LE PRIME BAMBINE ACCOLTE DALLA MADRE A VILLA CERTOSA
Ofelia Mazzi e Agnese Riscino
Restano adesso due interventi che si collocano su una linea solo apparentemente diversa, affidati a due donne che sono state fra le prime bambine accolte da Madre Speranza a Roma a Villa Certosa nel 1936. Si tratta di due testimonianze concrete che ci riportano un po' indietro negli anni e ci consentono anche di misurare come tanti piccoli chicchi di grano sono meravigliosamente germogliati. Prima parlerà la signora Ofelia Mazzi, che è stata la prima bambina accolta da Madre Speranza; dopo di lei la signora Agnese Riscino.
Penso che dopo tutte le parole dette, le mie non abbiano valore; però quello che ho visto di Madre Speranza, in parole povere, ve lo dico.
Io sono stata la prima bambina accolta a Roma in via Casilina. Avevo allora 11 anni. Vivevo in un quartiere povero povero e, diciamo, anche malfamato. Lì la Madre Speranza ha potuto mettere le radici, proprio per questo, perché era povero e la gente aveva bisogno di lei. Quindi io entrai; Madre Speranza, in quel momento non c'era; era andata in Spagna. In casa i tavolini non c'erano, i marmi non c'erano, c'era solo lo scheletro dei tavoli. Nel dormitorio lo stesso; c'era solo il mio letto, dopo, piano piano, sono venute le altre bambine. Io quello che posso dire di Madre Speranza è che era una madre buona e anche severa, perché a volte ci guardava con un cipiglio che ci faceva un po' tremare, ma poi basta che ci avvicinava e ci diceva due parole... ci scioglieva come la neve al sole.
Ricordo un giorno, era l'ora di ricreazione, vicino al convento, che era vecchio, c'era la carbonaia e lì io vidi degli arnesi da ciabattino. Entrai e, dato che avevo un buco sotto le scarpe, presi a mettermi la toppa. Quando sentii la campanella che ci diceva di tornare a lavoro, uscendo da lì vidi Madre Speranza che era seduta nel patio: oh! adesso una lavata di testa non me la toglie nessuno e lei: «Chica», eccomi qua Madre... «Cosa sei stata a fare là dentro?». Avevo un buco nelle scarpe, ho messo la toppa: «Fammi vedere le scarpe»; prese la scarpa... Ho detto prima come neve al sole, quel cipiglio le si sciolse quasi in un sorriso e mi disse: «Adesso vai, e, un'altra volta chiedi il permesso alla suora.»
Questa è la Madre Speranza severa, ma buona, buona con tutte e dirò di più, lei non è che s'interessava soltanto a noi bambine perché eravamo lì dentro... s'interessava anche delle nostre famiglie. A volte mi chiamava, dato che io avevo una situazione un po' precaria in famiglia, mi chiedeva come stavo, come stava il mio papà, cosa succedeva in famiglia. Dopo che io, brevemente, dicevo le mie cose, si rivolgeva verso la signorina Pilar e diceva: «¡Pobre chica..!»; per chi non sa lo spagnolo vuol dire "povera bambina..." E questo è stato un episodio.
Un'altra volta in Chiesa, nella piccola cappellina, perché era molto piccola, io ero davanti a Madre Speranza, lei era di dietro, a un certo punto sentii un calpestio, un bisbigliare, e, siccome la curiosità è femmina, mi voltai disubbidendo e vidi Madre Speranza in estasi. Io penso che nessuna attrice di questo mondo possa rifare quel sorriso che esprimeva l'amore che aveva verso Dio. Nessuno, nessuno... solo lei ce lo aveva, perché era rapita in Dio, perché era un amore infinito che aveva verso Dio, verso Gesù. Questa era Madre Speranza.
Ricordo anche altri piccoli episodi; dico piccoli episodi, perché Madre Speranza, in quel periodo, andava e veniva dalla Spagna. Vicino al convento c'erano dei contadini che zappavano la terra delle suore di Namur; sentivamo delle grida... grida disumane e, ogni tanto, sentivamo dire: «Voglio quella mano santa, voglio quella mano santa, chiamatemi Madre Speranza»; al che domandammo alla suora: «Ma che ha quell'uomo?» E allora ci disse che aveva un brutto male e che la Madre andava lì, gli faceva i massaggi sulla pancia, gli dava un po' d'acqua e zucchero e a lui passavano i dolori. Ecco, Madre Speranza s'interessava anche degli ammalati, non soltanto di noi che eravamo lì dentro. Un altro episodio da raccontare...
