Dalla Dives in misericordia alla Deus Caritas est:
il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore MisericordiosoBartolomeo Sorge S.J.
Mi è stato chiesto di leggere il cammino della Chiesa di oggi all’insegna dell’Amore Misericordioso, alla luce delle encicliche Dives in misericordia [DM] di Giovanni Paolo II e Deus Caritas est [DCE] di Benedetto XVI. Il compito oggi è facilitato dalle «riflessioni» (così le definisce il Papa stesso) che Benedetto XVI ha svolte al Convegno ecclesiale di Verona il 19 ottobre 2006, con le quali Papa Ratzinger in certo senso completa il suo magistero sulla carità.
«Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (I Gv, 4. 6). Queste parole dell’evangelista Giovanni – scrive Benedetto XVI nella DCE – esprimono con chiarezza «l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». E aggiunge: «In un mondo in cui al nome di Dio viene a volte collegata la vendetta o perfino il dovere dell’odio e della violenza, questo è un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto. Per questo nella mia prima Enciclica desidero parlare dell’amore, del quale Dio ci ricolma e che da noi deve essere comunicato agli altri»1.
Il Papa, cioè, ritiene che l’annunzio di Dio-Amore sia «di grande attualità e di significato molto concreto» in questo inizio del Terzo Millennio, segnato da profondi contrasti: da un lato, il terrorismo islamico insanguina il mondo in nome di Dio, gli Stati Uniti teorizzano e praticano la «guerra preventiva», il mondo è sull’orlo di un terribile scontro di civiltà, esplodono nuove tensioni sociali in seguito ai crescenti flussi migratori, le intelligenze e le coscienze sono disorientate dal relativismo morale e dall’ateismo pratico; d’altro lato, non mancano segni che annunziano che un mondo diverso è possibile: la riconciliazione e la collaborazione tra nazioni che si sono combattute ferocemente, una sensibilità nuova e generalizzata per il rispetto dei diritti umani, la domanda di una nuova qualità di vita specialmente da parte dei giovani, il bisogno crescente di pace e di giustizia, di dialogo e di comunicazione.
In un simile contesto culturalmente contraddittorio e socialmente incerto, Benedetto XVI richiama il dovere che abbiamo, come cristiani, di annunziare e di testimoniare che Dio è Amore. E definisce questo annunzio «un messaggio di grande attualità e di significato molto concreto». È particolarmente significativo che noi oggi rilanciamo questo messaggio dal Santuario di Collevalenza, la Casa di Madre Speranza, alla quale il Signore ha affidato il carisma di far conoscere al mondo il suo Amore Misericordioso.
Il «messaggio» di Benedetto XVI – che egli stesso definisce «di grande attualità e di significato molto concreto» – si può enunciare così: 1) la Chiesa del XXI secolo è chiamata a promuovere la «civiltà dell’amore», essa pertanto sarà «la Chiesa dell’Amore Misericordioso»; 2) a questo fine, però, è necessaria la presenza di un «laicato maturo», pertanto la Chiesa del XXI secolo sarà la «Chiesa dei laici»; 3) infine il messaggio del Dio-Amore si concretizza nella «testimonianza della carità» nelle forme più alte, cioè nel servizio ai poveri e nella assunzione delle responsabilità civili e politiche da parte dei fedeli laici. Saranno queste le tre parti della mia relazione.
1. La «Chiesa dell’Amore Misericordioso»
Dopo il Concilio Vaticano II, Paolo VI fu il primo a insistere sulla necessità di promuovere la costruzione della Civiltà dell’Amore, cioè di una società rinnovata, dove la giustizia, che ne è il fondamento necessario, sia integrata e sublimata dalla carità: «Se al di là delle norme giuridiche – scrive nella Octogesima adveniens – manca un senso più profondo del rispetto e del servizio altrui, anche l’uguaglianza davanti alla legge potrà servire di alibi a evidenti discriminazioni, a sfruttamenti continuati, a disprezzi effettivi»2. Ciò – prosegue – è confermato dalle contraddizioni spesso drammatiche del mondo moderno: «I rapporti di forza non hanno mai garantito la giustizia in modo durevole e vero […]. L’uso della forza provoca l’intervento di forze contrarie, donde un clima di lotte che sfociano in situazioni estreme di violenza e in abusi»3. Senza amore – conclude –, non vi saranno né giustizia né pace: «L’amore dell’uomo, primo valore nell’ordine terreno, assicura le condizioni della pace, sia sociale sia internazionale, affermando la nostra fraternità universale»4. È giunto perciò il momento di costruire la «Civiltà dell’Amore».
