LA SPERANZA CHE NON DELUDE E LA PREGHIERA
Iniziamo stasera a chiedere allo Spirito Santo che ci doni la grazia di crescere in questa virtù teologale della speranza. Teniamo presente che le virtù teologali vanno sempre insieme, non c’è l’una senza l’altra.
Conosciamo il testo della lettera di S. Paolo ai Romani:1 Giustificati dunque per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. 2Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l'accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio. 3E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, 4la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. 5La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. (Rom 5, 1-5)
Ma che cos’è la speranza? A prima vista parlare di speranza, oggi, può suonare a illusione consolatoria. Speranza in tempo di Covid? Che significa sperare quando una persona sta soffrendo e sembra che non vede nessuna via di uscita? "Nell’attuale contesto di preoccupazione in cui viviamo e in cui tutto sembra fragile e incerto, parlare di speranza potrebbe sembrare una provocazione." (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima 2021). Mi ha colpito molto ciò che il papa ha detto ai vescovi, sacerdoti, religiosi/e, seminaristi e catechisti lo scorso 5 marzo a Bagdag:
"Sappiamo quanto sia facile essere contagiati dal virus dello scoraggiamento che a volte sembra diffondersi intorno a noi. Eppure il Signore ci ha dato un vaccino efficace contro questo brutto virus: è la speranza. La speranza che nasce dalla preghiera perseverante e dalla fedeltà quotidiana al nostro apostolato. Con questo vaccino possiamo andare avanti con energia sempre nuova, per condividere la gioia del Vangelo, come discepoli missionari e segni viventi della presenza del Regno di Dio, Regno di santità, di giustizia e di pace."
I
l recente viaggio del papa in Irak, caratterizzato da tanta preoccupazione per la situazione geopolitica di quella regione e per l’attuale pandemia, penso che vada visto, in questo nostro tempo, proprio come un segno di grande speranza, una speranza invincibile che va oltre i calcoli degli interessi di parte di qualunque genere.È ancora notte del mondo. Con il suo inquietante carico di morti, paure, crisi economiche, relazioni sospese. La pandemia non dà tregua. E interroga, oltre alla scienza, anche il pensiero. Credenti e non credenti, tutti in crisi d’identità, cercano parole di certezza e speranza… La sintesi del significato del viaggio, come ha illustrato il direttore della sala stampa vaticana, Matteo Bruni, risiederà così in due parole: fraternità e speranza. Era stato lo stesso Papa Francesco, l’otto gennaio scorso, a parlarne al corpo diplomatico, riferendosi anche alla pandemia in atto. Disse: "Fraternità e speranza sono medicine di cui oggi il mondo ha bisogno, al pari dei vaccini".(Intervento di Massimo Enrico Milone, direttore Rai Vaticano 3.3.2021)
La speranza che non delude e le speranze che deludono
È importante saper distinguere quando si parla di speranza. In effetti ci sono speranze che deludono, forse dovremmo chiamarle attese illusorie più che speranze. Di fronte a queste c’è una speranza che non delude? Come credenti diciamo di sì, e non basandoci su noi stessi o sulle nostre capacità di controllare e gestire il mondo, perché abbiamo visto che basta un piccolo virus, invisibile allo sguardo e visibile solo con un microscopio, per mettere in ginocchio tutto il mondo. Allora dov’è il fondamento della speranza che non delude? Abbiamo ascoltato la risposta nella lettera ai Romani di S. Paolo.
