figlio di Dio fatto uomo, ha voluto obbedire a Giuseppe, che gli ha fatto da padre. E Giuseppe ha amato quel figlio, "Patris corde" dice papa Francesco, con cuore di padre. Vi invito a meditare, tutta intera in questo mese, la lettera del papa su San Giuseppe, con la quale ha introdotto quest’anno dedicato al santo patriarca. In questa lettera troviamo vari riferimenti alla fede di San Giuseppe e al modo concreto in cui la sua fede si trasforma in obbedienza alla volontà di Dio.
La sola presentazione che fanno i vangeli della vita di Giuseppe ci parla da sola di questa coincidenza tra fede e obbedienza (cf Patris Corde, Introduzione)
Una delle cose che mi spinge a sottolineare la fede vissuta da San Giuseppe e da Madre Speranza è il desiderio di mettere in evidenza la dimensione della fede nel quotidiano, anzi "nell’ombra", come dice lo stesso papa che parla di Giuseppe come un "Padre nell’ombra". Perché potremmo essere tentati di abbinare la fede a eventi straordinari, interpretando quella "fede che sposta le montagne" come una sorta di bacchetta magica che riempie il mondo di prodigi stupefacenti. Questi il Signore li fa quando lo crede opportuno e per i suoi fini, ma va notato che, paradossalmente nella vita di San Giuseppe non assistiamo a nessun "miracolo" come noi lo intendiamo, tranne quello di una vita ordinaria vissuta con una obbedienza di fede straordinaria alla volontà di Dio manifestatagli nei sogni.
È ancora il papa a illustrarci meglio ciò che tento di dirvi, quando parla di "questa straordinaria figura così vicina alla condizione umana di ciascuno di noi", e chiarendo il motivo che lo ha spinto a scrivere questa lettera e indire l’anno di San Giuseppe:
"… al compiersi di 150 anni dalla sua dichiarazione quale Patrono della Chiesa Cattolica fatta dal Beato Pio IX, l’8 dicembre 1870, vorrei – come dice Gesù – che "la bocca esprimesse ciò che nel cuore sovrabbonda" (cfr Mt 12,34), per condividere con voi alcune riflessioni personali su questa straordinaria figura, tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi. Tale desiderio è cresciuto durante questi mesi di pandemia, in cui possiamo sperimentare, in mezzo alla crisi che ci sta colpendo, che «le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermiere e infermieri, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo. […] Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità. Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti». Tutti possono trovare in San Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà. San Giuseppe ci ricorda che tutti coloro che stanno apparentemente nascosti o in "seconda linea" hanno un protagonismo senza pari nella storia della salvezza. A tutti loro va una parola di riconoscimento e di gratitudine." (Patris Corde, Introduzione)
Entro brevemente in qualche dettaglio della vita di San Giuseppe, presentatoci dai Vangeli e sottolineato nella lettera del papa, per evidenziare il modo in cui lui ha vissuto la fede come obbedienza a Dio.
Nel punto 3. della lettera il papa parla di Giuseppe come Padre nell’obbedienza:
"Analogamente a ciò che Dio ha fatto con Maria, quando le ha manifestato il suo piano di salvezza, così anche a Giuseppe ha rivelato i suoi disegni; e lo ha fatto tramite i sogni, che nella Bibbia, come presso tutti i popoli antichi, venivano considerati come uno dei mezzi con i quali Dio manifesta la sua volontà.
Giuseppe è fortemente angustiato davanti all’incomprensibile gravidanza di Maria: non vuole «accusarla pubblicamente», ma decide di «ripudiarla in segreto» (Mt 1,19). Nel primo sogno l’angelo lo aiuta a risolvere il suo grave dilemma: «Non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati» (Mt 1,20-21). La sua risposta fu immediata: «Quando si destò dal sonno, fece come gli aveva ordinato l’angelo» (Mt 1,24). Con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria."
