S.E. Joseph Tomko
DALLA "REDEMPTOR HOMINIS" ALLA "DIVES IN MISERICORDIA" PREMESSA
È difficile pronunciare la prolusione sull'enciclica "Dives in misericordia" cui a Collevalenza, a distanza di quattro giorni dalla visita e dal discorso di Giovanni Paolo II in questo luogo. Si potrebbe dire che Egli stesso abbia fatto la più solenne prolusione.
Ma la Sua visita ha confermato un'intuizione che avevo già espresso nel mio testo, steso prima del viaggio pastorale del Papa a Collevalenza e cioè che occorreva cercare le radici della "Dives in misericordia", della sua tematica e del suo mondo ideale, nella stessa personalità di Giovanni Paolo II. In occasione della visita, "L'Osservatore Romano" del 22 novembre corrente ha riportato il testo di un'omelia che il giovane Arcivescovo di Kraków, Karol Wojtyla, tenne nel giorno della solennità di Cristo Re, domenica 25 ottobre 1964, quindi durante il Concilio, nello stesso Santuario dell'Amore Misericordioso. Ed è un testo eccezionale perché contiene già i temi fondamentali sviluppati successivamente nell'enciclica. L'Osservatore ha dato a questo breve denso testo, corredato da due fotografie del 1964, il titolo:
"Preludio umbro alla "Dives in misericordia" ".
Questa "prolusione" del 1964, e quindi parecchi anni ante litteram, è una prova lampante di quanto importante sia entrare nella personalità, nello spirito, nel mondo del Papa, per capire a fondo le sue encicliche. 1. Autore
Sono trascorsi poco più di tre anni da quando la folla di duecentomila persone accorsa al segnale della fumata bianca in Piazza San Pietro in quella tiepida serata ottobrina, ha ascoltato con sorpresa e meraviglia quel nome per la stragrande maggioranza nuovo, e per di più pronunciato correttamente dal Card. Felici: "Habemus Papam -- Carolum Wojtyla". E nuova era per molti la faccia di chi è apparso poco dopo sul balcone della Basilica per dire Egli stesso, che è stato "chiamato da un Paese lontano".
Giovanni Paolo II, il Papa venuto da lontano, un Pontefice non italiano, dopo 450 anni di Papi italiani alla cui serie il mondo si è abituato, il primo polacco e il primo slavo sulla cattedra di Pietro, ha suscitato in tutto il mondo una nuova attenzione, rivolta alla sua persona ma anche alla Chiesa Cattolica. Per tre anni i suoi discorsi e gesti, il taglio della personalità e della spiritualità di Karol Wojtyla sono stati osservati e quasi studiati. Egli non si è smentito né scomposto: passa in mezzo alle masse sempre più entusiaste, davanti alle camere televisive, in mezzo ai "suoi" giovani, con la tranquillità della fede robusta e vigorosa che infonde sicurezza e fiducia; egli apre il suo volto ugualmente al delicato sorriso verso i piccoli come anche alla commossa sensibilità verso i sofferenti, sempre però con un'immediata, intima, rispettosa solidarietà con ogni uomo.
Tre anni di pontificato, segnato da tre grandi encicliche, da nove viaggi estremamente impegnativi e ricchi, da un Sinodo generale e due particolari, per non contare altre iniziative collegiali, ma segnato anche dalla croce nella propria carne, da tre litri di sangue versato, da due operazioni e da cinque mesi di ospedale o di convalescenza.
Oggi, dopo tre anni di pontificato, chi non conosce questa figura, forse la più popolare per l'uno o per l'altro verso, nel mondo?
Egli è punto di riferimento chiaro per i valori morali e per l'uomo a livello mondiale; è il leader morale universalmente riconosciuto. Cresce o addirittura sorge una nuova stima per il papato e si fa viva l'attenzione a quanto il Papa dice. Il magistero della Chiesa ha raggiunto una nuova credibilità. Giovanni Paolo II con la sua persona, vita e parola presenta al mondo le certezze della fede che sono richiamo e incentivo ad un rinnovato senso di comunione e di unità ecclesiale. Questi tre anni di pontificato hanno risvegliato il senso di appartenenza alla Chiesa, hanno dato un nuovo impulso all'azione dei laici; inizia il ritorno delle vocazioni religiose, mentre per la prima volta comincia a calare l'emorragia dei sacerdoti che chiedono la dispensa dal celibato e rinunciano al ministero.
