Luigi Alici

OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

 

1. Premessa

1.1 Il tentativo di riassumere il complesso di idee, pensieri, prospettive testimonianze che hanno animato ed arricchito questo convegno comporta, inevitabilmente, una semplificazione ed un impoverimento. Nella consapevolezza di questo limite, può essere comunque utile tentare di raccogliere ed organizzare alcuni aspetti essenziali della proposta emersa, per evidenziare almeno quelle linee di fondo che sembrano averla orientata e caratterizzata maggiormente.

1.2 Intorno al tema centrale del "Mistero del Padre" sono state sviluppate riflessioni ed offerte testimonianze, tentati approfondimenti teorici e presentati riscontri esistenziali: come risultato abbiamo dinanzi un materiale ricco e diversificato, contraddistinto da una pluralità di approcci entro una sostanziale convergenza di fondo. Questa complessità esige una responsabile attenzione ed un grande rispetto per la diversità dei piani e delle dimensioni in cui la ricerca s'è articolata. In particolare, occorre distinguere, quanto alla metodologia d'indagine ed al valore da attribuire ai suoi risultati, fra il piano della verità e quello della storia, fra la gratuità della Rivelazione e la fragilità del pensiero umano, fra l'adorazione dell'unico Assoluto e la difficile testimonianza nella frammentarietà del relativo. Un equivoco su questo terreno può essere fatale, specie quando esso induce a proiettare sull'annuncio cristiano della paternità divina le ombre equivoche di modelli antropologici e sociologici inadeguati (Pieretti, Javierre).

1.3 Oltre la ricchezza e la polivalenza di quel che è stato detto, occorre riflettere anche su quel che non è stato detto, per cause di natura congiunturale o strutturale.

1.3.1 In senso congiunturale, oltre la occasionalità di alcune particolari, è risultato evidente quanto la cultura contemporanea sia latitante ed evasiva sul significato ad attribuire ad una paternità umana positivamente intesa, come valore di libertà e di crescita per tutti.

Dinanzi ad una figura paradossalmente così "centrale e inattuale" (Javierre), sono emersi i limiti di fondo del pensiero contemporaneo, che non guarda o guarda con sospetto al valore della misericordia e del perdono (Pieretti), riducendo talora il rapporto filiale ad una assurda accidentalità storica e biologica (Rigobello): si è anche ravvisato in tale povertà culturale lo smarrimento del senso più elementare dell'umano, che produce una sorta di "figliol prodigo collettivo" (Casini), entro una "società bambinocentrica" (Calvaruso).

Oltre a ciò, aggiungiamo noi, va anche ricordata la difficoltà di avviare su questo punto un confronto approfondito con tutto il pensiero di ispirazione marxista, per la sostanziale refrattarietà delle sue categorie concettuali a riconoscere e valorizzare la dinamica del rapporto filiale. Nel pensiero marxista e nelle diverse e diffuse ideologie e prassi politiche che ad esso si ispirano, l'idea stessa di paternità e la sua valenza etico-esistenziale vengono per lo più intese come figure mistiche e sacrali, funzionali all'ideologia del sistema dominante; tali figure vanno dunque demistificate, riducendole entro lo schema sociologico di una famiglia intesa come semplice tappa storica nell'evolversi dei rapporti sociali.

1.3.2 Vi sono però anche ragioni di ordine strutturale che impediscono di raggiungere una compiuta dottrina della paternità, una formulazione esaustiva del senso di quella esperienza umano-divina. Ciò è dovuto, fondamentalmente, ad una sorta di trascendenza dell'essere sul dire: quando la riflessione si spinge ai confini dell'esistenza, l'uomo avverte paternità e maternità, fraternità e figliolanza come dimensioni originarie e costitutive, ed ogni tentativo di definizione concettuale soggiace inesorabilmente ad un radicale depotenziamento espressivo.