Lei godeva tanto a vedere noi giocare lì nello spiazzo. Un giorno si mise nel piccolo patio di sopra, c'erano alcuni gradini da scendere lei, con una mano, prese il suo grembiale, era pieno di caramelle, ci chiamò: «Chicas...»; noi tutte quante con la testa alzata e lei con le mani ci tirava caramelle e rideva, rideva con un sorriso... era una madre, una madre a tutti gli effetti, non perché ci aveva generato lei, ma era madre in tutti i sensi. Lei godeva di vedere le bambine allegre, sprizzava gioia da tutti i pori. Era buona, gentile e anche severa.
Ora do la parola alla mia amica Agnese, perché lei c'è stata molti più anni di me.
Era severa, sì, perché ci doveva formare; adesso vi dico. Io ringrazio tutti i giorni il Signore, quando Lo vado a ricevere e Gli dico: «Signore, oggi ti dico che Ti amo, Ti voglio bene perché Madre Speranza mi ha insegnato ad amarTi».
Io sono la seconda di 11 figli, una famiglia numerosa molto povera, più che povera in cose materiali in quelle spirituali. Di Gesù non ne avevo sentito parlare. Sono entrata nel collegio della Madre e lì ho appreso tutte le cose più belle di cui si può dire di Gesù. Ho amato Gesù e Lo amo ancora perché la Madre ce lo insegnava, perché la Madre... vedete, la mia amica ha detto "severa" io la severità non l'ho vista. Ho visto l'amore. Io ho visto l'amore. La mia amica dice severa perché qualche volta... anch'io, che sono mamma di quattro figli e nonna di sei nipoti, posso dire che, adesso, sono un po' severa, perché devo dare un'educazione. La Madre era severa perché ci voleva educare, ci voleva plasmare, ci voleva far diventare, a me diceva sempre, una buona madre, e lo diceva anche alle altre ragazze... «Dovete essere buone madri di famiglia, perché anche il mondo ha bisogno non solamente di suore, ma anche di buone madri di famiglia.» Io vi dico con il cuore in mano, vi dico una cosa: io ho pianto tanto quando non ho potuto essere suora, perché mi piaceva tanto essere suora, però la Madre mi disse: «Il Signore ti vuole fuori». Io dicevo: «Madre, perché?» Lo saprai. Oggi come oggi, dico: «Signore, Ti ringrazio perché io posso testimoniare per la Madre, posso testimoniare e dire quello che ho visto della Madre.» Per una suora era scontato, è la sua fondatrice... Io invece vivo al di fuori e posso dire che ho ricevuto tanto, però non per questo non mi sento figlia dell'Amore Misericordioso. Sono anch'io figlia dell'Amore Misericordioso. Vengo da una famiglia in cui papà di Gesù non ce ne aveva parlato mai, però quando veniva in collegio a trovare noi non veniva mai da me, andava dalla Madre, parlava con la Madre. Mi diceva: «Agnese, io quando vedo la Madre mi sento rinato.» Vi posso dire che è stata la grazia più bella, perché vi posso dire che papà mio è morto recitando il "padre nostro" mano nella mano con me.
Questo lo devo alla Madre e all'Amore Misericordioso. Alla Madre, perché la Madre quello che cercava era la salvezza delle anime. Chi si accostava alla Madre sentiva Gesù con lei.
Sentite, adesso vi racconto una cosa forse piccola, ma per me grande. Neanche al Processo di Canonizzazione l'ho raccontato. La Madre ci spronava ad essere sante, io volevo essere santa e dicevo: «Madre, io voglio essere santa.» Va bene Agnese, costa essere sante! «E va bene, Madre, io m'impegnerò ad essere santa.» E allora una sera, forse la mia gioventù, forse la mia ignoranza, non lo so, ho peccato, non ho peccato, ho fatto dei pensieri che non stavano nella santità di quello che mi aveva insegnato la Madre, perché la Madre diceva: «...il tuo sguardo deve essere rivolto a Gesù.» Allora la mattina (adesso non vi posso dire il mio peccato perché quello lo tengo io) non sono andata a fare la comunione e ho detto: «Gesù, quanto mi dispiace, oggi non ti posso venire a ricevere, però oggi chiedo il permesso alla Madre se mi manda in parrocchia e poi là faccio la comunione»; prima si poteva fare la comunione dopo la confessione senza la messa. Assorta in questi pensieri è venuta la Madre dietro di me e mi dice: «Agnese va a fare la comunione, che Gesù vuole venire in te.» Madre... «Vai a fare la comunione.» Credetemi, quella è stata la gioia più grande per me. Dopo la comunione la Madre mi chiamò e mi disse, per filo e per segno, quello che io avevo pensato, quello che io avevo fatto. Allora le dissi: «Madre, nella mia vita, dopo lo sguardo di Gesù è quello suo che mi segue», e lei «no, la Madonna e poi io».
