L'ACCOGLIENZA NELLO SPIRITO DELL'AMORE MISERICORDIOSO
Mª Pace Larrión eam
Adesso prende la parola una suora, Madre Pace Larrión eam, che presta il suo servizio in un centro per handicappati a Fratta Todina; ci parlerà dell'accoglienza degli altri nello spirito dell'Amore Misericordioso.
Cari convegnisti sono un'Ancella dell'Amore Misericordioso e mi trovo in Congregazione da 42 anni. Ho avuto la grazia di vivere accanto a Madre Speranza parecchi anni. Mi sento felice che il Signore si sia servito del mio minuscolo granello di sabbia per collaborare insieme alla Madre.
Standole accanto si pregava, si lavorava a pieno ritmo, si soffriva insieme a lei, ma anche si gioiva molto, come accade in qualsiasi famiglia che sta mettendo su casa.
Il Signore ha chiesto tanto alla Madre come ad esempio grandi opere. Spesso ci diceva: «Figlie mie, io non posso realizzare quanto il Signore mi chiede, se voi non mi aiutate» e noi seguivamo volentieri il suo esempio di sacrificio.
Quanto vi comunicherò è esperienza diretta, cose e situazioni costatate da me personalmente.
Toccherò brevemente tre punti:
1) cosa vuol dire accoglienza
2) cosa vuol dire accoglienza nello spirito dell'Amore Misericordioso
3) qualche episodio di accoglienza nella vita della Madre Speranza.
L'accoglienza è innanzitutto un atteggiamento interiore che si esterna poi in fatti concreti, ad esempio, un sorriso, un saluto, ascoltare una confidenza, offrire un piatto caldo, preparare un ambiente adornandolo con gusto, scrivere un cartello di "benvenuto", offrire un letto lindo e morbido, porgere un mazzo di fiori, ecc.
Accoglienza nello stile dell'Amore Misericordioso è, prima di tutto, mettere a servizio dell'Amore Misericordioso i doni interiori ed esteriori che uno possiede. Si traduce nella pratica imitando Gesù nei suoi atteggiamenti di accoglienza verso i peccatori, i bambini, le folle, i malati (cfr. Gesù e l'adultera, Gesù e Zaccheo, Gesù e Pietro: Gesù non giudica, non condanna, accoglie, ama, perdona, viene incontro agli sposi alle nozze di Cana quando sono in difficoltà, sfama le folle, guarisce i malati, risuscita i morti, ecc.).
Imitando l'Amore Misericordioso si traduce in concreto il vivere «tutto per amore» motto della nostra Congregazione, che vuol dire avere come distintivo la carità, amare con viscere di misericordia, creare un autentico clima di famiglia, mettere in atto le caratteristiche dell'accoglienza, come la disponibilità, la comprensione, la pazienza, l'essere testimoni della Resurrezione. Madre Speranza direbbe: «Fare tutto il bene possibile senza saziare mai la nostra fame della felicità altrui.» Spendersi per i poveri fino a farsi «servi» di questi. Lavorare con sollecitudine e con gioia.
Fra i mille episodi della vita della Madre mi sono vista in imbarazzo per sceglierne qualcuno che evidenzi i suddetti atteggiamenti, perché sono tantissimi.
Tra le varie definizioni che la Madre, nella sua umiltà, dava di se stessa, ce n'è una a me molto cara, che è stata ricordata ieri da padre Giovanni. «paño de lágrimas», che vuol dire tradotto nella lingua italiana «misericordia incarnata». E' un'espressione ricca di significato, come dire che la Madre diventa cosa, un panno che assorbe tutte le sofferenze, le angosce degli altri. La Madre aveva la capacità di entrare in empatia con chiunque, specie con chi soffriva; in ogni persona vedeva lo stesso Gesù. Quando era in cucina preparava i pasti come se Gesù stesso dovesse venire a dire: «Speranza, dammi da mangiare.» Per far apprendere a noi figlie questo atteggiamento interiore di accoglienza di Gesù ci diceva: «non dico a Gesù, aspetta che aggiungo un pochetto di condimento, no, perché quel che preparo per voi, lo preparo per Gesù.»
Sono testimone di come la Madre preparava i piatti per gli operai di Roma, per i pellegrini nell'Anno Santo del 1950. Io stessa l'ho aiutata più volte a porre sul tavolo le pietanze già servite da lei e notavo con quanta cura e abbondanza faceva le porzioni.
Altra caratteristica della Madre era la pazienza.
Ricordo che quando avevo 14 anni, a Roma, la Madre era solita ogni tanto chiamarci attorno a sé e darci manciate di noccioline americane. Dopo avercene distribuito un pugno per ciascuna, le noccioline che avanzavano ce le lanciava con gesti ampi, gettandole in alto e godeva nel vedere la nostra abilità nell'afferrarle. Una volta, gettandoci a terra a capofitto per raccogliere le noccioline, due ragazze fecero capocciata e poi una, scivolando sul pavimento, andò a finire con il corpo, d'un colpo, sui piedi della Madre la quale non ritirò i piedi, né fece alcun gesto di dolore, ma solo disse. «Figlie, vi siete fatte male?». Da notare che la Madre aveva le stimmate sanguinanti ai piedi e soffriva di artrosi.