Ma soprattutto dopo la valanga di affettuosa solidarietà, dopo quest'anno segnato dall'immagine del papa ferito e sanguinante sul sagrato di San Pietro, la forte personalità, poliedrica eppur unificata, ricca eppur semplice, di Giovanni Paolo II ha ridato alla cattedra di Pietro un'autorità che attira e suscita l'attenzione e l'ascolto. Una personalità che svela tutto il suo segreto nello stemma tanto emblematico quanto elementare: il segreto che consiste nella fedeltà completa, - ecco il "totus tuus" - a Cristo simboleggiato dalla croce alla cui ombra c'è Maria.
Fedeltà a Cristo fattosi uomo e fattosi "in un certo senso misericordia" (DM) per ogni uomo che lavorando suda su questa terra: Redemptor Hominis - Dives in misericordia - Laborem exercens. E siamo pienamente nel nostro tema!
Il segreto delle tre encicliche si trova nella personalità del loro Autore! 2. Il mondo di Giovanni Paolo II
Tutti i teologi e filosofi corrono il rischio di rimanere astratti. Karol Wojtyla ha il vantaggio di essere stato, prima ancora di diventare professore, nell'età giovane, operaio che ha provato la dura realtà della vita e, come arcivescovo di una grande diocesi, pastore in una situazione ideologica ancor più dura che richiedeva una fedeltà e un realismo superiori. La sua riflessione rimane sempre incarnata, saldamente ancorata al mondo contemporaneo e all'uomo moderno, con le sue luci e ombre, preoccupazioni e speranze. Nona caso dei quattro capitoli della "Redemptor hominis" il terzo è consacrato all'"uomo redento e alla sua situazione nel mondo contemporaneo"; l'enciclica "Dives in misericordia" dedica tutto il sesto capitolo a descrivere "l'immagine della nostra generazione"; per non parlare dell'ultima enciclica che è tutta permeata di analisi molto concrete del mondo del lavoro. Forse per gli altri documenti ecclesiali l'analisi situazionale può essere meno essenziale; certo è che per Giovanni Paolo II essa fa parte della sua passione antropologica, passione per l'uomo, per il mistero dell'uomo che si salda fermamente con il mistero dell'Incarnazione, di Dio fattosi uomo. Ecco perché è necessario tenere davanti agli occhi l'immagine dell'uomo e del mondo che ha il Papa se si vuole cogliere in profondità e in tutta la sua ricchezza il suo pensiero.
Ora la descrizione situazionale del Papa si ispira a quella della Costituzione conciliare "Gaudium et spes" ma l'aggiorna con grande senso di equilibrio che non indulge al facile ottimismo né al disperato apocalittismo. Appunto, luci e ombre, inquietudini e speranze sono i colori di questo quadro.
È importante menzionare almeno alcuni tratti dell'uomo moderno e del suo mondo, come lo vede Giovanni Paolo II, perché per Lui questi tratti sono chiari segni, aperture, esigenze, aspirazioni che trovano il loro perfetto riscontro nel disegno che il Creatore ha preparato per l'uomo nell'amore che il Redentore porta al mondo.
Tra le luci, il Papa mette in rilievo soprattutto i seguenti fenomeni: 1 - Lo sviluppo della scienza e della tecnica, in particolare il grandioso progresso delle scienze biologiche, psicologiche e sociali che rendono l'uomo capace di influire più direttamente sulla vita della società per diventare autore, artefice, protagonista. 2 - L'apparizione di una civiltà che diventa sempre più universale mondiale; questa trasformazione sociale è il segno della vera "svolta che si sta operando nella storia" (DM, 10) e produce nell'uomo una più chiara coscienza dell'unità del genere umano e "l'accettazione della reciproca dipendenza in un'autentica solidarietà" (DM, 10); in una frase l'uomo "ha visto crollare o restringersi gli ostacoli e le distanze, che separano uomini e nazioni" (DM, 10).
Ma a fianco di questi ed altri aspetti positivi, o piuttosto entro queste realtà, esistono tensioni, lacerazioni e minacce. Il Papa ribadisce con le parole della Costituzione "Gaudium et spes" che "in verità tali squilibri si collegano con quello più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell'uomo... Da una parte infatti come creatura, (l'uomo) sperimenta in mille modi i suoi limiti, d'altra parte, si accorge di essere senza confini nelle sue aspirazioni... Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione, dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società". (G.S. 10 non a caso citata in RH 14 e in DM, 10).