Verso metà novembre del 2007 il nostro Centro Studi Amore Misericordioso ha organizzato, qui a Collevalenza, un Convegno che aveva questo titolo: "La speranza non delude". Vi rimando agli Atti del Convegno, dalla cui introduzione leggo:
"Delicata come un fiore e solida come una montagna è la speranza. Tanti, delusi dalla vita, l’hanno perduta e l’hanno poi ritenuta una ingannevole illusione. Per qualcuno è un sentimento che aiuta a vivere, per altri è una forza o un’utopia che insegna a lottare. È la prima a nascere e l’ultima a morire. Può risultare sconfitta dai molti colpi che la vita offre, ma si fa anche strada in mezzo al gelo della morte e rinasce dalle ceneri come un’araba fenice. Per noi credenti in Cristo Gesù, la speranza non è solo un sentimento, una forza, una idea, ma una persona, è Gesù stesso: "Cristo nostra speranza è risorto!", è vivo, è con noi "tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Nella santa umanità di Cristo Gesù possediamo quest’ancora solida della speranza, che ci immerge nel cuore stesso di Dio."(1)
Eppure il cammino della speranza non è facile, anzi è molto travagliato. Ma questo fa parte della sua natura e ci introduce ad un’altra considerazione.
Il travaglio della speranza. "Sperare contro ogni speranza"
Parlando della fede abbiamo rivolto lo sguardo ad Abramo Ma proprio in Abramo noi vediamo il legame fortissimo che c’è tra la fede e la speranza, fino al punto che S. Paolo, parlando di Abramo, dice sempre nella lettera ai Romani: "Egli credette, saldo nella speranza contro ogni speranza, e così divenne padre di molti popoli" (Rom 4,18).
La difficoltà della speranza è che tu non possiedi ancora ciò che speri, anzi neanche lo vedi. E siccome noi siamo persone concrete, che dicono "meglio un uccello nella mano che mille in volo", allora facciamo fatica a sperare. Ma se ci fidiamo di Dio, perché ci sentiamo amati da Lui, siamo certi che Lui è fedele alle sue promesse, le compie. Questa è la forza della speranza. Allora la precarietà, il limite, nostro, degli altri, la fragilità dell’esistenza, il nostro stesso peccato, la malvagità del mondo, e tutto il male che sperimentiamo in mille forme non è capace di distruggere in noi la speranza, che è un’ancora che mantiene ferma la nave in mezzo alle tempeste della vita. È bella e significativa l’immagine dell’ancora che l’autore della lettera agli Ebrei collega proprio alla speranza:
18b … noi, che abbiamo cercato rifugio in Dio, abbiamo un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta. 19In essa infatti abbiamo come un'ancora sicura e salda per la nostra vita: essa entra fino al di là del velo del santuario, 20dove Gesù è entrato come precursore per noi (Eb 6, 18b-20a)
Ed è ancora S. Paolo, nella citata lettera ai Romani, a dirci in modo luminoso come la speranza ci tiene ancorati alla roccia solida dell’amore di Dio in mezzo ai travagli dell’esistenza:
18Ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. 19L'ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. 20La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità - non per sua volontà, ma per volontà di colui che l'ha sottoposta - nella speranza 21che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. 22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. 24Nella speranza infatti siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? 25Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. (Rom 8, 18-25)
Vi confesso che mi ha sempre colpito profondamente Fëdor Dostoevskij (quest’anno ricorre il bicentenario della nascita), perché ritengo che esprima, nelle sue opere, tutto il travaglio e il tormento drammatico della condizione umana,ma alla fine rimane sempre aperto alla speranza e alla redenzione, e in questo senso è profondamente biblico, pensiamo al libro di Giobbe, diversamente dalla tragedia greca, spesso chiusa nel cerchio fatalistico di un destino ineluttabile.
Ebbene Dostoevskij confessa che solo Cristo può dare senso alla sua travagliata vita e ai suoi pensieri. Egli scrive in una lettera indirizzata il 20 febbraio del 1854 alla signora Von Visine: "Vi dirò di me stesso che sono figlio di questo secolo, un figlio dell’incredulità e del dubbio, fino ad oggi e forse fino alla tomba. Quali spaventose torture mi è costata e mi costa anche ora questa sete di credere, tanto più forte nella mia anima quanto ci sono in me argomenti contrari. E tuttavia, Dio mi invia talvolta dei momenti in cui tutto mi è chiaro e sacro. È in quei momenti che ho composto un credo: credere che non c’è nulla di più bello, di più profondo, di più amabile, di più ragionevole e di più perfetto che il Cristo, e che non solo non c’è niente, ma, e me lo dico con un amore geloso, che non si può avere niente. E più ancora, se qualcuno mi avesse dimostrato che Cristo è fuori della verità, avrei preferito senza esitare restare con Cristo piuttosto che con la verità".
