Luigi Alici
BASTA LA GIUSTIZIA?
Lo smarrimento della misericordia e la crisi dell'umanesimo contemporaneo
1 - Premessa
La domanda che intitola il paragrafo 12 della lettera enciclica Dives in misericordia delimita ed identifica l'orizzonte entro cui si colloca questo intervento. Tale domanda, oltre a contenere un giudizio sullo smarrimento della misericordia nella generazione attuale, divisa fra profonde inquietudini e false sicurezze, tocca il problema cruciale, come più di un interprete ha osservato (1), al quale l'enciclica di Giovanni Paolo II intende dare una risposta. Un problema che investe le radici culturali e morali del nostro tempo e che per questo è carico di notevoli implicazioni giuridiche, filosofiche e sociologiche.
In questa sede tenterò di individuare a proporre qualche linea essenziale di riflessione e di approfondimento, limitando il discorso soprattutto all'ambito filosofico, senz'altra pretesa che quella di offrire, nei limiti della mia competenza e sensibilità, un primo ed elementare contributo alla chiarificazione dei termini del problema. A tal fine il mio intervento si articolerà in tre momenti fondamentali: in primo luogo cercherò di presentare il giudizio storico dell'enciclica sulla crisi della giustizia nel nostro tempo e la sua apertura al tema cristiano della misericordia; la riflessione sull'insufficienza della giustizia indurrà, in secondo luogo, a ricercare sul terreno più propriamente filosofico le tracce di una divaricazione tra giustizia ed amore, che oggi sembra giunta alle sue forme più esasperate e radicali; in terzo luogo tenterò di proporre alcune linee essenziali di approfondimento personale del problema, alla luce dell'enciclica da un lato e del contesto culturale odierno dall'altro.
Non si tratta di idee originali, né, tantomeno, risolutive, ma che tuttavia esprimono convinzioni e valori in cui credo profondamente; questo del resto, è il motivo che più incoraggia la mia presenza in questo Convegno ed insieme costituisce l'obiettivo fondamentale che attribuisco al mio intervento: promuovere una riflessione comune, che subordini i requisiti tecnici della competenza ai valori morali della comunione e della testimonianza, in spirito di autenticità e di ricerca.
2 - "Misericordia... di generazione in generazione"
2.1 Il Capitolo VI della DM costituisce, in certo senso, il nucleo storico dell'enciclica, che si colloca tra il nucleo teologico e le indicazioni pastorali dell'ultima parte (2). Queste pagine contengono riflessioni molto dense sul valore ed i limiti dell'idea di giustizia nella società e nella cultura contemporanea, tentando di cogliere in questa immagine della nostra generazione le ragioni più profonde di quella "povertà di misericordia" che sollecita l'attenzione pastorale del pontefice.
Il paragrafo 12, che riassume e contiene il senso fondamentale di queste riflessioni, si apre con la costatazione del risveglio "su vasta scala" nel mondo contemporaneo dell'idea di giustizia. Questo risveglio si trova però a convivere dolorosamente, e talora a coincidere, con innumerevoli situazioni e conflitti che offendono la giustizia "sia nei rapporti tra gli uomini, i gruppi sociali e le 'classì, sia tra i singoli popoli e stati e, infine, tra interi sistemi politici ed anche interi, cosiddetti, mondi" (n. 12).
A questa prima affermazione sono connesse due ulteriori precisazioni: anzitutto, l'ansia di giustizia attesta "il carattere etico delle tensioni e delle lotte che pervadono il mondo" (n. 12). Siamo dinanzi, in altri termini, ad un complesso di situazioni connesse ad un disordine che s'origina nella sfera morale, dunque non esclusivamente interpretabile con categorie economiche, sociologiche e politiche. La ricerca della giustizia suppone il riconoscimento di un valore fondamentale per l'uomo e per l'umana convivenza. In secondo luogo, è proprio questa esigenza di giustizia che avvicina la Chiesa agli uomini del nostro tempo, sollecitando la sua riflessione sui vari aspetti della giustizia e la elaborazione di una "dottrina sociale", carica di implicazioni educative e formative.
2.2. Eppure "sarebbe difficile non avvedersi - prosegue l'enciclica - che molto spesso i programmi, che prendono l'avvio dall'idea di giustizia e che debbono servire alla sua attuazione nella convivenza degli uomini, dei gruppi e delle società umane, in pratica subiscono deformazioni" (n. 12). Il problema, del resto, era stato già posto in termini altrettanto chiari nella precedente enciclica Redemptor hominis, dove si denunciavano le "calamità morali" che affliggono questo secolo, in cui la violazione dei diritti dell'uomo in tempo di pace "rappresenta un incomprensibile fenomeno della lotta contro l'uomo, che non può in nessun modo accordarsi con un qualsiasi programma che si autodefinisca 'umanisticò " (3).
In presenza di tali "calamità morali", il progresso tecnologico mostra tutta la sua strutturale impotenza a rigenerare interiormente la vita dell'uomo. Su questo punto, il richiamo ai testi conciliari serve semmai a mettere in luce che tensioni e minacce "nello spazio di questi anni si sono maggiormente rivelate, hanno confermato in modo diverso quel pericolo e non permettono di nutrire le illusioni di un tempo" (n. 10).
Tali minacce non si esauriscono sul piano militare, anche se in tale ambito esse assumono proporzioni sempre più minacciose e apocalittiche, ma si manifestano anche in tutte quelle occasioni in cui l'uomo è umiliato sul mercato delle cose ed asservito ad una logica perversa di egoismo e di sfruttamento. "Malgrado tutte le dichiarazioni sui diritti dell'uomo nella sua dimensione integrale, cioè nella sua esistenza corporea e spirituale, - continua Giovanni Paolo II - non possiamo dire che questi esempi appartengono soltanto al passato" (n. 11).
Una minaccia ancor più insidiosa e sfuggente della guerra sta quindi in questa situazione di 'pace senza giustizià, che caratterizza i nostri tempi e sui cui l'alto magistero di Paolo VI ha richiamato tante volte l'attenzione. Tali pericoli vanno dal "soggiogamento pacifico degli individui, degli ambiti di vita, di società intere e di nazioni" (n. 11) alla "minaccia biologica", all'aggravamento di uno stato di disuguaglianza che fa pesare in misura crescente sull'umanità il morso della fame.
