LA SPERANZA IN SAN GIUSEPPE E IN MADRE SPERANZA
SAN GIUSEPPE
Se in rapporto alla fede abbiamo cercato di riflettere sul n. 3 della lettera del papa su S. Giuseppe, che definisce il Santo patrono "Padre nell’obbedienza", oggi penso che ci aiuta il n. 4 che ha per titolo "Padre nell’accoglienza", per tentare di cogliere un po’ come S. Giuseppe ha vissuto la speranza. Accogliere significa ricevere un dono che qualcuno ci offre. In questo caso chi offre il dono è Dio stesso.
Una delle cose che più ci preoccupano, a volte, è il disagio che proviamo di fronte a qualcosa che non riusciamo a controllare, che in qualche modo sfugge sia alla nostra capacità di comprensione sia alla possibilità concrete di intervenire su una situazione. E il disagio aumenta nella misura in cui la posta in gioco è più alta. Ecco, è qui che la virtù della speranza dimostra la sua forza, proprio nella nostra incapacità di comprensione e di controllo.
Accogliere significa fare spazio nella nostra vita a qualcosa o a qualcuno che non viene da noi. A volte possiamo pensare che è una cosa buona non dover niente a nessuno. Il dover qualcosa a qualcuno ci fa dipendenti, ci crea disagio. Il nostro orgoglio dice: "Io non voglio essere in debito con nessuno!". Ma "che cosa hai che non hai ricevuto?" Di fronte a Dio siamo sempre debitori, e ciò che è peggio debitori eternamente insolventi. Poveri noi se dovessimo pagare a Dio il debito dei 10.000 talenti (Cf Mt 18).
Giuseppe è Padre nell’accoglienza perché rinuncia a questa pretesa del nostro orgoglio, e da uomo giusto qual è, cerca di agire con rettitudine e, nello stesso tempo, di non far del male a Maria.
Scrive il Papa: «Giuseppe si presenta come figura di uomo rispettoso, delicato che, pur non possedendo tutte le informazioni, si decide per la reputazione, la dignità e la vita di Maria. E nel suo dubbio su come agire nel modo migliore, Dio lo ha aiutato a scegliere illuminando il suo giudizio».[18] (Patris Corde, n. 4).
S. Giuseppe "accoglie Maria senza mettere condizioni preventive. Si fida delle parole dell’Angelo… Tante volte, nella nostra vita, accadono avvenimenti di cui non comprendiamo il significato. La nostra prima reazione è spesso di delusione e ribellione. Giuseppe lascia da parte i suoi ragionamenti per fare spazio a ciò che accade e, per quanto possa apparire ai suoi occhi misterioso, egli lo accoglie, se ne assume la responsabilità e si riconcilia con la propria storia. Se non ci riconciliamo con la nostra storia, non riusciremo nemmeno a fare un passo successivo, perché rimarremo sempre in ostaggio delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni". (Ib.)
A proposito della speranza, mi sembra molto interessante questa espressione della lettera del Papa: se non ci riconciliamo con la storia concreta che Dio fa con noi, possiamo rimanere ostaggi delle nostre aspettative e delle conseguenti delusioni.Essere ostaggio delle proprie aspettative è il contrario della speranza, e produce solamente frustrazione. Ricordate i due discepoli di Emmaus: "… Noi speravamo che fosse lui liberare Israele…". Gesù taccia questo atteggiamento di stoltezza ("insipienti") e lentezza ("tardi") di cuore (cf Lc 24, 25): le nostre aspettative illusorie denotano, spesso, mancanza di saggezza e pesantezza di cuore. La mente non è lucida e il cuore non è agile quando diamo spazio e ci lasciamo illudere da sogni vani. Per la maggior parte in Israele l’attesa del Messia era nutrita di aspettative illusorie che non corrispondevano al disegno di Dio, che sempre ci sorprende.
