Giussani don Luigi
LA DM NELLA TESTIMONIANZA E NELL'ESPERIENZA DI C.L.
Gesù, dice il Papa, soprattutto con il Suo stile di vita e con le sue azioni ha rivelato come nel mondo, in cui viviamo, è presente l'amore, l'amore operante, l'amore che si rivolge all'uomo con l'abbraccio di tutto ciò che forma la sua umanità. È questa la figura pedagogica che ovviamente un cristiano deve tener presente.
Scrive il Papa: "Appunto il modo e l'ambito in cui si manifesta l'amore, viene denominato nel linguaggio biblico: misericordia".
Così cerchiamo di concepire la comunità cristiana: modo e ambito in cui si manifesta l'amore... la definiamo come il luogo della misericordia.
La comunità cristiana è il luogo della misericordia in cui viene abbracciato dell'uomo tutto ciò che forma la sua umanità. Ed è forse per questo che io amo dire che la misericordia è, profondamente, l'abbraccio, l'ospitalità, meglio, l'abbraccio del diverso. Questa diversità si fa particolarmente notare, dice ancora il Papa, nel contatto con la sofferenza, l'ingiustizia, la povertà, a contatto con tutta la condizione umana storica.
Questi nostri amici esemplificano questa pagina bellissima della Dives in Misericordia.
Ho voluto prima chiedere alla Sig.na Lia Sannicola di dare brevemente un quadro di tutto lo sforzo di misericordia che noi chiamiamo anche: educazione alla gratuità; lo sforzo di misericordia che attraverso le operazioni di carità delle nostre comunità cerchiamo di incrementare.
Poi ho pregato i Signori Zappelon di parlarci del tentativo di ospitalità che fanno, nella loro famiglia. Sono padre e madre di tre bambini. Quindi ho pregato il Dott. Guffanti che desse notizia dello sforzo di carità che cerchiamo di fare nell'Uganda, come segno di altre opere che in Missione stiamo, con la grazia di Dio, portando. Grazie!!
Sig.na Sannicola Lia
Nel movimento CL chiamiamo "caritativa" la nostra esperienza di condivisione come educazione alla gratuità, e quindi alla misericordia.
Molti giovani ed adulti di Comunione e Liberazione da anni rivelano una grande sensibilità alla situazione di bisogno delle persone handicappate. Infatti è risultato profondamente educativo alla dimensione della misericordia condividere un tipo di bisogno che fa scattare la verifica di alcuni valori fondamentali dell'esperienza cristiana.
Il valore della persona come tale, al di là di quel che sa fare o non sa fare. Il valore della sofferenza come valore positivo. Il valore della gratuità a fronte di un bisogno che raramente viene rimosso.
Queste esperienze coinvolgono sia giovani che adulti. Per quanto concerne gli oneri il nostro movimento si fa carico di individuare e di proporre degli ambiti che consentano di realizzare esperienze giudicate valide da un punto di vista educativo. In esse i giovani vengono accompagnati da persone adulte e vengono aiutati e guidati in una verifica. Dico brevemente gli ambiti.
La caritativa in grosse istituzioni assistenziali. In alcune di queste abbiamo una presenza anche di 200 giovani, che vi si recano al sabato e alla domenica e si impegnano nelle attività che vanno dal gioco all'assistenza delle persone in difficoltà. Poi queste giornate di impegno terminano con una assemblea in cui c'è il momento di preghiera e di verifica. Questo tutte le settimane.
La caritativa realizzata per impegnare i giovani che vivono in famiglia e che frequentano i "centri giovani" nel tempo libero, nelle vacanze.
La caritativa presso le famiglie che hanno casa un bambino handicappato, in genere grave, e che sono molto appesantite da un problema del genere. I nostri ragazzi fanno compagnia a questi bambini handicappati e svolgono anche piccole commissioni, sollevano la famiglia per un paio di ore dal problema e... queste esperienze sia con i giovani che presso la famiglia hanno aperto anche le persone handicappate all'esperienza della comunità cristiana.
Infine la caritativa nelle vacanze estive. Lo scorso anno solo la comunità di Milano ha portato in vacanze più di cento persone handicappate.
Invece per quanto riguarda gli adulti, l'esperienza "caritativa" è caratterizzata da una assunzione di responsabilità più precisa e da una creatività di risposta che è espressione dell'identità cristiana in nome della quale l'impegno viene portato avanti. Molto spesso si tratta di iniziative che hanno avuto origine con una esperienza giovanile di carità cristiana e che si sono a mano a mano sviluppate raggiungendo un livello di maturità, di stabilità, e di definitività maggiore: esperienze che sono diventate più strutturate.