Giovanni Paolo II sviluppa ulteriormente questo insegnamento di Paolo VI: «L’umanità è come a un bivio. […] Una domanda interpella la nostra responsabilità: quale civiltà si imporrà nel futuro del pianeta? Dipende infatti da noi se sarà la civiltà dell’amore, come amava chiamarla Paolo VI, oppure la civiltà – che più giustamente si dovrebbe chiamare "inciviltà" – dell’individualismo, dell’utilitarismo, degli interessi contrapposti, dei nazionalismi esasperati, degli egoismi eretti a sistema»; e conclude a sua volta: «La Chiesa sente il bisogno di invitare quanti hanno veramente a cuore le sorti dell’uomo e della civiltà a mettere insieme le proprie risorse e il proprio impegno, per la costruzione della civiltà dell’amore»5. Papa Woityla ritorna più volte su questo tema, chiarendo le ragioni che rendono necessaria una nuova civiltà, fondata sull’incontro tra giustizia e amore. Per costruire un mondo nuovo – spiega – non ci si può fermare alla giustizia, che Paolo VI definiva «la misura minima della carità»6; infatti l’uomo, oltre che di giustizia, ha bisogno di carità, anzi di perdono, che è il vertice dell’amore. La ragione è – continua Giovanni Paolo II – che «la giustizia umana è esposta alla fragilità e ai limiti degli egoismi individuali e di gruppo. Solo il perdono risana le ferite dei cuori e ristabilisce in profondità i rapporti umani turbati»7.
Nell’enciclica DM sviluppa più ampiamente il suo pensiero: «In nome di una presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe), talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani. L’esperienza del passato e del nostro tempo dimostra che la giustizia da sola non basta e che, anzi, può condurre alla negazione e all’annientamento di se stessa, se non si consente a quella forza più profonda che è l’amore, di plasmare la vita umana nelle sue varie dimensioni»8.
Certo – commenta il Papa – la nostra generazione «avverte di essere privilegiata, perché il progresso le offre molte possibilità, appena qualche decennio fa insospettate. L’attività creatrice dell’uomo, la sua intelligenza e il suo lavoro hanno causato profondi cambiamenti sia nel campo della scienza e della tecnica, come nella vita sociale e culturale»9; nello stesso tempo, però, esiste tanto male fisico e morale da rendere il mondo contemporaneo un groviglio di contraddizioni e di tensioni, di minacce contro la libertà e la pace, generando un clima diffuso di inquietudine e di paura10. Ecco perché non basta fare giustizia, ma è necessario che la giustizia sia integrata dall’amore. In altre parole, il nostro tempo, affamato di giustizia, ha bisogno di riconciliazione e di perdono; che è quanto dire: ha bisogno di amore misericordioso, di agàpe. È giunta l’ora della «Civiltà dell’Amore», dell’Amore Misericordioso.
La Chiesa del XXI secolo non solo dovrà annunziarlo al mondo, ma anche dovrà mostrare con la vita e con le opere che il perdono e la misericordia perfezionano la giustizia, in quanto portano gli uomini a incontrarsi sul valore della loro uguale dignità, al di là della mera uguaglianza dei beni. «Un mondo, da cui si eliminasse il perdono [= la misericordia] – conclude l’enciclica DM – sarebbe soltanto un mondo di giustizia fredda e irrispettosa, nel nome della quale ognuno rivendicherebbe i propri diritti nei confronti dell’altro; così gli egoismi di vario genere, sonnecchianti nell’uomo, potrebbero trasformare la vita e la convivenza umana in un sistema di oppressione dei più deboli da parte dei più forti, oppure in un’arena di permanente lotta degli uni contro gli altri»11.
Infatti – spiega ancora Giovanni Paolo II –, «L’eguaglianza introdotta mediante la giustizia si limita, però, all’àmbito dei beni oggettivi ed estrinseci, mentre l’amore e la misericordia fanno sì che gli uomini s’incontrino tra loro in quel valore che è l’uomo stesso, con la dignità che gli è propria»12. Il perdono, quindi, non solo non annulla le esigenze obiettive della giustizia, ma le completa: poiché, se la giustizia dice «compensazione», l’amore misericordioso fa sì che la compensazione sia «degna dell’uomo».
