Loretta Peschi

LA CARITAS INTERNATIONALIS DI FRONTE AI BISOGNI DEL MONDO

TAVOLA ROTONDA

 

Siamo molto contenti di poterci confrontare con voi tutti su una tematica che forse è più pratica che teorica. Avete dal programma che l'argomento di questa tavola rotonda è "La Caritas Internationalis di fronte ai bisogni del mondo". Un tale argomento può lasciare un po' sconcertati, perché i bisogni del mondo sono infiniti, e possono essere di vari ordini: materiale, spirituale, culturale, politico. Ma noi tratteremo il tema dal nostro punto di vista, a partire da quello che è il nostro ruolo, che è quello di coordinare ed animare - giorno per giorno, pazientemente e in silenzio - le attività dei cristiani, per favorire un maggior senso della carità all'interno delle comunità ecclesiali e del mondo civile.

Prima di proseguire, vorrei presentarvi gli illustrissimi personaggi che siedono con me a questa tavola, e che vi parleranno dopo questa mia introduzione. Anzitutto, Sua Eminenza il Card. Alexandre do Nascimento, di nazionalità angolana, arcivescovo di Lubango in Angola e, da qualche mese, anche presidente della Caritas Internationalis. Poi Mons. Henri Teissier, Vescovo Coadiutore di Algeri e Vice-Presidente della Caritas Internationalis per il Medio Oriente e Nord Africa. In terzo luogo il Prof. Auguste Vanistendael, già presidente della Caritas Belga, e personaggio di grande rilievo nel mondo - europeo ed internazionale - sindacale di ispirazione cristiana.

Il metodo che vi propongo per passare insieme queste ore è il seguente: in una prima fase, gli oratori affronteranno alcune questioni di fondo relative alla carità e alla Caritas, sia da un punto di vista generale che da un punto di vista diciamo "continentale" (Africa, Medio Oriente, zona occidentale). Dopo di che faremo una pausa e riprenderemo la seconda fase per eventuali chiarimenti che vorrete richiedere, e per esperienze concrete vissute dagli oratori.

Vi pregherei, anche alla luce della lettura breve dei Vespri che abbiamo appena celebrato, di tenere presente che gli oratori non sono italiani, e quindi di avere pazienza.

Vengo ora ad una breve introduzione per dirvi un poco cos'è la Caritas Internationalis. Ogni tanto voi sentite dai giornali, dalla radio e dalla televisione, che la Caritas Internationalis interviene per portare soccorso a vittime di terremoti, di siccità, di guerre, e di altre catastrofi simili. Questo modo dei mass-media di presentarci al pubblico fa sì che la Caritas Internationalis sia vista come una specie di "Croce Rossa Cattolica" che, in presenza di un disastro repentino, interviene insieme ad altri enti internazionali privati o intergovernativi. Una simile visione ci sembra restrittiva e inesatta rispetto al compito che realmente svolgiamo. E' vero che interveniamo nei casi di emergenza, ma è anche vero che facciamo tante altre cose, che tenterò ora di illustrarvi con un certo ordine.

Anzitutto, vorrei chiarire che la Caritas Internationalis non è un Ente, ma una confederazione composta da 115 organismi nazionali che operano nell'ambito della promozione umana, dello sviluppo e degli aiuti di emergenza. Si tratta quindi di una famiglia piuttosto grande, certo non facile da governare, ma che, proprio per la sua grandezza, ha delle ricchezze e delle potenzialità molto forti.

Senza raccontarvi ora la storia della confederazione nei dettagli, consentitemi solo di precisare solo che alcune Caritas, principalmente le europee, sono nate nella prima metà de secolo, e si sono sviluppate notevolmente subito dopo la seconda guerra mondiale. Altre Caritas, e sono la maggioranza, sono invece nate man mano che andava avanti il processo di decolonizzazione, e cioè negli anni 60. Questo aiuta a capire che all'interno della confederazione vi è una dialettica molto ricca, anche se non facile, tra il "vecchio" e il "nuovo", ossia tra un modello di Caritas piuttosto strutturato, ed uno meno strutturato, ma dotato di sensibilità e fantasia rispetto ai problemi della gente che vuole crescere, e crescere insieme.

Naturalmente questi organismi fanno attività diverse, perché diverse sono le esigenze e le situazioni, e i vertici della confederazione non vogliono imporre un modello uguale per tutti; le scelte operative, diciamo il "taglio" di ogni Caritas, dipende dai bisogni e dalle caratteristiche di ciascun paese e di ciascuna area del globo. Ad esempio, è chiaro che nell'area occidentale sono più presenti bisogni culturali - come può essere il bisogno di rapporti umani più autentici -, mentre nelle aree dell'Emisfero Sud i bisogni più urgenti sono di altro tipo: alimentazione, salute, scolarizzazione, formazione professionale, etc.

Ma al di là delle differenze operative, le Caritas sono unite da alcuni punti comuni di fondo. Il primo è che noi vogliamo operare in nome della carità cristiana; ne parlerà più diffusamente il Presidente nel suo intervento e quindi non mi soffermo su questo aspetto. Il secondo è che operiamo rispetto alle povertà, siano esse materiali o culturali.