Ecco, "con l’obbedienza egli superò il suo dramma e salvò Maria". È interessante: quante volte a noi può capitare il contrario. Ci chiudiamo nelle nostre ragioni, spesso motivate dall’orgoglio, dai nostri desideri o gusti, o dai nostri punti di vista che ci sembrano molto ragionevoli… e non andiamo oltre. Ma in questo modo impediamo a Dio di agire, non superiamo i nostri drammi e non siamo strumenti di salvezza per nessuno. Il Signore non ha bisogno delle nostre ragioni e neanche delle nostre imprese meravigliose, ma solo della nostra fede e della nostra disponibilità al suo volere… il resto lo fa Lui, e lo fa alla grande. Dopo che Maria ha detto sì, perché ha creduto alla parola del Signore, fa un’esperienza che la fa esplodere di gioia: "Il Signore ha fatto in me cose grandi…"
In fondo dietro ogni nostro peccato, a cominciare da quello di Adamo ed Eva, c’è il non fidarci di Dio, dando ascolto al nemico che vuole, con ingannevoli promesse, portarci a disobbedire alla sua volontà. Per riparare questo Dio chiama Noè, poi Abramo, fino a Maria e Giuseppe… e Madre Speranza, che hanno tutti una caratteristica comune: si fidano di Dio e gli obbediscono.
"Nel secondo sogno l’angelo ordina a Giuseppe: «Alzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo» (Mt 2,13). Giuseppe non esitò ad obbedire, senza farsi domande sulle difficoltà cui sarebbe andato incontro: «Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode» (Mt 2,14-15).
In Egitto Giuseppe, con fiducia e pazienza, attese dall’angelo il promesso avviso per ritornare nel suo Paese. Appena il messaggero divino, in un terzo sogno, dopo averlo informato che erano morti quelli che cercavano di uccidere il bambino, gli ordina di alzarsi, di prendere con sé il bambino e sua madre e ritornare nella terra d’Israele (cfr Mt 2,19-20), egli ancora una volta obbedisce senza esitare: «Si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele» (Mt 2,21) […]
In ogni circostanza della sua vita, Giuseppe seppe pronunciare il suo "fiat", come Maria nell’Annunciazione e Gesù nel Getsemani.
Giuseppe, nel suo ruolo di capo famiglia, insegnò a Gesù ad essere sottomesso ai genitori (cfr Lc 2,51), secondo il comandamento di Dio (cfr Es 20,12).
Nel nascondimento di Nazaret, alla scuola di Giuseppe, Gesù imparò a fare la volontà del Padre. Tale volontà divenne suo cibo quotidiano (cfr Gv 4,34). Anche nel momento più difficile della sua vita, vissuto nel Getsemani, preferì fare la volontà del Padre e non la propria e si fece «obbediente fino alla morte […] di croce» (Fil 2,8). Per questo, l’autore della Lettera agli Ebrei conclude che Gesù «imparò l’obbedienza da ciò che patì» (5,8).
LA FEDE DI MADRE SPERANZA. "DAMMI GESÙ MIO UNA FEDE VIVA!"
Diciamo anzitutto che per Madre Speranza sono state così importanti e determinanti le tre virtù teologali che ce le ha proposte come un’eredità preziosa nel suo testamento spirituale: «Desidero lasciare ai miei figli e figlie la preziosa eredità che io, gratuitamente e senza alcun merito, ho ricevuto dal Buon Gesù.
Questi beni sono una fede viva nell’Eterno Padre, nel suo Divin Figlio, nello Spirito Santo, nel Santo Vangelo, nella Sacra Eucarestia, nel trionfo della Resurrezione e della Gloria del Buon Gesù e in tutto ciò che insegna la nostra Santa Madre Chiesa Cattolica, Apostolica Romana. Una speranza ferma, una carità ardente ed un intenso amore al Buon Gesù»"(2).
Penso, cari fratelli, che stiamo vivendo momenti in cui abbiamo un grande bisogno di attingere a questa eredità preziosa lasciataci dalla Madre. Vediamo questa sera di far tesoro della "sua fede viva". Lei ne sentiva così tanto il bisogno che la chiedeva: "Dammi Gesù mio una fede viva!"
Una "fede viva" dice il contrario di una "fede morta". E S. Giacomo ci aiuta a capire questa differenza quando afferma che "la fede senza le opere è morta". Ecco perché M. Speranza, nella preghiera iniziale della Novena all’Amore Misericordioso ci insegna a chiedere la grazia di "testimoniare la mia fede con le opere e di ardere nel fuoco della tua carità".
La vita santa di M. Speranza è tale non tanto perché ha fatto cose straordinarie, ma perché si è fidata del Signore, anche nei momenti più duri della sua vita, e ha lasciato che fosse Lui a fare il suo disegno di amore attraverso di lei.