Le fonti dell'inquietudine per l'uomo odierno sono, secondo il Papa, almeno quattro: 1 - Prospettiva di un conflitto nucleare se aumentano ancora le attuali lacerazioni tra gli uomini e non si risolvono le cause che dividono gli uomini per emisferi, blocchi e ideologie (cfr. RH 15; DM 11; discorso all'ONU e all'UNESCO; la scelta per il prossimo Sinodo del tema "Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa"). 2 - Primato delle cose sulle persone, dell'avere sull'essere, che determina i rapporti economici e sociali tra gli uomini (DM 11; RH 16; LE 6,7). 3 - Paura della violenza e della perdita della libertà, intesa come capacità di autodeterminarsi in funzione della verità e del bene, che apre il discorso sui diritti dell'uomo e sulla loro oppressione o manipolazione (DM 11; RH 16; LE, cap. IV e n. 9). 4 - Ingiusta distribuzione dei beni materiali (DM 11, RH 16; le CAP. III.)
Chi non riconoscerebbe in questa allusiva descrizione gli aspetti negativi del nostro mondo in cui vi sono potenti gruppi che esaltano la violenza e l'odio sotto varie forme, elevate persino a sistema (a sinistra il marxismo, con la rivoluzione mondiale e la lotta di classe; a destra i regimi di cosidetta "sigurtà", oppure altre forme dittatoriali); mondo in cui i cosiddetti ben pensanti si rifugiano nel freddo umanesimo razionalista con il supremo valore della "ragione pura", capace di giustificare ogni egoismo; in cui si predica nei rapporti tra i singoli e tra le nazioni la cosiddetta "giustizia pura", anch'essa molto soggettiva, con la suprema legge del taglione: "dente per dente", che scusa ogni rappresaglia e diventa "due o più denti per uno"; dove si gioca con i giocattoli così esplosivi come l'equilibrio del terrore o il "deterrente atomico" che si possono scoppiare nelle mani ogni minuto, magari anche ad un falso allarme meccanico, e ad un guasto del computer e pochi sembrano porsi un'efficace domanda se nella rappresaglia dei denti rimarranno ancora i denti, se non si distrugge l'uomo stesso che porta i denti o che gioca con i micidiali ordigni.
È da rilevare che alla base delle inquietudini descritte dal Papa c'è l'esigenza di rendere il mondo più umano, di aprire il cuore dell'uomo verso l'altro uomo non solo nei termini della stretta giustizia o fredda razionalità ma anche nella dimensione più profonda e autenticamente umana dell'amore e della misericordia.
Dove mancano i valori della misericordia e del perdono, riesce molto difficile risolvere i conflitti e le tensioni, come dimostrano nazioni che s'ispirano all'integralismo islamico e giudaico. Tutto ciò fa risaltare la misericordia come valore essenzialmente cristiano ma allo stesso tempo come l'esigenza profondamente umana. 3. Chiave di lettura
Chi si trova di fronte ai quattro volumoni dei discorsi che Giovanni Paolo II ha pronunciato in soli due anni del pontificato e che superano 6000 pagine, aggiungendo poi quelli del terz'anno, può aver il senso di un patrimonio estremamente variato di idee, di sensibilità, di ricchezza intellettuale, religiosa, spirituale.
Anche limitandosi alle sole tre encicliche, si ripropone il quesito se vi sia una chiave unificatrice di lettura, se vi esista nello spirito del Papa un'architettura con quella pietra centrale, la chiave di volta, su cui si regge tutta la struttura mentale.
Percorrendo le tappe, i grandi discorsi e scritti del Santo Padre nel triennio del pontificato credo che questa chiave si possa scoprire.
Già durante il suo primo viaggio nella terra "delle tre culture", Messico, veniva sempre più a fuoco il binomio, o se vogliamo trinomio: Cristo-uomo-Chiesa; Cristo che viene mediato all'uomo dalla Chiesa. La triplice verità del memorabile discorso alla Conferenza dei Vescovi latinoamericani a Puebla, - verità su Gesù Cristo, verità sull'uomo, verità sulla Chiesa, - riappare poco dopo il suo ritorno dal Messico in una visione ancor più unitaria, espressa nello stesso lapidario titolo della prima, poderosa enciclica "Redemptor Hominis".
Leggendo attentamente il documento ci si accorge che della grande triade di Puebla emergono con vigore i due poli, due veri protagonisti dell'enciclica: Cristo e l'uomo; la Chiesa c'entra solo come mediatrice per portare Cristo all'uomo e l'uomo a Cristo, ciò che è già una certa novità dopo l'enfasi ecclesiologica di Paolo VI.