Rispetto ai suoi membri nazionali, la Caritas Internationalis cerca di porsi come strumento di raccordo per favorire una dinamica di scambio e di collaborazione, e svolge concretamente tre compiti. Prima di illustrarli consentitemi una precisazione. spesso, voi sentite o leggete che la Caritas Internationalis è intervenuta per portare soccorso in questa o quella zona colpita da catastrofe. Questo non è esatto. E' vero invece che la Caritas Internationalis favorisce il confluire i soccorsi da varie parti del mondo, anzi da varie comunità cristiane che danno fiducia alla Caritas, verso la Caritas che si trova nella zona nella quale il disastro è avvenuto. Dico questo non per pignoleria, ma perché mi sembra corretto che anche in Italia si sappia che il punto di riferimento per chiunque voglia dare un aiuto non è la Caritas Internationalis, ma la Caritas Italiana. D'altra parte, avevamo invitato a questa tavola rotonda anche Mons. Nervo della Caritas Italiana, che purtroppo non ha potuto accettare per impegni presi precedentemente.

Ciò chiarito, veniamo ora ai compiti principali che svolgiamo come Caritas Internationalis, e che sono riconducibili a tre grandi filoni.

Il primo compito è quello del coordinamento, cui ho già accennato. Quando una Caritas nazionale ha bisogno di aiuti esterni per condurre una operazione di emergenza, o di sviluppo, o di assistenza sociale, la segnala al Segretario Generale che a sua volta lo trasmette ad altre Caritas, o anche ad altri organismi, che si suppone siano in grado di rispondere positivamente alla richiesta.

Il nostro secondo compito consiste nel rappresentare i nostri membri nazionali presso gli organismi intergovernativi legati all'ONU (come per esempio l'UNICEF, la FAO, l'UNESCO, etc.), presso i quali godiamo dello statuto consultativo. Rispetto a questo filone, le nostre modalità di azione sono due: da un lato, siamo presenti presso varie Divisioni e Commissioni e Conferenze dell'ONU per cercare di far presente ai "signori della diplomazia" le attese più vere e più autentiche dei poveri, degli ultimi; d'altra parte, cerchiamo anche di facilitare la collaborazione tra noi e loro sul piano propriamente operativo; ad esempio, la collaborazione tra Caritas e Alto Commissariato per i Rifugiati, per la gestione dei campi-profughi, oppure la collaborazione tra Caritas e UNESCO per la realizzazione di corsi di alfabetizzazione.

Il terzo compito che svolgiamo, e che ci è molto caro, è quello dell'animazione; ciò vuol dire che la Caritas Internationalis, attraverso i suoi organi internazionali e regionali, cerca di stimolare i membri nazionali e riflettere, a documentarsi, a trovare orientamenti di fondo che possono aiutarci a meglio svolgere le nostre attività.

Le tematiche su cui facciamo animazione sono molto diversificate; ne cito alcune a titolo di esempio: la carità anche nei suoi aspetti teologici, i vari aspetti della povertà, i diritti umani, la pace, il nuovo ordine economico internazionale. Si cerca insomma di mettere assieme riflessioni e documentazioni che ci aiutino ad avere orientamenti comuni.

E a proposito di orientamenti comuni, debbo ora citare quello che è per noi l'orientamento principale, direi quasi un "pallino" che abbiamo. Da alcuni anni noi ci siamo messi in mente di fare in modo che le comunità cristiane si riapproprino del loro ruolo diaconale, e mi spiego.

Soprattutto in Europa e nel mondo occidentale, per molti anni si è teso - i cristiani hanno teso - a delegare il compito della carità a qualche organismo specializzato, come ad esempio la Caritas. Si faceva, nella migliore delle ipotesi, una "offerta" consistente, e si lasciava poi che ad occuparsi dei "casi" fossero alcuni enti o istituti.

Oggi noi diciamo che, se da un lato le organizzazioni caritative sono necessarie, d'altro lato non si può dimenticare che le dimensioni della vita cristiana sono tre:

- l'annuncio della parola, ossia la catechesi,

- la celebrazione, ossia i sacramenti,

- diaconia, ossia l'esercizio concreto della carità.

Se una di queste tre dimensioni manca, la vita del cristiano non è completa. Ecco allora il nostro "pallino": fare in modo che i cristiani tutti, possibilmente comunitariamente, vivano la dimensione diaconale della loro vita cristiana. Ciò significa che dobbiamo dare delle motivazioni e delle occasioni di operatività; significa anche aiutare le comunità cristiane a conoscere e riconoscere le situazioni di povertà esistenti.

Naturalmente questa operazione non è semplice, e non si esaurirà nel giro di pochi anni, perché molti sono gli ostacoli - culturali e strutturali - che ci impediscono di andare verso gli altri, specie verso i più poveri.

Però io sono convinta che sarà proprio una comunità cristiana consapevole del suo ruolo diaconale che potrà non solo risolvere le situazioni di povertà, ma anche cambiare il nostro modo di vita. Considero le comunità cristiane come delle risorse autentiche e vive, capaci di risolvere problemi di emarginazione e di convivenza. Sono convinta che se riuscissimo a dare vita a delle comunità cristiane locali, capaci di vivere fino in fondo la carità, ossia di assumere i bisogni dei più poveri, cambieranno la cultura del nostro tempo.

Da una cultura segnata dal materialismo e dall'individualismo, si potrebbe passare ad una cultura che mi piace definire in tre modi:

- la cultura della povertà, nella quale cioè il progetto di vita si basa sui bisogni dei più poveri e non già dei desideri dei ricchi;

- la cultura della gratuità, nella quale cioè i rapporti umani esprimono una relazione "essere-essere" piuttosto che una relazione "dare-avere" e di tornaconto individuale;

- la cultura della solidarietà, per la quale si cerca di risolvere i conflitti attraverso il dialogo e la ricerca di convergenze, e non già attraverso prove di forza.