2.3 È evidente che il forte richiamo presente nell'enciclica nasce da una analisi storica, alla quale, si è osservato (4), non è stata estranea nemmeno la personale esperienza del pontefice. Tuttavia il messaggio non si limita alla denuncia di una violazione pratica della giustizia, come potrebbe apparire ad una lettura superficiale; ciò che qui viene denunciata è soprattutto la dequalificazione etica dell'idea di giustizia, quando essa, svuotata del suo contenuto morale e perso ogni riferimento al valore dell'uomo, si riduce ad una funzione di copertura ideologica nei confronti di una prassi individuale e sociale intrinsecamente ingiusta (5).
La violazione della giustizia in nome della giustizia è un dato storico difficilmente occultabile, che più di un filosofo del diritto non esita a riconoscere (6). È appunto su questa sorta di autoannientamento dell'idea di giustizia che la DM invita a riflettere (7), offrendone una esemplificazione nell'atteggiamento ricordato nel Vangelo con le parole: "Occhio per occhio e dente per dente" (Mt 5,38), un atteggiamento che continua ad insidiare gli uomini, soprattutto quando "in nome di una presunta giustizia (ad esempio, storica o di classe) talvolta si annienta il prossimo, lo si uccide, si priva della libertà, si spoglia degli elementari diritti umani" (n. 12).
In tutti questi casi, continua Giovanni Paolo II, "sulla giustizia hanno preso il sopravvento altre forze negative, quali il rancore, l'odio e perfino la crudeltà. In tal caso, la brama di annientare il nemico, di limitare la sua libertà, o addirittura di imporgli una dipendenza totale, diventa il motivo fondamentale dell'azione; e ciò contrasta con l'essenza della giustizia che, per sua natura, tende a stabilire l'eguaglianza e l'equiparazione tra le parti in conflitto" (n. 12).
2.4 Come si può vedere, l'analisi evidenzia una vera e propria 'patologià della giustizia, che affonda le sua radici anche nella morale e nella cultura del nostro tempo. Ogni facile ottimismo della giustizia viene qui radicalmente smascherato, lasciando intravedere dietro quest'idea di giustizia vuota ed insensibile ai diritti dell'uomo la povertà di una generazione che vuole solo i suoi egoismi o tenta di riscattare i suoi idoli e le sue minuscole certezze.
Per questo, dietro il fallimento di tanti progetti sociali informati all'idea di giustizia sta uno squilibrio profondo che nasce nel cuore dell'uomo. E l'uomo che "soffre in se stesso una divisione, - aggiunge Giovanni Paolo II, citando la Gaudium et Spes - dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società" (8).
Nasce da qui, inoltre, il richiamo dell'enciclica alle "forze più profonde dello spirito" e nello stesso tempo la preoccupazione per il declino di valori fondamentali della morale umana, della cultura morale, quali il rispetto per la vita sin dal momento del concepimento, il rispetto per il matrimonio nella sua unità indissolubile, il rispetto per la stabilità della famiglia", a cui sono da aggiungere "la crisi della verità nei rapporti interumani, la mancanza di responsabilità nel parlare, il rapporto puramente utilitario dell'uomo con l'uomo, il venir meno dal senso dell'autentico bene comune e la facilità con cui questo vie alienato" (n. 12). In una parola, si tende verso una vera e propria disumanizzazione della convivenza.
2.5 Entro questo orizzonte si colloca la proposta cristiana dell'amore e della misericordia, una proposta che non va intesa tanto come una forma di integrazione della giustizia, quanto piuttosto come una sua interiore fecondazione. Infatti, una giustizia che non sia intimamente vivificata dalla forza dell'amore non riuscirà mai ad essere all'altezza dell'uomo e finirà col diventare prima o poi la misura variabile e socialmente condizionata del nostro egoismo e del nostro desiderio sfrenato di possesso.
L'analisi storica giunge così alle stesse conclusioni cui conduce la riflessione biblica e teologica, che nega ogni antitesi tra misericordia e giustizia, scoprendo in Dio la loro sintesi essenziale (9). Dopo aver ricordato che la santità di Dio è pienezza della giustizia e dell'amore e che quindi "la giustizia si fonda sull'amore, da esso promana e ad esso tende" (n. 7), l'enciclica presenta la misericordia, è stato notato, come "la realizzazione dell'amore in un mondo finito e decaduto, entro la storia concreta dell'uomo peccatore" (10).
In questo senso, "rivelazione radicale della misericordia" è la croce di Cristo, come quell'amore "che va contro a ciò che costituisce la radice stessa del male nella storia dell'uomo: contro al peccato e alla morte" (n. 8). La misericordia diventa così nella vita cristiana l'amore che assume su di sé le esigenze della giustizia e la conduce alla loro più alta realizzazione. Infatti, "l'amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta" (numero 5).
2.6 L'uomo che scopre la misericordia di Dio e cerca di introdurla "nel multiforme ambito dei rapporti interumani e sociali" (n. 14) costruisce la giustizia nella sua più profonda dimensione di valorizzazione dell'uomo. Se da un lato dunque "l'adempimento delle condizioni della giustizia è indispensabile, soprattutto, affinché l'amore possa rivelare il proprio volto", da un altro lato "l'autentica misericordia" diviene la "fonte più profonda della giustizia", la sua "incarnazione più perfetta" (n. 14). Essa infatti accoglie il valore dell'eguaglianza, che è proprio della giustizia, trasferendolo dal piano esteriore degli oggetti a quello più profondo delle persone.
Di conseguenza, "la misericordia autenticamente cristiana - continua la DM - è pure, in certo senso, la più perfetta incarnazione dell'eguaglianza tra gli uomini, e quindi anche l'incarnazione più perfetta della giustizia, in quanto anche questa, nel suo ambito, mira allo stesso risultato" (n. 14). Rendendo possibile questa riabilitazione etica della giustizia, la misericordia offre infine alla giustizia stessa il contenuto nuovo del perdono, divenendo quindi elemento indispensabile "per plasmare i mutui rapporti tra gli uomini, nello spirito del più profondo rispetto di ciò che è umano e della reciproca fratellanza" (n. 14).
Una misericordia così intesa è completamente diversa da ogni forma di semplice umanitarismo, presentandosi come pienezza e compimento di una giustizia finalmente attenta alla dimensione del bene comune ed alla completa espansione della vita personale. Si possono citare in proposito le parole di S. Tommaso: "Il dono del benefico o del misericordioso deriva dai legami d'affetto che essi nutrono verso la persona beneficata. E quindi la loro donazione rientra nella carità o nell'amicizia. Invece il dare della liberalità derica dai sentimenti che il donatore ha nei riguardi del denaro, cioè del fatto che non lo brama e non l'ama... Perciò la liberalità - conclude S. Tommaso - non appartiene alla carità, ma alla giustizia che ha per oggetto i beni esterni" (11).