Non è male avere dei sogni nella vita. Anche Giuseppe li ha avuti, come l’altro Giuseppe, il figlio di Giacobbe, osteggiato, venduto e chiamato ironicamente dai suoi fratelli gelosi "signore dei sogni". È lecito sognare nella vita, anzi guai a chi non ha dei sogni. Ciò che è importante è che i nostri sogni coincidano con i sogni di Dio e non con le nostre false aspettative. Ricordate come il profeta Gioele preannunciava i tempi nuovi dello Spirito di Dio:
"Dopo questo,
io effonderò il mio spirito
sopra ogni uomo
e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;
i vostri anziani faranno sogni,
i vostri giovani avranno visioni". (Gl 3,1)Ecco, San Giuseppe ha avuto i sogni di Dio, perché il suo cuore era puro. Dicono gli esperti della psiche umana che più è libero ed in pace il nostro subcosciente, più anche i sogni che facciamo riflettono la serenità del nostro spirito; e al contrario, più quel sottofondo misterioso è torbido, più i nostri sogni proiettano l’inquietudine sottostante.
Lascio ancora la Parola al Papa nella sua bellissima lettera: "La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie. Solo a partire da questa accoglienza, da questa riconciliazione, si può anche intuire una storia più grande, un significato più profondo. Sembrano riecheggiare le ardenti parole di Giobbe, che all’invito della moglie a ribellarsi per tutto il male che gli accade risponde: «Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremmo accettare il male?» (Gb 2,10)".
Bellissimo: "La vita spirituale che Giuseppe ci mostra non è una via che spiega, ma una via che accoglie". Quante volte noi ci perdiamo di fiducia e abbandoniamo la speranza perché ci sembra di non trovare spiegazioni ragionevoli ai nostri problemi. Quando impariamo, come Giuseppe ad accogliere con fiducia e speranza ciò che il Signore permette, assistiamo a un miracolo: piano piano si fa strada anche una spiegazione, cioè una luce profonda che fa intuire il senso di eventi, situazioni, sofferenze che ci sembravano completamente senza senso. Spiegare vuol dire letteralmente "togliere le pieghe": tante situazioni della vita presentano molte pieghe, che una volta "spiegate" manifestano un senso misterioso che ci fa dire:
"O profondità della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quanto insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie!" (Rom 11, 33)
Ora, può venirci un dubbio che dà luogo a una obiezione: ma questo atteggiamento non produce in noi una rassegnazione passiva di fronte alle situazioni avverse della vita? Non ci paralizza nell’impotenza? Anche qui il Papa ci aiuta a guardare all’esperienza di San Giuseppe per scoprire una speranza fiduciosa, ben diversa dalla rassegnazione:
"Giuseppe non è un uomo rassegnato passivamente. Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. L’accoglienza è un modo attraverso cui si manifesta nella nostra vita il dono della fortezza che ci viene dallo Spirito Santo. Solo il Signore può darci la forza di accogliere la vita così com’è, di fare spazio anche a quella parte contradditoria, inaspettata, deludente dell’esistenza.
La venuta di Gesù in mezzo a noi è un dono del Padre, affinché ciascuno si riconcili con la carne della propria storia anche quando non la comprende fino in fondo.
Come Dio ha detto al nostro Santo: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere» (Mt 1,20), sembra ripetere anche a noi: "Non abbiate paura!". Occorre deporre la rabbia e la delusione e fare spazio, senza alcuna rassegnazione mondana ma con fortezza piena di speranza, a ciò che non abbiamo scelto eppure esiste. Accogliere così la vita ci introduce a un significato nascosto. La vita di ciascuno di noi può ripartire miracolosamente, se troviamo il coraggio di viverla secondo ciò che ci indica il Vangelo. E non importa se ormai tutto sembra aver preso una piega sbagliata e se alcune cose ormai sono irreversibili. Dio può far germogliare fiori tra le rocce. Anche se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Egli «è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1 Gv 3,20)".
Mi fermo qui, ma se vi invito a leggere, in questa linea, anche il n. 5 della Lettera del Papa: Padre dal coraggio creativo.