Quando stava costruendo la seconda ala della casa di via Casilina, davamo una mano agli operai, facendo, in qualche modo, da manovali. Ricordo che la Madre era lì insieme a noi; ci aiutava a caricare sulle braccia una fila di mattoni; ci avvertiva se un secchio di calce stava per sgocciolare sui piedi, perché non ci fossimo bruciate; ci scanzava calcinacci, pezzi di legno od altro, perché non inciampassimo. Ci portava caramelle o cioccolatini, ce li scartava e ce li metteva in bocca, perché avevamo le mani sporche. Portava acqua fresca con limone a noi e agli operai. Ci ripeteva tantissime volte di stare attente a dove mettevamo i piedi, perché potevamo farci male tra le impalcature.
L'attenzione e l'accoglienza della Madre verso gli anziani, i malati, i bambini era eloquente. Ogni anno portavamo le nostre bambine interne del collegio di Roma qui a Collevalenza dalla Madre. Dopo il breve saluto che le bambine le rivolgevano, lei diceva: «C'è qualcuna che mi deve parlare da sola?». In quel momento tutte alzavano la mano dicendo: Io, io!. Allora noi suore, per non stancare la Madre, dovevamo scegliere qualche bambina il cui caso familiare era tra i più penosi. La Madre si chinava verso la bambina e, in un ampio gesto materno, si stringeva a sé la piccola che, lì davanti al gruppo, le parlava piano, piano all'orecchio, come son soliti fare i piccoli, quando hanno da dire cose molto importanti per loro.
Le bambine si stringevano tutte attorno alla Madre, capendo che era una persona che voleva loro bene, chi la chiamava e le tirava la mantellina, chi il grembiule, chi le faceva una carezza come alla propria mamma. Noi dovevamo usare della forza per salvare la Madre da questi gesti di affetto, mentre pensavamo al comportamento degli Apostoli con Gesù per liberarlo dalla ressa chiassosa dei bambini. Gesti del genere si sono ripetuti anche fra i numerosi pellegrini e padre Gino doveva farsi sentire perché non soffocassero la Madre. Lei non faceva un gesto, né diceva una parola che mostrasse stanchezza e la gente si sentiva accolta dalla Madre, era felice di essersi incontrata con il suo sguardo penetrante, che parlava, era felice di aver ricevuto il suo sorriso.
Così pure ricordo quando dalla nostra casa di Vazzola, le suore portarono un gruppetto di anziani, la Madre diede loro una manciata di caramelle, come era solita fare con i bambini. Ad una anziana che si commosse per questo gesto di delicatezza, la Madre fece una carezza sul volto.
Concludo con altri episodi di accoglienza da parte della Madre che per noi sono rimasti «storici».
Quando si ultimò la casa del pellegrino, qui a Collevalenza, la Madre invitò i parenti delle suore spagnole, perché fossero i primi ad occuparla e potessero trascorrere giornate di riposo e di pace all'ombra del Santuario, godendo della compagnia delle loro figlie o sorelle. Qui essi si sentirono come a casa propria; parlavano dello spirito di famiglia che vi avevano trovato, delle mille attenzioni che la Madre aveva verso di essi, dell'ambiente accogliente, dei cibi gustosi (cucinati alla spagnola), della pace e gioia che vi si respirava.
La carità-accoglienza della Madre era senza limiti: si fermava solo dove era umanamante impossibile.
Sono vissuta in un periodo della mia fanciullezza insieme ad una bambina che fu aiutata da Madre Speranza all'atto nella nascita che avvenne sul treno, mentre la sua mamma era in viaggio. Madre Speranza, con mezzi di fortuna, intelligentemente e con sollecitudine, aiutò quella mamma nel parto. La ragazza, oggi sposata, è vissuta sempre in ottima salute e diceva che Madre Speranza era la sua seconda mamma. Si chiama Esperancita, è di Alfaro.
Ricordo ancora che a Roma assistevamo una bambina demente, sbavava in continuazione, non parlava e non camminava. La Madre la colmava di baci e di carezze senza alcun gesto di ripugnanza, anzi le parlava come se fosse una bambina normale. Gesti che, per noi, erano una lezione di affetto materno.
Per diversi mesi fu accolto qui nella casa del pellegrino un drogato in fase di disintossicazione. Per il suo recupero la Madre l'affidò alla suora che era all'accoglienza in portineria, l'attuale superiora della casa della giovane, Madre Consolazione. Il ragazzo entrava in ospedale, usciva e ritornava qui, sentendo che questa era la sua famiglia. Anche noi, dietro l'esempio della Madre, lo consideravamo un figlio di casa.
Altrettanto accadde con una ragazza che la Madre affidò alle premure della portinaia della casa della giovane, suor Mediatrice. Naturalmente tutto all'insegna della gratuità.
E' voce di popolo che nessuna persona si è sentita mai giudicata dalla Madre, ma bensì amata, accolta, compresa e per riscontro ognuno la sentiva vera madre.
Ci sarebbero da aggiungere tanti altri gesti come la premura della Madre nell'aiuto dato ai terremotati del Friuli, dell'Irpinia, l'aiuto agli alluvionati di Firenze, ai feriti della seconda guerra mondiale, a Roma, agli sfollati, agli operai, alle famiglie numerose, alle migliaia di bambini bisognosi accolti nelle nostre case di Spagna, ai malati, agli anziani soli, ai poveri assistiti personalmente dalla Madre, ma ho preferito narrare episodi di cui sono stata testimone.
Vi ringrazio per la vostra attenzione.
Madre Pace Larrión ha colto alcuni aspetti dell'accoglienza nello stile dell'Amore Misericordioso nei due versanti dell'atteggiamento interiore e dei gesti, delle opere, degli episodi concreti attraverso i quali questi atteggiamenti possono essere incarnati. Ciò che conta alla fine, ha detto Madre Pace, (l'espressione è sua) è «essere testimoni gioiosi della resurrezione».