Abbiamo delle famiglie che hanno preso in affidamento dei bambini handicappati.
Le nostre comunità accolgono stabilmente, durante la domenica e per le vacanze, persone che vivono negli istituti.
Sono sorte diverse associazioni che aiutano gli handicappati con il lavoro; man mano che il bisogno cambia vengono ristrutturate le attività. Sono state costituite delle Case-famiglia una delle quali è in Calabria.
Infine abbiamo alcune cooperative sia di tipo educativo che di rieducazione al lavoro. Comunque queste cooperative hanno la caratteristica di essere un sopporto alla famiglia. Rappresentano in qualche modo la dilatazione della dimensione dell'accoglienza che è propria della famiglia. A partire da queste esperienze sono maturate diverse professionalità, per cui molti giovani sono indirizzati a professioni quali psichiatria, fisioterapia ecc.
Nel mese di ottobre si è svolto a Forlì un convegno che voleva mettere a confronto queste esperienze e farle conoscere per un approfondimento. C'erano oltre mille operatori e l'affluenza di esperienze provenienti da circa cinquanta città d'Italia. La cosa che è stata veramente bella era vedere come gruppi che non avevano avuto mai l'opportunità di incontrarsi si riconoscevano in punti comuni. Li dico brevemente:
1^ - Sono esperienze nate perché qualcuno si è assunto una responsabilità. Qualcuno ha fatto delle scelte, ha rischiato personalmente.
2^ - Sono tutte esperienze che hanno rivelato una grossa consapevolezza di appartenere ad una esperienza vissuta di comunità cristiana che è in grado di costituire un soggetto che mosso da un ideale è capace di porre la sua responsabilità a servizio dell'uomo e di condividere il bisogno.
3^ - Il metodo, cioè la condivisione come decisione personale, giocata ogni volta, di mettere la propria vita in comune con quella dell'altro, in nome dell'appartenenza alla stessa origine e allo stesso riconoscimento semplice, qualificata questa esperienza al di là del tempo e delle forme che la condivisione assume.
4^ - Una dignità culturale, cioè una capacità di giudizio e di proposta che anche nel livello più iniziale costituiscono una reale novità ed una possibilità immediata per chiunque, una via praticabile.Io volevo concludere con un giudizio... finale su questo momento di Forlì. Noi a maggio ci siamo battuti con passione e credendoci fino in fondo, per il problema dell'aborto. E abbiamo detto che qui il problema non era l'aborto ma la vita, l'accoglienza della vita. Queste esperienze di condivisione con gli handicappati, sono l'espressione della vita che noi abbiamo affermato in quella occasione.
Coniugi Zappelon, Angela e Mario
Io mi chiamo Angela ed anzitutto voglio ringraziare del dono che il Signore oggi mi ha fatto di trovarmi qui con voi. Ringrazio il Signore anche per un altra cosa, per avermi amata, voluta e fatta crescere nella Chiesa, così da darmi l'occasione di vivere l'esperienza cristiana, quell'esperienza che adesso brevemente racconterò e alla quale ci siamo sempre dati con anima e cuore, aggrappati al Signore.
Mario, mio marito, e io abbiamo passato la metà della nostra vita (25 anni) con i nostri familiari e poi siamo emigrati dal Veneto in Lombardia. E, come emigrati, abbiamo avuto una vita dura, molti dolori e sofferenze di ogni genere.
Guardandoci un momentino attorno, avendo appunto acquisito dalla famiglia e dalla Chiesa, dai nostri sacerdoti che ci hanno educato, una educazione alla fede e al sacrificio, guardandoci attorno abbiamo visto dei bisogni che andavano oltre i nostri. Noi se non altro eravamo in due, potevamo portare dei pesi in modo più agile, mentre invece ci accorgevamo che c'erano persone che non avevano assolutamente niente; né la casa, né il lavoro, niente, assolutamente niente.
Per cui guardandoci attorno abbiamo capito che non era sufficiente pregare, non era sufficiente restare uniti nelle associazioni, strumenti che la Chiesa in quel tempo ci offriva, ma bisognava uscire per vivere la misericordia, la misericordia che il Signore ha avuto anzitutto per noi. Quindi abbiamo cominciato con una accoglienza così... possibile a tutti. Abbiamo aperto la nostra casa, piccola, due locali, a persone sole, che venivano per i pasti con noi o per giocare o stare insieme.