E' importante non dimenticare che questa "povertà del dire" contraddistingue ogni tentativo di dare un volto al Padre di tutti, che è oltre ogni formulazione resa possibile dal linguaggio degli uomini. Esiste però una "ricchezza del dire" anche nella povertà e nell'inadeguatezza del simbolo e dell'analogia: è lo spazio dell'intelligenza, che nella sofferenza del limite, deve poter instaurare un rapporto con la Verità attraverso una serie di approcci sempre più stringenti ed adeguati, in modo da fornire al dono della fede e all'entusiasmo della testimonianza un supporto indispensabile di riflessione, di convinzione, di credibilità.

2. La Rivelazione del Mistero del Padre

2.1 Entro i limiti indicati, il convegno ha tentato felicemente di intendere la profondità del messaggio cristiano soprattutto come un approfondimento ed una valorizzazione dell'umano, che non respinge le istanze più autentiche di una ricerca scientifica seriamente intesa, trasfigurandole però dinanzi all'annuncio sconvolgente di una Paternità totalmente gratuita, ricca di amore e di misericordia. Questa convergenza essenziale fra l'iniziativa del Padre e la ricerca del figlio è stata anzitutto messa a fuoco sul piano teologico da un approfondimento, in buona misura originale, del senso fondamentale della Rivelazione del Mistero del Padre.

2.2 In primo luogo, al centro della riflessione teologica è stata posta l'idea stessa di Rivelazione, come orizzonte fondamentale entro il quale Dio si annuncia autenticamente come Padre.

2.2:1 Uno dei caratteri fondamentali di questo annuncio è, anzitutto, la sua totale gratuità. La Rivelazione dell'amore del Padre irrompe nella storia degli uomini secondo tempi, forme, modalità totalmente gratuite. Il pensiero classico aveva riconosciuto e proclamato l'Essere assoluto e trascendente, precisando però che con esso il mondo ha un rapporto unilaterale di dipendenza metafisica: sono i molti che tendono all'Uno, non viceversa. La Rivelazione cristiana getta una luce assolutamente nuova sul movimento inverso, letteralmente inaudito, di un Dio che come Padre va incontro all'uomo.

Il carattere gratuito di questo annuncio non contraddice quindi le conclusioni della filosofia che, come scienza di cause, si arresta al rilevamento di un rapporto necessario di dipendenza tra l'effetto e la sua causa, ma non è in grado assolutamente di concepire il plus e il gratis della Causa prima, l'atto originario e totale della sua libertà d'amare. Perciò il Dio che si rivela all'uomo come Padre è un Dio che ama in modo pienamente libero, che vuole l'uomo unicamente per amore: la sua paternità non è una metafora per indicare un rapporto di dipendenza tra Creatore e creature, ma esprime la natura intima di una iniziativa qualificata tutta dall'amore.

2.2.2 L Rivelazione del Padre è inoltre un atto che qualifica l'identità del figlio, cioè rivela l'uomo a se stesso, gli fa scoprire la radice più profonda della sua condizione umana, lo invita a vivere l'amore nella libertà. Il "Padre-materno di Gesù e dei cristiani" (Armendariz) si presenta in modo del tutto diverso da quel che può emergere nella storia delle religioni; l'"amore preventivo" (Javierre) che lo costituisce come Padre in cammino verso i suoi figli non è una sublimazione mitica, una devota letteratura, una seducente metafora intorno al Principio di tutto: è la rivelazione del senso ultimo dell'esistenza, è la scoperta di un valore fondante e qualificante, è l'avvertimento che la dialettica concettuale di relativo ed Assoluto si trasfigura nell'amore del Padre e del figlio. All'annuncio della paternità corrisponde immediatamente la percezione della figliolanza e, di conseguenza, la valorizzazione infinita di ogni risposta umana finita.

