Maria Teresa e Giuseppe Cotronei

IL FIGLIOL PRODIGO, PARABOLA DELL'UOMO

Ci è capitato tante volte, ormai, di parlare in pubblico e di comunicare, con la nostra testimonianza un messaggio di speranza a tutte le persone coinvolte nel drammatico evento di dover lottare con un figlio giorno dopo giorno, e questo, quasi mai ha rappresentato per noi una vera difficoltà.

Parlare oggi davanti a questo uditorio così vasto e vario, dove sono rappresentati religiosi, laici, studenti ecc. ci fa sentire il nostro compito più difficile.

Sappiamo che non è solo la nostra testimonianza che voi volete ascoltare, ma che volete soprattutto sentire come noi famiglia abbiamo vissuto la nostra paternità, anzi la nostra "genitorialità", nei vari momenti del nostro dramma di genitori di un figlio tossico-dipendente e come dalla tempesta di tanti e diversi sentimenti, ora di speranza ora di disperazione, fortificati dal sussidio della fede, siamo giunti a concepire quello che rappresenta per noi oggi essere genitori in una dimensione nuova più vera, più naturale, più matura.

Poiché siamo qui chiamati a trattare questo problema, dovremmo anche iniziare il discorso dandovi una definizione del tossicodipendente, ma questa è forse la cosa che serve di meno. Sono stati versati fiumi di inchiostro per definire e incasellare la figura del tossico-dipendente: tutte più o meno valide, più o meno giuste, ma in nessuna si riesce a identificare in questo "mostro a sette teste" un essere umano. In nessuna si sente che sotto quel mostro c'è un giovane, più spesso un adolescente che si è vestito da mostro, ha coperta la sua viltà sotto la crosta di una spavalderia, che non arriva fino al fondo, perché ha bisogno di ricorrere al "buco" per sostenerla, che il suo coraggio ostentato e artificiale nasconde l'insicurezza, il suo rifiuto di tutto nasconde la immaturità, la debolezza del suo "io" che lo induce a farsi del male, per un piacere immediato, che gli consente soprattutto di fuggire tutte le responsabilità che, volete o no, la vita alla sua età, sta per buttargli addosso.

Nessun richiamo della famiglia riesce a scuotere o a sollecitare il tossico dipendente: egli è come un "anoressico" mentale.

L'anoressico mentale è una persona che rifiuta il cibo, pur sapendo di andare anche incontro alla morte; se insisti a farlo mangiare è pure capace di ingurgitare gli alimenti che gli presenti, ma poi vomita tutto.

Vi presentiamo questa figura così come l'abbiamo sentita e vissuta per cinque lunghi anni; vi presentiamo, con la nostra esperienza quella di oltre seicento famiglie che con noi hanno vissuto o stanno vivendo questo dramma e che rispecchiano il dramma che oggi stà sconvolgendo, diciamocelo sinceramente migliaia di famiglie, perché è l'intero nucleo famigliare del tossico-dipendente che ne rimane coinvolto e sconvolto, senza possibilità di scampo. Si pensi solo alla fatica e alla angoscia che tante famiglie vivono o hanno vissuto nel solo tentativo di nascondere spesso a parenti, amici, colleghi di lavoro questa loro vergogna, perché, è inutile nasconderlo avere un figlio tossico-dipendente viene vissuto ancora come una vergogna.

Perché vergogna?

Perché nel fiume di parole che sono state dette e scritte su questo problema troppe sono state dedicate ad affermare che la famiglia è la sola responsabile del fenomeno droga.

Molti hanno accusato come unico responsabile di questo fenomeno una famiglia disgregata.

Ma noi, e come noi ne conosciamo tante, non siamo una famiglia disgregata.

Certo una famiglia disgregata può essere un fattore predisponente così come una persona con l'influenza è più soggetta a prendersi una polmonite di una persona sana, ma da qui ad affermare che una influenza porta alla polmonite è del tutto gratuito.

Cominciamo ad avere il coraggio morale e civile di affrontare allo scoperto questo nostro dramma.

Chi pensate che possa darci l'aiuto di cui abbiamo bisogno, se non abbiamo il coraggio di chiederlo?

Certo da soli non ci si può fare, ve lo diciamo con la nostra esperienza e con l'esperienza dell'associazione famiglie.

Quando cercammo di aiutare nostro figlio, ricorrendo alle strutture sanitarie, prima private sempre per nascondere questo dramma vissuto all'inizio come vergogna, facendoci letteralmente dissanguare, pensavamo di risolvere il problema. Ma non si riuscì a nulla e ogni volta diminuivano le speranze e aumentavano le delusioni.

Le abbiamo provate tutte: gli ospedali, gli psichiatri, la psicoanalisi, la psicoterapia, la morfina. Sempre con risultati zero.

Ci chiedevamo ogni volta dove stavamo sbagliando, perché oltre alle cure mediche gli davamo il nostro amore, la nostra comprensione: ma questo a che poteva servire se lui non sentiva niente?

Quando ormai non speravamo più di potercela fare ed eravamo quasi rassegnati alla sua irrecuperabilità e alle sue conseguenze, ci si è presentata la possibilità di capitare al C.E.I.S.

Qui la prima persona che incontrammo era un individuo che ci parlò con onestà e che ti invitò ad essere onesto con te stesso.

Questa persona è un ex-tossico-dipendente.

E' stato importante sapere che stavamo parlando con una persona che c'era stato dentro e che ne era uscito fuori e ci ha dato tanta fiducia, la fiducia viene da una constatazione.