Più avanti si sono presentati dei casi più difficili di bambini abbandonati perché avevano le madri ammalate o comunque casi molto disperati.
Nella nostra famiglia abbiamo accolto in 25 anni di matrimonio circa 30 persone, tutti casi portati a termine abbastanza bene, gente cioè molto ricuperata che ha ricominciato a vivere e a sperare nella vita.
Circa tre anni fa abbiamo avuto la fortuna e il dono di incontrare il movimento di "Comunione e Liberazione". Avendo noi tre figli ormai grandi ci preoccupavamo per loro, particolarmente per la loro fede.
Questo movimento è stato per noi di luce. Ha dato a noi un respiro molto più ampio, una misericordia che abbiamo sentito su di noi e così abbiamo anche il coraggio di affrontare dei problemi in maniera più grossa, cioè un'accoglienza che si è allargata. Avevamo allora tre bambini accolti nella nostra famiglia, tre bambini che ora hanno 12, 11 e 8 anni. Quando a questi amici di CL abbiamo esposto il nostro desiderio di aprire una casa di accoglienza, chiedevamo anche delle persone che volessero condividere la nostra esperienza, in modo stretto, in vita di comunione e di comunità. Il Signore ci ha fatto subito il dono di due persone grandi e adulte nella fede: una donna di 35 anni sposata, senza figli, vedova, e un ragazzo di 28 che adesso vivono con noi; ed in questa casa che abbiamo aperto, facciamo una vita di comunione e di accoglienza.
Noi siamo: io, mio marito, i tre figli che hanno 24 anni la ragazza, 22 un maschio e l'altro 18, una quarta figlia che è nata malformata, avrebbe ora 12 anni. È vissuta 6 mesi e mezzo. Il desiderio era stato sempre quello di avere degli amici nella fede perché fosse segno di amore nel mondo. Questa gioia non l'avevamo mai avuta prima, almeno come l'abbiamo adesso.
Il movimento che abbiamo incontrato ci ha proprio sbloccato la strada. Non so come dire, non vorrei esagerare, comunque noi abbiamo cominciato una vita nuova con questa gente.
In casa attualmente siamo in 15 persone, però fino a qualche mese fa eravamo in 21. Abbiamo accolto, oltre i tre bambini che ci siamo portati con noi in questa casa, abbiamo accolto una schizofrenica gravissima, malata di mente, incinta, non si sapeva ad opera di chi. Separata dal marito, con il figlio di nove anni che è affidato al padre. Questa donna è venuta in casa nostra in condizioni disastrose. Ora la bambina ha dieci mesi. Da giugno questa donna è tornata a casa, ha ripreso il lavoro in una ditta dove lavorava anni fa... la bambina è stata accolta insieme alla madre dai genitori di questa donna e sta benissimo.
Un altro caso di una donna di 25 anni, sposata, separata anche lei con una bambina di 9 anni: questa donna era finita in un giro veramente brutto e grosso di prostituzione, è stata con noi 8 mesi, ha vissuto una vita serena con noi, ha dimenticato tutte le amarezze (o quasi) perché lei era arrivata a 4 aborti in due anni e 4 tentativi di suicidio, ora vive bene e serena e... crede nella vita.
Abbiamo poi accolto una famiglia, un piccolo nucleo famigliare di madre di 42 anni con due figlie, una sordomuta di 11 anni ed un figlio di 15. Questa famiglia da pochi giorni è stata sistemata perché già indipendente con il lavoro, anche il ragazzo che già ha diciassette anni lavora, la ragazzina studia.
Poi una ragazza madre di 19 anni con una bimba di un anno, anche lei 4 tentati suicidi; ora questa donna è tornata con il papà della bimba e da otto giorni vive in un appartamento che noi gli abbiamo procurato e lavora.
Poi abbiamo accolto un ragazzo di 17 anni. Ha una storia molto triste, una storia dolorosa anche per noi, perché questo ragazzo dopo 5 mesi di vita in casa nostra, con difficoltà grosse, si è rimesso nel giro, nella compagnia di prima e una sera in 5 o 6 minuti ci ha fatto un danno di sei milioni. Ha distrutto le macchine. Questo ragazzo poi è andato un po' per il mondo, però ogni tanto si fa sentire, anche ieri sera ci ha telefonato. Vorrebbe essere riaccolto. Questo è un caso nel quale noi aspettiamo un momentino, anche perché abbiamo dei bambini in casa e ha procurato un po' di paura a tutti.