Benedetto XVI, con l’enciclica DCE, va oltre, fino a cogliere la radice ultima dell’insegnamento di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sulla Civiltà dell’Amore. Papa Wojtyla, in particolare, aveva insistito sull’«agire» di Dio, cioè sul fatto che Dio agisce sempre per amore, Papa Ratzinger sposta l’accento sull’«essere» stesso di Dio: Dio agisce sempre per amore, perché è amore. Così, dopo aver distinto l’agàpe dall’eros (cioè l’amore primo, totalmente gratuito e disinteressato, dall’amore secondo, che non esclude la propria soddisfazione), mostra che l’Amore in Dio è un’unica realtà, in cui eros e agàpe si integrano.
La novità stravolgente del Nuovo Testamento sta nel fatto che questo Amore Misericordioso acquista una forma del tutto imprevedibile: quella del Figlio unigenito, che si incarna, cerca e insegue l’uomo peccatore, per abbracciarlo, perdonarlo e salvarlo, immolandosi sulla croce e perpetuando la sua oblazione e la sua presenza nell’Eucaristia. La Chiesa, che continua la missione di Cristo-Amore, non potrà mai fare a meno di annunziare la Carità, di incarnarsi con Lui nel mondo, assumendo su di sé le angosce e le speranze della umanità, dei poveri di tutti i tempi. Questa missione della Chiesa è resa più efficace anche dal fatto che la persona umana non è soltanto ragione e intelligenza, ma «porta dentro di sé, iscritto nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di amare a sua volta»13.
La rivelazione biblica, dunque, è sconvolgente: «il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di ogni essere ama personalmente l’uomo, lo ama appassionatamente e vuole essere a sua volta amato da lui. […] il suo amore si mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua forma estrema, inaudita, drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi, nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi»14. Questo significa Amore Misericordioso.
Di conseguenza, l’annunzio e la testimonianza dell’Amore Misericordioso nel nostro tempo impongono – per usare l’immagine della parabola evangelica – che la Chiesa non si chiuda in sé, non viva ripiegata su se stessa; essa non può essere la Chiesa «clericale», del «levita» che tira diritto per la sua strada, ma deve essere la Chiesa «del samaritano», che fa proprie le sofferenze altrui e si prende cura dei problemi del prossimo, pagando di persona. In altre parole, la Chiesa del XXI secolo si impegnerà affinché amore dell’uomo e amore di Dio, filantropia e carità, eros e agàpe, ragione e fede, giustizia e perdono si incontrino e si integrino nella civiltà dell’amore. Sarà la Chiesa dell’Amore Misericordioso.
2. La «Chiesa dei laici»
Ora, questo dovere della Chiesa di contribuire alla costruzione della Civiltà dell’Amore passa necessariamente attraverso la piena valorizzazione della vocazione e della missione dei fedeli laici. La Chiesa – ha detto Benedetto XVI a Verona – contribuisce alla costruzione della Civiltà dell’Amore soprattutto con la fede che «purifica la ragione», aiutando a riconoscere e quindi a realizzare ciò che è giusto, offrendo la sua Dottrina Sociale. Ebbene, questo contributo diventa concreto grazie all’impegno temporale dei laici. L’ora dell’Amore Misericordioso viene insieme all’ora dei laici.
Dunque non è un caso, ma è il compimento di un disegno, il riconoscimento ufficiale, da parte della Chiesa, della Associazione Laicale dei Laici dell’Amore Misericordioso (ALAM). E che sia un disegno di Dio lo dimostra anche il fatto che Madre Speranza – anticipando i tempi – abbia pensato all’esistenza di un ramo di laici all’interno della grande Famiglia dell’Amore Misericordioso, ritenendolo importante – sono sue parole – proprio per annunciare e testimoniare «il Vangelo dell’Amore e della Misericordia, facendo conoscere Dio come "Padre pieno di bontà che cerca con tutti i mezzi il modo di confortare, aiutare e far felici i suoi figli, e che li segue e li cerca con amore instancabile come se non potesse essere felice senza di loro"»15.
