Vittorina Gementi

L'AMORE MISERICORDIOSO AL SERVIZIO DEGLI HANDICAPPATI CEREBROPATICI GRAVISSIMI

A Mantova da 15 anni stiamo facendo un'esperienza di lavoro, di partecipazione pedagogica al bambino che presenta difficoltà nello sviluppo dell'intelligenza.

È un lavoro che ci ha visto e ci vede tuttora molto impegnati sotto il profilo culturale e scientifico di ricerca, sotto il profilo pedagogico e, senza accorgerci, abbiamo constatato e sperimentato che un lavoro guidato non da noi, anche se noi programmiamo, ma guidato da Qualcuno che è al di sopra di noi e che sa meglio di noi dove dobbiamo arrivare.

Infatti l'opera che in questi 15 anni si è sviluppato e che noi abbiamo visto crescere, è così grande e imponente che spaventa noi stessi che siamo dentro.

Abbiamo incominciato nel 1966 alla "Casa del Sole" con 40 bambini dai 3 anni ai 14-15, con sezioni di 4-5 bambini nella Scuola Materna, 5-6 bambini nella Scuola Elementare. Ci proponevamo allora di aiutare il più presto possibile, quei bambini che nel territorio mantovano presentavano delle difficoltà nello sviluppo del loro pensiero, perché ormai si conosceva esattamente che l'intervento precoce pedagogico per lo sviluppo intellettuale del bambino è fondamentale anche per tutta la vita dell'uomo.

Nel 1966 quando incominciammo, ci si guardava un po' con sospetto, perché in Italia eravamo i primi ad intervenire su un bambino di 3 o 4 anni cerebroleso in una struttura diurna. La "Casa del Sole" è sempre stata una struttura diurna (mai internato). Si chiamò "Istituto Medico Psico Pedagogico" perché altrimenti le leggi nel 1966 avrebbero impedito l'apertura del servizio pubblico. Partire con una struttura così era forse qualcosa nel quale non si credeva affatto. Si realizzò una struttura diurna perché immediatamente si capì il grande significato promozionale del rapporto educativo che avviene nella famiglia. Volevamo lavorare per i bambini handicappati in stretta collaborazione con i genitori. Non era passato nella mente di nessuno di noi: operatori e tecnici di essere anche di aiuto a volte determinante alle famiglie. A noi interessava fare una ricerca pedagogica, una sperimentazione scientifica, ed eravamo convinti che così facendo tutto quello che la scienza e l'esperienza ci metteva a disposizione avrebbe potuto dare ai bambini il 30/40%, il 60-70% senz'altro l'avrebbe dato la famiglia. Il nostro fine era quello di aiutare il bambino con tutti gli strumenti possibili perché il bambino potesse diventare al massimo cosciente di se stesso, per potersi realizzare come uomo.

Tradurre in sintesi il lavoro che dal 1966 ad oggi è stato fatto è impossibile. Abbiamo incominciato con 40 bambini, siamo arrivati a punte di 300, siamo attualmente a 180-200. Si continua ad offrire il servizio diagnostico precocissimo, il servizio ambulatoriale e il servizio globale. Questo servizio è molto contestato in quanto viene chiesto dall'esterno che al bambino vengano dati strumenti tecnici uguali agli altri. I genitori e gli operatori delle strutture territoriali vorrebbero da noi strumenti, tecniche, metodologie per dare al bambino la capacità del leggere e dello scrivere. Se facessimo questo probabilmente ci applaudirebbero. Noi siamo partiti nel 1966 e continuiamo oggi nel 1981, testardamente, con l'intenzione di aiutare il bambino cerebroleso a conoscere di essere uomo e di avere un pensiero; con tecniche e terapie specifiche cerchiamo di aiutare il bambino ad esprimere il suo pensiero con modalità sue proprie, non possiamo e non vogliamo strumentalizzare il bambino a fini comportamentistici o funzionali o comunque produttivi.

Nel 1966 questo non veniva richiesto, ma in questi ultimi anni sì ed è per noi una grande sofferenza sentire genitori esprimersi così: quando il mio bambino scriverà, quando leggerà?

Stare accanto a questi genitori, condividere con loro le esperienze di avere in famiglia una creatura che ha delle difficoltà relazionali congenite dovute a strutture cerebrali lese è per noi motivo di grande rispetto, ma anche motivo di grande riflessione e di sincerità.