Naturalmente si tratta di un progetto tutto da costruire, ma non ci mancano né i punti di riferimento, né le risorse e le esperienze.

Chiudo qui questa mia introduzione e passo la parola al Cardinale do Nascimento per il suo primo intervento.

DO NASCIMENTO: - Prima vorrei dire una parola di grazie per la cortesia, la simpatia e soprattutto per il calore umano verso di me. Vorrei anche dire che è veramente bella questa manifestazione anche per la presenza dinamica di una signora che ci comanda: la Chiesa non è tanto maschile come dicono. Vorrei dire una parola di benvenuto a Mons. Teissier. Prendo un po' l'argomento della nostra Loretta. Nel Concilio Vaticano II - troviamo testi che contengono un riferimento particolare all'azione caritativa, ne citerò appena tre. Il primo testo: la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalle umane debolezze anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore povero e sofferente. Si premura di sollevare gli indigenti e in loro intende servire Cristo".

Riconosciamo qui sottintesa l'idea già presentata nella locuzione precedente nell'omelia: Prossimo in termini operativi - come ho detto - è qualunque uomo si trovi nel bisogno, L'esempio è quello di Gesù di Nazareth che ha collocato nell'annuncio della buona nuova ai poveri il segno della sua messianicità e del suo essere inviato dal Padre.

Cristo ha riservato loro un posto privilegiato nella sua missione di Maestro e Salvatore.

L'altro testo: "Soprattutto oggi urge l'obbligo che diventiamo prossimo ad ogni uomo e rendiamo servizio coi fatti a colui che ci passa accanto vecchio, da tutti abbandonato, o straniero ingiustamente disprezzato o emigrante o fanciullo nato da un'unione illegittima che patisce immeritatamente un peccato da lui non commesso o affamato che richiama la nostra coscienza".

Terzo brano: "Occorre perciò - dice il Concilio - che siano rese accessibili all'uomo tutte quelle cose che sono necessarie per condurre una vita veramente umana, come il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto di scegliersi uno stato di vita e a fondare una famiglia, all'educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla necessaria informazione, alla possibilità di agire secondo il retto dettato della sua coscienza, alla salvaguardia della vita privata e alla giusta libertà anche in campo religioso".

Si direbbe che il Concilio ha voluto enumerare in questi testi non tassativamente ma a mo' di esempio il vasto campo di azione della carità cristiana. Questi ed altri testi ancora ci pongono una domanda: da dove sorge l'ispirazione profonda a comandare tale presa di posizione. Indubbiamente ci troviamo dinanzi a questioni vitali decisive che coinvolgono l'uomo concreto; si potrebbe forse negare che qui sconfiniamo in un terreno disputato dalla Chiesa? Infatti possiamo dire che si tratta di un terreno comune o di competenza mista.

Le strutture civili sono direttamente interpellate ma la giusta premura della Chiesa per tali questioni è solo a titolo di solidarietà con l'umanità intera poiché tutti ci troviamo sulla stessa barca? O ci sono ragioni più profonde? A parere mio ci sono ragioni più profonde. Esistono esigenze intime che emanano dallo specifico del Vangelo: Il Comandamento dell'amore che oggi abbiamo meditato durante la Messa. La Chiesa che lo conosce proclama con la sua missione di essere strumento di unione intima con Dio, e di unità con tutto il genere umano, sia nell'uomo come nell'altro caso è chiamata a vivere l'amore, la Caritas. In termini più concreti si può affermare che la Chiesa non ha voci, non ha altra alternativa, se ma l'ha avuta nel passato. Nessuno ignora, infatti, che la professione di fede nell'ateismo assume oggigiorno proporzioni veramente inquietanti, perché è un fenomeno di massa per lo meno in alcune parti del globo. Dunque come si potrà essere validi testimoni nei riguardi di coloro che proclamavano la morte di Dio, alla maniera di Nietzsche (?). Il Concilio mostra una via precisa: essere personalmente e collettivamente presenza e volto di Dio. Non si può negare l'esistenza in buona fede di qualcuno che è presente e il cui volto si vede, ma Dio che S. Tommaso d'Aquino chiama "bonitas Fontana" e il figlio Suo, che, tra noi passò la vita facendo il bene, potrà essere riflesso dal singolo e dalla comunità solo se, come Lui, ci sforzeremo ogni ora di più di vivere un amore creativo, gratuito, fattivo, incarnato nella realtà quotidiana spesso umile e sommessa.

Non esiste autorità al mondo neanche il Papa o i vescovi, non esiste autorità al mondo che si possa dispensare da questo comandamento: "Amare Dio soprattutto e il prossimo con la stessa misura con la quale ognuno di noi ama se stesso". La Chiesa recettiva anche nei riguardi del mondo per l'esperienza del nostro tempo ha una parola da dire: il nostro tempo ha il gusto dell'efficienza. La rigorosità scientifica nei procedimenti del nostro tempo è di socializzazione e di coordinazione degli sforzi. Tutto ciò nel settore dell'azione caritativa vuol dire esigenza di strutture di associazione. Così è nata la Caritas Internationalis, così sono nate le Caritas ai livelli parrocchiale, diocesano, nazionale, internazionale. La Caritas si trasformò in strumento pastorale al servizio e alle dipendenze del Vescovo della Conferenza Episcopale Nazionale. Cominciò dall'assistenza in genere - in momenti storici particolarmente gravi - in seguito ricevette il mandato dell'animazione, della coordinazione e in genere di tutta l'attività caritativa. Per il cristiano in quanto tale ciò che maggiormente conta non è la specializzazione; questa è utile, indispensabile, ma non è tutto; ciò che soprattutto si richiede al cristiano è che sia specialista nell'amore di Cristo. Dice il Concilio: "i cristiani, che hanno parte attiva nello sviluppo economico e sociale contemporaneo e propugnano la giustizia e la carità, siano convinti di poter contribuire molto alla prosperità del genere umano e a dar pace nel mondo. In tale attività, sia che agiscano come singoli sia come associati, siano esemplari. A tal fine è di grande importanza che - acquisita la competenza e l'esperienza - assolutamente indispensabili mentre svolgono le attività terrestri, conservino il retto ordine rimanendo fedeli a Cristo e al Suo Vangelo; così che tutta la loro vita, individuale e sociale, sia compenetrata nello spirito delle Beatitudini, specialmente nello spirito di povertà. Chi serve fedelmente Cristo cerca, innanzitutto, il Regno di Dio e assume così più valido e puro amore per aiutare i suoi fratelli e per realizzare con l'ispirazione della carità le opere della giustizia".

