Mario Picchi

INTERVENTO ALLA TAVOLA ROTONDA: " IL FIGLIOL PRODIGO, PARABOLA DELL'UOMO"

 

Quasi ogni giorno, mentre cammino per strada, mi viene voglia di passare dall'altra parte, perché sul mio tragitto c'è sempre una piazza o una strada - si potrebbe chiamare piazza Navona, Campo dei Fiori, S. Maria in Trastevere, non importa -, e su questa strada c'è sempre qualcuno dai lineamenti non ben definiti. Ogni volta mi accorgo di volerli di proposito lasciare nel vago, perché il metterli a fuoco mi darebbe troppo fastidio.

Insomma, ogni giorno sono proiettato in un obbligato incontro con l'uomo, che io vorrei evitare. Se guardo bene, quest'uomo è l'uomo di oggi, non è un fantasma, è un uomo vero, con tutto il suo carico di ricerca di gioia, di felicità, desiderio e bisogno d'amore, con una grande sete. E' l'uomo di oggi che, avendo sete, ha bevuto a una fonte che purtroppo non la ha dissetato: l'acqua che lui ha avuto a disposizione è inquinata. Se avesse trovato invece una promessa vera, autentica, che non lo avesse tradito, un'acqua pulita, certamente con questa si sarebbe dissetato.

Qual è questa fontana alla quale è andata d dissetarsi?

Quali offerte, per essere veramente felice, per godere della gioia, per sorridere?

Perché i pozzi che ha incontrato sulla sua strada sono così maleodoranti, così inquinati?

Come è possibile che quest'uomo possa avere fiducia, se tutto intorno a lui è tradimento, fallimento, rumore assordante per non pensare?

Come è possibile che, caduto, abbia il coraggio di tendere una mano per essere rialzato, se io, se tutti noi, su quella strada di Gerico, siamo tentati di attraversare e passare dall'altra parte?

E ci allontaniamo da lui, non perché lo vogliamo ignorare, ma perché crediamo di avere delle cose più importanti da fare, perché il ritmo impresso al nostro cammino non ci permette una sosta.

Mi chiedo ancora: come mai da dopo il Concilio abbiamo proclamato al mondo intero una Chiesa dei poveri, per i poveri, con i poveri di ogni contrada, e i nostri poveri continuano a rimanere sulle porte delle nostre chiese, a non entrare, a non trovare quegli spazi che offriamo invece ai ricchi, agli uomini di potere, alle persone importanti?

Sarà perché questi poveri sono molto scomodi, non sanno parlare bene, hanno appunto un linguaggio povero; sarà perché danno fastidio, sono rumorosi.

Anche i bambini intorno a Gesù erano rumorosi, e gli Apostoli cercarono di allontanarli. Ma Lui non volle.

Anche il cieco sulla strada di Gesù si mise a urlare, e tutti cercarono di zittirlo perché disturbava. Ma Gesù, tra i molti canti di osanna, udì quella voce e si fermò per lui.

Anche Zaccheo, che non era un credente ma solo un curioso, salì sull'albero per vedere Gesù passare in mezzo alla sua gente, e Lui ignorò la sua gente e chiese di entrare nella casa del peccatore.

Anche la prostituta si buttò ai suoi piedi bagnandoli con le sue lacrime, disturbò l'organizzazione di quella cena, i discorsi forbiti, ruppe il cerimoniale; e la gente intorno a Gesù pensava che quella era una donna che non doveva stare lì, che quello non era il suo posto. Ma Lui lesse nei loro cuori.

Cristo ha capovolto col suo modo di agire, di parlare tutti i canoni di un galateo internazionale, che mette i buoni da una parte e i cattivi dall'altra.

Anche il figlio di quel padre si lamentò perché lui era stato bravo, non aveva dilapidato le sostanze, aveva lavorato tutti i giorni, frequentando amicizie pulite, non si era cibato delle ghiande dei porci.

Ma la festa, la grande gesta, le lacrime sul viso del padre, le musiche, le danze, il vitello più grasso, l'abito più bello furono per l'incontro fra il padre e colui che era perduto.