Abbiamo anche una ragazza di 14 anni e mezzo, accolta un anno e mezzo fa con delle esperienze incredibili perché lei ha girato mezza Italia; quando veniva presa dai carabinieri, la riportavano a casa e lei scappava. Questa ragazza è come uno dei miei figli. Lei pregava con noi, vive la nostra vita, sta facendo un lavoro su di sé. È veramente un miracolo del Signore che vediamo sotto i nostri occhi. Noi trattiamo tutti senza fare preferenze: non le faccio nemmeno ai miei figli. Siamo tutti una grande famiglia. Questo è il metodo.
Noi pensiamo che la persona è stata creata libera dal Padre e che a un certo momento quando gli hai dato tutto, gli hai donato tutto l'amore che hai dentro di te, questa persona non puoi trattenerla, cioè non puoi nemmeno proibirgli di fare delle pazzie nella vita, di rovinarsi la propria vita.
Io adesso vorrei lasciare a mio marito di dire due parole su come viviamo la giornata nella nostra casa: è molto importante.
Mario Zappelon
Prima di tutto la casa è stata acquistata con la generosità dei giovani, che veramente sono stati meravigliosi. In un mese abbiamo raccolto 100 milioni. La casa ci costa circa trecento.
Comunque nella nostra famiglia, nella nostra comunità, tanti non crederanno, regna un'armonia, una pace, una serenità veramente meravigliosa. Si sente proprio l'amore di Cristo che passa attraverso le nostre povere persone e va a toccare i cuori di questi rifiuti della società.
Ecco, noi abbiamo voluto soprattutto darci una regola per impegnarci veramente in questo lavoro.
Come base abbiamo la preghiera e la povertà, aperta all'accoglienza.
La preghiera per me è stata sempre la base della mia vita. Fin da giovane io pregavo il Signore perché mi tenesse sempre dentro il suo cuore anche a rischio di tanti sacrifici e sofferenze. Ne abbiamo passate tante, però io ero sempre nella certezza che Dio, prima o poi, mi avrebbe dato il centuplo che Lui ha promesso fin da questa vita.
Infatti noi adesso stiamo godendo questa gioia comunitaria. Gesù pregava il Padre perché noi fossimo una cosa sola e a questo noi ci teniamo prima di tutto. E dopo ogni cosa si può verificare che il miracolo passa.
Noi al mattino recitiamo Lodi in due gruppi diversi secondo le esigenze di lavoro, poi a mezzogiorno la preghiera prima dei pasti, Ora Media per quelli che rimangono a casa, Vespri prima di cena - allora ci siamo tutti - e prima di coricarsi, che va a finire verso mezzanotte, Compieta.
Ecco, bisogna vedere, a mezzogiorno, a sera, quando siamo tutti riuniti attorno alla mensa gustiamo veramente la gioia dello stare insieme. Ognuno racconta le sue e anche le persone che arrivano lì con la disperazione nel cuore, prima o poi, rientrano in una normalità e con una grande speranza di vivere la propria esistenza. Signora Zappelon Angela Posso fare un piccolo bis? Ho dimenticato un particolare molto importante: la "Caritas" di Milano mette a disposizione della nostra casa gli obiettori. Abbiamo avuto un obiettore subito dopo una settimana che abbiamo aperto la casa ed è stato veramente utile per noi anche perché questa persona condivide appieno la nostra esperienza.
Altri ne potremo avere, anche il nostro figlio ultimo resterà con noi.
Ci accorgiamo di una cosa bellissima. Molte persone intorno (intanto tutti hanno un grande rispetto), anche se non capiscono fino in fondo perché facciamo questo, vengono a trovarci per capire ed imparare come accogliere le persone.
I nostri figli hanno aderito a questa esperienza, vorrei dire quasi che ci hanno trascinato dentro loro, perché noi non abbiamo fatto altro che esprimere questo desiderio e loro veramente ci hanno messo un entusiasmo grossissimo.
E vorrei dire una cosa di un mio figlio tanto per rendere l'idea di come sono contenti. Sabato scorso siamo stati a Mestre per una testimonianza e una suora gli chiedeva: "Ma tu come fai a starci dentro in un ambiente così? Ti senti contento? Come vivi?" E mio figlio ha risposto: "La mia mamma, il mio papà mi hanno tenuto in braccio quando ero piccolo e questo mi basta, questo me lo porterò dentro per tutta la vita. Questa è la mia sicurezza perché come il Padre mi ha amato, anche mio padre e mia madre mi hanno amato. Queste sono le cose che mi bastano".