MADRE SPERANZA. "UNA SPERANZA FERMA"
«Madre Speranza», un nome profetico
Passiamo ora a dire qualcosa su come M. Speranza ha vissuto questa virtù che porta nel suo stesso nome. Va detto subito che M. Speranza ha una relazione particolare con S. Giuseppe. Il suo nome di Battesimo è Josefa, Giuseppa o Giuseppina. La devozione particolare per il Santo patrono della Chiesa che, insieme a quella per Maria, ha caratterizzato la sua vita, sicuramente affonda le radici nel fonte battesimale di Santomera, quando le venne dato il nome.
Madre Speranza. Questo nome che la Serva di Dio non avrebbe mai scelto per sé (2), doveva tradursi in un programma di vita. Quanta speranza ha effuso attorno a sé, tra la gente semplice che ricorreva a lei sofferente e disperata, mostrandosi madre con tutti. Così ha testimoniato uno dei tanti che si sono sentiti suoi "figli":
«I suoi sorrisi erano pieni di speranza, avevo trovato finalmente l'appoggio che cercavo da tanto tempo. Dissi pertanto alla Madre se potevo ritornare e mi sentii rispondere: "Figlio, torna quando vuoi"» (2).
Anche oggi, attraverso la "Positio super virtutibus" della Beata M. Speranza (cf "Positio" pp 369-375), faccio riferimento alle testimonianze di molte persone, alcune ancora viventi, che hanno conosciuto M. Speranza. È una grazia, nelle vite dei santi, poter contare su testimonianze dirette, di prima mano.
Un figlio dell’Amore misericordioso della prima ora, P. Mario Tosi, in una familiare conversazione con M. Speranza, scopre il segreto di tanta maternità capace di infondere nuova fiducia e coraggio:
«Ricordo, una sera, che la Madre era seduta all'entrata del tunnel che porta alla cucina della casa dei padri, dopo una giornata di intenso lavoro, mi avvicinai [...] e quasi scherzando, le dissi: "Ma lei Madre che conforta tanta gente (era il tempo in cui venivano molti pellegrini a parlare con lei) e infonde a tutti coraggio, non ha avuto mai momenti di sconforto, di scoraggiamento, di abbattimento?". Mi guardò con quegli occhi che ti trafiggevano e mi disse: "Se non fosse per la 'grazia' che Dio mi dà, direi a Lui: ‘Io non ne posso più, me ne vado’"» (3).
Chi l'avvicinava coglieva di essere di fronte ad una creatura che Dio era andato plasmando per renderla trasparenza della sua misericordia e per renderla «messaggera di speranza». La sua stessa persona, anche senza parole, trasmetteva qualcosa, tanto che qualsiasi anima sensibile alla grazia non poteva rimanere indifferente. Ricordo la testimonianza del Card. Edoardo Pironio già citato, che ebbe modo di frequentarla:
«Era una donna, che solo ad avvicinarla, trasmetteva coraggio e speranza. [...]Penso che su questo sia basato il mistero del suo stesso nome: Madre Speranza, e della sua opera dell'Amore Misericordioso» (4).
"Una donna di speranza"
Abbiamo visto la volta scorsa che la virtù soprannaturale della speranza è generata dalla fede e nutrita dall’amore: più profondi sono la fede (fede come fiducia) e l’amore e più grande è la speranza. Si spera perché si crede, e nella misura in cui si crede in un Dio misericordioso e padre infinitamente buono, la speranza diventa certezza, chi crede si abbandona nelle mani di Dio, sia nel proprio agire e nelle opere che Lui ispira, sia soprattutto nell’attesa della salvezza.
Madre Speranza, fin dalla sua giovinezza, per un dono speciale dello Spirito, penetrò il mistero dell'Amore Misericordioso di Dio. Per lei Dio non è un giudice, ma un padre che sa solo perdonare, compatire, attendere, perché sa solo amare. Questo è il fondamento della speranza. È proprio nella infinita misericordia del Signore e nella sua fedeltà che la nostra Beata Madre ripose sempre la sua speranza.