Ed allora i commentatori, guidati forse anche dalla grande carica umana e dalla cultura filosofica del Papa Wojtyla, cominciano ad oscillare. L'enciclica stessa sembra a prima vista camminare su due binari: da un lato afferma che Cristo" è la via principale della Chiesa" (n. 13) e dall'altro ribadisce che l'uomo "è la prima e fondamentale via della Chiesa" (n. 14).
La linea cristologica viene rafforzata e diventa semplicemente teocentrica nella ricerca delle "viscera misericordiae" del Padre, nell'enciclica "Dives in misericordia", mentre l'attenzione all'uomo concreto, alla sua dignità, ai suoi diritti, al suo lavoro, alla sua cultura, già rivelata nella prima enciclica in cui appare anche una certa dimestichezza del Papa con Kierkegaard, Gabriel Marcel, Husserl e Maz Scheler, viene potenziata nei discorsi all'ONU, all'UNESCO e ultimamente nella terza enciclica "Laborem exercens".
Ed allora il Cristo o l'uomo? Per Giovanni Paolo II questo è un falso dilemma. Egli è anzitutto l'uomo di fede, di fede vigorosa che vede tutta la realtà, anche e soprattutto la realtà attuale e concreta dell'uomo, alla luce di Dio, di Dio incarnato; quindi come creatura-immagine di Dio. Persino il filosofo polacco di provenienza marxista Leszek KolaKowski ha potuto rilevare che Giovanni Paolo II vede la storia del mondo come storia di salvezza. La soluzione e la risposta al falso dilemma è identificata nello stesso titolo dell'enciclica: Redemptor Hominis. Il Papa propone al mondo anzitutto Gesù Cristo, però come l'Uomo-Dio che per amore dà la vita per l'uomo e manifesta così Iddio ricco di misericordia, Dio-per noi (ricordate il primo "ruggito" del nuovo Papa in Piazza San Pietro?). Attraverso l'amore di Cristo che è il culmine della misericordia divina, viene guardato l'uomo con tutti i suoi attuali problemi di fondo, ma anche con il suo destino eterno, trascendentale.
Il Redentore dell'uomo: ecco la vera sintesi unitaria della prima, e di tutte le tre encicliche, anzi l'obiettivo della consacrazione e dedizione del Papa, la sorgente della sua ispirazione che emerge in tutta la sua azione. Se quindi si vuole parlare di due poli fondamentali del Magistero del Papa, bisogna dire che essi sono vissuti in un'unica luce e visione, protagonisti se si vuole, ma non antagonisti: Cristo per l'uomo e l'uomo per Cristo.
Se vogliamo poi vedere l'esatto punto di saldatura di Dio e dell'uomo, credo che lo possiamo trovare finalmente in un testo del Concilio Vaticano II tanto fondamentale a Giovanni Paolo II che lo cita puntualmente come verità centrale sia nella RH (13) che nella DM (1).
Il testo è veramente rivelatore e si trova della "Gaudium et spes", 22:
"Solamente nel mistero del Verbo incarnato trova luce il mistero dell'uomo... Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione... Con la sua incarnazione infatti, il Figlio stesso di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo".
Ed allora, commenta il Papa nella RH (n. 11), "in Cristo e per Cristo, Dio si è rivelato pienamente all'umanità... e l'uomo ha acquistato piena coscienza della sua dignità". L'uomo "deve entrare in Lui (in Cristo) con tutto se stesso, deve appropriarsi ed assimilare tutta la realtà dell'incarnazione e della Redenzione per ritrovare se stesso" (RH 10). "Cristo appare a noi come Colui che porta all'uomo la libertà basata sulla verità" (RH 12). Di conseguenza le due vie della Chiesa si fondono in una sola; se si vuole, una è la prolunga dell'altra, oppure - come ha notato lem Figaro (16.3.1979 -, Giovanni Paolo II reintegra i grandi Concili Ecumenici dei primi secoli che ripetono l'affermazione: il Figlio di Dio si è fatto uomo perché l'uomo diventi figlio di Dio in piena dignità e concretezza.
Egli salda con viva passione antropologica il mistero di Dio e il mistero dell'uomo, ed elimina alla radice la contrapposizione tra l'antropocentrismo ed il teocentrismo, affermata da alcune correnti moderne del pensiero. Ecco le sue parole: "Quanto più la missione svolta dalla Chiesa si incentra sull'uomo, quanto più è, per così dire, antropocentrica, tanto più essa deve confermarsi e realizzarsi teocentricamente, cioè orientarsi in Gesù Cristo verso il Padre" (DM 1).