2.2.3 La Rivelazione del Padre è infine un annuncio liberante e salvifico, che orienta il cammino degli uomini nella storia verso la pienezza dell'amore. Proprio perché l'annuncio della paternità è anche un annuncio di figliolanza, l'uomo scopre che in quell'annuncio è racchiusa la storia della propria salvezza, una salvezza che si presenta subito come in grado di vincere il tempo, di riabilitare la nostra fragilità. Il dinamismo escatologico che contraddistingue l'iniziativa misteriosa del Padre apre dunque la storia oltre la curva dei giorni, promettendo una riconciliazione definitiva, che libera l'uomo dai limiti del peccato e della morte, da tutto ciò che ora gli impedisce di vivere pienamente, come vorrebbe, il proprio amore di figlio.

2.3 L'oggetto e insieme il soggetto di questa Rivelazione è Dio come Padre, una paternità di cui il convegno ha ricordato alcuni tratti essenziali.

2.3.1 Si è affermato anzitutto che in Dio la paternità rappresenta una modalità essenziale e totale di essere: è Dio essendo Padre, essenzialmente Padre "prima" ancora che Creatore, "unico Padre e unicamente Padre" (Javierre). L'essenza di una tale paternità è stata presentata come pienezza originaria di vita partecipata con illimitata generosità; come amore autocomunicativo, che identifica la sua gloria nel fatto che i figli posseggano la vita e la posseggano in tutta la sua pienezza (Armendariz).

Questo rapporto originario e costitutivo di paternità non è quindi la sublimazione di un atto mitico di generazione, ma il frutto di una elezione storica e gratuita, che trascende infinitamente ogni configurazione maschile o femminile. Si può parlare del Dio cristiano come di Chi è insieme Padre e Madre di suo figlio (Armendariz), racchiudendo in sé una sintesi originaria ed irreparabile di dominio e di tenerezza, di potenza e di autorità, di affetto e di sollecitudine.

2.3.2 Colui che è tutto Padre e Padre di tutti ha la sua "Espressione" nel Logos, nella Parola che è Cristo, ed il suo "contrassegno" nello Spirito, che accompagna il dinamismo salvifico della Parola, come forza vivificante e verificante (Javierre). Il Figlio è la Rivelazione prima della misericordia salvifica del Padre: l'amore del Padre per il Figlio è, propriamente, ciò che salva. Quel che fa rivivere l'uomo, infatti non è tanto la morte di Cristo, ma, più precisamente, la carità la causa della quale Cristo è morto (Romaniuk). Anche la passione, quindi, diventa rivelazione della paternità di Dio (Armendariz) e la sofferenza entra nel mistero della salvezza come elemento purificante ed elevante (Capponi). Il Mistero della Trinità si annuncia in tal modo come il Mistero di una comunità d'amore, in cui all'iniziativa del Padre corrisponde la forza dello Spirito, che accompagna ed illumina nella storia l'efficacia redentiva della Parola che si è fatta uomo. Testimone fedele di tale comunità d'amore, la Chiesa trae da questo annuncio una ragione fondamentale della sua missione paterna in mezzo agli uomini.

2.3.3 Questo Dio che si rivela all'uomo è dunque, essenzialmente, Padre di amore e di misericordia. Il suo amore preventivo, oblativo, totalmente gratuito tende a realizzare il bene e la salvezza dell'uomo; il valore salvifico di un tale amore è espresso da S. Paolo attraverso i temi della fedeltà, della misericordia, della grazia, della giustizia, della carità, della benignità, del perdono, della redenzione (Romaniuk). In particolare la redenzione, come risposta d'amore al peccato dell'uomo, ci permette di scoprire il "lato materno" di Dio (Armendariz), rivelandoci quella misericordia che è sintesi originale di amore e di giustizia, forza attiva che salva il mondo; in una parola, amare significa vivificare, specialmente quando Chi ama è la vita stessa (Romaniuk).

In questo mistero di amore del Padre sono dunque racchiusi tutti i misteri divini, nelle varie tappe della storia della salvezza; in esso l'uomo può trovare motivazioni non stagionali per vivere l'amore in modo autenticamente cristiano e autenticamente umano (Javierre). L'allargamento della paternità di Dio si manifesta in tal modo storicamente, attraverso la generazione di nuovi schiere di fratelli.