Le persone che sono vissute accanto alla M. Speranza hanno sottolineato, come emerge dalla "Positio" (pp 357-362) presentata per la sua causa di beatificazione, questa fede vivissima e concreta. I testimoni sono rimasti colpiti dal suo operare, dal suo parlare e soprattutto dal suo modo di reagire negli svariati avvenimenti della vita. Anche i suoi scritti più intimi sono una preziosa fonte per scoprire i desideri più nascosti, le aspirazioni, le vittorie ed anche le sconfitte che Madre Speranza ha superato per poter arrivare ad essere tutta di Dio. Perché la fede è stata anche per lei un cammino molto provato.
La fede come fiducia nelle prove
Abbiamo visto la volta scorsa che nell’esperienza di Abramo a cui Dio chiede il figlio Isacco c’è tutta la pedagogia della fede attraverso la quale il Signore ci conduce.
M. Speranza, come tutte le persone sante, attraversò prove durissime che la fecero piangere e le provocarono momenti di grande angoscia. Ed è in questi momenti che il Signore la educò all’abbandono totale nelle mani.
Subì tantissime malattie, prove, persecuzioni, incomprensioni e calunnie. Nei momenti difficili, quando perfino i suoi superiori immediati e non pochi sacerdoti e vescovi l'abbandonarono, la sostenne solamente la sua fede in Dio.
«Tutta la vita della Madre era impregnata di questa fede viva che era la colonna che la sosteneva sempre. Questa fede era il motivo e il fondamento del suo amore generoso e ardente al Buon Gesù che accendeva in lei il desiderio di amarlo sempre più e di adempiere fedelmente quanto le veniva ordinato da Lui»(3).
Venne anche incompresa e abbandonata da molte delle sue figlie, eppure nel silenzio e nella preghiera «serenamente, lasciava alla volontà del Signore tutta l'opera sua: le due Congregazioni e tutte le opere da lei fondate»(4).
È attraverso la prova che Dio verifica la solidità della nostra fede, o meglio ci fa prendere coscienza se la nostra è una fede piena fiducia totale in Lui. Tutta la Sacra Scrittura è piena di questo insegnamento che appare chiarissimo nella vita di Madre Speranza.
Madre Speranza ha preso a modello sempre la fede di Maria, che è beata perché "ha creduto alla parola del Signore", dove credere è abbandonarsi con totale fiducia alla sua volontà, dall’annunciazione alla croce.
La fede come cammino
Pensando alla vita di Madre Speranza e alle grazie straordinarie che il Signore le ha concesso, può sorgere in noi un’obiezione spontanea: Beata lei che ha avuto queste grazie straordinarie, una fede così viva… ma noi poveri mortali come facciamo? Ecco, è molto consolante sapere che anche Madre Speranza ha attraversato momenti di grande difficoltà nella fede.
Il Signore, fin dall'inizio della sua vita religiosa, fece passare la Madre per una esperienza di buio, di aridità, di dubbi. Ma, anche in mezzo al «deserto», lei si mantenne salda nella fede, seppe rimanere in attesa ed in ascolto, fiduciosa che Gesù sarebbe tornato a parlare al suo cuore(5).
«La Madre, affinché non si affievolisse la sua fede, non abbandonava l'orazione e le pratiche di pietà e soprattutto mai si allontanava dai santi Sacramenti. Ci raccontava che, all'inizio della sua vita religiosa, aveva dubitato sulla fede, però si poneva davanti al Tabernacolo, senza muoversi»(6).
Anche Don Lucio Marinozzi, canonico di Fermo e primo diocesano con voti dei Figli dell'Amore Misericordioso, ricordando un racconto della stessa Serva di Dio, afferma che questa,
«nel primo periodo di vita claustrale, mentre si preparava alla professione fu improvvisamente colta da dubbi contro la fede: tenebre fittissime; era nella persuasione che tutto è vano, non si dà sopravvivenza dell'anima, non c'è paradiso, Cristo non è affatto Dio, ma un uomo generoso che ha visto crollare tutti i suoi ideali nella morte. Questa suggestione era più forte di lei e la dominava tutta; né osava manifestarla al confessore o ad altri per timore di ingenerare in essi lo stesso stato d'animo.