Un'altra grazia che ho ricevuto di cui forse devo rendere grazie al Signore, perché molto mi ha dato. La Madre stava in Spagna e, in quel periodo, non andavamo tanto bene, veramente non andavano tanto bene neanche le suore, si legge anche nel Processo. Io ero incaricata di chiudere la luce dopo che le suore erano andate in refettorio. Mentre vado a spegnere la luce vedo la Madre che guardava me e guardava tutte le suore quasi, con occhio di pianto, perché le suore e le bambine erano molto... io vado dalla signorina Pilar e le dico: «Signorina, ho visto la Madre.» «Senti, Agnese, vai giù in refettorio. Tu sei tanto impregnata della Madre, che la vedi dappertutto.» No, signorina io ho visto la Madre. «Senti, vai giù che la Madre non c'è, sta in Spagna, ho telefonato proprio adesso.» Io ho detto: va bene, signorina. Andai giù, eseguendo l'ordine della signorina Pilar, però tutte le sere, prima di andare a letto, dovevo passare per la camera dov'era la signorina e io m'affacciavo, perché ero convinta che la signorina l'aveva nascosta la Madre. E dico, ma! Eppure io l'ho vista; questa la nasconde e... tutte le sere mi chiedevo, perché m'ha detto... poi un'amica mia dice: «Senti, ma perché...» a me pare d'aver visto la Madre... Dopo due o tre giorni, la signorina mi chiamò e mi disse: «senti, Agnese, la Madre veramente è venuta qui». Io non lo so come, si chiama bilocazione... non lo so, perché sono ignorante di queste cose, però io la Madre l'ho vista e posso testimoniare e la signorina mi disse anche: «...non dire niente, Agnese, perché già stiamo tanto col Santo Officio, ora ti metti a dire pure tu che hai visto la Madre...».
Amava molto le bambine, le suore, il suo era un amore tenero. Lei ci preparava il torrone, lei ci faceva cantare a Natale, davanti al Bambino. Amava tutti ma, per i sacerdoti, aveva un amore particolare.
Adesso vi racconto. Quando S. Barnaba, la parrocchia nostra, non aveva la chiesa parrocchiale, aveva un piccolo capannone e i sacerdoti si dovettero trasferire in una casa privata, perché dovevano costruire la Chiesa, la Madre ne soffrì tanto, perché i sacerdoti dovevano andare a convivere con una famiglia. Allora chiamò il padre. Io ero un po' impicciona a dire la verità, mi volevo sempre interessare delle cose della Congregazione, della Madre, volevo approfondire... Allora la Madre chiamò il padre superiore e gli disse: «padre, il Signore non vuole... il Signore è un po' rattristato perché questi sacerdoti vivono così...». Ma Madre come facciamo... chi ce lo fa da mangiare, chi ci pulisce la biancheria. La Madre: «Non si preoccupi, ci penso io.» Allora che fece? Io e la sorella di suor Agnese, che adesso è morta, eravamo incaricate tutti i giorni, di portare da mangiare ai sacerdoti. Lei ci preparava un cesto e... aspettavamo che loro mangiassero e dopo riportavamo via tutti i piatti, poi ogni settimana, andavamo a portare la biancheria pulita, e sentivo la Madre che diceva alla signorina: «Che ne dici, a quel sacerdote gli facciamo una camicia nuova?». E si, Madre, e ci mettevamo a lavoro. «Che dici, a quell'altro un paio di scarpe non gli va bene?». Ma si, guarda il numero, Pilar, guarda... E tra tutte e due... Noi andavamo così contente a portare... E la Madre seguiva così bene quei sacerdoti e noi eravamo edificate del suo amore per i sacerdoti e per noi bambine.
Io avrei tante cose da dire, perché 15 anni vissuti con la Madre... gli anni più belli della mia vita. Sono entrata a sei anni e uscita a vent'anni, ditemi voi...
Le cose più belle che ho... neanche la mia maternità mi ha dato la soddisfazione che ho avuto nello stare con la Madre, perché la Madre era un continuo amore, un continuo donarsi a noi. Si lavorava tutte insieme con le suore e le bambine, era la famiglia. La Madre per me era la mia madre sia materiale che spirituale: mi ha insegnato a cucire, mi ha insegnato a ricamare, mi ha insegnato a essere composta, mi ha insegnato tutto, tutto quello che ho e che sono.
Io, quando vado alla tomba della Madre, le dico, Madre, ti ringrazio: è solo quello che posso dire alla Madre. Madre grazie di quello che mi hai dato, della formazione che mi hai dato. E questo conclude tutto... Ho dentro di me tante cose belle e adesso mi sento intimorita davanti a voi, ho paura...