Non possiamo promettere al genitore quello che per studi e per esperienze sappiamo essere bugia; per cui continuare il servizio alla "Casa del Sole" in questa direttiva è frutto e motivo di continui corsi di aggiornamento, di discussioni, di possibili e facili litigi, di scontri (senza mancare troppo di carità), di verifiche per constatare se davvero siamo sempre in quella luce, in quella direttiva per la quale abbiamo detto di dedicare la nostra opera educativa.

Non vogliamo che la "Casa del Sole", in termini semplici, diventi il doposcuola o la Scuola Speciale perché esiste la scuola normale; è la "Casa del Sole" con la sua funzione specifica; di aiutare scientificamente bene, se è possibile, scrupolosamente bene, le creature cerebrolese, che sono persone come noi e per le quali noi crediamo di essere sufficientemente utili perché preparati. Infatti continuiamo a studiare il modo di evolversi della mente del bambino sano e del bambino cerebroleso; non perché questa mente diventi per noi oggetto di studio o termine per dimostrare che abbiamo lavorato bene, ma per non peggiorare la sua situazione e per promuoverla al massimo.

Per questo è molto importante verificarci, guardarci, ritornare nel solco iniziale, riflettere sull'esperienza vissuta. Noi crediamo fermamente che queste persone sono davvero persone come noi, in tutto uguali a noi, che hanno il diritto di camminare accanto a noi. E con loro abbiamo fatto una grande scoperta. Mentre nel 1966 credevamo noi di essere tanto utili a loro, oggi possiamo affermare con molta semplicità, che abbiamo constatato, in questi anni di lavoro, e sono tanti, che effettivamente questi bambini hanno aiutato noi. Non sarei sincera se affermassi che solo loro hanno aiutato noi, penso di dire esattamente ciò che ho constatato e verificato giornalmente; sentiamo noi di essere utili a loro, non però in senso determinante come pensavamo, per cultura, per esperienza, per scienza.

Abbiamo constatato che nella misura con la quale noi siamo utili a loro (perché loro possano essere uomini autonomi, liberi, capaci di vivere con gli altri gioiosamente), così nella stessa proporzione anche loro, in questi anni, hanno dato a noi una capacità di verifica dei valori che noi credevamo di possedere, senza dubbi, ed hanno scavato dentro di noi una coscienza di vita che è molto, ma molto diversa da quella che possedevamo nel 1966.

Quando nel Novembre 1966 venni qui a Collevalenza a pregare un po' di giorni, all'inizio proprio dell'attività ed ebbi la grazia di incontrarmi un attimo con Madre Speranza; presentai a lei la mia richiesta di preghiere e confidai a Madre Speranza: "Ho tanta paura. Chissà se andrà!" Madre Speranza mi rispose con un bel sorriso: "Va, lavora, lavora: è opera di Dio". Ricordo che tornai a Mantova volando di gioia, nel sapere che in fondo il Signore si adeguava alle mie esigenze intellettuali e per fare qualcosa di bello interveniva con la sua grazia.

Incominciai a lavorare in questo senso. In questi anni abbiamo verificato che certi valori che noi portiamo avanti come concetti scontati, certe affermazioni sulla vita che noi cristiani affermiamo nella scuola, nella Chiesa, nella famiglia, non sono poi così certe.

Infatti quando questi valori trovano la possibilità di una verifica nella persona, allora tutte queste certezze non sono più tanto chiare.

Mi spiego: un bambino mongoloide, un bambino spastico, un bambino miodistrofico, un bambino insufficiente mentale, un bambino handicappato intellettivamente che nasce in una nostra famiglia, viene immediatamente ricevuto come un castigo, come una disgrazia, viene giudicato come effetto di una possibile colpa degli antenati. Non si dice, però noi cristiani testimoniamo questo. Se qui in sala ci fossero diversi handicappati facilmente qualcuno mi chiederebbe: "Vittorina, come mi devo avvicinare a costui?". Esprimendo così imbarazzo e difficoltà.

Eppure tutti noi avviciniamo altre persone senza andare a chiedere a nessuno consigli di modalità. Sono remore che abbiamo dentro di noi, che se non riusciamo a togliere non siamo nella prospettiva del rispetto all'handicappato, alla sua dignità nella quale noi affermiamo di credere.

Viviamo dentro di noi una realtà di uomo: funzionale, produttivo, bello, sano, che era al momento della creazione. Ma subito dopo,.... siamo noi. Chi è l'handicappato? Ogni uomo, ognuno di noi è handicappato. Dobbiamo chiedere al Signore la grazia di poter vivere dentro di noi questa realtà. Io sono un uomo, e proprio perché uomo sono un handicappato.