La prova durò parecchi mesi; non le venne però l'idea di abbandonare il convento e ritornare nel mondo; continuò la sua vita di claustrale osservantissima; era sacrestana e adempiva il suo ufficio curando la cappella e preparando con diligenza quanto occorreva per la messa e la comunione e si disponeva a fare la sua professione animandosi con questo pensiero: "anche se non è Dio Gesù è sempre un Uomo grande e generoso..., vissuto e morto per un ideale sublime..., io voglio imitarlo e dedicargli la mia vita egualmente"»(7).Per un particolare intervento del Signore, improvvisamente, «ogni tentazione disparve e nessun dubbio turbò più la sua fede e la sua speranza»(8).
Quindi anche per lei, la fede è stata un cammino. Molte volte Madre Speranza ha chiesto a Dio la grazia di raggiungere quell'«habitus» che Lui desiderava da lei. Già nel Natale del 1940, scriveva:
«Il Bambino Divino mi ha chiesto di sforzarmi a pensare di più a Lui, perché il mio cuore e la mia mente siano fissi in Lui e niente né nessuno mi distolgano da Lui»(9).
Questo desiderio di Gesù diventava in lei preghiera:
«Gesù mio, davvero non posso dirti che non sono io che vivo, ma Dio vive in me, poiché il mio cuore e la mia mente non sono stati sempre fissi in Te»(10).
«Gesù mio, desidero solo correggere il mio comportamento, così d’ora in poi, aiutata da Te, cercherò di testimoniare la purezza della mia fede con lo sguardo rivolto verso di Te»(11).
Questo desiderio e preghiera della Madre ci apre a un’altra dimensione della fede da lei vissuta, che è l’elemento centrale della fede stessa, come ho detto all’inizio.
Fede e amore: unión con el buen Jesús
La Madre esprime nei suoi scritti la meraviglia e l'amore che va nascendo nel suo cuore e oltre alla preghiera, chiede aiuto a colui che guidava la sua anima:
«Non so che dirle, Padre mio, solo che ogni giorno mi sembra di essere immersa in una specie di letargo e che, senza rendermene conto, il mio sguardo, la mente e il cuore si fissano nel Buon Gesù e resto come immersa in Lui, senza accorgermi di ciò che accade intorno a me, né di compiere i miei doveri e cammino per casa senza preoccuparmi, come prima, di osservare ciò che stanno facendo i figli e le figlie»(12).
Nel buon Gesù, sentito come Padre, Sposo, Figlio, Madre Speranza si "immerse" e "perse" tutta sé stessa, fino a lasciare completamente nelle sue mani ciò che aveva di più caro. Il rapporto di Madre Speranza con «el Buen Jesús» appare, proprio, come quello di una sposa che condivide con il suo Sposo le preoccupazioni e le difficoltà di ogni giorno, la sollecitudine per i figli, la cura dei poveri accolti. Era certa che il suo Cuore di Padre si sarebbe mosso a compassione per i suoi figli:
«Caratteristica della Madre era l'estrema confidenza che aveva nel Signore che lei chiamava "el Buen Jesús". Ci parlava come si parlerebbe ad uno Sposo, anzi qualche volta [...] nelle estasi giungeva a chiamarlo: "Figlio mio!"»(13).
Testimone e maestra di fede
Una fede così generosamente accolta e vissuta, spinse inevitabilmente Madre Speranza ad annunciarla e a propagarla sia con le parole, con le esortazioni ed ammonimenti, ma soprattutto con la sua trasparente testimonianza di vita.
Una delle sue maggiori preoccupazioni fu proprio quella di far maturare le sue figlie ed i suoi figli nella fede. Nelle esortazioni ritornava spesso su questo argomento:
«la linfa divina che dona all’albero fecondità e vita è lo spirito di fede. Quando possediamo la fede, tutte le nostre azioni sono altrettanti frutti, che con il sole della carità, diventano maturi per il Cielo»(14).
Proponeva a noi, come mezzo essenziale di santificazione, l’abituarsi a «ver a Jesús en todo»(15). In particolare aveva un’amore intenso per l'Eucaristia, e a tale amore spronava tutti:
«La virtù eroica della fede si manifestava nella Madre con la sua persuasione della presenza continua di Gesù dentro di noi e vicino a noi. Soleva dire che quando facciamo la comunione Gesù rimane in noi come nel Tabernacolo fino alla prossima comunione, purché noi lo invitiamo a rimanere»(16).