Ciò che si è detto fin qui può tra l'altro servire a spiegare l'estrema verità di iniziative intraprese dalla Caritas al servizio del prossimo nel mondo intero. Per comodità raggruppiamoci nei denominatori comuni di Continenti e zone culturali con una certa omogeneità.

Sono però tentato di osservare che, come in una foresta non si trova una foglia perfettamente uguale ad un'altra, così dubito che esistano al mondo due Caritas uguali. Dunque abbiamo lo stesso spirito, ma come l'amore della madre, lo si incarna secondo le necessità dei figli. L'Europa avrà le sue difficoltà; l'America, il Belgio e soprattutto l'Africa hanno le loro difficoltà; di questo parlerò dopo.

MONS. TEISSIER: - Sono molto contento di essere qui con il nostro Presidente Cardinale Do Nascimento, ma con gli amici della Caritas e voi, sono specialmente contento perché oggi sono 15 anni che la nostra amica Loretta Peschi lavora nella Caritas Internationalis.

Allora voi avete lavorato sopra questo tema: Parabola del Buon Samaritano; e, letto sullo sfondo della Parabola del Buon Samaritano, il Convegno intende far luce sulla relazione dell'uomo col suo simile, prossimo e estraneo, nell'attuale situazione socio-culturale. Per la Caritas della nostra regione la Parabola del Buon Samaritano ha un significato fondamentale. In tutti i Paesi della nostra regione, dalla Mauritania all'Iran, la vita dei cristiani si svolge in un contesto mussulmano; siamo in un mondo mussulmano ad eccezione del Libano, dove la metà degli abitanti è cristiana.

Il tema della carità fraterna, così come è presentato nella parabola, esprime la vocazione delle nostre Chiese e delle nostre Caritas sotto diversi punti di vista. Vorrei vedere la responsabilità delle nostre Chiese in questa situazione in cui siamo cristiani come fratelli mussulmani; penso che la nostra responsabilità è prima quella di testimoniare che Dio è Amore: "...da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri". Il Cristianesimo confessa che Dio è amore e questo è il cuore della sua testimonianza nei paesi mussulmani. L'Islam a sua volta, attesta che Dio è Dio, e il richiamo alla preghiera cinque volte al giorno proclama in tutti i villaggi e in tutti i quartieri delle città che Dio è il più grande, e che non devono esservi altri dei all'infuori di Dio. L'uomo è invitato a rinunciare agli idoli per rivolgersi a Dio. Davvero è una testimonianza necessaria in quest'epoca come in tutte le epoche. Penso che questa è una testimonianza particolare dei nostri fratelli mussulmani del mondo d'oggi. Ma qual'è la proclamazione specifica dei cristiani come cristiani? Nella parte del mondo in cui viviamo, non c'è da dire che Dio è Dio perché tutta la popolazione, tutta la gente lo sa. La proclamazione specifica dei cristiani nei paesi dell'Islam mi sembra la seguente: ricordato che i Mussulmani dicono nel minareto che Dio è Dio, la nostra proclamazione specifica è: Dio è Dio perché ama. E l'uomo è segno di Dio perché ama il fratello; "carissimi amiamoci l'un l'altro perché l'amore è da Dio, chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio". Certamente anche l'Islam accorda una motivazione religiosa come aiuto reciproco fra i credenti, ma il testo di Matteo parallelo alla parabola del Buon Samaritano esprime in una breve frase questa convinzione fondamentale del Nuovo Testamento. Esiste un legame indissolubile fra l'amore di Dio e l'amore al fratello; il secondo Comandamento poi è simile a questo dell'amore di Dio: "Amerai il prossimo tuo come te stesso". L'intensità dei due amori è più che mai fortemente indicata nella Parabola del giudizio finale: Gesù ha detto: "Avevo fame e mi avete dato da mangiare", d'altronde i mussulmani, che conoscono il messaggio di Gesù, si aspettano di scoprire nei cristiani questo legame fra l'amore di Dio e l'amore al Fratello. Un docente universitario algerino scriveva in un suo libro su Foucauld: imitare Gesù, vuol dire trattare ogni creatura vedendo in lei non solo un uomo ma Gesù. E' di fronte alla coscienza mussulmana, il modo più eloquente per assicurare l'autenticità del messaggio evangelico. E' quindi evidente che la carità fraterna assume molteplici aspetti ed occupa tutti i campi dell'esistenza umana. La Caritas ha come missione di sostenere l'impegno della comunità cristiana in quanto tale nei suoi impegni di promozione sociale e di sviluppo. Il lavoro sociale occupa un posto importante nella vita delle nostre Chiese del Medio Oriente e dell'Africa del Nord; diverse opere di ogni sorta da vari secoli si sforzano di rispondere ai bisogni sociali. I cristiani, sia del posto nel Medio oriente, che cooperatori tecnici nell'Africa del Nord e nella penisola Arabica - voi sapete che nella penisola Arabica adesso ci sono un milione e mezzo di cristiani stranieri che sono là per lavorare - sono una presenza molto importante per le relazioni tra i cristiani e i mussulmani. I cristiani, dicevo, sia del posto del Medio Oriente che cooperatori tecnici dell'Africa del Nord nella penisola Arabica, svolgono un ruolo molto importante in tutte le azioni di sviluppo.

