LETTURA DI ALCUNI TESTI
DELLE ISTRUZIONI DI MADRE SPERANZA AI PRIMI FAMA cura di P. Giulio Monti FAM
Leggo alcuni testi, tratti dai Verbali delle riunioni che Madre Speranza faceva insieme ai primi Figli dell’Amore Misericordioso nella comunità di Collevalenza. Guardando lontano, da buon profeta, ha suggerito come vivere e testimoniare la gioia della propria donazione all’Amore Misericordioso.
Verbale della riunione del 6/03/55
«La Madre dice di dover manifestare un lamento del Signore:
C'è freddo in casa; non freddo materiale, freddo nei cuori. I cuori non sono caldi, sono senza fervore perché non si fa bene la Meditazione.
Non si chiede al Signore. Si fa la parte di gente che non sente bisogno di Lui e ciò per mancanza di vera umiltà.
Ci si angustia forse, si sta a pensare che si perde tempo, e in tal modo si perde ancora tempo, si sente la lotta contro la natura, si lavora per respingere la tentazione, ma in tutto si tiene un pochino da parte il Signore che è lì pronto per aiutarci.
Non chiediamo a Lui l'aiuto; ci affatichiamo ma senza ricorrere a Lui riconoscendo con umiltà che da noi a nulla siamo capaci.
II Signore ci vuole santi, ma per questo sempre ed in tutto occorre ricorrere a Lui.
La meditazione deve essere un continuo chiedere al Signore la grazia di unirci intimamente a Lui, vincendo i nostri difetti e tendenze non buone.
Per chiedere è necessario però conoscere ciò di cui abbiamo bisogno. Per questo dobbiamo esercitare un controllo continuo di noi stessi. Tale continuo controllo, unito al continuo esercizio della Divina presenza e del ricorso fiducioso al Signore, ci unirà a Lui sempre più intimamente e tutta la giornata diventerà una meditazione».
Verbale della riunione del 28/03/55
«La Meditazione è una udienza che Dio concede all'anima. L'udienza deve esser però preparata; bisogna sapere prima quel che si deve chiedere. Per questo è quanto mai opportuno il ritiro mensile, non solo, ma anche l'esame della giornata.
Esame sulla mortificazione dei sensi, sull'amor proprio, sulle false esigenze del nostro corpo: controllare tutto, poi chiedere la grazia di camminare così come il Signore vuole, ringraziarlo quando riusciamo a far bene, umiliarci quando dovessimo cadere.
Il Signore è sempre vicino a noi, non si allontana mai. Egli è come una mamma che sta sempre vicino al suo bambino e se lo vede sporco, anzi più lo vede sporco, maggiormente l'avvicina, cerca di pulirlo e di rivestirlo a nuovo.
E' importante che noi abbiamo presente questi pensieri e ne sappiamo approfittare sempre: nella lotta, nella vittoria, nella sconfitta».
Verbale della riunione del 15/05/55
«La Madre quindi, prendendo lo spunto dalla caduta di un religioso al quale il Signore l'ha mandata, dice che anche i buoni Religiosi, possono cadere se manca la meditazione.
Senza meditazione si cade con facilità nella superbia, non si sente più bisogno del Signore ed a Lui non si chiede ciò di cui si avrebbe bisogno».
Ricordiamo, in proposito, l’esortazione della Madre riportata dalle nostre Costituzioni:
Dobbiamo convincerci che l’esito dell’apostolato dipende dal loro spirito di orazione nel quale ogni giorno devono consolidare la pietà e temprare le loro anime nel fuoco soprannaturale…" (Costituzioni FAM, art. 58)
«Il Signore desidera che si faccia veramente meditazione
.La vera meditazione consiste nel chiedere al Signore, dopo aver conosciuto attraverso gli esami ed il controllo continuo della nostra giornata, ciò di cui abbisogniamo.
Nella meditazione, insiste la Madre, tutti i Religiosi e Sacerdoti chiedano l'umiltà. Il Religioso che non è umile sarà pieno di collera, di superbia, di angustia e non saprà ricorrere al Signore, non saprà cioè proficuamente meditare.
Senza umiltà non possiamo darci al Signore; ci diamo a noi stessi.
La vita religiosa è il dono più grande che il Signore poteva farci perché per essa possiamo completamente darci a Lui; ciò non potrà avvenire se amiamo noi stessi, se non abbiamo cioè vera umiltà».