2.4 Non si può dimenticare, da ultimo, che la Rivelazione di Dio come Padre si presenta al credente sotto la forma di un Mistero, che non offende, ma valorizza l'impegno dell'intelligenza, inscrivendolo entro un orizzonte infinito.

2.4.1 La paternità di Dio sembra presentarsi, anzitutto, come un Mistero di presenza, in quanto rivelativo di una presenza intima, profonda, costitutiva, tale da far esclamare: "tutto quello che manca in me, lo trovo in Lui" (M. Speranza). La "tenerezza salvifica" di questa "paternità a tutta prova", di questa "giustizia giustificante che assimila in un itinerario di crescita" (Capponi) si riassume nell'avvertimento di essere radicalmente fondati in Dio (Rigobello), in quel "sentirsi vitalmente espressione di un Altro" (Cento). Più di una testimonianza ha manifestato, con accenti di toccante autenticità, l'emozione dinanzi alla dignità infinita di questa presenza (Gialletti), che si traduce nello stupore, nella lode, nella preghiera e ci radica in una dimensione di appartenenza nuova e ogni giorno più salda. Vengono in mente a questo proposito le parole di Gabriel Marcel: "Pregare Dio è la maniera migliore di pensarlo".

2.4.2 Appartiene alla natura particolare della paternità divina anche il suo essere un Mistero di differenza. Proprio in quanto trascendente, Dio può infatti riassumere in sé il valore infinito della paternità e della maternità (Armendariz) e questi stessi attributi risultano come trasfigurati, caricati di una riserva di senso che ne dilata analogicamente all'infinito la valenza semantica.

Solo un Padre così diverso dall'uomo, però, può amare di un amore così diverso da quello umano: in questo mistero di differenza si racchiude l'abisso dell'amore e della misericordia divina e la ricerca dell'uomo diventa una intesa, sofferta, umanissima esperienza di libertà e di povertà, che ha i suoi drammi e le sue consolazioni ("Ti cerco e non ti trovo. Ti chiamo e non ti sento") (M. Speranza). E' dinanzi a questo mistero, comunque, che l'uomo può vivere l'amore nella sua forma più alta e più matura, cioè come "io davanti a Dio", per usare la celebre espressione di Kierkegaard.

2.4.3 Potremmo anche affermare che la rivelazione del Padre è un Mistero di semplicità. Abbiamo sentito che "le verità fondamentali sono semplicissime" (Rigobello), la semplicità, come espressione di ciò che è uno ed indiviso, esprime la purezza e la verginità dell'originario. Anche la rivelazione della paternità divina è una verità semplice, poiché esprime la forma più elementare dell'essere divino, la natura della sua presenza allo stato puro. Dinanzi a questa verità ci viene richiesta dunque una semplificazione dell'intelligenza ed una intensificazione dell'amore. In questo senso, il conoscimento del mistero implica, come ricorda Marcel, "un atto essenzialmente positivo dello spirito", l'avvertimento di una partecipazione ad un orizzonte che ci comprende e ci trascende. Per cogliere, gustare, approfondire ogni giorno di più la semplicità di questo Mistero di paternità non si richiede dunque una intelligenza superiore, ma una sintonia di onda tra genitore e figlio (Javierre). Come ha scritto Mounier, infatti "il Mistero è la semplicità, e la semplicità, dallo sguardo del bimbo alla linea che segnano i campi di grano, è la forma più commovente di grandezza. Il mistero non è ignoranza cristallina, non è paura dell'ombra proiettata sulla strada, è profondità dell'universo".