2.7 Per questa via l'enciclica DM si ricollega organicamente, come del resto è stato ampiamente riconosciuto (12), al nucleo più profondo della Redemptor hominis ed è premessa indispensabile per una corretta lettura della più recente Laborem exercens.
D'altra parte l'invito a costruire sulla misericordia una giustizia a misura d'uomo, oltre a rendere esplicite le esortazioni conciliari al risveglio di un "senso interiore della giustizia" (13), il cui esercizio va protetto "contro ogni specie di falsa autonomia" (14), si riallaccia ai grandi messaggi della Pacem in terris (1963), che riconduceva l'attuazione del bene comune ai diritti e ai doveri della persona; alla lettera apostolica Octogesima adveniens (1971), che chiedeva maggior giustizia nella ripartizione dei beni; alla Populorum progressio (1967), che invocava la creazione di nuove strutture di giustizia a livello internazionale.
Qui il discorso dovrebbe allargarsi anche all'ambito del cosiddetto magistero integrativo. Basti comunque citare le conclusioni de II Sinodo dei vescovi (1971), nel documento intitolato La giustizia nel mondo: "L'amore cristiano del prossimo e la giustizia - vi si legge - non possono essere separati tra loro. L'amore, infatti, implica un'assoluta esigenza di giustizia, ossia il riconoscimento della dignità e dei diritti del prossimo; la giustizia, a sua volta, raggiunge la sua interiore pienezza unicamente nell'amore. E poiché ogni uomo è in realtà immagine dell'invisibile Dio ed è fratello di Cristo, appunto per questo il cristiano trova in ogni uomo Dio stesso e quell'assoluta esigenza di giustizia e d'amore che è propria di Dio" (15).
È su questa linea che il messaggio di Giovanni Paolo II dovrebbe essere letto, studiato ed approfondito, forse più e meglio di quanto si sta facendo, poiché esso contiene un annuncio profetico per i nostri tempi; l'invito a riempire la giustizia di misericordia, perché essa possa tornare a frequentare l'uomo; un invito che richiama le parole di Jacques Maritain: "La giustizia è inumana senza la misericordia" (16).
3 - La crisi della giustizia e l'eclisse della trascendenza
3.1 Il giudizio storico intorno alla crisi attuale della giustizia merita ora di essere rispreso ed ulteriormente convalidato sul piano culturale. A tal fine si può tentare, sia pure nei limiti in cui lo consente questo intervento, di individuare qualche momento essenziale di questo progressivo svuotamento dell'idea di giustizia sul piano giuridico, filosofico e politico, nella parabola del pensiero moderno.
Va rilevato anzitutto che la cesura fondamentale tra la filosofia classica e medievale da un lato, qualificate fondamentalmente dalla tensione verso la trascendenza, ed il pensiero moderno e contemporaneo dall'altro, carico di tentazioni immanentistiche (17), trova importanti riscontri anche nell'idea di giustizia. In senso generale, si può affermare infatti che in una riflessione che muova dal riconoscimento della precarietà e della contingenza del mondo, spiegato e compreso alla luce di un principio che lo trascende, la giustizia è espressione di un ordine morale e metafisico; al contrario, per un pensiero che muova dalla proclamazione, di segno razionalistico e storicistico, della propria autonomia ed assolutezza, la giustizia esprime soltanto un ordine vincolato, di volta in volta, alla superbia della ragione, agli arbitri della dialettica, alle mutevoli strutture della società e della cultura, alla ricerca, sovente tragica e disperata, di una libertà che brucia tutta nell'"estasi orribile" di un attimo, nella disperante estasi negativa del nulla, dello scacco, dell'assurdo.
3.2 Nel pensiero classico, l'idea di giustizia sembra maturare secondo una doppia accezione: giustizia come principio esclusivamente sociale, criterio di correlazione fra individui diversi, e giustizia come virtù universale, espressione etica e normativa di un'armonia e di un ordine antologico e metafisico.
Nel pensiero dei sofisti prevale la prima accezione, svolta sulla base di una contrapposizione frontale tra legge e natura. A questa contrapposizione viene ricondotta l'assoluta convenzionalità delle legge e, in alcuni casi estremi, la identificazione della giustizia secondo natura con il vantaggio del più forte (18). Con Platone, invece, respinto ogni dualismo tra natura e legge, si recupera la giustizia come valore oggettivo e criterio fondamentale dell'etica e della politica.
Non manca una qualche attenzione ai valori di uguaglianza ed alle implicazioni politiche della giustizia, ma in primo piano è soprattutto la crescita equilibrata e matura dell'uomo. Meritano un'attenta riflessione, a questo proposito, le parole di Platone: la giustizia "consiste nell'adempiere i propri compiti non esterioremente, ma interiormente, in un'azione che coinvolge veramente la propria personalità e carattere, per cui l'individuo non permette che ciascuno dei suoi elementi esplichi compiti propri di altri, né che le parti dell'anima s'ingeriscano le une nelle funzioni delle altre; ma, instaurando un reale ordine nel suo intimo, diventa signore di se stesso e disciplinato e amico di se medesimo" (19).
I due aspetti della giustizia, quello etico e quello sociale, da Aristotele sono ricondotti entro un medesimo orizzonte; nel libro E dell'Etica Nicomachea, interamente dedicato alla giustizia, egli scrive: "nella giustizia è insieme compresa ogni virtù" e "né la stella della sera né quella del mattino sono così ammirabili" (20). Accanto a questa accezione, la giustizia si caratterizza anche in senso specifico e particolare come "la caratteristica del giusto mezzo" (21), vale a dire come la giusta misura che presiede alla ripartizione di beni e vantaggi (22). Il discorso passerà quindi in S. Tommaso d'Aquino, che apre il tema della giustizia a quella visione cristiana della carità e dell'amore, sulla quale l'enciclica si sofferma.
La tradizione greca sarà quindi avvalorata dalla nozione romana di giustizia, che difende l'autonomia di ogni ordinamento giuridico ed il suo carattere di bilateralità. Si possono ricordare al riguardo le pagine della Città di Dio di S. Agostino, in cui viene illustrata la tesi di Cicerone, secondo cui la giustizia è essenziale allo Stato (23) ed una definizione di Cicerone stesso, che parla della giustizia come "signora e regina di tutte le virtù" (24).