Quando venivo dalla Madre, ogni tanto andavo e le dicevo: «Madre, senta: io mi sono sposata però ho un marito che non crede non è che non crede... non è...». «Agnese prega, Agnese che ti ho insegnato io che dobbiamo portare le anime al Signore?» Oggi, posso dire con tanta soddisfazione, che mio marito forse è più buono di me e non ha ricevuto quello che ho ricevuto io. Non lo so se questo è amore, è Amore Misericordioso.
Un'ultima cosa voglio dire: molto devo dare perché molto ho rivevuto. Quello che do al Signore è tutto poco, perché quello che ho visto io è grande.
Quando dovrò andare davanti al Padre Eterno mi dirà: «Agnese, ti ho dato tanto e non hai saputo sfruttare...». Però la mattina, quando ricevo Gesù Gli dico: grazie, Gesù, grazie d'avermi fatto conoscere Madre Speranza. Oggi Ti dico: «Ti amo, perché me lo ha insegnato Madre Speranza.» Grazie!
Chiudiamo questa sessione pomeridiana ripartendo dalle considerazioni svolte da padre Cabra e da padre Gialletti. Come ha osservato Jacque Maritain, contrariamente a quello che si potrebbe pensare, non ci sono persone più informate sul nostro tempo e più in grado di coglierne i mutamenti culturali più significativi che le monache di clausura. Potrebbe sembrare una battuta paradossale, ma credo che vada proprio nella stessa direzione del discorso sviluppato da padre Cabra, il quale ha sottolineato con forza come la Vita Religiosa consacrata non è una forma di evasione dal tempo che stiamo vivendo ma costituisce anzi un'opportunità profetica, di interpretarne in maniera radicale i bisogni più profondi. Nella misura in cui la Vita Religiosa e consacrata riesce a cogliere in maniera diretta le povertà più acute di oggi, essa ha anche la capacità di riequilibrare tali povertà, a cominciare dall'esigenza di testimoniare proprio quei valori che sono più rimossi e più negati.
In un certo senso anche lo stile di Vita Religiosa così come emerge dal messaggio di Madre Speranza, e come oggi abbiamo potuto conoscere, risponde proprio all'esigenza di cogliere una delle povertà più forti,perché più nascoste, più subdole, più rimosse di questo nostro tempo; una povertà d'amore.
Padre Gialletti, dietro l'apparente aridità della successione storica, ci ha presentato un'opera di travaglio molto sofferta e molto dolorosa, che è consistita nel tentativo d'incarnare un'idea, di "istituzionalizzare" un Carisma. Oggi in alcuni settori della vita ecclesiale c'è un tentativo, spesso improprio, di presentare l'Istituzione e il Carisma come due attributi incompatibili tra di loro. L'interpretazione della vita spirituale di Madre Speranza, soprattutto nella relazione che ci ha presentato padre Mario Gialletti, ci ha manifestato invece l'esigenza e la possibilità concreta di "istituzionalizzare il Carisma", cioè di conferirgli una cornice canonicamente consolidata, ma anche molto attenta a non renderlo indolore, a non stemperarlo e a non snaturarlo; l'attenzione, e anche la forza con cui la Madre seguiva l'iter di approvazione della Congregazione da parte delle autorità ecclesiastiche lo testimonia.
Nelle comunicazioni e nelle testimonianze di questo pomeriggio abbiamo toccato con mano come si sia rivelata veramente profetica questa intuizione, cioè la volontà di non legare l'identità operativa della Famiglia Religiosa dell'Amore Misericordioso ad alcune attività concrete delineando invece tali attività come una risposta ai bisogni reali che nascono di volta in volta. Dunque una Famiglia aperta, che abbia la capacità di vivere in maniera creativa la generosità dell'Amore Misericordioso.
Anche le ultime testimonianze hanno sottolineato questo equilibrio incredibile di dolcezza e severità.
L'Amore Misericordioso non è un'interpretazione sentimentale e sdolcinata del cristianesimo; l'Amore Misericordioso è un amore "vertebrato", è un amore forte, che prende sul serio il peccato e la radicalità dei bisogni che emergono dal mondo. La figura della Madre così come emerge dai contributi di oggi, manifesta una forma di eroismo, che la Chiesa saprà discernere, ma che sembra già presentarsi come un eroismo gigante nella capacità d'interpretare questo bisogno e di pagare personalmente fino in fondo, in maniera discreta, nascosta, il prezzo della sua realizzazione.
Qualcuno (credo Emmanuel Mounier) ha detto che la discrezione è la firma di Dio; Madre Speranza ha imparato bene questa calligrafia per cui mi pare che la parola più bella con cui concludere sia quella, semplice e vera, di Agnese Riscino: "Madre Speranza, grazie!"