3. I figli in cammino

3.1 Su un piano diverso si pone l'analisi della condizione e della esperienza dell'uomo, in quanto figlio che cammina lontano dal Padre. Qui la visione di Dio che va incontro all'uomo, offertaci dal Mistero cristiano e penetrata dalla riflessione teologica, si completa con una prospettiva diversa, costituita dalla storia dell'uomo, colta nel suo itinerario di ricongiungimento o di allontanamento dal Padre. Anche la ricerca contemporanea, nonostante problemi e incomprensioni, sembra impegnata ad interpretare il senso del limite, della finitezza, della dipendenza che accompagna ogni esperienza umana: occorre però aprire questa riflessione ad un esito trascendente, perché l'uomo cerchi un volto personale, oltre il proprio vuoto e la propria nostalgia.

Qui viene alla luce l'importanza di una corretta qualificazione della paternità umana, come valore a partire dal quale risalire al Mistero della paternità divina (Quadri); a tal fine l'uomo deve riconquistare se stesso, tornando a leggere in maniera approfondita e serena dentro la propria vicenda esistenziale (Calvaruso, Rigobello). In una parola, va riconquistata e difesa l'unità profonda fra il carattere orizzontale e il carattere verticale di un'indagine intorno all'uomo.

Oltretutto, per l'uomo che riesce a leggere in termini filiali la sua condizione creaturale, l'esperienza interpersonale si rigenera e nasce a vita nuova: gli altri diventano fratelli e il rapporto con loro si costruisce attorno all'idea di una comune dignità. Essere degno equivale infatti ad essere un valore ed essere un valore equivale ad essere dinanzi ad una Persona assoluta (Pieretti).

3.2 Questo rapporto costitutivo di figliolanza, che s'annuncia nella percezione esistenziale, può essere approfondito dalla riflessione filosofica e ricondotto ad un nucleo di temi speculativamente molto fecondi: la coscienza di avere una radice personale, l'avvertimento di un limite e di una alterità, il riconoscimento del peccato, l'attesa di una eredità (Rigobello). In questa luce, la condizione di figlio, intesa come modo di essere fondamentale dell'esistenza umana, diventa un messaggio vitale per i nostro tempo, un invito a riscoprire una autentica visione creaturale della realtà. In questa visione il figlio si presenta come "testo originale" dell'uomo (Gianfranceschi), sconvolgendo tutto l'edificio del pensiero moderno, che pretende costruire la città dell'uomo come se Dio non esistesse. Occorre invece ricordare che ogni "uomo che comincia" è figlio dell'immensità, in cui traspare la grandezza di Dio (Casini). Allora l'intera vicenda esistenziale umana può essere riletta come un itinerario di distacco e di riconciliazione con il Padre; la condizione filiale diventa come la chiave interpretativa dell'essere umano, nell'intero arco delle sue esperienze possibili.

3.3 La stessa interpretazione della vita dell'uomo nei suoi aspetti morali, psicologici, sociologici risulta profondamente interessata dalla riscoperta di questa prospettiva filiale e creaturale.

3.3.1 In una società dominata dal primato tecnologico del fare e dell'avere, lo spessore morale della coscienza rischia di essere liquidato. L'uomo che si scopre radicalmente costituito come figlio rompe questa logica unidimensionale e reintroduce la responsabilità dell'amore nella dinamica del rapporto con gli altri. Anche il riconoscimento della colpa e del perdono, allora, tornano ad essere momenti qualificanti e valorizzanti e l'uomo scopre l'effetto liberante del dire "E' colpa mia" (Casini).

3.3.2 Il recupero di questo senso di umiltà creaturale è condizione indispensabile anche per superare la tendenza infantile all'onnipotenza e all'egocentrismo, che racchiude l'uomo su se stesso, imponendolo ad ogni costo all'attenzione degli altri e potenziando le sue tendenze all'autosufficienza, alla presunzione, al perfezionismo (Stickler). C'è dunque, accanto ad una "fisiologia" dell'essere bambini, anche una patologia, che impedisce la costruzione di una personalità equilibrata, integrata e matura anche nel credente.