Vediamo brevemente le ragioni dottrinali e storiche, che oggi consentono di parlare della «Chiesa dei laici».
a) Ragioni dottrinali
È stato il Concilio Vaticano II a porre fine al vecchio «clericalismo». Nel nuovo «popolo messianico», – specifica la Lumen gentium –, comune è la dignità di tutti i membri, comune è la vocazione alla perfezione; non c’è nessuna disuguaglianza, dovuta alla razza, alla nazione, al sesso, alla condizione sociale. E, quantunque alcuni per volontà di Cristo sono costituiti dottori e dispensatori dei misteri e pastori per gli altri, tuttavia «vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo»16.
La Gerarchia, quindi, va compresa all’interno del «Popolo di Dio», al suo servizio; i fedeli laici non sono minorenni, né meri «ausiliari» del clero, ma «per la loro parte compiono nella Chiesa e nel mondo la missione propria di tutto il popolo cristiano»17. Commenta Giovanni Paolo II: «nel dare risposta all’interrogativo "chi sono i fedeli laici", il Concilio, superando precedenti interpretazioni prevalentemente negative, si è aperto a una visione decisamente positiva», rivendicando «la piena appartenenza dei fedeli laici alla Chiesa e al suo ministero e il carattere peculiare della loro vocazione»18, l’«indole secolare». La Chiesa del XXI secolo sarà la «Chiesa dei laici».
Ora, poiché «è proprio dei laici cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio»19, tocca soprattutto a essi instaurare il dialogo sui grandi problemi del tempo, illuminarli con la luce che viene dal Vangelo, rinnovare la società, della quale la Chiesa condivide la storia, le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce20. I fedeli laici non ricevono questa missione per delega della Gerarchia, ma «inseriti nel Corpo Mistico di Cristo per mezzo del Battesimo – insegna il Concilio –, fortificati dalla virtù dello Spirito Santo per mezzo della Cresima, [i fedeli laici] sono deputati dal Signore stesso all’apostolato»21.
b) Ragioni storiche
Le ragioni dottrinali del Magistero trovano piena conferma nella mutata situazione storica, sociale e culturale, la quale oggi per prima esige dai fedeli laici una maturità maggiore, una sintesi armoniosa tra fede e impegno storico, nella chiara distinzione tra il piano religioso (confessionale) e quello delle realtà temporali (laico). Di conseguenza – spiega il Concilio – i fedeli laici godranno della necessaria autonomia nel compiere le scelte temporali e politiche: tocca a essi decidere che cosa fare, senza dover chiedere ogni volta ai Pastori come risolvere i problemi anche gravi che nascessero22. Dal canto suo, la Gerarchia considererà i fedeli laici non esecutori passivi delle proprie direttive, ma quali collaboratori responsabili.
Benedetto XVI nelle sue «riflessioni» al Convegno di Verona riprende questi insegnamenti, che aveva già formulati nell’enciclica DCE. Insiste, perciò, sulla necessità di un laicato maturo, sottolineando che la crisi della cultura cristiana ha portato oggi al relativismo etico, per cui tutte le concezioni filosofiche, morali e religiose sono ritenute equivalenti. La «questione sociale» è divenuta così «questione antropologica».
Il compito dei laici, a questo punto, è insostituibile: essi oggi sono chiamati non solo a testimoniare i valori cristiani nella vita personale e sociale, ma a mediarli in termini laici, comprensibili e accettabili da tutti gli uomini di buona volontà e a favorirne anche la traduzione legislativa servendosi di tutti gli strumenti democratici disponibili.
È, dunque, l’ora dei laici. Nella Chiesa sono chiamati a responsabilità nuove. Se la Chiesa vuole contribuire efficacemente alla edificazione della Civiltà dell’Amore, non può che essere la «Chiesa dei laici». L’ora dell’Amore Misericordioso viene insieme all’ora dei laici. È notevole l’intuizione di Madre Speranza.
In particolare, occorre un laicato maturo che sia in grado di cogliere gli aspetti positivi della secolarizzazione rettamente intesa: la legittima autonomia delle realtà temporali e la laicità; la consapevolezza che la distinzione tra il piano religioso e quello temporale non è un male, ma purifica i contenuti della fede, accresce la responsabilità storica dei credenti e ne stimola la creatività, apre la strada al dialogo con tutti gli uomini di buona volontà. Nello stesso tempo, un laicato maturo dovrà opporsi alla degenerazione del «secolarismo», che porta l’uomo a ritenersi autosufficiente, a credere che la storia sia solo immanente, a escludere Dio dalla vita e dalla società, a considerare la religione e la libertà religiosa come affari puramente privati.