Padre Valentino Macca ocd, uomo versato nella teologia spirituale e grande ammiratore della Beata MS, immediatamente dopo la morte di lei, scrisse delle parole meravigliose sulla virtù e la teologia della speranza in questa donna profetica che lui chiama "una donna di speranza":
«L'ho conosciuta così: donna di speranza. Incarnava meravigliosamente il nome "profetico" che le era stato dato nella sua giovinezza religiosa. [...] La "teologia" della Madre è la teologia della speranza che sboccia in fiducia piena nell'Amore che vuole salvare tutti, anche i peccatori più induriti. L'Amore Misericordioso è il fondamento della speranza nell'Amore "Regale", crocifisso e risorto, per la salvezza di tutti gli uomini» (5).
Sperare, per la Beata Madre, ha significato costruire con il suo «BuenJesús» un sempre più profondo rapporto di amicizia che si fonda e si consolida nella reciproca fedeltà. Questa intima amicizia è diventata in leiun abbandono totale in Colui nel quale ha posto la sua fiducia, come esprime una sua bellissima preghiera, che lei scrive il 19 marzo del 1952, proprio il giorno di S. Giuseppe, in un momento di forte travaglio, una preghiera che potremmo fare nostra:
«Fa’, Gesù mio, che cresca in me la speranza, virtù teologale, che mi porti a desiderare solo Te, come unico Bene Supremo. Che io speri sempre nel mio Dio e desideri possederlo in eterno, vedendolo e amandolo infinitamente» (6).
Alcuni anni prima aveva scritto alle sue figlie (El Pan 8):
1048 Care figlie, insegnate alle figlie e ai bambini che la speranza è una virtù divina che ci fa superiori sia ai beni che ai mali di questo mondo; essa infatti ci mostra di lontano, al termine della nostra esistenza mortale, una vita perenne, un avvenire di felicità, di beatitudine eterna.
1049 Senza questa luce del cielo che ci svela l'orizzonte infinito dell'eternità, che cosa sarebbe la presente misera esistenza che trasciniamo per alcuni giorni sulla faccia della terra? Ah, figlie mie! come è sventurata quella creatura per la quale non brilla la luce della speranza cristiana! Se non ci fosse il cielo, se il suo ricordo pieno di ineffabile dolcezza non infondesse coraggio nei nostri cuori, se la nostra vita dovesse terminare con la morte, quanto meglio sarebbe stato per l'uomo non essere nato! Se l'uomo nasce è per non morire; la morte è solo una separazione temporanea dell'anima dal corpo.
Riecheggiano in queste parole ispirate di M. Speranza quelle di Sta Teresa, suo grande modello:
"Spera, anima mia, spera. Tu non conosci il giorno né l'ora. Veglia premurosamente, tutto passa in un soffio, sebbene la tua impazienza possa rendere incerto ciò che è certo, e lungo un tempo molto breve. Pensa che quanto più lotterai, tanto più darai provadell'amore che hai per il tuo Dio e tanto più un giorno godrai con il tuo Diletto, in una felicità ed in un'estasi che mai potranno aver fine [Santa Teresa di Gesù, Esclamazioni dell'anima a Dio, 15, 3].
Speranza "ferma" che diventa certezza
Potremmo dirci a questo punto: queste sono espressioni bellissime della fede e della speranza cristiana, ma come si traduceva questo atteggiamento nelle opere e nelle scelte concrete della vita quotidiana di Madre Speranza?
Ecco, va detto subito che i testimoni che l’hanno conosciuta concordano in questo: quando M. Speranza era convinta che la realizzazione di un'opera fosse volontà di Dio, non vacillava. Era convinta di essere solamente «un canale» (7), uno strumento nelle mani di Dio e che l'opera sarebbe arrivata al suo compimento proprio quando agli occhi degli uomini appariva impossibile.
Padre Elio Bastiani, per esempio, afferma che,guidata da questo principio, la Madre portò avanti, a volte contrastata da tutti, le più grandi opere senza retrocedere mai dal suo intento.