Allora mi chiedo: perché ho accettato di venire qui, nel Santuario dell'Amore Misericordioso, a parlare di drogati e di un sacerdote che ha trovato il suo senso di essere nel momento stesso in cui si è incontrato con il grido di disperazione di migliaia di giovani, i quali aspettano che noi ci fermiamo su quella strada e che non portiamo a nostra scusante doveri, impegni più importanti, per passare oltre?

Amici, non vengo qui come un maestro, ma come uno di voi che prova a dire ad alta voce un "confiteor" legato alla vita quotidiana dell'uomo.

Siamo veramente quella Chiesa dei poveri che abbiamo proclamato?

Tutta la Scrittura parla sempre di un Padre e di un ritorno alla casa del Padre per una grande festa.

Ci parla di un grande banchetto; ci dice anche che la strada è difficile, ci richiama continuamente all'incontro umile e sofferente dell'uomo marcato sulla propria pelle dalle vicende umane; ci parla di un deserto che, contro ogni logica, fiorisce.

Ma come potrebbe una terra non arida, ma ancora pregnante, accogliere e bere acqua che viene dal cielo?

Come potrebbe un ricco gustare la ricchezza?

Solo colui che era morto potrà godere della vita che ritorna, il non vedente esulterà per la vista riacquistata, il sordo per l'udito. Ma colui che ha tutto, non rischierà di lamentarsi col padre e di non accorgersi che aveva tutto? Come potrà godere della festa, se tutta la sua vita sarà stata una festa?

Allora parliamo pure del figliolo che ritorna, ma rileggiamo quella pagina che ci dice quanto sia difficile per colui che già possiede tutto riuscire a possedere anche il regno dei cieli.

Mi sembra che a volte noi rischiamo di voler tenere chiusa la porta e di non fare come il padre che era salito sul tetto della casa per guardare l'orizzonte, nell'attesa di un ritorno che doveva avvenire perché lui aveva amore da offrire, amore che non poteva andare perduto.

Abbiamo elementi, credo, sufficienti per alcune considerazioni e riflessioni da fare insieme.

L'altra sera, 300 giovani si sono presentati al Papa, e una ragazza gli ha parlato così:

"Padre Santo, mi chiamo Rossella e ho 26 anni. Sono sposata, con un bambino di un anno: si chiama Daniel. Avevo 14 anni quando ho cominciato la tragica esperienza della droga. E con la droga ho cominciato a precipitare sempre più in basso per la strada: alcool, furti, rapine, carcere. L'esperienza del carcere mi ha fatto diventare più sola, più arida, quasi incapace di donare amore e di riceverlo.

Anche il mio ragazzo usava droga ed insieme eravamo caduti nella più grande solitudine e disperazione.

Ci siamo sposati e abbiamo deciso di avere un figlio. Speravamo che ci avrebbe aiutati a risollevarci dalla nostra caduta. Invece anche nell'attesa del bambino, ho continuato a drogarmi.

Nel mio cuore c'era paura, rifiuto, sofferenza.

Ho tentato tante volte di rialzarmi, sono stata in ospedali, in cliniche, ma sempre invano. Volevo alzare le mie ali, volevo guardare il sole, volevo sorridere alla vita, e invece mi ritrovavo più vicina alla morte.

Un giorno con mio marito siamo arrivati a Piazza Cairoli, al Centro Italiano di Solidarietà. Mi fu detto il Tuo messaggio: "contro la droga la vittoria è possibile".

Padre, che Tu sia benedetto per quelle parole, perché abbiamo creduto alla Tua parola e abbiamo riscoperto la vita. Le mie lacrime hanno acquistato un sapore diverso, il mio cuore si è aperto, e con mio marito abbiamo fatto una scelta coraggiosa.

Abbiamo riscoperto il nostro amore e l'amore di nostro figlio Daniel è diventato il dono più prezioso della nostra esistenza.

Oggi, mentre io sto vivendo la mia resurrezione nella Comunità San Carlo, mio marito è ospite nella Comunità di Verona. Ci siamo separati per breve tempo per poter crescere con maggiore responsabilità. Il nostro bambino è affidato a mia madre ed è diventato per noi due la ragione per cui vogliamo tornare alla vita.

Padre Santo, Ti voglio fare un regalo.

Ti offro la fotografia di mio figlio.

Benedicilo, prega per lui poiché Tu sei ascoltato da Dio.

Che la sua vita abbia la gioia e la speranza che io avevo perduto.

Benedici Daniel".