3.3 Naturalmente ora non è possibile seguire nelle sue varie fasi l'evoluzione dell'idea di giustizia e la graduale precisazione giuridica dei suoi caratteri di bilateralità, parità, reciprocità, che faranno della giustizia, nei moderni ordinamenti, la delimitazione delle esigibilità reciproche tra soggetti diversi (25). Ciò che importa è ora rilevare la coincidenza, nel pensiero moderno, tra orientamenti filosofici sempre più ostili all'idea di trascendenza e la perdita del valore etico della giustizia.
Il più delle volte, quella chiusura del discorso filosofico è motivata dall'esigenza di restare fedeli al mondo della ragione, della natura, dell'uomo. Dentro tale orizzonte, però, ogni tentativo di fondazione dell'essere personale è destinato a dissolversi e la giustizia, privata di qualsiasi fondamento oggettivo ed assoluto, perde ogni riferimento ai valori fondamentali del bene comune, ancorandosi a parametri convenzionali e relativi, abbandonando la tutela dell'uomo in nome della difesa di idee astratte ed unilaterali. In questi casi la negazione dell'essere assoluto, anziché liberare il relativo, ha finito per assolutizzarlo e quindi per legittimarlo nella sua lotta e nelle sue pretese.
Si assiste così al graduale distacco della riflessione filosofica del tema della giustizia, che resta confinato da una parte esclusivamente a problematiche di tipo giuridico, dall'altra a generici proclami di rivendicazione politiche. Queste affermazioni, naturalmente, non vogliono tanto liquidare con un giudizio perentorio l'intero arco del pensiero e contemporaneo, quanto piuttosto rilevare una linea di tendenza, sicuramente non unica ed esclusiva, ma dotata di radici profonde nella cultura e nei modi di pensare dell'uomo i oggi. Questa linea, per quanto non priva di suggestioni per la sua carica di autenticità, accredita tuttavia apertamente, sul piano delle idee, quella patologia dell'idea di giustizia messa in luce dalla DM.
3.4 A riprova di ciò si possono tentare alcuni sondaggi nel pensiero moderno e contemporaneo, a titolo puramente indicativo ed esemplificativo. Dopo la grande fioritura giusnaturalistica del Seicento e del Settecento, che conferisce al primato del diritto naturale un carattere soggestivistico e individualistico, oltre che antiteologico, da Grozio (26) sino agli sviluppi significativi di Hobbes e Locke, una svolta ancor più radicale caratterizza i sistemi di diritto post-kantiani, nei quali, dopo l'etica formale di Kant, il diritto si trova ad essere separato, oltre che dalla religione, anche dell'etica materiale e dalla politica.
Su questa strada, accantonata la nozione, socialmente incontrollabile, di imperativo categorico, il diritto si esaurisce nella positività formale di un sistema chiuso, al quale diventano sempre più estranei il valore del bene comune e della giustizia. Questo spiega "la sindrome ansiosa - come qualcuno l'ha definita - che caratterizza la scienza giuridica attuale" (27), ormai priva del contesto rassicurante della metafisica e insieme delle certezze razionalistiche dell'Illuminismo e spiega anche la problematicità della stessa definizione di giustizia (28).
Emblematiche al riguardo sono le conclusioni cui giungono alcuni esponenti della filosofia analitica inglese, proprio richiamandosi al formalismo Kantiano; la ragione è solo uno strumento di delucidazione delle scelte dell'uomo; essa può aiutare a rendere esplicite tutte le conseguenze di una scelta, ma non può assolutamente offrirne la motivazione fondamentale. Di conseguenza, poiché l'individuo non ha criterio "moralmente neutrale - scrive uno di questi autori - per accertare se egli è una persona" (29) (!). i doveri che abbiamo verso gli altri, aggiunge, "non derivano .... dalla 'essenza dell'uomò o da mistificazioni filosofiche di questo genere" (30).
È chiaro che la giustizia diventa in questo contesto una sorta di algebra sociale degli interesse umani, senz'altra funzione che quella di una ripartizione imparziale di bisogni ed egoismi individuali. Queste forme di secolarismo e positivismo del diritto diventano così la piena legittimazione politica del liberalismo.
3.5 Anche altri orientamenti filosofici, del resto, approdano a questo disimpegno etico e personalistico nei confronti della giustizia, dalla lezione heideggeriana, che denuncia il sostanziale svuotamento dei valori a "surrogato positivistico del 'metafisicò" (31), vale a dire a produzioni culturali di senso nelle quali si manifesta l'"imperialismo planetario dell'uomo tecnicamente organizzato" (32), sino ai più recenti sviluppi dello strutturalismo, dove l'orientamento antimetafisico ed antiumanistico giunge ai suoi esiti più lucidi e radicali.
Significativa in tal senso può essere l'affermazione di Lévi - Strauss: "Vedo me stesso come il luogo in cui qualcosa accade, ma non v'è nessun 'Iò, né alcun 'mè. Ognuno di noi è una sorta di crocicchio dove le cose accadono. Il crocicchio è assolutamente passivo: qualcosa vi accade. Altre cose, egualmente importanti, accadono altrove. Non c'è scelta: è una questione di puro caso" (33).
Oppure si può ricordare la gelida dichiarazione di Michel Foucault: "L'uomo è una invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima", quando l'uomo potrebbe esser cancellato "come sull'orlo del male un volto di sabbia" (34). Dove ormai, bloccata la strada verso la trascendenza, è bloccata anche la strada verso l'uomo.
Al senso di disperata impotenza con cui gli esistenzialisti hanno denunciato la perdita del significato subentra ora la rinuncia al significato e la impassibile disintegrazione dell'intelligenza e dell'amore dell'uomo nella opaca impersonalità di un universo chiuso di segni.
3.6 Ormai persa la fiducia in un ordine etico e mancato ogni aggancio con l'essere ed il valore della persona, per poter attivare la giustizia non resta da percorrere che la strada delle rivendicazioni. Una strada piena di rischi e di pericoli, perché ormai svincolata dall'amore di Dio e dell'uomo. La tentazione, a questo punto, è quella di gridare con Proudhon: "Carità! Nego la carità; è misticismo! Non serve parlarmi di fraternità e di amore... Parlatemi di dare e avere, solo criterio agli occhi miei del giusto e dell'ingiusto, del bene e del male nella società. ... Quanto mi dovete? quanto vi devo? ecco la mia religione e il mio Dio (35).