In Algeria abbiamo adesso cinquemila-seimila lavoratori operai italiani, per esempio, con le loro famiglie. Questa azione supera ampiamente quella delle nostre Caritas, ciononostante da una ventina di anni le comunità cattoliche della nostra regione per la maggior parte hanno voluto adottare una struttura Caritas per animare, coordinare e promuovere l'impegno comunitario dei Cristiani di Nazioni in sviluppo e di promozione sociale. Quello che ha detto Loretta. La Chiesa del Libano aveva per esempio da parecchio tempo una vasta rete di servizi sociali o educativi di vario genere.

Questa azione però appariva spesso come propria di una Congregazione particolare: i Padri Gesuiti, le Suore della Carità o di un rito, i Maroniti, Armeni. La creazione della Caritas Libano sud, poi della Caritas Libano nel 1974, ha dato all'insieme delle comunità una struttura comune per l'animazione della carità fraterna nel settore della riabilitazione della promozione e dello sviluppo. Dopo l'attacco Israeliano nel sud Libano, la rete dei volontari della Caritas Libano è stata in varie regioni del sud (dove era l'attacco israeliano) la prima e a volte la sola ad intervenire sul posto, provvedendo fra l'altro alla riapertura e all'approvvigionamento dei panifici in una trentina di località. Questa è la prima parte di quello che voglio dire per testimoniare che Dio è amore.

Secondo punto: farsi prossimo di tutti: "quali di questi ti sembra sia stato il prossimo per quell'uomo che incappò nei briganti?". Questa è la parabola del Buon Samaritano. Gesù ha scelto a proposito come protagonista della parabola un samaritano, cioè un uomo appartenente ad un gruppo nemico, una razza disprezzata, una setta di religione eretica secondo gli Ebrei. E' così che il modello, l'esempio della carità cristiana viene dato da uno che non era ebreo; da un uomo considerato eretico ed avversario. Non era forse questo il modo per illustrare quanto contenuto nel discorso della montagna, ma "io vi dico amate i vostri nemici affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli e che guarda con amore e misericordia a tutti i suoi figli"? Anche quest'altro aspetto della parabola ha una grande importanza come fonte d'ispirazione per il nostro lavoro, cioè nella Caritas della nostra regione. In tutti i paesi della nostra regione i cristiani devono collaborare con dei non-cattolici, copti, ortodossi, e con dei noncristiani, mussulmani, giudei. La Caritas, sforzandosi di creare delle strutture di servizio in una società con svariate tradizioni religiose, permette ai cristiani di prestare aiuto a dei non-cristiani. In certi Paesi del Medio Oriente, ciò è ancor più significativo in quanto i Musulmani hanno le loro opere assistenziali nelle quali è raramente concesso l'accesso ai cristiani. Queste istituzioni dispongono a volte di mezzi assai considerevoli grazie a considerevoli rapporti finanziari con certi paesi petroliferi. La Caritas si sforza tuttavia di svolgere la sua azione in un atteggiamento di apertura verso tutti. I Cristiani hanno a volte l'impressione di condividere il poco che hanno con i loro vicini musulmani che ricevono comunque un aiuto dalla loro comunità. Ma ciò è la carità evangelica; non possiamo fare in altro modo in presenza di conflitti, come è stato per esempio nel caso dell'Algeria durante la guerra di liberazione o attualmente in Libano: è necessario spesso una generosità eroica. Quando la gente ha perduto molte persone di famiglia da parte mussulmana, bisogna che la Caritas dica ai cristiani "bisogna servire a tutti, anche i mussulmani"; questo è difficile, ma questa è la parabola del Buon Samaritano. E' necessaria spesso una generosità eroica per superare le opposizioni fra i gruppi umani e testimoniare l'amore universale, la misericordia di Dio come ci invita a fare Gesù scegliendo un samaritano come protagonista della parabola.