«Credo che tutta la sua opera può qualificarsi di speranza eroica. Non si fonda una Congregazione con un carisma nuovo e discusso (devozione proibita; una donna che fonda una Congregazione maschile; due Congregazioni, maschile e femminile: Unica Famiglia) senza speranza in Dio.
Gli inizi furono difficilissimi [...]con contrasti rilevanti ed ostacoli da parte di persone autorevolissime e qualificate come cardinali, vescovi e sacerdoti, a Madrid, a Bilbao, a Roma (Santo Officio). Non mancarono difficoltà interne con abbandoni, defezioni… Come dimostrazione ultima e definitiva della eroicità della sua speranza si potrebbe portare per esempio l'idea del centro di spiritualità, o Santuario, a Collevalenza. A chi poteva venire in mente di fare una chiesa grandiosa, oggi Basilica, ed edifici annessi, con una lungimiranza sorprendente, in un paese sconosciuto, di difficile accesso, affermando che sarebbe, con il tempo, diventato un centro frequentatissimo, [...]come luoghi già affermati tipo Lourdes? Solo una viva fede e una ferma speranza potevano animare la Serva di Dio nell'iniziare e condurre a termine queste opere» (8).
Ecco, in questa testimonianza, mi sembra di cogliere la caratteristica tipica di questa virtù: saper vedere in un piccolo seme, magari marcito sotto terra, la futura pianta e i suoi abbondanti frutti. La speranza ha questo sguardo penetrante.
Una delle sue figlie, M. Pace Larrión fa una lunga esposizione sulla virtù della speranza nella Madre, dicendo che questa era illimitata e continua perché aveva le sue radici nel fiducioso abbandono nella misericordia del Signore:
«Quando ci parlava delle promesse del Signore ci trasmetteva certezze: lei ne era sicura, non aveva dubbi. La fiducia della Madre nel Signore è stata totale e continua, l'ho vista sempre ottimista. Ha insistito molto perché non ci lasciassimo prendere mai dallo scoraggiamento, dalla tristezza; diceva: "Io so dirvi di me che temo la tristezza più che il peccato mortale, la tristezza mai viene dal Signore, ma dal demonio che non vuole ci fidiamo del Signore"» (9).
Una speranza "attiva"
La sua era anche una speranza attiva, un tratto della speranza che abbiamo già sottolineato la volta scorsa. In tutta la sua vita la vediamo operosamente in cammino. Tratteggiando il suo profilo di donna di speranza, Padre Valentino Macca aggiunge:
«la sua era una speranza operosa, nella quale l'attesa piena di fede e di amore, maturava in azione decisa e coraggiosa. Appunto perché contava su Dio ad occhi chiusi, agiva sicura dell'aiuto che metteva a sua disposizione l'onnipotenza dell'Amore Misericordioso. Il travaglio della fondazione a Madrid, la fortezza delle origini a Roma, a via Casilina, la resistenza indomita dimostrata a Collevalenza, la presentano una donna che quanto più incontra opposizioni e difficoltà, tanto più "tira avanti" all'insegna delle grandi certezze della speranza» (10).
Speranza sofferta, fiduciosa, nelle prove più dure
Come ho accennato, e come è stato ricordato dai numerosi testi, nella vita della Serva di Dio furono molti i momenti in cui si vide sola, abbandonata. Quando, agli inizi della fondazione, il Cardinale di Toledo negò l'aiuto promesso, (11) Madre Speranza accolse questo doloroso evento come un'occasione per imparare a confidare solo in Dio:
«il Buon Gesù [lo] ha permesso [...] sicuramente, per farci capire ancora una volta, che non dobbiamo porre la nostra speranza nelle creature, ma in Lui. Fa, Gesù mio, che io non ponga la mia speranza in alcuno, e in questo modo, nulla io tema o cerchi oltre a Te, neppure me stessa, poiché soltanto desidero che Tu per me sia tutto» (12).
