Sandro Maggiolini
I MOTIVI DI UN'ATTUALITÀ
Forse è utile, in apertura del Convegno, segnalare sinteticamente i motivi che sembrano principali dell'attualità di una ripresa più ripensata e partecipata del tema dell'Amore Misericordioso sulla scia dell'Enciclica papale "Dives in misericordia".
Tra gli altri, se ne possono siglare particolarmente tre.
1 - Se si intende vivere in profondità e in coerenza - con una qualche dolcezza anche - il rapporto religioso, sembra da rivisitare, da interiorizzare e da gustare - se si può dire - nuovamente il concetto e la realtà dell'iniziativa gratuita di Dio che ci crea e ci salva in Cristo mediante lo Spirito.
L'esperienza umana nel suo insieme appare come insopportabile, assurda, beffarda, cattiva, se non è sostenuta e spiegata dal mistero del Dio amore che prende concretezza nel volto e nel cuore del Signore Gesù che muore sulla croce e risorge. Il dolore chiede una ragione che vada al di là dell'uomo e del Dio della pura ricerca filosofica. Il peccato non lo si ammette tanto facilmente se non lo si sa riconosciuto e perdonato da un Dio che dentro la vicenda umana non ci stacca dalla sua misericordia, non ci condanna in una sua presunta giustizia implacabile. La stessa avara letizia che si concede ai nostri poveri giorni invoca un punto di riferimento cui orientare un moto di gratitudine: un punto di riferimento che sia ad un tempo un Io assoluto e un uomo come noi. Anche perché, forse, una certa catechesi non del tutto avveduta ci ha reso almeno un poco lontano, astratto, arcigno il Dio che pure si definisce aprendosi in una dilezione immisurabile, incomprensibile: da sperimentare come un amore più che da capire come un teorema.
2 - Se si intende annunciare il Dio cristiano - il Dio arcanamente "atteso" dall'animo umano sollecitato dalla grazia -, si impone il vangelo della misericordia.
La cultura attuale accreditata sembra comprendere soltanto il sopruso, la violenza, o la chiusura autodistruttiva di un piacere che è l'opposto della felicità. Al più si spinge ad affermare un "do ut des" che si limita a far tornare i conti in pareggio: tanti diritti riconosciuti, altrettanti doveri onorati. L'oblatività, la gratuità, l'agire semplicemente perché l'altro esiste e ha bisogno di noi e noi stessi abbiamo bisogno di dare quanto per dono, non per merito, abbiamo ricevuto... questo atteggiamento sembra del tutto estraneo all'orizzonte ideologico che incombe su di noi e ci condiziona.
Ma al di sotto del quadro di cultura imposta - magari dolcemente imposta -, la vita con le sue esigenze innegabili è davvero soffocata? Non nasconde, invece, l'attesa di una parola di perdono, di grazia, di redenzione? Non cela un'aspirazione insopprimibile ad essere accolti e come introdotti nel mistero di Dio che si è fatto uno di noi, per noi?
Forse come non mai si impone l'attenzione al cuore devastato eppur desto di tanti fratelli - e di noi stessi - che aspettano di esser ricondotti alla domanda giusta - l'ultima - che avvertono premere e magari non trovano il coraggio di ammettere. Forse proprio la risposta alla misericordia di Dio chiarisce questa domanda risolutiva e offre il vigore per riconoscerla e formularla.
3 - Già è arduo il "mestiere di vivere" anche arrancando, superando giorno dopo giorno la tendenza a cedere alla sfiducia di fronte ai compiti immani che la vicenda personale e la storia presenta. Se poi ci si vuole impegnare per una società più umana, per la "civiltà dell'amore", dove trovare la forza? I fallimenti individuali non si contano. La storia non sembra talvolta un "cimitero di rifiuti", un ammasso di speranze infrante? Le ideologie servono ancora per suscitare una responsabilità che costruisca un domani migliore? La rabbia conduce ad esiti passabili? E l'autoesaltazione non celebra una vanità umana? E la rassegnazione è veramente l'ultimo approdo? Non prepara, piuttosto, un nuovo schema ideologico deludente? Non si entra così in una sorta di spira che annulla l'originalità dell'uomo?
Gli interrogativi potrebbero continuare, ma si ripeterebbero come in un circolo vizioso, che il "Dio ricco di misericordia" non spaccasse la catena delle nostre misere escogitazioni e non liberasse l'uomo riconsegnandolo a se stesso in una "giustizia" nuova che è quella fantasiosa e impenitentemente magnanima della creazione e della redenzione da continuare mediante la nostra opera povera e sublime.
Forse s'è parlato troppo precipitosamente di epoca post-cristiana. Forse entriamo in un'epoca post-illuministica e post-marxistica e post-individualistica dove il cristianesimo appare come l'estrema soluzione: l'estrema e ancor nuova soluzione. Se il cristianesimo non rimarrà nella sua sublime astrattezza, ma assumerà carne e sangue nella nostra vita. Dove la misericordia ricevuta toglie ogni diritto di scoraggiarci. Dove la misericordia ricevuta suscita un inesausto desiderio di pregare e di fare. "Tota vita christiana sanctum desiderium est". Gli esiti non mancheranno. E li lasceremo a Dio da giudicare. Con la sua larghezza, che eccede i nostri risentimenti, le nostre esitazioni e le nostre paure.