Per esempio voi conoscete tutti i Rumeni; la nostra Caritas continua a lavorare nei paesi dei Rumeni; non c'è nessun paese dove non possiamo lavorare con la carità di Gesù. Perché la carità di Gesù è per tutte le nazioni, essa era presente nelle gravi inondazioni del 1979 poco prima della guerra Iraq-Iran. La Caritas della Somalia partecipa agli sforzi di assistenza ai rifugiati della guerra dell'Ogaden; la Caritas dell'Egitto, nonostante le tensioni confessionali di cui soffre la minoranza cristiana copta, non può rinunciare alla caritas che è universale. Allora la Caritas dell'Egitto, nonostante le tensioni confessionali di cui soffre la minoranza cristiana copta, si sforza d'intraprendere delle azioni in favore di tutti i poveri senza distinzione di religione. Spesso sono i Mussulmani che usufruiscono per esempio dei programmi di alfabetizzazione o dell'azione contro la lebbra. La Caritas della Siria sostiene l'azione di un centro per bambini handicappati che si trova nel quartiere di Bactuma. Il quartiere di Bactuma è il quartiere dove è andato S. Paolo quando è scappato da Damasco, è anche ora il quartiere dove vivono tutti insieme i cristiani di Damasco. Più della metà dei bambini assassinati che vengono in questo centro sono di famiglie mussulmane; nel quartiere ci si è abituati alla loro presenza Perché ai mussulmani non piace andare nei quartieri cristiani. I genitori mussulmani si sono abituati anch'essi a venire in quel quartiere cristiano. Ecco come degli uomini, che si trovano separati dalla storia da molto tempo, si fanno prossimi gli uni degli altri: Prossimità e Estraneità, Nei paesi dell'islam spesso, attraverso il lavoro sociale, vi sono delle religiose che mettono in evidenza questa dimensione della carità cristiana. Il Papa lo faceva notare nei discorsi ai Vescovi dell'Africa del nord il 23 Novembre 1981; ha detto il Papa quando ci ha ricevuto: "per molti musulmani la Chiesa è composta dai religiosi". Per esempio in molte parti del nostro paese non ci sono cristiani, ci sono soltanto alcuni Padri Bianchi, qualche religioso, le Piccole Sorelle di Gesù. Per molti mussulmani la Chiesa è composta da religiose. Beati loro se vedono la Santa Chiesa sotto questo volto....!

Esse sono sparse in vari luoghi lontane le une dalle altre; qualche volta non possono avere la S. Messa ogni giorno Perché non c'è il sacerdote e si dedicano al servizio delle scuole e dei dispensari poveramente attrezzati. Nonostante ciò esse conservano un sorriso a coloro per i quali hanno consacrato la loro esistenza, vivono a 200, 300,400 chilometri da altre comunità. I vescovi dell'Africa del nord nel Giugno del 1982 esprimevano le stesse convinzioni in un messaggio ai religiosi e alle religiose. Le religiose sono spesso i soli gruppi cristiani che possono condividere la loro esistenza un po' più a lungo con le popolazioni delle zone rurali sperdute o dei quartieri più poveri delle grandi città. Le Caritas si sforzano di raggiungere queste religiose e di sostenerle nel loro lavoro; per esempio senza la Caritas della Mauritania i contadini di una nuova zona di emigrazione nella valle del fiume Senegal, non avrebbero potuto beneficiare della presenza di una religiosa che opera in un'azione di promozione della donna; ella vive sola in una parte lontana due ore di macchina speciale. La stessa cosa si potrebbe dire per numerose azioni sociali simili, svolte in Algeria. Da un estremo all'altro della nostra regione centinaia di cristiani danno la loro vita per rendersi prossimi dei loro fratelli e sorelle meno fortunati che sono di confessione mussulmana. Il Vangelo non invita solo i cristiani ad essere prossimi gli uni degli altri:" mettevano tutto in comune" diceva il libro degli atti degli apostoli; invita anche a rendersi prossimi di ogni uomo. Questo è uno dei significati della Parabola del Buon Samaritano. E' molto importante sottolineare ciò in una regione del mondo dove l'esistenza di molteplici comunità religiose obbliga ogni singolo gruppo a lottare per sopravvivere al di là della solidarietà interna di ogni Chiesa. Bisogna dare una testimonianza di amore universale in modo da mostrarsi figli dell'unico Padre che è nei cieli e che fa sorgere il sole e cadere la pioggia su tutti.

PESCHI: - Mi sembra che questa testimonianza di mons. Teissier sia stata di grande valore, Perché probabilmente la maggior parte di noi non sapeva nemmeno come stessero le cose per questi cristiani che vengono catapultati in questo mondo diverso.

Diamo ora la parola al Prof. Vanistendael.

VANISTENDEAL: - Sorelle e fratelli prima di parlare sul tema voglio ringraziare di avermi invitato Perché questa presenza a Collevalenza è un'esperienza totalmente nuova. Come si è detto all'inizio io ho lavorato più di trent'anni a livello internazionale viaggiando per più di sei milioni di chilometri in Asia, Africa e soprattutto America Latina. Vorrei, prima di parlarvi del tema concreto, spiegarvi che cosa mi ha motivato ha fare questo lavoro, che tuttavia non capivano ancora - quarantasette-trentasei anni fa - gli stessi dirigenti del movimento operaio cristiano europeo.

Per me questa chiamata per l'Internazionale era inaspettata, ero troppo giovane per fare questo lavoro. Ma di fronte alla responsabilità, venendo da una lotta già da anni nella sfera del sindacalismo di ispirazione cristiana del Belgio, mi sono posto la seguente domanda: o l'etica cristiana esiste e ha un contributo da dare per la costruzione della società umana, o non esiste e non c'è contributo. Per la mia esperienza ero convinto che sì, il Cristianesimo ha un contributo da dare per la società e dunque ho detto: se questo è vero, può essere che questo contributo è orientato verso gruppi o paesi privilegiati, in certe condizioni favorevoli; in questo caso non m'interessa perché non è cristiano - non può essere cristiano -; e dunque io accetto se questo contributo coincide con certi valori fondamentali umani e contiene un messaggio per tutti gli uomini in tutti i paesi. Dunque abbiamo cominciato, non era facile. Per esempio all'inizio, nel '48, per tutta l'America Latina avevamo un bilancio di trecento dollari per tutto il Continente e con questo abbiamo cominciato.