Questa potrebbe essere la lettera che il figliol prodigo scrive a suo padre prima di rientrare a casa, prima di bussare a quella porta.

Ma noi dobbiamo chiederci: saremo dietro quella porta per ricevere la lettera, saremo dietro quella porta, pronti ad aprirla al figlio che torna? Oppure, chiusi nel nostro egoismo, nel nostro sentirci puliti, non rischieremmo di ripetere i gesti e le parole, del figlio buono che lamenta di non avere l'attenzione e la gratitudine date al figlio emarginato?

Ci fa paura quello che parte, dilapida ogni cosa, ruba, saccheggia, "buca"; ci fa paura, ci lascia tormento, rabbia, sconforto, disperazione; ci dà la misura della nostra impotenza.

Quanti genitori hanno passato notti insonni, in processione, ai vari commissariati di polizia, ai pronto soccorso degli ospedali, alla ricerca di un figlio che avevano perduto!

quanti figli hanno infilato un ago nelle vene per cercare felicità, per non sentire stanchezza e delusione, per la paura di vivere, di sentire, di ascoltarsi, di vedersi!

La storia si ripete sempre: da una parte noi, dall'altra loro.

E a me sembra che ci manchi il coraggio di affrontare l'incontro, di allargare le braccia, di fare sentire calore e amore. Perché il Vangelo è soprattutto questo: una dichiarazione d'amore di Dio all'uomo; e coloro che professano il Vangelo devono essere testimoni di questa carità immensa, misericordiosa.

Un giorno, anche Gesù ha detto che la pietra di scarto sarebbe servita a consolidare, come testata d'angolo, tutta la costruzione.

Stiamo attenti a non gettar via troppo alla svelta queste pietre, perché ci ritroveremmo probabilmente più poveri, anche se non abbiamo mangiato ghiande.

Mi ricordo lo scandalo che si provocò all'interno di una Famiglia religiosa quando, parecchi anni fa, a pochi chilometri da questo Santuario, mi fu offerta l'occasione di aprire una prima Comunità Terapeutica per tossicodipendenti. Lo scandalo fu tale che si preferì creare un soggiorno per persone che non avrebbero recato disturbo. Quella sera mi sentii avvilito e molto deluso.

E' normale che si abbia paura della droga, perché intorno ad essa è fiorita tutta una letteratura che ha cancellato l'uomo per evidenziare il criminale, il disturbatore della quiete, il violatore delle leggi, ed in parte è vero. Ma noi dobbiamo essere caparbiamente testimoni di speranza, anche se può sembrare utopia valorizzare la speranza in un mondo che privilegia il conto in banca e l'avere sull'essere.

Avere il coraggio di non passare dall'altra parte della strada e incontrare l'uomo che sulla strada di Gerico è abbandonato dai ladroni, percosso e derubato; avere il coraggio di fare una grande festa perché è tornato il dilapidatore di tutte le sostanze, di ascoltare in mezzo ai canti le grida del cieco o del paralitico, di non pensare male della prostituta che asciuga i piedi di Gesù con i suoi capelli; avere questo coraggio è andare contro corrente, credere nella Sua parola, affermare che l'utopia non è più utopia.

L'altra sera 300 giovani hanno provato a dirlo al Papa con canti, parole e gesti; e mi è sembrato che questo incontro assumesse la caratteristica di un vero incontro con il padre. Da una parte c'era una caparbia volontà di capire, dall'altra un grande desiderio di farsi conoscere.

Ho visto il Papa molto commosso, e mi è parso di rileggere in questo evento l'incontro di tanti figli con i loro genitori.

E ciò mi ha dato speranza: perché il banchetto è stato allestito, tutto è stato preparato e gli invitati sono accorsi, raccolti magari dalle strade, dai campi, ma sono accorsi; perché, nonostante tutte le apparenze e tutta la disperazione che è nel mondo, il Regno di Dio è attuale, è vivo, è vero, è presente fra noi, perché noi gli apparteniamo, lo abitiamo, perché il Regno di Dio è il Regno dell'Uomo.

Dobbiamo crederci, dobbiamo proclamarlo ad alta voce, dobbiamo sentirlo vivo dentro di noi per poterlo testimoniare con ogni nostro gesto, ogni nostra parola.

Questo è da sempre l'annuncio del Vangelo.