Dobbiamo togliere quella non cultura che ci fa credere che una malattia cerebrale sia una malattia che degrada. Se io ho un bambino che vede poco, immediatamente avverto i genitori (se non si sono accorti di questa difficoltà) e i genitori mi ringraziano e portano immediatamente il bambino dallo specialista; si provvede e si risolve. Se io, maestra o parente, vedo un bambino di 3 anni che ha difficoltà ad esprimere il suo parere, non perché ha difficoltà a ricordare, ma perché ha difficoltà di strutturazione di pensiero; forse prego per lui e per i genitori; ma sono così poco capace di condividere e di partecipare da avere lo stesso atteggiamento che ho di fronte al bambino che ha minorazioni visive.

Credo che dobbiamo tutti togliere, togliere e più toglieremo più troveremo delle incrostazioni, perché non siamo capaci di accettare che l'uomo sia una persona che porta in sé degli handicaps e che l'handicap cerebrale è un handicap dovuto alle caratteristiche fisiologiche, neuropsicologiche dell'uomo.

Se vediamo un bambino handicappato motorio, ci si preoccupa immediatamente di studiare la possibilità per dare a questo bambino la capacità funzionale. Invece dobbiamo essere scientificamente preparati per dare al bambino la coscienza della sua capacità funzionale motoria, perché conquisti capacità motoria per mettersi in relazione con gli altri, per godere degli altri. Tuttavia non è meno uomo se non ha questa capacità di muovere gli arti superiori o gli arti inferiori, sempre un uomo è. Questa è una grazia grande che l'Amore Misericordioso ci deve concedere, deve concedere a tutti noi che crediamo di essere convinti di questo, perché è forse facile comunicare queste cose a chi ha concetti diversi della vita, ma noi che crediamo se verifichiamo, dobbiamo avere proprio la grazia per cogliere questa realtà esistenziale.

Alla "Casa del Sole" attraverso questo lavoro abbiamo avuto la gioia di sentire vicino a noi i genitori e di vederli gradualmente arrivare a questa totale condivisione di vita con il figlio. Abbiamo genitori stupendi: una mamma di un bambino mongoloide di 15 anni (il bambino ha incominciato a frequentare il Centro a 4 anni), ha avuto un periodo lunghissimo di ospedalizzazione per leucemia, poi si è ripreso e ora sta bene. In una visita al Centro, durante un incontro mensile, questa mamma ci confidava (Suor Sofia può confermare): io non vado in Chiesa, però da un pò di tempo, quando sento la domenica suonare le campane mi fermo un attimo e dico: "Signore ti ringrazio per avermi dato Alberto e Francesco, perché tu mi hai dato Francesco così come è, tu sai il perché. Infatti ogni cosa che capita nella mia vita ho visto che tu me l'hai mandata e sai perché, io no". Suor Sofia che in quel momento lavava i piatti esclama: "E lei dice di non pregare? Credo che questa sia preghiera sublime!" Quanta serenità e quanta forza!

È stupendo, constatare, dopo anni di lavoro, che una mamma riesce a esprimere al Signore gioia di avere un figlio e di sapere che è un Suo dono particolare un figlio che noi definiamo mongoloide.

Più di 2.000 sono le famiglie che sono passate dal nostro Centro in questi 15 anni. Lavoro di testimonianza di una esperienza di vita, vissuta insieme giorno per giorno, noi, i ragazzi, le famiglie.

La "Casa del Sole" è un servizio territoriale che vuole dare una mano a queste creature, perché crescano e vivano nella loro famiglia e diano il loro contributo di uomini nella famiglia. Se si lavora così vedete quali valori escono da queste famiglie. Valori che ci fanno riflettere. Oggi di fronte a una maternità difficile o a concepimento con 3 cromosomi immediatamente dalla gente e in ospedale viene consigliato l'aborto, proprio contrariamente alle nostre mamme che affermano sulla loro pelle e su quella dei loro figli una verità di vita sublime.

In questi anni siamo andati avanti, ma il Signore voleva qualcosa d'altro. Forse l'Opera di Dio era ed è oltre la "Casa del Sole", il "Centro Solidarietà".

L'anno 1976-77 è stato un anno molto tormentato per noi, perché avevamo richieste continue di bambini cerebrolesi gravissimi, bambini con atrofia cerebrale profonda e diffusa, bambini per i quali clinicamente e pedagogicamente è impossibile prevedere per la loro vita capacità di autonomia, capacità di pensiero, capacità di relazione verbale o gestuale.