Qui si può anche ricordare, infine, la diffidenza con cui il marxismo, almeno nei suoi orientamenti più politicamente impegnati, guarda alla riflessione tradizionale sulla giustizia, tipica espressione delle ideologia borghese, e la conseguente riduzione della giustizia stessa al risultato di una spinta di forze materiali ed economiche, sul piano sociale. Infatti "il diritto - per usare le parole di Marx - non può essere mai superiore alla configurazione economica ed allo sviluppo, da esso condizionato, della societa" (36).
In questo caso la giustizia non si lega più ad un quadro normativo di valori spirituali e trascendenti, ma identifica un processo dinamico e globale di trasformazioni strutturali della società, rispetto alle quali può risultare non essenziale il rispetto, sempre e comunque, di elementari diritti umani. È comprensibile allora che una giustizia così intesa si caratterizzi più per l'amore della forza, che per la forza dell'amore. "Da dove provengono le idee giuste? - si chiede ad esempio Mao Tse-Tung - Cadono dal cielo? No. Sono innate? No. Esse provengono dalla pratica sociale, e solo da questa... È l'essere sociale dell'uomo che determina il suo pensiero. Una volta che le masse se ne sono impadronite, le idee giuste, caratteristiche della classe avanzata, si trasformano in una forma materiale di cambiare la società e il mondo". Ed aggiunge: "In generale è giusto ciò che riesce, sbagliato ciò che fallisce; questo è vero soprattutto nella lotta dell'uomo contro la natura... Non vi sono altri mezzi per provare la verità" (37).
Di conseguenza, se una lezione è lecito trarre da queste riflessioni, tale lezione non solo smentisce ogni presunta incompatibilità tra giustizia e misericordia, ma attesta che una giustizia senza misericordia finisce per annientare se stessa e per rivoltarsi contro l'uomo. L'eclisse della trascendenza nel pensiero moderno non coincide quindi con il trionfo della giustizia, ma con il primato della ideologia e con l'eclisse dell'uomo; l'uomo senza Dio è un uomo più solo e proprio per questo più esposto all'ingiustizia e più bisognoso che mai di amore e di misericordia.
4 - Il risveglio della misericordia
4.1 Sulla base delle idee sin qui sviluppate, possiamo finalmente cercare di individuare alcune linee conclusive del discorso, aperte ad ulteriori approfondimenti.
Anzitutto si deve sottolineare che l'autentico messaggio dell'enciclica non può essere ridotto ad un ridimensionamento della giustizia né ad un semplice richiamo, in chiave puramente individualistica e privata, al valore umano della bontà o della tolleranza. La proposta della misericordia può essere efficace, secondo l'enciclica, solo se colta nel suo nucleo teologico e se allargata a criterio ispiratore e vivificatore della sua vita sociale. La denuncia della crisi della giustizia e l'annuncio di una misericordia in grado di rigenerare la giustizia stessa testimoniano in maniera inequivocabile la possibilità, il dovere, l'urgenza di liberare la misericordia dagli angusti confini della coscienza e di portarla sugli spalti e nel cuore della polis.
L'"amore misericordioso che costituisce il messaggio messianico del Vangelo" (n. 14) interpella quindi la crisi morale e culturale del nostro tempo con un annuncio di salvezza che è anche una promessa di liberazione e di giustizia per tutti. In questa ottica, tutti gli uomini di buona volontà sono chiamati ad una verifica della giustizia in nome della misericordia, mentre i cristiani, in particolare, sono esortati ad una verifica della misericordia in nome della giustizia.
4.2 In primo luogo l'enciclica chiede agli uomini di questa generazione, per usare le parole di Agostino, di "trasferire la giustizia nel cuore" (38), non per attenuarne o edulcorarne la forza, ma, al contrario, per renderla più attenta e più esigente ai bisogni dell'uomo. Una misericordia che sta dentro la giustizia, e non accanto ad essa, "ha come centro della sua forza l'amore morale del valore e della persona" (39) e può, in maniera decisiva, "contribuire a soddisfare i bisogni dell'umanità" (40).
Secondo questa proposta, "esser giusti - è stato scritto - vuol dire operare perché ogni uomo partecipi al bene, possa espandersi nel bene, ed espandere il bene" (41). Ciò che 'spettà ad ognuno va quindi inteso nella prospettiva dell'essere e non in quella dell'avere (42), e dunque in una prospettiva dinamica e creativa. L'apertura della giustizia alla misericordia suppone quindi la testimonianza comunitaria, oltre che personale, di un amore capace di rigenerare interiormente e continuamente il mondo della cultura, del diritto, della politica, dei rapporti sociali.
Diciamoci la verità: ad una giustizia riscoperta nella sua integralità non potrà certo bastare l'amore anemico e sentimentale, a cui spesso i cristiani riducono il messaggio evangelico, quasi una sorta di elegante e privato galateo spirituale, fatto di richiami generici ed inconsistenti. "Dissociare la carità dalla giustizia - è stato scritto - sarebbe un errore fatale, la perversione stessa dell'amore cristiano" (43), quell'amore che, secondo la DM, è per sua essenza "creatore" (n. 14) e guidato, si potrebbe aggiungere, dallo spirito del futuro, più che da quello del passato (44).
4.3 I cristiani sono chiamati, su questo punto, alla testimonianza di una misericordia che sia in grado di spingere continuamente la giustizia e formulazioni sempre più alte e più umane. Ha scritto Maurice Nédoncelle: la giustizia è "una carità che conserva le sue conquiste senza superarle,... una carità dagli occhi bendati, una memoria ostinatamente attiva che non crea nulla ma regola vecchi conti con severa precisione" (45). Se oggi sembra trionfare una giustizia ridotta allo spirito di rivalsa è perché la pressione della misericordia si è allentata e gli uomini si sono irrigiditi nella difesa ombrosa dei propri privilegi. È in questo caso, allora, che la giustizia si degrada e diventa, come nella parabola dei vignaioli (cfr. Mt 20,1 ss), invidiosa del bene.
È sul terreno dell'amore, dunque, che può decidersi un diverso futuro dell'umanità; tutti i cristiani debbono ricordare a questo riguardo le note parole di S. Agostino: "Due amori hanno costituito due città: l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrena, l'amore di Dio spinto fino al disprezzo di sé ha costruito la città celeste" (46). Prima che iuris consensus, ciò che costituisce un popolo è infatti, secondo S. Agostino, la "concorde comunione delle cose che esso ama" (47).