Verbale della riunione del 13/06/55
«La Madre ci presenta quindi due fogli dattiloscritti. (…)
1° - "Ogni Sacerdote Diocesano può far parte della Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso, emettendo i Voti religiosi in questa Congregazione, facendo vita di comunità nella casa religiosa, o, già formando essi stessi la Comunità con uno o due Fratelli coadiutori, o, senza questi, vivendo la vita di comunità vari Sacerdoti riuniti. In tal caso, il Superiore Generale della Congregazione, o il Provinciale, procurerà che vi sia un economo per evitare che nelle case dei Sacerdoti già con Voti vi siano cose superflue, sforzandosi che vada scomparendo l'affetto ai beni materiali, che tanta dannosa impressione fa ai secolari. (…)
Anche ai Sacerdoti del Clero secolare, che sono in condizioni di non poter far vita di Comunità per l'impossibilità, di riunirsi con i Sacerdoti più vicini, per l'incarico del proprio ministero, o per attender meglio le parrocchie ad essi affidate sarà permesso, sempre con il benestare del proprio Vescovo, emettere i Voti nella Congregazione dei Figli dell'Amore Misericordioso, con il fine di poter partecipare a tutti i benefici e grazie concessi dalla Santa Sede a questa Congregazione senza far vita di Comunità.
Però non sarà permesso ad alcun Sacerdote fare i Voti e non far vita di comunità per vivere più liberamente, per accumulare beni in favore dei propri familiari, o per alcun altro impedimento che non si sente di lasciare tanto facilmente.
Il Sacerdote che desidera vivere unito ai Figli dell'Amore Misericordioso per mezzo dei Voti, può sempre farlo, ma con il solo scopo che essi siano per lui il canale attraverso il quale il buon Gesù gli comunichi le sue grazie e queste lo aiutino a santificarsi e a rendere fruttuoso il proprio lavoro nel ministero a vantaggio delle anime».
La Madre fa capire, in sintesi, che bisogna far penetrare l'idea della bellezza della vita di comunità tra il clero.
Solo così i sacerdoti potranno essere esperti di comunione per i confratelli, le famiglie, le varie comunità ecc.« 2° - La Madre si sofferma in modo particolare sui motivi per i quali il sacerdote diocesano con voti non può fare vita di comunità.
Il Superiore della Congregazione deve ricercare le vere ragioni di tale impossibilità: se si tratta di motivi inerenti agli incarichi del proprio ministero ed alla cura parrocchiale oppure ci sono altre ragioni: vivere più liberamente, accumulare beni in favore dei propri familiari e pensare più facilmente ad essi; ragioni di pericolose amicizie che il cuore non si sente di lasciare completamente e che la vita di Comunità facilmente troncherebbe.
In breve: il Superiore della Congregazione di tutto dovrà rendersi conto e permetterà che facciamo i voti senza far vita di Comunità solo quei sacerdoti impossibilitati a vivere in comune unicamente per ragioni inerenti agli incarichi del proprio ministero.
Qualora il superiore della Congregazione vedesse nella casa parrocchiale un pericolo per il Sacerdote con voti senza far vita di Comunità deve avvertire il Vescovo del luogo il quale potrà così pensare ad un trasferimento o ad altri provvedimenti».
Lo Statuto dei SDFAM, approvato recentemente dalla Chiesa commenta bene queste parole della Madre:
"Così ne fomentano in modo concreto «una consuetudine di vita comune tra il clero»(1), in vista dell’esempio che ne deriva ai fedeli e dei vantaggi apportati ai sacerdoti(2): alimentare la vita spirituale e l’impegno ascetico; custodire e rafforzare la castità; curare la vita intellettuale e la formazione permanente; favorire la collaborazione nel ministero; ridurre le spese di sostentamento" (Statuto SDFAM, art. 9)
CONCLUSIONE
Dopo aver ascoltato cosa dice Nostra Madre ci chiediamo: che differenza esiste tra noi e chi segue altra spiritualità?
Oggi dobbiamo essere un segno per i sacerdoti che trovano difficoltà a stare insieme. Solo una comunione intensa con Cristo e tra di noi porterà a vivere insieme per attuare il precetto dell’amore: "Amatevi come io vi ho amato". Dopo l’approvazione definitiva da parte della Chiesa non possiamo più rimandare e continuare a vivere ognuno per conto proprio. Serve un atto di fede nella chiamata del Signore e un atto di fiducia nella sua presenza che realizzerà quanto ci ha chiesto chiamandoci a diventare SDFAM.
[1] CIC, can. 280.
[2] Cf CD 30,1; PO 8d.