Questo ci introduce alle ultime due considerazioni che vorrei fare.
Speranza e preghiera
Proprio perché è una virtù teologale che viene da Dio e non da noi, abbiamo bisogno che Dio ci doni, come dice
Dostoevskij, dei momenti in cui tutto ci è chiaro e sacro. La speranza va desiderata ardentemente e chiesta a Dio umilmente. Per questo il Papa, nel suo Messaggio per la quaresima, l’ha abbinata alla preghiera. Fede e digiuno, dicevamo le volte scorse, speranza e preghieradiciamo oggi."Nel raccoglimento e nella preghiera silenziosa, la speranza ci viene donata come ispirazione e luce interiore, che illumina sfide e scelte della nostra missione: ecco perché è fondamentale raccogliersi per pregare (cfr Mt 6,6) e incontrare, nel segreto, il Padre della tenerezza.
Vivere una Quaresima con speranza vuol dire sentire di essere, in Gesù Cristo, testimoni del tempo nuovo, in cui Dio "fa nuove tutte le cose" (cfr Ap 21,1-6). Significa ricevere la speranza di Cristo che dà la sua vita sulla croce e che Dio risuscita il terzo giorno, «pronti sempre a rispondere a chiunque [ci] domandi ragione della speranza che è in [noi]» (1Pt 3,15)."
Ecco perché i Salmi, e tutte le preghiere della Bibbia (pensiamo al dramma di Giobbe), sono impregnati di speranza. Ne cito alcuni:"Affida al Signore la tua via, confida in lui ed egli agirà… sta in silenzio davanti al Signore e spera in lui… spera nel Signore e custodisci la sua via" (Sal 37,5.7.34). "Spera nel Signore, sii forte! Si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore!" (Sal 27,14).
Potremmo pensare che in certe situazioni particolarmente difficili non solo siamo incapaci di sperare, ma ci riesce difficile anche pregare. Ecco che ci soccorre S. Paolo nella stessa lettera ai Romani:
26Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; 27e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio.
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Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. (Rom 8, 26-28)C’è un rapporto profondo tra Spirito Santo, speranza e preghiera. Lo Spirito Santo è un’acqua viva che mormora in noi. È l’amore di Dio effuso nei nostri cuori che fa sì che la nostra sia una speranza che non delude. È l’acqua che Gesù prometteva alla Samaritana, ben diversa dalle acque delle nostre povere speranze umane nelle quali cerchiamo di inutilmente di estinguere la nostra sete:
"La samaritana, alla quale Gesù chiede da bere presso il pozzo, non comprende quando Lui le dice che potrebbe offrirle un’"acqua viva" (Gv 4,10). All’inizio lei pensa naturalmente all’acqua materiale, Gesù invece intende lo Spirito Santo, quello che Lui darà in abbondanza nel Mistero pasquale e che infonde in noi la speranza che non delude. Già nell’annunciare la sua passione e morte Gesù annuncia la speranza, quando dice: «e il terzo giorno risorgerà» (Mt 20,19). Gesù ci parla del futuro spalancato dalla misericordia del Padre. Sperare con Lui e grazie a Lui vuol dire credere che la storia non si chiude sui nostri errori, sulle nostre violenze e ingiustizie e sul peccato che crocifigge l’Amore. Significa attingere dal suo Cuore aperto il perdono del Padre". (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima)
"Cristo nostra speranza è risorto!": così cantiamo nella sequenza del giorno di Pasqua. E il libro dell’Apocalisse, che pure descrive tante catastrofi e sconvolgimenti, figura di tutti i drammi della nostra storia, si chiude con una preghiera che è l’ardente desiderio dello Spirito e della Chiesa-Sposa: "Maranatha! Vieni Signore Gesù!"