Metteva in guardia i suoi figli e le sue figlie anche dal pericolo di perdere un dono tanto grande:
«La Madre soleva dirci che la fede si perde principalmente per la rilassatezza dei costumi ed aggiungeva: "La fede morta è incapace di produrre la salvezza, procuriamo di rianimare in noi la fede che è il principio fecondo della nostra santificazione e senza la quale è impossibile piacere a Dio"»(17).
Alcune certezze luminose e piene della sapienza dello Spirito:
"Quando manca la fede, predominano in noi gli istinti naturali e sono essi che ci spingono ad agire; le nostre azioni, allora, nonostante la loro bella apparenza, davanti a Gesù non sono altro che frutti maturati dall’orgoglio".
"La fede è il premio che Dio concede all’umiltà".
Il Card. Eduardo Pironio, eminente personalità ecclesiastica, dichiara le sue impressioni su questa donna «semplice» e «contemplativa»:
«L'impressione fattami dal breve incontro con Madre Speranza è stata molto profonda per me. Ho ammirato in lei la donna interiore e contemplativa. Gli occhi penetravano veramente il cuore. Una grande semplicità. [...] per me, il più grande dono e la più grande grazia, fu l'incontro semplice e diretto con una persona che trasmetteva il Signore.
Posso dire veramente che in lei si irradiava questa esperienza dell'Amore Misericordioso, che per me è uno dei cardini più profondi della vita spirituale e cristiana. Mi ha lasciato questo senso di preghiera contemplativa e di coraggio, fondato sull'Amore Misericordioso»(18).
"Dammi Gesù mio una fede viva"
"Si compia, Dio mio, la tua divina volontà, anche se mi fa soffrire…"
Queste due espressioni con cui concludo la nostra riflessione, ci aiutano a cogliere due dimensioni della fede in Madre Speranza, che sono intimamente unite tra di loro e che diventano un esempio luminoso anche per noi:
La fede va chiesta: "Dammi Gesù mio una fede viva!". L’ho citato all’inizio e lo ripeto alla fine. La fede è un dono, di cui Gesù è l’origine e la meta. Pertanto va chiesta umilmente, ardentemente, e va alimentata e custodita come un bene prezioso.
La fede è legata inseparabilmente al compimento della volontà di Dio. Non ha fede chi dice: "Signore, Signore!", ma chi fa la volontà di Dio. Per questo S. Giuseppe è modello, perché non ha detto una parola, non ha detto neanche "Signore, Signore!", ma ha fatto la volontà del Padre. È significativo che la Madre faccia la preghiera "Dammi Gesù mio una fede viva" nel 5° giorno della Novena all’AM, quando meditiamo sulla parola "Sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra!".
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
(1) In fondo l’amore di Dio, l’agape, è la realtà più alta che tutto compendia e contiene, perché è Dio stesso che è Amore. La fede è fede-fiducia nell’amore (1 Gv 4,16), “la speranza non delude perché l’amore di Dio è stato effuso nei nostri cuori” (Rom 5). È per questo che alla fine la fede e la speranza scompariranno e resterà solo l’amore (1Cor 13).
(2) Testamento della Serva di Dio, 22.3.1955, Summ, pp. 905-906, n. 302.
(3) Summ., teste 9, p. 155, 78.
(4) Summ., teste 32, p. 401, 77-81.
(5) Cf. Os, 2, 16.
(6) Summ., teste 48, p. 501, 77-81.
(7) Proc.-Documenta, teste 11, p. 512.
(8) Proc.-Dep., teste 11, p. 512, 5-29.
(9) Diario,
24.12.1927, Summ., p. 725, n. 4.
Cf. anche Diario, 25.3.1940, Summ., p. 731, n. 18; Diario, 2.12.1941, p. 738, n.
43; Diario, 9.3.1952, pp. 765-766, n. 107.
(10) Diario, 2.16.1940, Summ., p. 730, n. 16.
(11) Diario, 12.11.1942, Summ., p. 746, n. 69.
(12) Diario, 30.1.1954, Summ., p. 789, n. 166.
(13) Summ., teste 31, pp. 395-396, 77-81.
(14) Consejos prácticos 1941, Summ., p. 822, n. 227.
(15) Consejos prácticos 1933, Summ., p. 816, n. 215.
(16) Summ., teste 31, p. 395, 77-81.
(17) Summ., teste 48, p. 500, 77-81.
(18) Summ., teste 44, p. 467.