Dott. Guffanti Enrico
In pochi minuti è difficile dire la verità di una esperienza che segna grossa parte della mia vita.
È stata una esperienza che è cominciata quando facevo la Scuola Media Superiore. Ho capito la possibilità di una vita vera e nuova vivendo dentro una comunità una esperienza cristiana vera e autentica.
Dico che questa esperienza portata avanti negli anni ci ha fatto capire che la ricchezza, la gratuità, come la chiamiamo noi, dono che avevamo ricevuto, non poteva essere solo per noi ma doveva essere letteralmente per tutto il mondo, che la novità di vita doveva essere per tutto il mondo. Per questo alcuni fra noi, più grandi, avevano scelto di partire, di andare in missione, come si dice, di testimoniare a tutto il mondo la verità e la novità della vita cristiana. E noi abbiamo imparato da questi.
Nel 1969 io, la Giovanna che è mia moglie ed un amico di Varese siamo partiti per l'Uganda. Adesso io ho tre figli, noi siamo rimasti giù per 4 anni, siamo poi ritornati più volte dopo. Comunque adesso in Uganda c'è la presenza di una dozzina di persone: alcune famiglie, quattro, ed alcuni sacerdoti.
La storia è la storia di alcune persone che sono andate giù per rendere presente la "novità" che avevamo incontrato qui. Quindi il bisogno che un paese del terzo mondo ha sempre avuto e che l'Uganda in questi anni ha drammaticamente riportato all'attualità come tutti senz'altro sapete o avete sentito, era come un motivo secondario in rapporto alla ragione per cui si è scelto questo.
Abbiamo scelto di operare in Uganda per un periodo che va da quattro a cinque anni, sei anni. È stata una presenza che si è articolata in vari livelli nella società, dentro il campo sanitario, dove noi abbiamo oggi la responsabilità di una regione grossa, 3/4 del Lazio, con una ventina di dispensari ed un paio di ospedali e missionari e governativi; dentro il campo dell'insegnamento nella scuola media superiore; adesso in modo particolare ci interessiamo ad un asilo, perché il governo precedente all'attuale aveva tolto i permessi di ingresso per gli insegnanti; ma la cosa più grossa nei primi 4 o 5 anni, nata dall'incontro di noi con un sacerdote Comboniano, Padre Pietro Tiboni, è stata la fondazione di un seminario per vocazioni adulte. Seminario che ha già dato i suoi frutti, che ha già ordinato alcuni preti, (sei o sette), alcuni africani altri europei, qualcuno di noi che è andato come laico per fare il servizio civile e poi ha scelto di entrare in seoinario (Alfonso). Questo è stato come il gesto più grosso e più importante, perché più esprime la ragione della scelta fatta, perché più esprime il desiderio di comunicare, dentro la situazione dell'Uganda, l'incontro e la novità che noi avevamo fatto qui. E l'esperienza nostra è stata l'esperienza che dal 69 a oggi ha visto il colpo di stato di Amin, ha visto la dittatura di Amin, ha visto la guerra tra la Tanzania e l'Uganda, ha visto i massacri e le violenze più oscene e più gravi di cui voi siete sicuramente al corrente, ma che solo per citare alcuni flash, hanno fatto sì che i nostri amici, magari giù con la famiglia, con due o tre bambini piccoli, fossero tagliati fuori dal resto del mondo, con ogni tipo di comunicazione, per mesi e mesi in una situazione in cui da due anni non hanno l'acqua, da due anni non hanno la luce, in condizioni di questo genere.
Ora il bello di questa esperienza, il valore di questa presenza che si è prolungata per dodici anni ed oggi continua, è stata la serenità e la tranquillità con cui ogni difficoltà è stata affrontata, ogni problema è stato condiviso, ogni situazione è stata portata avanti.
Siamo oggi, io mi riferisco all'ultima volta che sono stato giù, il gennaio scorso, in una situazione di guerra civile, nel senso che nella Capitale tutte le sere, appena vien buio si sente sparare, in una situazione in cui gli Ugandesi hanno letteralmente la paura di essere fatti fuori ogni notte, una situazione in cui soprattutto la dignità umana è stata continuamente attaccata ed è stata continuamente sminuita e in cui chi non ruba, o chi non uccide, si conta davvero sulle dita di una mano.