Sentimmo allora che cosa era un ex - tossico - dipendente, anche perché sapeva da dove era partito.

L'ex tossico dipendente è una persona che ha riacquistato una autodisciplina, un senso critico e soprattutto quei valori che aveva rigettato e senza i quali non poteva più desiderare di vivere, perché si sta male senza averli, così come ci stiamo male tutti, se tentiamo di annullarli e diventiamo asociali e non ne siamo soddisfatti dentro, viviamo un senso di disagio che cerchiamo di superare con le nostre difese.

L'adolescente immaturo non le affronta e la sua fuga è la droga.

Sfatiamo, innanzitutto, la irreversibilità del fenomeno tossico-dipendenza: altrimenti arriviamo solo ai provvedimenti emarginanti della distribuzione autorizzata di farmaci sostitutivi e basta.

Il problema del tossico-dipendente non è un problema medico, è un problema umano. Teniamo ben chiaro questo se vogliamo arrivare a trovare delle soluzioni, perché ormai giunti a doverle prendere, perché è un problema sociale di grande importanza, è una epidemia dilagante che può sconvolgere più di quanto si immagini.

Tutti ora vi state chiedendo: che cosa si deve fare allora?

Noi non vogliamo certo dare la ricetta per combattere il fenomeno droga, vogliamo solo dirvi la nostra esperienza negativa e positiva, perché se esistono delle autorità con la volontà di fare qualcosa o delle associazioni, così bene organizzate come quella che oggi ci ospita che vogliano fare qualche cosa per i loro figli possano trarne qualche insegnamento, evitando così di passare attraverso le tante esperienze inutili che noi abbiamo attraversato.

Questo è quanto ci siamo proposti e questo è quanto vogliamo comunicarvi.

Dopo tutta questa premessa sicuramente vorrete sapere attraverso quale strada e con quali metodiche un t.d. può diventare un ex t.d. e come si può comportare una famiglia di un ex t.d. che vuole agire in questo senso.

Ma di questo vi parleranno altri genitori presenti.

Dobbiamo però fare un accenno a come opera l'Associazione Famiglie.

Qui le famiglie trovano il conforto della solidarietà, qui si cerca di insegnare alle nuove famiglie come comportarsi verso il figlio t.d., non più in maniera pietistica, ma responsabile e responsabilizzante.

Lo definiamo "Amore responsabile. "Amore responsabile" è saper rifiutare tutto quanto può aiutarlo a continuare nella sua vita sbagliata, fino a porlo di fronte alla sua scelta di vita, con fermezza e senza alternative.

Un altro compito della Associazione Famiglie, che si realizza attraverso incontri di gruppo settimanali, è quello di aiutare ad identificare quelle eventuali carenze o problematiche famigliari, che possono avere a volte falsato, a volte interrotto o reso difficile il rapporto tra genitori e figli.

Si cerca, inoltre, di far capire il valore di una famiglia che conosce il confronto e non il potere nel dialogo famigliare, un rispetto reciproco e non unidirezionale: si insegna a comunicare con i propri sentimenti, non a razionalizzare tutto, provocando spesso la incomunicabilità e, soprattutto, si impara a conoscersi, ad accettare anche le proprie carenze.

Da qui scaturisce una realtà nuova, più vera, più matura: una realtà che vede e vive la metamorfosi di un figlio - che è già di per sé un sentimento complesso per un genitore - con maggiore naturalezza: accettare cioè di sentire lo spezzarsi del cordone della simbiosi che unisce i genitori ai figli e iniziare a considerare il proprio figlio come un individuo con realtà, convinzioni e certezze diverse, talora collimanti, ma non necessariamente.

E' inevitabile un senso di tristezza per un ruolo che cambia, per un amore che si trasforma, quando al vecchio rapporto di soggezione si sostituisce un guardarsi da uomo a uomo.

Riflettendo su questa trasformazione, su questo processo di crescita di un genitore, ci si rende conto che forse genitori si diventa solo nel momento nel quale i figli sembrano meno figli e più uomini. Forse il mestiere di genitore comincia proprio quando dare e ricevere si fanno meno automatici meno istintivi.

"Non dominare né essere dominati".

Questa è la più forte promessa d'amore che deve improntare i nuovi rapporti. Non imporre, ma conoscersi e capirsi e questo richiede una sensibilità nuova, diversa, tale che dia la capacità di farci superare il vissuto di superficiali discorsi famigliari, per riuscire a fare comunicare realmente.

Quando scoprimmo che nostro figlio era un tossico-dipendente, non immaginavamo certo che non dovevamo affrontare il problema come se solo un farmaco entrato nell'organismo di nostro figlio fosse il nemico da combattere, non pensavamo che il problema e il dramma stava entrando dentro di lui, così come stava maturando dentro di noi.

Queste sono le riflessioni di oggi, il risultato di un lungo, doloroso e difficile cammino percorso insieme, aiutati dagli operatori del C.E.I.S., per trovare questa nuova dimensione, che ci consente oggi di sentire quella paternità di amore, che ci fa' sentire più vicini a Dio, al Suo essere nostro padre.

Paternità non limitata solo ai figli da noi generati, ma estesa ad altri, siano essi altri genitori o ragazzi, nel momento in cui cerchiamo di dare loro quanto abbiamo ricevuto, di sollecitare in loro quello stesso processo di crescita, che è riuscito a dare a noi e a tante altre famiglie, sia la serenità, sia la capacità di affrontare le avversità.