Compito storico dei cristiani, allora, sembra proprio quello, attraverso le debite mediazioni personali e culturali e nell'ambito di un equilibrato pluralismo, di offrire una nuova traduzione storica della misericordia, che si presenti come amore della cultura e insieme come cultura dell'amore (48) e lavori, sul piano degli ordinamenti giuridici, per anteporre il bene comune alle esigenze dei singoli o delle classi e, sul piano politico, per costruire uno Stato che non sia solo garante di una equa distribuzione dei beni, ma si faccia carico delle disuguaglianze e impegni ogni energia per rimuoverle (49).
Solo un amore ricco di misericordia potrà quindi superare la giustizia degli scribi e dei farisei (cfr. Mt 5,20) e diventare autentica coscienza critica della giustizia, che mette in guardia contro il mito prometeico ed il suo rovesciamento nihilistico (50) e nello stesso tempo s'adopera attivamente per un'opera concreta e continua di evangelizzazione della giustizia (51).
4.4 D'altro canto, però, la società contemporanea non ha soltanto bisogno di un annuncio di misericordia ridotto e giocato tutto sul piano di una militanza intransigente in nome della giustizia sociale. La proposta cristiana dell'amore non può mai disgiungere la difesa della giustizia dell'annuncio della misericordia e dell'amore di Dio. I cristiani non possono dimenticare che "su tutti pesa - come ha scritto Michele Federico Sciacca - uno sconforto, un fallo, un rimorso, un peccato" e "la misericordia di Dio, che rende efficace e santa la misericordia umana, le dà il suo 'tonò vitale ed esistenziale perché la dona una dimensione nuova, quella per cui l'uomo attinge tutta la sua altezza" (52).
Per questo il cristiano deve ricordare che la pienezza della giustizia è possibile solo nella città di Dio (53) e che quindi solo nella giustizia misericordiosa di Dio l'uomo può sperare e trovare la salvezza. Per gli stessi motivi, i cristiani debbono mettere in guardia contro ogni totalitarismo terreno, da intendere quasi come "il demone meridiano di ogni sete di giustizia che perda la consapevolezza della intrinseca limitatezza dell'uomo, della sua radicale incapacità di essere pienamente, compiutamente, definitivamente giusto, in ogni società" (54).
A tal fine è veramente indispensabile rinsaldare e ricostruire su basi nuove, accogliendo anche il recente invito dell'episcopato italiano (55), una esperienza di comunione, che si ponga seriamente il problema di testimoniare la misericordia, attraverso quelle scelte di povertà, anche materiale, a cui la figura e la testimonianza di S. Francesco, nella particolare ricorrenza dell'VIII centenario della nascita, dovrebbe ancora più richiamarci. Una povertà che non sia, come ha scritto Mounier, "un ascetismo indiscreto, o una certa avarizia vergognosa, ma una diffidenza nei confronti della pesantezza degli attaccamenti, un gusto della semplicità, uno stato di disponibilità e di leggerezza" (56) che sappia proporre alla società dell'opulenza "nuove forme di distacco" (57).
Accanto ai valori della comunione e della povertà, l'annuncio della misericordia non può disgiungersi da una riscoperta e da un gusto nuovo della preghiera, come la prima ed originaria esperienza di misericordia che può allargare veramente l'orizzonte del nostro cuore.
Misericordia e giustizia, oggi più che mai, diventano quindi i termini fondamentali sui quali il Cristianesimo contemporaneo è chiamato a verificare la sua autenticità. Come ha scritto Pascal, "poiché due sono le fonti dei nostri peccati, la superbia e l'accidia, Dio ci ha rivelato, in lui, due virtù per guarircene: la misericordia e la giustizia" (58). A queste parole si potrebbero aggiungere quelle, altrettanto significative, di Martin Luther King: "A volte noi abbiamo bisogno di sapere che il Signore è un Dio di giustizia: quando i giganti dormienti dell'ingiustizia si levano sulla terra, abbiamo bisogno di sapere che vi è un Dio di potenza che può falciarli come l'erba e come l'erba verde lasciarli appassire... Ma si danno casi in cui abbiamo bisogno di sapere che il nostro è un Dio di amore e di misericordia. Quando siamo sbattuti dai gelidi venti dell'avversità e percossi dalle furiose tempeste della delusione, e quando nella nostra follia e nel nostro peccato ci sviamo in qualche lontana terra di perdizione e siamo frustrati a causa di uno strano sentimento di nostalgia, allora abbiamo bisogno di sapere che vi è Qualcuno che ci ama, che ha cura di noi, che ci comprende e ci darà un'altra possibilità. Quando i giorni si fanno bui e le notti tetre, - conclude Martin Luther King - noi possiamo essere riconoscenti perché il nostro Dio riunisce nella sua natura una sintesi creativa di amore e di giustizia che ci condurrà, attraverso l'oscura valle della vita, fino ai luminosi sentieri della speranza e del compimento" (59).
4.5 Per questi nuovi orizzonti che apre, la DM può dunque davvero considerarsi come "una carta del risveglio cristiano (60), carica di forza profetica per i nostri tempi. Ad una società in gran parte ridotta ad un deserto bruciato dall'egoismo, ormai devitalizzata dal consumismo più squallido e insieme percorsa dai sussulti sanguinosi di avanguardie intolleranti e fanatiche, i cristiani non possono offrire all'uomo contemporaneo, sempre più offeso, umiliato, scettico e smarrito, solo la promessa di microesperienze salottiere e pseudoecclesiali, riscaldate da una benevolenza prudentemente circoscritta e socialmente evasiva.
È tempo che i cristiani prestino mani e piedi alla misericordia di Cristo, perché essa torni a camminare visibilmente sulle strade del mondo. In un'età, come ha scritto Robert Musil, dove solo i criminali osano far del male al prossimo senza una filosofia, dove la gente ha paura di guardarsi negli occhi per non scorgervi il vuoto interiore e la fretta di arrivare, ormai bruciate le risorse umane della tolleranza e della pietà, non resta che seminare la misericordia soprattutto là dove non crescono frutti di giustizia.
La misericordia è l'amore che fiorisce oltre i confini della simpatia e della semplice benevolenza e che può raggiungere l'uomo che soffre e che dispera. "Quanto più sarà messo in croce, - ha scritto Giuseppe Capograssi - tanto più l'individuo tornerà a credere in Dio e nella giustizia" (61). Per questo "la prima misericordia verso noi e verso gli altri è quella di tener sempre presente la nostra indigenza e di accettarne le conseguenze: non di sfidare sprezzantemente il dolore e la morte, ma di amare il dolore santamente e la morte, che è amare la Croce" (62).