Dicendo questo voglio dire che fondamentalmente abbiamo capito che il motivo e la ragione per cui abbiamo fatto questa scelta è storicamente verificata, cioè è stata come convalidata dall'esperienza, è stato convalidato dall'esperienza soprattutto un fatto: che il bisogno di questi nostri fratelli, di questi amici è lo stesso bisogno che abbiamo noi. Rileggendo la Dives in Misericordia mi colpiva, in particolare, un piccolo tratto dove si dice: "Nonostante tutto il progresso, il dolore, il male, la morte, continuano a sussistere". La minaccia più grossa è che venga distrutto il diritto alla verità e alla libertà.
Ecco dentro questa situazione è avvenuto, proprio quest'anno un fatto più grande dell'aspettativa. Nel viaggio del gennaio scorso dicevo nell'incontro con i nostri amici che la cosa più importante, per una presenza lì, non era tanto annegare dentro la situazione, correndo dietro a tutte le richieste che ci sono, perché il bisogno di una situazione disperata come quella dell'Uganda è insostenibile, volendolo affrontare con le sole proprie forze. Da questo richiamo, cioè dalla necessità di dover individuare il vero bisogno è nato un cammino ed una proposta che già ha dato i suoi frutti, di cui vorrei brevemente, in due o tre minuti, dirvi alcuni segni ed alcune testimonianze.
La proposta fatta dagli amici giù che son presenti nella capitale, a Kampala, a Gulu nel nord Uganda, a Kitaum dove lavorano in ospedale, di una esperienza di comunità cristiana, esperienza di "movimento" dentro la situazione. Vi leggo una frase di una proposta da loro fata alla Conferenza teologica nazionale: "C'è una grande fede, ciascuno la professa in un ambito privato o in chiesa, non in pubblico, nel luogo di lavoro o nel posto che occupa nella società. Per questa ragione la fede in Uganda, non diventa movimento, ma rimane statica e sterile, perde ogni attrattiva e significato e non infonde energia di vita". Questa proposta che letta così sembra fatta per noi, ha suscitato negli ultimi sei mesi tutta una rispondenza e dentro il clero e dentro gli insegnanti e dentro la gente, gente che sta letteralmente morendo di fame e che vive, dal punto di vita umano, una tragedia gravissima; gente che ha risposto, come un maestro del Nord che, dopo essere uscito di prigione dove era stato torturato per quindici giorni, per il fatto di essere cristiano disse: "ma per una cosa di questo genere vale la pena di ritornare in prigione; anche in prigione testimonieremo la verità di vita che qui abbiamo incontrato". Questo tipo di proposta viene ora fatto a chiunque e dovunque: nell'ospedale dove ci si trova a lavorare, nel campo dell'insegnamento o nel campo più vasto della pastorale. Ed è bello il giudizio che viene dato da alcuni di loro: "Il cambiamento (sono traduzioni di lettere dall'inglese, che ci arrivano su) è una vita nuova ed è come la risurrezione dei morti. In Kampala ci incontriamo spesso con i cadaveri abbandonati per strada e la gente è terrorizzata, si aspetta ogni notte di essere rapinata o massacrata, vive di paura ed entra in una situazione progressiva di egoismo. Dentro una situazione senza speranza approfitta delle possibilità che ci sono. Per noi quindi è evidente che se Cristo non dà una vita nuova, come una resurrezione, non c'è alcuna possibilità di ricostruzione".
Voglio dire e concludo che dopo dieci o dodici anni di presenza si sta individuando in modo esplicito il bisogno vero. Il problema dentro la situazione è per noi quello della capacità di un giudizio: dell'individuare qual'è il bisogno vero. Qui il bisogno vero è la vera proposta, è l'annuncio di Gesù Cristo, perché questo, cambiando il cuore dell'uomo, cambia la società e il mondo.
Don Giussani:
Io mi permetto concludere chiedendo a tutti loro di pregare per i nostri giovani perché la misericordia più difficile è quella verso se stessi quando ci si scopre fragili, quando si scoprono i propri limiti e quando ci si scopre miseri. E questa è la grande obiezione che sta nel cuore dei giovani, veramente anche di tutti noi.
Ora il Papa nella sua Enciclica dice che la misericordia è più potente del peccato. Io chiedo a tutti loro di pregare perché i giovani capiscano e sperimentino che la misericordia è più potente del peccato.