In tal senso la "Dives in misericordia" non è altro che l'approfondimento della "Redemptor (hominis)" con la sottolineatura teocentrica del primo termine; mentre la "Laborem exercens" è una prolunga di quel "(Redemptor" hominis" nella linea antropologica, a condizione però che si conservi la visione unitaria di ambedue i termini: Redentore-l'uomo radicata nel mistero teandrico di Cristo che coinvolge ed esalta l'uomo. 4. "Dio ricco di misericordia": contemplazione o discorso sociale?
Vogliamo ora fare la verifica della chiave appena indicata nella visione ispirata al n. 22 della Costituzione "Gaudium et spes"? Ebbene apriamo l'enciclica e leggiamo il primo numero:
"Dio ricco di misericordia" (Ef. 2,4) è colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre... Ho dedicato l'enciclica "Redemptor hominis" alla verità intorno all'uomo, che nella sua pienezza e profondità ci viene rivelata in Cristo. Un'esigenza di non minore importanza, in questi tempi critici e non facili mi spinge a scoprire nello stesso Cristo ancora una volta il volto del Padre, che è "misericordioso e Dio di ogni consolazione" (2 Cor. 1,3). Si legge, infatti, nella Costituzione "Gaudium et spes": "Cristo, che è il nuovo Adamo... svela .... pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione: egli lo fa "proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore. "Cristo è la rivelazione della misericordia di Dio invisibile; "egli stesso la incarna e la personifica, egli stesso è, in un certo senso, la misericordia" (DM, 2).
L'Enciclica conduce realmente anzitutto alla contemplazione del mistero del Padre, del suo amore misericordioso. Ben lontano dalla concezione del theos apathos delle filosofia stoica-platonica, il Santo Padre nella discrezione della misericordia raggiunge i toni degni della migliore letteratura biblica, patristica, mistica, con afflato di certi Padri orientali, con sensibilità tutta slava che si trova in certi scritti di quella spiritualità, aperta al cuore e al sentimento, spiritualità orientale che può arricchire di molto quella occidentale, più concettuale, intellettuale, cartesiana.
Giovanni Paolo II non ha paura di parlare di "una specifica, ovviamente antropomorfica "psicologia" di Dio: la trepidante immagine del suo amore, che a contatto con il male e, in particolare, con il peccato dell'uomo e del popolo, si manifesta come misericordia" (DM, 4, nota 52). Laddove un Garrigou-Lagrance (Dieu, son existence et sa nature, Paris 1950, vol. 2, 452-8) o anche Barth (Kirchliche Dogmatik II/1,413-547) o E. Brunner (Dogmatique, 1, Genéve 1964,293-307) si preoccupano di spiegare la compatibilità della misericordia divina con la sua giustizia oppure con la sua immutabilità, il Papa mira direttamente al carattere "materno" della misericordia in Dio, a quel "rahamin", che già nella sua radice, denota l'amore della madre (rehem= grembo materno) che è un'esigenza del cuore, una necessità interiore, totalmente gratuita, come egli stesso spiega nel lungo "excursus" della nota 52. Si, pur memore dello scandalo farisaico di certe riviste in occasione della catechesi del Papa Luciani sull'amore "materno" di Dio, Giovanni Paolo II coglie in questa caratteristica femminile e materna tutta "una gamma di sentimenti, tra i quali la bontà e la tenerezza, la pazienza e la comprensione, cioè la prontezza e perdonare" (ibid); a questo punto Sant'Ambrogio direbbe: "Dio ha creato l'uomo e in lui ha riposato, perché aveva in lui una creatura a cui poter perdonare i peccati" (Esamerone, 6,76).
Questo aspetto della misericordia che la traduzione latina ha voluto probabilmente esprimere con "viscera misericordiae nostri Dei" (Lc 1,78; cfr. Sal. 103 (102) e 145 (144)) si salda con quello di benevolenza in forza di una fedeltà: fedeltà di Dio alla sua paternità, al suo amore verso il suo popolo, che interpella e sollecita una risposta di fedeltà.