3.3.3 Con singolare consonanza, analogo pericolo è stato riscontrato, sul piano sociologico, evidenziando i rischi della diffusione di una "società bambinocentrica" (Calvaruso), tesa cioè esclusivamente alla soddisfazione dei bisogni materiali dei figli. Se non viene riscoperto e valorizzata il valore fondamentale della famiglia, nella tipicità del rapporto coniugale che la caratterizza, nelle sue dimensioni vocazionale e pastorale (A. e G. Inglesi), si diffonderà ulteriormente il modello di una famiglia "ancillare", in cui i genitori hanno ormai abdicato alla figura di soggetti attivi ed orientativi, per ridursi a semplici dispensatori di beni e di servizi (Calvaruso).

3.4 Un tratto fondamentale che esprime e riassume la condizione dell'uomo come figlio di Dio è costituito dunque dalla libertà. Come ha osservato Kierkegaard, solo l'Onnipotenza di colui che dona può garantire l'indipendenza di chi riceve. Il figlio che si trova a camminare nella libertà sulle strade del mondo può accogliere o rifiutare la vita con il Padre, proprio come il figlio prodigo della parabola evangelica, paradigma fondamentale dell'uomo che vive lontano dal padre, tra rifiuto e nostalgia.

3.4.1 La figura negativa di questo rapporto è costituita dal peccato, come atto di ripudio dell'amore del Padre; questo ripudio può esprimersi nella rottura violenta del figlio prodigo, come pure, in misura diversa, in una esperienza religiosa povera di fraternità e di gratuità ed avvelenata dal narcisismo, come accade nel fratello maggiore della parabola (Stickler). Tale rifiuto s'esprime ancora, a livello culturale, oltre che personale, nella decolpevolizzazione (Rigobello) e nel rifiuto dell'uomo (Casini), in una lettura unilaterale del Vangelo, che tende a scartare i poveri, a non essere attenti al loro dolore (Riboldi). In primo piano, in particolare, è stato posto il problema dei tossicodipendenti, un problema umano oltre che medico (Cotronei), che deve indurre a guardarci dentro e ad impegnarci attivamente (Pesciotti), perché uscire dalla droga è possibile, contrariamente a quel che vorrebbe farci credere tutta una letteratura che ha cancellato l'uomo per evidenziare il criminale (Picchi).

3.4.2.4 L'uomo che invece accetta Dio come Padre è chiamato anzitutto a vivere la proposta cristiana in comunione con la Chiesa e sotto la protezione materna di Maria. Dinanzi a lui si apre un itinerario di crescita, un cammino di maturazione nella fede, che non cancella le difficoltà e le angustie del presente, ma le valorizza, le riscatta, le trasfigura, conferendo loro un significato pieno. Nella fede si apre quindi dinanzi all'uomo l'immagine di un popolo in cammino, che cerca di vivere nella fedeltà al Cristo, nella memoria della tradizione e nella pluralità delle testimonianze, costruendo una sintesi sempre nuova di dossologia e di diaconia (Javierre). E' importante allora accogliere la parola di chi nella Chiesa è chiamato a confermare i cristiani nella fede (Grandoni, Pagani, Ridolfi, Javierre, Quadri), confrontarsi con l'esperienza dei fratelli (Staufer), conoscere il messaggio di quanti, nella diversità dei carismi e delle vocazioni, sono stati apostoli dell'amore misericordioso (Lobo, Gialletti).

3.4.2.2 La proposta cristiana è anche, però, una profonda valorizzazione dell'umano, in tutte le sue componenti. Il credente che vuole vivere pienamente l'identità di figlio dinanzi al Padre è quindi chiamato, per usare l'espressione di Ricoeur, ad essere "la gioia del sì nella tristezza del finito", illudendo di luce nuova la famiglia, il mondo del lavoro, la vita sociale. Lo stesso rapporto coniugale va dunque vissuto come segno di umanizzazione di ogni altro rapporto umano (Inglesi), salvaguardando le esigenze oggettive di una comunione sponsale che favorisca una crescita in comune con i figli (Quadri).