La Chiesa, con la riforma del Concilio Vat. II, ha cercato di recuperare questa dimensione che chiamiamo escatologica anche nella liturgia eucaristica, nella proclamazione solenne dopo la Consacrazione del pane e del vino: "Annunciamo la tua morte Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta!", edopo la preghiera del Padre nostro: "nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro Salvatore Gesù Cristo".
È importante chiedere con molta fiducia al Signore che aumenti in noi, con l’azione del suo Spirito, questa speranza invincibile nelle promesse di Dio che sempre si compiono. È importante credere che Dio non sempre esaudisce le nostre preghiere, proprio perché noi spesso non sappiamo che cosa è conveniente domandare, ma sicuramente lui compie sempre le sue promesse. Possiamo pregarlo con le parole che papa Francesco ha rivolto a Dio nell’incontro interreligioso dei giorni scorsi a Ur dei Caldei, con la "preghiera dei Figli di Abramo":
Ti chiediamo, Dio del nostro padre Abramo e Dio nostro, di concederci una fede forte, operosa nel bene, una fede che apra i nostri cuori a Te e a tutti i nostri fratelli e sorelle; e una speranza insopprimibile, capace di scorgere ovunque la fedeltà delle tue promesse.
Rendere ragione della speranza che è in noi attraverso i gesti dell’amore
Papa Francesco, nel suo messaggio per la quaresima ci ricorda che, insieme alla preghiera, la vita liturgica e sacramentale, soprattutto l’esperienza dei sacramenti della riconciliazione e dell’Eucaristia, occorre tradurre la nostra speranza in gesti di amore. A volte è l’unico modo che abbiamo di rendere ragione della speranza che è in noi, anche senza parole:
"Ricevendo il perdono, nel Sacramento che è al cuore del nostro processo di conversione, diventiamo a nostra volta diffusori del perdono: avendolo noi stessi ricevuto, possiamo offrirlo attraverso la capacità di vivere un dialogo premuroso e adottando un comportamento che conforta chi è ferito. Il perdono di Dio, anche attraverso le nostre parole e i nostri gesti, permette di vivere una Pasqua di fraternità.
Nella Quaresima, stiamo più attenti a «dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano» (Enc.
Fratelli tutti [FT], 223). A volte, per dare speranza, basta essere «una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (ibid., 224)." (Papa Francesco, Messaggio per la Quaresima)Il card. Spidlik, nel suo bellissimo intervento durante il Convegno sulla "Speranza che non delude", illustratutto ciò con un esempio tratto dalla biografia di una santa:"Essa curava una malata di cancro, molto sofferente. La esortò: "Pregate un po’". Ma la malata rispose: "Non prego, Dio non esiste, perché se Dio esistesse non sarei in queste condizioni". La suora continuò a curarla silenziosamente. Un giorno, inaspettatamente, la malata le disse: "Dio deve proprio esistere!". La suora le chiese: "Come siete arrivata a questa conclusione?". La malata rispose: "Il bene che mi fate non può andare perduto". È un’affermazione profonda. Ogni vero bene che facciamo qui nel tempo ha un valore eterno ed è oggetto della speranza cristiana. Cristo morto è risorto, e tornato alla vita e lo stesso promette a noi. Facendo il bene, offriamo la nostra vita come il pane sull’altare per il sacrificio eucaristico e come ricompensa riceviamo dall’altare lo stesso pane consacrato. È il simbolo della nostra vita che deve risorgere insieme con Cristo. Nell’eternità anche le cose piccole divengono grandi.
Ricordiamo la piccola Teresa di Gesù Bambino e il suo scritto Storia di un’anima… Scoprì che l’unica cosa veramente grande è l’Amore. E questo grande Amore può realizzarsi nelle piccole cose di ogni giorno. Hanno un valore eterno. Ecco la speranza! Anche la nostra."
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.
(1) Introduzione agli Atti sul Convegno “La speranza non delude”, organizzato dal centro studi Amore misericordioso, Collevalenza 2009.