3. La testimonianza della carità nelle sue forme più alte
A questo punto, Benedetto XVI richiama la attenzione sul cammino che la Chiesa è chiamata a fare all’insegna dell’Amore Misericordioso: un discorso, questo, – così lo definisce egli stesso – «di grande attualità e di significato molto concreto». Il Papa insiste, in modo particolare, a) sulla identità e b) sulla testimonianza del cristiano: occorre – egli dice – ripartire da Cristo e dalla carità.
a) Ripartire da Cristo
La identità vera del cristiano sta nella sua identificazione con Cristo: «È ciò che rileva san Paolo nella Lettera ai Galati: "Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me" (2,20). […] Diventiamo così "uno in Cristo" (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. "Io, ma non più io": è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata nel Battesimo, la formula della risurrezione dentro il tempo, la formula della "novità" cristiana chiamata a trasformare il mondo»23.
Questa testimonianza di Cristo risorto è particolarmente necessaria nell’Italia di oggi – commenta Papa Ratzinger –, perché anche il nostro Paese è segnato dalla «nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo»24.
La vera risposta a queste sfide sta nell’annunzio e nella testimonianza dell’Amore Misericordioso. Può sembrare una utopia o una ingenuità, ma non è così, dice il Papa; infatti, siamo in presenza di un risveglio di religiosità e «le tradizioni cristiane sono spesso ancora radicate e continuano a produrre frutti»; la sensazione che staccarsi dalle radici cristiane sia un rischio è diffusa nel Paese, tanto che è avvertita e «formulata espressamente e con forza da parte di molti e importanti uomini di cultura, anche tra coloro che non condividono o almeno non praticano la nostra fede»25; il Papa invita perciò a cogliere anche questa opportunità. Un po’ come ha fatto il card. Martini a Milano – aggiungiamo noi –, che ha istituito perfino una «Cattedra dei non credenti». Ciò ovviamente non significa affatto andare a braccetto con chi tenta di strumentalizzare il cristianesimo a fini politici, come nel caso dei cosiddetti «atei devoti», sostenitori della «religione civile». Si tratta, invece, di «rendere visibile il grande "sì" della fede» non cedendo alla tentazione di sovraesposizione mediatica o di collusione con il potere, ma dando alla testimonianza cristiana il contenuto concreto e praticabile della vita di tutti i giorni, negli ambiti nei quali si articola l’esperienza umana, oltre che nell’animazione cristiana della realtà sociale.
Ritorna ancora il compito insostituibile di un laicato maturo, attento al dialogo: «Il cristianesimo è infatti aperto a tutto ciò che di giusto, vero e puro vi è nelle culture e nelle civiltà, a ciò che allieta, consola e fortifica la nostra esistenza. […] I discepoli di Cristo riconoscono pertanto e accolgono volentieri gli autentici valori della cultura del nostro tempo, come la conoscenza scientifica e lo sviluppo tecnologico, i
diritti dell’uomo, la libertà religiosa, la democrazia», senza che ciò significhi un semplice adattarsi alle culture, poiché l’opera di evangelizzazione «è sempre anche una purificazione» 26.Ciò sarà possibile – ripete il Papa –, se non dimenticheremo mai che «all’inizio dell’essere cristiano – e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una decisione etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù Cristo», che dà alla vita una direzione decisiva e porta a un incontro fecondo tra fede e ragione, apre la razionalità alle grandi questioni del vero e del bene, coniuga tra loro teologia, filosofia e scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia, pur nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.
b) Ripartire dall’amore
L’autenticità della nostra trasformazione in Cristo trova la sua verifica nell’amore verso i fratelli, nella sollecitudine concreta specialmente verso i più deboli e i più poveri.
La testimonianza della carità verso i fratelli è altrettanto fondamentale della nostra comunione con Cristo. Benedetto XVI aveva dedicato a questo tema la seconda parte dell’enciclica DCE e ora vi ritorna nelle «riflessioni» al Convegno di Verona. Colpisce che alla antica e tradizionale «forma alta» di carità, che si esprime nella vicinanza e nella solidarietà verso i bisognosi, gli ammalati e gli emarginati, il Papa non esiti ad accostare come altra «forma alta» di carità l’assunzione di responsabilità civili e politiche da parte dei cristiani. Tornano in mente le parole di Pio XI alla FUCI nel lontano 1927: la politica è «il campo della più vasta carità, della carità politica, a cui si potrebbe dire null’altro, all’infuori della religione, essere superiore»27.