Mi ha interessato molto l'esposizione di Mons. Teissier perché in questo lavoro spesso in Asia o in Africa ho dovuto collaborare con le diverse religioni e abbiamo ricevuto testimonianze di Buddisti, di Indù, di Mussulmani assolutamente straordinarie; nel '57, prima del Concilio, abbiamo organizzato nell'Estremo Oriente un convegno di tutte le religioni e tendenze: Buddisti, mussulmani, giudei, cristiani ecc., sul tema "esiste o non esiste nelle grandi religioni del mondo un fondamento etico comune o convergente per orientare i comportamenti sociali dei loro aderenti?". Questo convegno è durato tre settimane e la conclusione è stata "sì": se accettiamo una realtà trascendentale, dobbiamo necessariamente arrivare a conclusioni non identiche ma convergenti, nelle quali la persona umana, pur in differenti comunità di vita, ha la priorità su tutte le altre considerazioni. Questo per collocare un po' quello che ho da dire anche dell'Europa.

Naturalmente la mia venuta alla Caritas è una vocazione tardiva, non perché non ho esercitato la carità (perché la Caritas non è l'unica organizzazione in cui si pratica la carità), ma perché solo da otto anni sono entrato nella Caritas Belga e dunque nella Caritas europea e nella Caritas Internationalis. Per me i problemi che abbiamo noi europei, quelli fondamentali, sono:

1) dobbiamo imparare a condividere la nostra ricchezza coi popoli dei diversi Continenti e abbandonare il nostro monopolio del potere e della ricchezza che ha fatto di questa "piccola penisola asiatica", come dicono gli asiatici, il potere dominante del mondo.

2) Dobbiamo riscoprire la povertà e le ineguaglianze nelle stesse società dei paesi europei e prendere sul serio i poveri.

Quando nella prima sessione della Commissione Pontificia della giustizia e pace, hanno domandato ai membri e ai consultori quello che cercavano e aspettavano da questa commissione, al mio turno ho detto: io aspetto di trovare qui la conferma che la Chiesa prende i poveri sul serio, perché questo significa rispetto per la loro dignità umana, per la loro libertà difficile ad avere; questo rimane il problema degli Europei di questo momento.

Io penso che la nostra società in questo momento produce emarginati in una realtà in cui l'abbondanza del superfluo per la maggioranza ha la priorità sulle necessità elementari degli emarginati. C'è qualcosa che non va in questo; e il problema è di scoprire la povertà e di prendere sul serio gli emarginati e i poveri.

Questo indirizzo esige che alla pratica quotidiana si applichi un nuovo stile di vita. Ci sono già piccoli gruppi in tutti i paesi e io credo che con il tempo potranno avere, se animati da un vero spirito cristiano, un'influenza abbastanza grande; non dobbiamo dimenticare che tutta la nostra Chiesa è cominciata con 12 persone.

Né il denaro né la ricchezza materiale sono le cose principali e non danno di per sé la felicità e la pace, né la gioia di vivere che dovrebbe essere il clima naturale dei Cristiani. Per me uno dei peccati più grandi del tempo attuale è il pessimismo della gente, specialmente dei giovani. Perché i seguaci di Gesù, i Cristiani, hanno il dovere di essere annunziatori del messaggio evangelico ed animatori permanenti della speranza e dell'amore.

3) Il terzo problema è che noi europei, dobbiamo non solamente nella vita di una élite ma anche nella massa dei cristiani, propagare una nuova spiritualità che renderebbe al precetto dell'amore tutto il suo splendore in un mondo moderno, per la nostra generazione e per il futuro, per i giovani di oggi orientati verso l'avvenire.

Per la gente, naturalmente, ci sono problemi più diretti, che sono sentiti come più fondamentali, forse perché sono più concreti, ma che non sono i principali. Per esempio molti giovani si sentono traditi dalla nostra generazione e insicuri a causa della disoccupazione, insoddisfazione, angoscia esistenziale con tutte le conseguenze della frustrazione accumulata, violenza, emarginazione della famiglia, droga, frenesie sessuali. La Chiesa per loro non è più la casa del Padre; ma anche questo è positivo perché porta ad un desiderio appassionato di essere ascoltati, capiti, rassicurati, presi sul serio come esseri umani, con una insospettata e sorprendente disponibilità in cui si esprime un senso dell'eterno, di valori eterni. Gli anziani sono una nuova categoria di emarginati in molti paesi, ed anche loro si sentono insicuri e angosciati; per questo la Caritas europea ha un'attenzione speciale e ha sviluppato una collaborazione tra vari paesi europei, perché un paese può imparare dall'esperienza dell'altro. C'è poi: il tabù della sofferenza e questo crea nuovi gruppi di emarginati, handicappati, forse più ancora handicappati sociali che fisici o mentali. In vari paesi c'è una presenza di stranieri (io stesso sono frutto di una combinazione di stranieri) chiamati, come sempre è stato nella storia - gli schiavi sempre sono stati cosmopoliti - per fare lavori duri, sporchi, pericolosi, malpagati. E ho visto anche profughi di regimi totalitari di destra o di sinistra esiliati. Gli stranieri, in questi momenti di crisi economica, sono di troppo; spesso nei paesi più ricchi si manifesta secondo me una vera Aparteid europea contro gli stranieri. Un altro problema e che le Caritas europee erano tradizionalmente dirette da religiose e religiosi; ora con la crisi delle vocazioni, abbiamo il compito di sostituire a questa direzione quadri laici. questo non è facile soprattutto in paesi come il mio dove la Caritas non è solamente un organismo di animazione, ma anche di coordinamento, di federazione di istruzioni: ospedali, istituti psichiatrici, case per anziani, per handicappati, centri sociali ecc.. In questo caso è sommamente difficile fare questa transizione, è vero però (e in questo concordo con Loretta, come anche in molte altre cose ma in questo specialmente) -, che questo dà l'opportunità di recuperare per la comunità cristiana l'esercizio della vocazione diaconale che dovrebbero avere tutti i cristiani ovunque si trovino.