Questi accenti si ripetono quanto l'enciclica arriva a parlare della croce di Cristo che è "una rivelazione radicale della misericordia" e "dell'amore più potente della morte, più potente del peccato" (DM, 8). Ecco alcune battute degne della mistica di San Giovanni della Croce:
"La croce di Cristo è il più profondo chinarsi della Divinità sull'uomo e su ciò che l'uomo - specialmente nei momenti difficili e dolorosi - chiama sulle ferite più dolorose dell'esistenza terrena dell'uomo" (DM, 8).
L'enciclica "Dives in misericordia" è quindi una profonda meditazione sulla misericordia di Dio. La stampa non ha mancato di rilevarlo. Ma il rilievo sarebbe incompleto se non integrato dall'altro aspetto che nella visione del papa salta fuori subito, appena si nomina Cristo, e cioè il rapporto della misericordia di Dio con l'uomo, con l'uomo moderno, con noi tutti e le conseguenze concrete per la nostra vita. Giovanni Paolo II accenna all'uomo immediatamente nel n. 2, parlando dell'"incarnazione della misericordia": "Rivelata in Cristo, la verità intorno a Dio "Padre delle misericordie" (2 Cor. 1,3) ci consente di "vederlo" particolarmente vicino all'uomo, soprattutto quando questi soffre, quando viene minacciato nel nucleo stesso della sua esistenza e della sua dignità" (DM, 2).
La contemplazione delle "viscera misericordiae" diventa, infatti, ad un certo momento una proposta e un progetto per l'uomo contemporaneo, con accenti di un'enciclica sociale. Il passaggio avviene di nuovo per mezzo del Verbo fattosi uomo:
"Gesù Cristo ha insegnato che l'uomo non soltanto riceve e sperimenta la misericordia di Dio, ma che è pure chiamato a "usar misericordia" verso gli altri: "Beati i misericordiosi, perché troveranno la misericordia" (Mt. 5,7) (DM, 14).
Ancor'una volta la mediazione tra la misericordia di Dio e l'apertura del cuore umano ai valori della misericordia si svolge attraverso il Cristo: "Cristo crocifisso, in questo senso, è per noi il modello ("sconvolgente modello" dirà subito dopo), l'ispirazione e l'incitamento più alto" (DM, 14).
In questa visione e concatenazione, essenziale per Giovanni Paolo II, prende tutta la sua profondità il discorso appassionato sull'uomo. Il Papa è ben conscio che "la mentalità contemporanea, forse più di quella dell'uomo del passato, sembra opporsi al Dio della misericordia e tende altresì, ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l'idea stessa della misericordia" (DM, 2).
A questa nostra generazione, turbata da non poche inquietudini, il Santo Padre solleva in tre dense pagine un fondamentale dubbio: "Basta la giustizia", per arrivare alle affermazioni molto nette: "La misericordia è... la più perfetta incarnazione dell'"eguaglianza" tra gli uomini, e quindi anche della giustizia"; "l'autenticità misericordia è, per così dire, la fonte più profonda della giustizia"; "l'amore e la misericordia fanno si che gli uomini s'incontrino tra loro in quel valore che è l'uomo stesso, con la dignità che gli è propria" (DM 14).
Non è questa un'appropriata introduzione all'enciclica sul lavoro umano e se consideriamo i temi del perdono, della conversione, della riconciliazione, impliciti nella misericordia, non è questo un prologo per prossimo Sinodo? Conclusione
"Un Papa venuto da lontano e che guarda lontano" ha scritto un giornale. Ma Giovanni Testori, in un recente dibattito l'ha corretto: "Il Papa è un uomo che viene molto da vicino... È prima di tutto un uomo e lo è per tutti gli uomini... È l'uomo che rappresenta la certezza del dramma, è la speranza del dolore ed il dolore della speranza, è la croce della carità e la carità della croce".
Vi è un aspetto da cogliere in queste parole: il Papa ha presentato a tutti gli uomini la speranza e la carità della misericordia di Dio. All'uomo in ricerca di se stesso e del proprio destino, il Papa sta molto vicino perché gli ha mostrato una strada che va molto lontano, che schiude all'uomo gli orizzonti eterni dell'infinito Amore misericordioso, di quell'Amore che mette Dio" in relazione" con l'uomo e lo fa sentire vicino, quell'amore che fa essere l'uomo vicino agli altri uomini.
Con l'enciclica "Dives in misericordia" Giovanni Paolo II sta forse più che mai vicino all'uomo moderno e alla sua sensibilità per la quale "solo l'amore è credibile" (Hans Urs von Balthasar).
In Dio e anche tra gli uomini, solo l'amore è credibile.
E "solo l'amore costruisce il mondo". (Giovanni Paolo II).