Si insisteva continuamente di accogliere alla "Casa del Sole" queste creature. Devo confessare pubblicamente che per 10 anni ho rifiutato questo servizio, perché non eravamo preparati adeguatamente. Per bambini così gravi occorrono persone molto preparate scientificamente, disponibili, capaci di mettersi in comunicazione con un forte dialogo affettivo.

In un momento di tormento e di preghiera ho fatto io la proposta al Signore: "Se Tu mandi le persone, forse ci posso anche pensare; ma poiché persone così predisposte non ci saranno mai; siamo a posto". Il 15 agosto 1977, la Vostra Madre Superiora di Collevalenza telefona a me, che ero in montagna, e mi dice: "Il prossimo anno se vuoi, noi abbiamo deciso di darti tre suore dell'Amore Misericordioso, preparate, che con te e con gli altri desiderano iniziare l'esperienza del servizio ai bambini gravissimi". Per me era la risposta precisa, puntuale dell'Amore Misericordioso. Ero raggiante, felicissima.

Cominciarono subito gli scrupoli; non c'era l'ambiente, non c'erano soldi e dovevo convincere almeno il Vescovo e qualche altra persona di Mantova che la cosa si doveva fare. Dire che il 15 agosto giunse l'annuncio e che il 1^ novembre 1977 iniziava il "Centro Solidarietà" è dire la verità.

In così breve tempo abbiamo trovato l'ambiente, l'abbiamo strutturato, e dal '77 ad oggi questo ambiente si è triplicato. Ogni bambino grave ha a disposizione una persona volontaria specializzata, disponibile, che fa un lavoro stupendo di promozione umana.

Il nostro Vescovo visitando il Centro nel 1977 ci faceva notare con meraviglia la grandezza dell'Amore del Signore che, per venire incontro alla nostra cecità, ha fatto proprio sorgere un Centro per bambini così gravi, che il mondo non vuole, (per i quali sopprimendoli si crede di fare un atto di grande civiltà), e che al Centro vengono aiutati, serviti e amati in ogni momento con gioia ed entusiasmo e al di là della strada c'è il reparto ginecologia dove ogni giorno si uccidono bambini sani. Ecco il Signore ha voluto al di qua della strada questa affermazione di vita. Noi siamo rimaste stupite. Il Signore ci veniva incontro anche attraverso la concretezza di un ambiente, sempre per farci riflettere. Così meditando sui nostri bambini abbiamo compreso che il "Centro Solidarietà è l nostro "Inno della Vita" mentre la "Casa del Sole" è un'esperienza di vita, per la vita.

Il "Centro Solidarietà" è l'Inno alla Vita, alla Vita vera che i nostri bambini già possiedono e che potranno esprimere compiutamente al di là.

Davide un bambino di 10 anni che frequenta la "Casa del Sole" dopo un soggiorno lacustre con altri amici e con un bambino gravissimo che non si muove e non parla mi confidava: "Vittorina, Marco, il bambino del maestro Cristiano (non ha sottolineato la carrozzella, ecc.) è tanto, tanto buono e quando andrà in Paradiso sarà un angelo che corre sempre, sempre per il Cielo".

La solidarietà e la delicatezza d'animo di Davide mi hanno tanto commossa e fatto molto pensare.

Per i clinici questi bimbi hanno una vita vegetativa. Noi affermiamo che non è vero, hanno una vita umana, hanno una vita di relazione potentissima; hanno una vita di comunicazione all'altro stupenda. Se riusciamo a studiarli ed a mettere a frutto i doni che il Signore ha dato a noi, insieme alla cultura e all'esperienza stando accanto a queste creature, riusciamo a permettere loro di esprimersi. Abbiamo bambini gravissimi, ce le mamme ci portano e ci dicono: "Da quando è nato piange sempre".

Si fa presto a dire è un bambino grave, ma pensiamo a una mamma che ha un bambino di 9 anni, di 3 anni, di 8 anni, dal quale non ha mai ricevuto una risposta, un sorriso, dal quale non ha mai ricevuto un bacio, eppure questa mamma porta in braccio la sua creatura e guai a chi gliela tocca. Difficilmente è gente che va in Chiesa, ma vive la Chiesa. Il nostro lavoro che consiste nello stare accanto, nel condividere con loro la vita dei figli, diventa meraviglioso nel senso che possiamo godere della loro esperienza di dolore (delle mamme non dei bambini). I bambini non soffrono se noi riusciamo a metterci in comunicazione con loro. Con loro facciamo cose semplicissime , ma studiate, meditate, verificate. L'accostarsi ad un bambino per l'igiene, l'alimentazione, per il suo riposo, per una stimolazione sensoriale non è cosa da poco. Riuscire a comunicare con il bambino attraverso questi gesti di vita comune è alta terapia, non dobbiamo fare assistenza, dobbiamo promuovere questo bambino, dobbiamo far sì che il bambino senta di essere, e se può, percepire la nostra presenza. In questo modo avvengono i miracoli umani: i bambini che per atrofia cerebrale non sentono, non vedono, di fronte alla comunicazione verbale di una persona che sta accanto a loro, ben preparata e capace, dopo un anno o due di trattamento il bimbo dà segni di sentire e di voler comunicare.