Questo annuncio di misericordia e di giustizia interpella l'umanità che s'avvia al secondo millennio, che mai ha avuto a disposizione strutture, risorse e possibilità economiche così sovrabbondanti e che tuttavia mai forse prima d'ora ha conosciuto squilibri così gravi nello sviluppo e nella distribuzione delle ricchezze. Una società culturalmente e tecnologicamente così progredita, dove la proclamazione della giustizia serve a radunare parlamenti, ad istituire tribunali e ad organizzare il consenso di folle innumerevoli, permette che l'uomo muoia ancora di fame ai bordi delle strade e nelle periferie delle metropoli; che sia torturato, imprigionato, sequestrato, assassinato, derubato dei suoi diritti più elementari, compreso il diritto di nascere e forse, tra non molto, anche il diritto di morire.
Ad una maggioranza che si spegne lentamente perché non ha il necessario per vivere, s'oppone una minoranza che ha solo problemi di diete e di digestione. Ad una maggioranza priva di lavoro, di assistenza e di istruzione, s'oppone una minoranza che ha solo problemi di week-end e di tempo libero. Ad una maggioranza sempre più debole ed indifesa s'oppone una minoranza che si permette il lusso di fronteggiarsi con armi sempre più micidiali e potenti, magari dopo un adeguato periodo di collaudo e di sperimentazione sulla pelle dei poveri.
4.6 Solo un amore ricco di misericordia di questa situazione, può ammonire con le parole di S. Agostino: "Tu dai il pane all'affamato, ma sarebbe meglio se nessuno avesse fame" (63). Solo un amore ricco di misericordia può liberare dall'ingiustizia della fame, della droga, della guerra, spezzando il cerchio infernale di una corsa al riarmo, affidata ai gelidi equilibri di una giustizia ridotta a macabra contabilità di morte.
Dinanzi a tutto questo, i cristiani devono lavorare, studiare, pregare, soffrire, per ritrovare una nuova identità, una nuova comunione, una nuova presenza, respingendo fermamente l'idea di una giustizia sociale e di una misericordia privata e ricongiungendo misericordia e giustizia nella grandezza e miseria dell'uomo peccatore redento da Cristo. È su questo terreno, prima che su quello delle organizzazioni, dei gruppi, dei partiti politici, che i cristiani devono ricostruire una speranza culturale e morale diversa, sostituendo alle relazioni umane irrigidite dalle ideologie la forza vivificante e liberante della comunione.
In questa prospettiva, vivere da cristiano nella società significa sempre e prima di tutto introdurre dei germi di misericordia là dove si edifica la giustizia. "È possibile insegnare storia, letteratura, matematica da cristiano - esemplifica al riguardo Maritain - non già tentando di far dire alla matematica qualcosa di cristiano, ma pregando per i propri alunni e amandoli" (64).
Per tutti coloro che pongono nel professare Cristo la ragione più profonda della loro vita, s'impone oggi più che mai l'urgenza di misurarsi con il proprio tempo, lasciandoci giudicare sull'amore.
Nella consapevolezza di questo compito storico che la DM affida a tutto l'uomo e a tutti gli uomini, terminato questo convegno di studio e di meditazione che non poteva avere collocazione più degna di questo Santuario dell'Amore Misericordioso, voluto dal cuore e dalla fede di Madre Speranza, nella consapevolezza dei nostri limiti, ma anche delle nostre speranze e delle attese del mondo che ci circonda, non ci resta, credo, nel riprendere il nostro cammino di uomini, che una grande gioia ed un'unica tristezza: la grande gioia di un annuncio di amore e misericordia che salva l'uomo anche nell'ultimo istante di una vita perduta e abbandonata, ed un'unica tristezza, per usare le parole di Léon Bloy: la tristezza di non essere santi (65).
NOTE:
1) Cfr., tra gli altri, B. SORGE, Aprire l'uomo a Dio e la giustizia all'amore, "La civiltà cattolica", CXXXI (1980), n. 3132, p. 536; A. LATTUADA, Quando la giustizia non basta nell'enciclica "Dives in misericordia", "Vita e pensiero", LXIV (1980), n. 1, p. 13.
2) Questa "chiave di lettura" è proposta da B. SORGE, loc. cit., p. 537.
3) Redemptor hominis, n. 16.
4) "Giovanni Paolo II - scrive Mario Pomilio - deve aver fortemente sofferto il dramma di un'epoca che ha visto troppo spesso all'opera il principio della giustizia, troppi eventi nei quali si è operato mostrando di amare più le idee che gli uomini, troppe rivoluzioni per effetto delle quali è andata calpestata la dignità di coloro in nome dei quali le si voleva realizzare" (M. POMILIO, La misericordia e la dignità dell'uomo, "Idea", XXXVII (1981), n. 1-2, p. 77).
5) Cfr. G. DALLA TORRE, "Diritto, Giustizia, Misericordia", in "Dives in Misericordia". Commento all'Enciclica di Giovanni Paolo II. Paideia 1981. pp. 285-303.
6) "È antichissima osservazione che la legge giuridica può essere ingiusta, che il diritto può essere esercitato per scopi ingiusti. È noto che ci sono state concezioni del diritto e dei suoi rapporti con la morale, che hanno visto l'essenza del diritto proprio in questa possibilità: posso esercitare il mio diritto proprio per opprimere l'altro,... per creare un mio ordine, che non è l'ordine della vita, ma che cerca di attuare per me, di far servire a me l'ordine della vita "(G. CAPOGRASSI, Introduzione alla vita etica, Torino 1953, p. 51).
7) Sottolinea questo aspetto anche A. DEL NOCE, Il "primato dell'amore", "Idea", XXXVII (1981), n. 1-2, pp. 67 s.
8) Gaudium et Spes, n. 10.
9) Si possono ricordare qui, a titolo puramente indicativo, le affermazioni secondo cui la giustizia si identifica con l'essenza di Dio in S. Agostino, Epist., 120, 4, 19 e S. TOMMASO, Summa Theol., I, q. 21, a.1 ad 4; I-II, q. 100, a.8 ad 2. In particolare, accettando la definizione di Plotino, S. Tommaso parla di "justitia Dei" come "observato legis aeternae in suis operibus" (Ivi, I-II, q. 61, a.5). Per questo si può parlare della giustizia come amore del sommo bene (cfr. S. Agostino, De mor. Eccl. cath., 1, 15; De div. quaest. LXXXIII, XXXI; De civ. Dei, XIX, 4; 21; 27).