Allo stesso modo diviene essenziale intervenire sul piano educativo e legislativo perché venga salvaguardata una equilibrata armonizzazione fra vita famigliare e vita sociale, promuovendo nel mondo del lavoro i valori della competenza, della creatività, dell'onestà, della responsabilità personale.

Occorre dunque rivalutare il ruolo paterno anche in questo difficile equilibrio fra le esigenze della famiglia e quelle che si manifestano, o livelli più ampi, in una serie di colpi intermedi che creano lo spazio della vita sociale tra l'individuo e lo Stato (Quadri).

4. Uno stile di misericordia

Se vogliamo con una sola parola riassumere l'insegnamento che il convegno, nella diversità delle sue articolazioni, ha cercato di offrire, questa non può che essere una parola di misericordia. La medesima misericordia che costituisce Dio come Padre e autore di un amore che vince il peccato e la morte. Solo in nome di una misericordia che, oltre l'amore, vive positivamente l'esperienza del perdono e della donazione, il rapporto dell'uomo con l'uomo può diventare un rapporto di autentica fraternità; solo allora il figlio prodigo potrà trovare lungo la sua strada un fratello che lo aiuti a tornare dal Padre.

In questa consapevolezza, al termine del convegno, nel ringraziare la Famiglia dell'Amore Misericordioso, fondata da Madre Speranza di Gesù, non trovo di meglio che cantare le meraviglie della misericordia del Padre comune con le parole di S. Caterina da Siena: "O eterna misericordia che ripari i difetti delle tue creature, non mi meraviglio che tu dica a coloro che escono dal peccato mortale: 'Io non mi ricorderò mai più che voi mi offendeste'. Non mi meraviglio, o misericordia ineffabile, che tu dici di quelli stessi che ti offendono: 'Io voglio che mi preghiate per loro, affinché io faccia loro misericordia'.

O misericordia! Essa esce dalla tua deità, Padre eterno; essa governa con la tua potenza tutto quanto il mondo! Nella tua misericordia fummo creati; nella tua misericordia fummo ricreati nel sangue del tuo Figliuolo sul legno della croce a combattere per noi: la morte lottò con la vita e la vita con la morte. E allora la vita sconfisse la morte della nostra colpa, e la morte della colpa tolse la vita corporale all'immacolato Agnello. Chi rimase vinta? La morte. Chi operò questo? La tua misericordia.

La tua misericordia dà vita: ella dà luce per conoscere la tua clemenza verso ogni creatura: verso i giusti e verso i peccatori. Nell'altezza del cielo, cioè nei tuoi santi, riluce la tua misericordia. E se mi volgo alla terra, vedo che essa abbonda tutta della tua misericordia.

Persino nelle tenebre dell'inferno la tua misericordia riluce, perché non dài ai dannati tanta pena quanto meritano.

Con la tua misericordia mitighi la giustizia; per misericordia ci hai levati nel sangue; per misericordia volesti venire a conversare con le tue creature. O pazzo d'amore: non ti bastò incarnare, ma volesti anche morire. Non ti bastò morire, ma volesti anche discendere agli inferi per trarne i santi padri, affinché si compisse in loro la tua verità e la tua misericordia. Infatti la tua bontà promette la felicità a coloro che ti servono in verità, e per questo tu discendesti nel limbo per far uscire dalla pena coloro che ti avevano servito e rendere loro il frutto delle loro fatiche.

Ma io vedo che la tua misericordia ti costrinse a dare all'uomo anche di più, perché lasciasti te stesso a noi in cibo, affinché noi, deboli creature, avessimo conforto, e gli ignoranti smemorati non perdessero il ricordo dei tuoi benefici. Perciò dài all'uomo ogni giorno questo cibo, ripresentandoti nel sacramento dell'altare, nel corpo mistico della santa Chiesa. Questo chi l'ha fatto? La tua misericordia.

O misericordia! Il cuore si perde e viene meno pensando a te, perché dovunque io volgo il mio pensiero, non trovo altro che misericordia" (1).


1 - S. CATERINA DA SIENA, Il Dialogo della Divina Provvidenza, XXX.