Questa è la rivelazione più meravigliosa e stupenda dell'uomo, uguale a noi, anche se la realtà fisica è così compromessa e grave. È un uomo che noi possiamo aiutare a vivere bene la sua vita. Non si può chiedere di più al Signore. Il miracolo è riuscire a capire che la vita non è il camminare, non è il parlare, la vita è l'amare, è essere utili. Proprio come dimostra la mamma di Valentina, una bambina gravissima, con una malformazione cromosomica terribile, ce nel giorno del suo 8^ compleanno, si alza e in una espressione affettuosa abbraccia il marito e dice: "Ti ringrazio perché mi hai dato Valentina!" ed altrettanto fa il papà spontaneamente, di fronte alla nostra incredulità. Sono convinta che sono questi i valori veri che queste creature hanno da comunicare alle loro famiglie ed a noi, mentre noi li allontaniamo e così diventiamo più poveri, perché il messaggio di Dio che queste creature hanno dentro di loro noi lo rifiutiamo a priori, perché le apparenze umane ci impediscono di metterci in comunicazione con loro.

Il Santo Padre in una udienza diceva ad un gruppo di nostri bambini spastici: "Questi bambini non potranno mai raggiungere mete di felicità umane particolari, perché i loro impedimenti non permettono loro di gareggiare, però possiedono già la serenità interiore" e poi il Papa soggiungeva a noi: "Se voi aiuterete loro, loro potranno aiutare voi a godere in qualche momento di questa serenità interiore".

Sono convinta che le suore e i volontari che lavoravano al Centro Solidarietà, che noi chiamiamo "il nostro Tabernacolo", riescono in certi momenti ad arrivare a questa sublime contemplazione.

Il Papa domenica qui al Santuario diceva: "Datemi le vostre sofferenze, perché io le possa offrire sull'altare, perché il mio sacrificio diventi davvero il sacrificio gradito a Dio per redimere il mondo". Le suore e i volontari che lavorano al Centro Solidarietà credo che in certi momenti possano vivere questa realtà: accudiscono con amore a tutto: ogni cosa è profumata, in ordine, tutto è bello, grazioso, in armonia: è il nostro Tabernacolo, il nostro Altare.

I nostri bambini non parlano, nessuno sarà mai capace di dirci grazie, lo sappiamo in partenza.

La gente pensa che il nostro lavoro sia terribile, non è vero, è stupendo. Il nostro lavoro è bellissimo anche per l'intelligenza, se è fatto con intelligenza.

Mentre noi lavoriamo possiamo arrivare ad una contemplazione di vita e di realtà di Chiesta che è la vera dimostrazione dell'Amore di Dio. Sono convinta che pure questi bambini non sono tanto loro ad avere bisogno di noi, quanto noi abbiamo bisogno di loro.

Ai Padri dicevo: "I nostri bambini mi rappresentano il vostro Crocifisso di Collevalenza: c'è l'Ostia e c'è la croce davanti"! Quando riesco ad avere questa intuizione, godo meravigliosamente.

Sono bambini ostia, stupendi. Sono coloro che salvano noi e gli altri e noi li vorremmo eliminare.

In questa testimonianza d'amore in cui siamo stati coinvolti si è instaurata una catena d'amore che sfugge a tutte le logiche.

"Il Centro Solidarietà" vive dal 1977 ad oggi senza nessun finanziamento e arrivano doni al momento giusto e proprio quelli che occorrono. Che l'Amore Misericordioso conceda a noi di continuare e a voi, in tanti luoghi, di aprire Centri Solidarietà per condividere amore e vita con famiglie che hanno nel loro seno l'essenza della vita, hanno bambini che nessuno vuole; che sembrano un castigo e sono un dono.

Stiamo accanto a queste famiglie con sincerità, aiutiamole a portare degnamente la croce, non facciamo assistenza, non facciamo mistificazione, facciamo promozione, rispettiamo la dignità di ogni uomo e contempliamo con gioia dio che si rivela a noi, nei Suoi piccoli prediletti.