10) A. BAUSOLA, Giustizia, amore, misericordia nell'enciclica "Dives in misericordia", "Vita e pensiero", LXIV (1981) n. 1, p. 20.
11) S. TOMMASO, Summa Theol., II-II, q. 117, a. 5 ad 3.
12) Cfr., tra gli altri, B. SORGE, loc. cit., p. 532; A. LATTUADA, loc. cit., p. 15; A. BAUSOLA, loc. cit., p. 22; G. DEL NOCE, loc. cit., p. 63.
13) Gaudium et Spes, n. 73; sul rapporto tra giustizia e amore v. inoltre i nn. 30 e 69.
14) Ivi, n. 41. Anche S. Tommaso, del resto, oltre a parlare della giustizia come virtù generale (cfr. Summa Theol., I-II, q. 66, a. 4; II-II, q. 58, a. 5 e 12) ricorda che la carità anima e sostiene tutte le virtù, giustizia compresa (cfr., 3 Sent., d. 27, q. 2, a.4, qc. 3).
15) La giustizia nel mondo, Roma 1971. Sulla interconnessione tra giustizia e Vangelo cfr. pure Evangelizzazione e promozione umana, Roma 1975, p. 18. Questi aspetti sono anche adeguatamente ripresi nel catechismo degli adulti Signore da chi andremo?, Roma 1981, soprattutto alla pp. 426-430.
16) J. MARITAIN, Il contadino della Garonna, tr. it., Brescia 1977 (8), p. 301.
17) Un'interpretazione complessiva del pensiero moderno, volta ad evidenziare lo stretto rapporto tra immanenza ed ateismo, è quella di C. FABRO, Introduzione all'ateismo moderno, 2 voll., Roma 1969.
18) Secondo Trasimaco di Calcedonia, ad esempio, il "giusto è nient'altro che il vantaggio del più potente" (PLATONE, Repubblica, 338 c).
19) Ivi, 443 c - d.
20) ARISTOTELE, Eth. Nicom., E 1, 1129 b 27 - 30.
21) Ivi, E 5, 1133 b 32 - 1134 a 1.
22) La giustizia particolare si articola, secondo Aristotele, in giustizia distributiva, che si applica alla ripartizione dei beni secondo una produzione aritmetica, e in giustizia pareggiatrice, che regola i rapporti scambievoli tra gli uomini e si distingue, a sua volta, in commutativa e giudiziaria (cfr. in proposito G. DEL VECCHIO, La giustizia, Roma 1946, pp. 53 ss.).
23) Cfr. S. AGOSTINO, De civ. Dei, II, 21.
24) CICERONE, De officiis, III, 6.
25) Cfr. G. DEL VECCHIO, op. cit., pp. 86 s.
26) Celebre l'affermazione secondo la quale la validità della norma è tale "etiamsi daremus non esse Deum" (GROZIO, De iure belli ac pacis, Prolegomena, 11).
27) L. MENGONI - C. CASTRONOVO, Profili della secolarizzazione nel diritto privato, "Ius", XXVIII (1981), n. 1, p. 9.
28) Cfr. L. BAGOLINI, Visioni della giustizia e senso comune, Bologna 1968, pp. 177 ss.
29) R. M. HARE, Libertà e ragione, tr. it., Milano 1971, p. 283.
30) Ivi, p. 294.
31) M. HEIDEGGER, Sentieri interrotti, tr. it., Firenze 1968, p. 208.
32) Ivi, p. 137.
33) C. Lévi-Strauss, Mito e significato, tr. it, Milano 1980, n. 16 s.
34) M. FOUCAULT, Le parole e le cose, tr.it., Milano 1967, pp. 413 s.
35) P. J. PROUDHON, Sistema delle Contraddizioni Economiche, tr. it., Catania 1975, p. 179.
36) K. MARX, Critica del programma di Gotha, tr. it., Roma 1968, p. 38.
37) MAO TSE-TUNG, Scritti filosofici, politici e militari, tr.it., Milano 1968, pp. 584 s.
38) S. AGOSTINO; De Trin., XIV, 15, 21.
39) B. HAERING, La legge di Cristo, Brescia 1964, vol. III, p. 39.
40) J. DIES ALEGRIA, Giustizia, in Sacramentum mundi, Brescia 1975, vol. IV, p. 312.
41) A. BAUSOLA, loc. cit., p. 21.
42) Cfr. Redemptor hominis, n. 16; Gaudium et Spes, n. 35.
43) J. ALFARO, Teologia della giustizia, Roma, p. 44.
44) Cfr. A. BAUSOLA, loc. cit., p. 21.
45) M. Nédoncelle, Verso una filosofia dell'amore e della persona, tr. it., Roma 1959, p. 59.
46) S. AGOSTINO, De civ. Dei, XIV, 28.
47) Ivi, XIX, 24.
48) L'impegno "a delineare una organica pastorale della cultura" è presente anche nel recente Documento della CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, Roma 1981, n. 28.
49) Cfr. S. LENER, Lo Stato sociale contemporaneo, tr.it., Roma 1966.
50) Cfr. A. DEL NOCE, loc. cit., p. 64.
51) Cfr. Gaudium et Spes, n. 76.
52) M. F. SCIACCA, L'ora di Cristo, Milano 1973 (2), p. 264.
53) Cfr. S. Agostino, De civ. Dei, II, 21.
54) G. CAMPANINI, Giustizia, in Dizionario Teologico Interdisciplinare, Torino 1977, vol. II, p. 260.
55) Cfr. Il Documento La Chiesa italiana e le prospettive del Paese, cit., n. 14.
56) E. MOUNIER, Manifesto al servizio del personalismo comunitario, tr.it., Cassano 1975, p. 174.
57) Ivi, p. 175.
58) B. PASCAL, Pensieri, ed. Serini, n. 521 (tr.it., Torino 1967 (2), p. 218).
59) M.L. KING, La forza di amare, tr. it., Torino 1968 (5), pp. 26 s.
60) A. DEL NOCE, loc. cit., p. 68.
61) G. CAPOGRASSI, op. cit., p. 114.
62) M.F. SCIACCA, op. cit., p. 269.
63) S. AGOSTINO, In Jo. Ep., 8,5.
64) J. MARITAIN, op. cit., pp. 310 s.
65) Cfr. J. MARITAIN, op. cit., p. 312.