Anche negli anni '40, periodo in cui si vide separata dalle sue figlie, privata della gioia di poterle guidare, consigliare, correggere, educare, il Signore le fece sperimentare che doveva essere Lui il suo unico e vero bene: «In queste prove e sofferenze che ti compiaci inviarmi, frequentemente ripeterò: "Gesù mio, in Te ho riposto ogni mia ricchezza e speranza"» (13).
Certamente anche per lei non fu facile questo abbandono e questa confidenza totale nel Signore, soprattutto nei momenti più duri. Abbiamo alcune preghiere sue veramente belle che esprimono la fermezza di questa speranza in Dio solo:
«Ora non ti sento più, né ti trovo e mi sento sola, rifiutata e afflitta. Ma, in questo modo, spererò in Te per tutto il tempo che vorrai, gioirò e mi rallegrerò nella tua misericordia». (14)
Proprio perché fiduciosa nella sua infinita misericordia, finiva col cercare rifugio nel suo «BuenJesús»:
«Ti prego, Gesù mio, abbi pietà di me e non lasciarmi sola in questi momenti di aridità e oscurità. [...] È forse questo il calice che mi hai preannunciato? Ti piace vedermi soffrire da sola? Se è così, ti ripeto una e mille volte, Dio mio, che metto nelle tue mani la mia fiducia e il mio abbandono e molte volte ti ripeterò: Gesù mio, ho riposto in Te tutta la mia speranza; salvami, Dio mio, con la tua giustizia. Sii per me protezione e dimora dove rifugiarmi per mettermi in salvo» (15).
In questi momenti dolorosi si proponeva di chiedere con insistenza al Signore che le insegnasse a confidare soltanto in lui e mai negli uomini: «Fa Gesù mio [...] che io mi aspetti ogni consolazione da Te» (16). Ma, a volte, tanta era la sofferenza che ne sentiva tutto il peso. Allora Gesù si convertiva per lei nel Maestro che ammonisce ed esorta:
«Il Buon Gesù [...]solo durante l‘estasi mi ha detto: "non mi vedi unito a te nella battaglia?". Si, Gesù mio. "E allora, come mai ti abbatti in questo modo, pur sapendo che non mi separo da te e che sempre vengo in tuo aiuto per vincere?"» (17).
Possiamo concludere con una preghiera della Madre nella Novena all’AM:
"Gesù mio, sii il mio compagno e la mia speranza! Difesa e riparo contro tutti i pericoli dell’anima e del corpo. Guidami nel vasto mare di questo mondo e degnati di consolarmi in questa tribolazione. Mi sia di porto sicurissimo l’abisso del tuo amore e della tua misericordia, così potrò vedermi libero dalle insidie del demonio" (Novena AM, 8° giorno).
Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo…
(1) Cf. Infra, cap III, p. 36, nota 19.
(2) Summ., teste 29, p. 386, 3.
(3) Summ., teste 21, p. 294, 82-85.
(4) Summ., teste 44, p. 467, 3.
(5) v. macca, ocd, Profilo 1: Una vita a servizio della divina volontà, Ed. L'Amore Misericordioso, p. 18. Cf. anche Summ., teste 81, p. 653.
(6) Diario, 19.3.1952, Summ., pp. 769-770, n. 117.
(7) Diario, 28.2.1951, Summ., p. 757, n. 88.
(8) Summ., teste 3, p. 31, 84.
(9) Summ., teste 22, p. 304, 77-97.
(10) v. macca, ocd, o.c., p. 18. Cf. anche Summ., teste 81, p. 653.
(11) Cf. Documenti, cap. IV, doc. 30, pp. 70-71.
(12) Diario, 31.1.1942, Summ., p. 739, n. 46.
(13) Diario, 22.9.1941, Summ., p. 658, n. 29.
(14) Diario, 5.10.1941, Summ., p. 735, n. 31.
(15) Diario, 4.10.1941, Summ., pp. 734-735, n. 30.
(w) Diario, 16.11.1942, Summ., p. 747, n. 72.
(17) Diario, 29.2.1952, Summ., p. 762, n. 97.