Perciò, a Verona, Benedetto XVI riprende i concetti fondamentali, già espressi nella DCE. Insiste sulla distinzione e autonomia reciproca tra Stato e Chiesa: «La Chiesa, dunque, non è e non intende essere un agente politico. Nello stesso tempo ha un interesse profondo per il bene della comunità politica, la cui anima è la giustizia e le offre a un duplice livello il suo contributo specifico. La fede cristiana, infatti, purifica la ragione e l’aiuta a essere meglio se stessa», e irrobustisce «le energie morali e spirituali che consentano di anteporre le esigenze della giustizia agli interessi personali o di una categoria sociale o anche di uno Stato».
Spetta invece ai laici «il compito immediato di agire in ambito politico per costruire un giusto ordine nella società […]: si tratta di un compito della più grande importanza, al quale i cristiani laici italiani sono chiamati a dedicarsi con generosità e con coraggio, illuminati dalla fede e dal magistero della Chiesa e animati dalla carità di Cristo»28. Certo, dice il Papa, oggi è richiesto un forte impegno per vincere le grandi sfide che affliggono l’umanità, come le guerre e il terrorismo, la fame e la sete, le epidemie; ma «occorre anche fronteggiare, con pari determinazione e chiarezza di intenti, il rischio di scelte politiche e legislative che contraddicano fondamentali valori e principi antropologici ed etici radicati nella natura dell’essere umano»29.
Il Papa quindi ribadisce quanto ha detto nella DCE30: la fede «purifica» la ragione, aiutandola a svolgere in modo migliore il suo compito. Non si vuole affatto conferire alla Chiesa un potere sullo Stato. Neppure si vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa: «La Chiesa non può e non deve prendere nelle sue mani la battaglia politica per realizzare la società più giusta possibile. Non può e non deve mettersi al posto dello Stato. Ma non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. Deve inserirsi in essa per la via dell’argomentazione razionale e deve risvegliare le forze spirituali, senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare»31. Ecco perché è l’ora di un laicato maturo, di una rinnovata testimonianza delle forme alte di carità.
Concludendo. È evidente che questo discorso fatto a tutta la Chiesa interpella in modo particolare la Famiglia dell’Amore Misericordioso. Perché non pensare a che cosa essa può fare sul piano della formazione spirituale e dell’impegno operativo della carità, per formare quel laicato maturo di cui lo Spirito Santo oggi chiede una piena valorizzazione nella vita della Chiesa e della società? Potrebbe avere valore esemplare.
BENEDETTO XVI, enciclica Deus caritas est (2005), n. 1. PAOLO VI, Lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), n. 23. Ibi, n. 43. Ibi, n. 23. GIOVANNI PAOLO II, Angelus (13 febbraio 1994). PAOLO VI, Discorso ai campesinos (Bogotà, 23 agosto 1968), in L’Osservatore Romano, 25 agosto 1968, 3. GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai rappresentanti delle varie religioni del mondo (Assisi, 24 gennaio 2002), n. 3. Giovanni Paolo II, Enciclica Dives in misericordia (1980), n. 12. Ibi, n. 10. Ibi, n. 11. Ibidem. Ibi, n. 14. BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno di Verona (19 ottobre 2006), in L’Osservatore Romano, 20 ottobre 2006. Ibidem Statuto dell’Associazione «Amore Misericordioso», n. 4, Collevalenza, settembre 1999. CONCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 32. Ibi, n. 31. GIOVANNI PAOLO II, esortazione apostolica post-sinodale Christifideles laici (1988), n. 9. Concilio Vaticano II, costituzione dogmatica Lumen gentium, n. 31. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes , nn. 1,.3. Concilio Vaticano II, Decreto Apostolicam actuositatem, n. 3. Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale Gaudium et spes, n. 43. BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona, cit., ivi. Ibidem Ibidem Ibidem L’Osservatore Romano, 23 dicembre 1927, 3. BENEDETTO XVI, Discorso al Convegno ecclesiale di Verona,cit., ivi. Ibidem Benedetto XVI, Enciclica Deus Caritas est, nn. 26-29. Ibidem