PESCHI: - La domanda posta da un signore riguarda piuttosto la Caritas italiana. Egli dice: molto spesso nelle diocesi noi siamo sollecitati ad intervenire ed appoggiare l'opera della Caritas italiana e non sempre sappiamo i retroscena di queste sollecitazioni né se gli aiuti vanno poi direttamente alle persone che hanno bisogno. Prova a rispondere: la Caritas italiana è l'ultima nata nella famiglia della Caritas internazionale per quanto attiene al Continente europeo; è una Caritas che è natta intorno agli anni '71-72 che quindi si poneva nella linea conciliare dell'animazione della comunità cristiana riguardo ai problemi della carità e della giustizia, sia quelli presenti sul territorio italiano che quelli di carattere internazionale. La Caritas italiana, proprio perché ha questo taglio dell'animazione della comunità cristiana, non gestisce opere o istituzioni, ma è un servizio di carattere pastorale voluto dalla Conferenza Episcopale Italiana per favorire la riappropriazione del ruolo diaconale da parte dei Cristiani.

Questo ha significato uno sforzo immediato da parte della Caritas italiana per creare le caritas ai livelli diocesani, le quali peraltro hanno un'autonomia molto forte perché anche qui vale lo stesso concetto che accennavamo prima per il livello internazionale: ogni territorio, ogni popolazione, ogni porzione del popolo di Dio, ha i suoi problemi, le sue priorità, un suo patrimoni culturale, un suo modo di porsi che non può essere negato, ma che deve diventare una piattaforma, una base di partenza per una maturazione nella carità. Dunque la Caritas italiana fa un'epoca di animazione soprattutto presso le Caritas diocesane, su un ventaglio di temi abbastanza ampio, alcuni dei quali sono stati evocati da Vanistendael poc'anzi; per esempio il tema dell'accoglienza degli anziani o comunque delle persone sole o il tema delle famiglie aperte ai più bisognosi. Un altro tema molto sviluppato è quello del volontariato ed è stato sviluppato non solo in termini teorici ma anche in termini pratici.

Si è cominciato cioè a fare una serie di convegni con i movimenti di volontariato che già esistevano per favorirne la maturazione e la crescita, sia in termini numerici che in contenuti pastorali e culturali. Oltre però a questa animazione nei confronti delle diocesi e del mondo cattolico, la Caritas italiana fa anche uno sforzo di animazione dell'opinione pubblica cioè di coloro che, pur essendo credenti, non frequentano molto le nostre chiese ma hanno ancora un'attenzione al fatto ecclesiale e spirituale.

Questi momenti di sensibilizzazione assumono maggiore vigore nei momenti liturgici forti della Chiesa, come la Quaresima e l'Avvento; attraverso le Campagne di Avvento e di Quaresima, si cerca di attirare l'attenzione, la riflessione dei Cristiani e di tutta l'opinione pubblica su alcune situazioni particolarmente drammatiche. Un esempio concreto è costituito dalle Campagne di Quaresima dedicate agli stranieri che, come si sa, sono ormai numerosissimi anche nel nostro Paese.

Per quanto riguarda la solidarietà con altri paesi o altre Chiese, il sistema è abbastanza semplice. Prendete il caso della Chiesa locale in Somalia che ha bisogno di sviluppare una scuola di formazione professionale; oggettivamente non ha i mezzi per farlo, essa può mettersi in contatto con la Caritas italiana la quale, insieme alla Caritas somala, predispone un progetto che preveda tempi di realizzazione, costi, gestione, futura responsabilità ecc. A questo punto la Caritas italiana lo sottopone, attraverso il suo bollettino mensile, a tutte le Caritas diocesane e a tutti i lettori. Quando qualcuno assume questo progetto, la Caritas italiana s'impegna a finanziarlo. Questo è il sistema che assicura che ciò che è destinato ad un certo posto arriva a quel certo posto. Vi possono essere eventualmente dei surplus rispetto alla domanda che è stata fatta e allora si vede di utilizzarli in campi analoghi, ma normalmente la volontà dei donatori è rispettata anche perché si richiede su un progetto preciso e non generale.

VANISTENDAEL: - Vorrei dire che anche la Caritas Belga svolge l'azione di Quaresima in favore del Terzo Mondo, nella consapevolezza che la dimensione universale è dell'essenza stessa dell'essere cattolico.

Vorrei poi parlare di un progetto per i giovani. In cooperazione con le Caritas Europee si è fatto un progetto per i giovani disoccupati che dopo la scuola non sanno dove andare. Non è un progetto economico: è un progetto soprattutto di formazione; si opererà in ciascun Paese secondo le situazioni e secondo la mentalità. Si progetta di offrire una formazione umana più profonda ai giovani ed anche qualche qualificazione manuale, di tipo artigianale. In questo abbiamo l'appoggio della Comunità Europea: è il primo progetto di tale genere che viene presentato alla Comunità.

In questo io credo che potremmo avere una collaborazione esemplare con le differenti Caritas Europee.

Terza cosa. Riguarda giovani e adulti. Loretta ha parlato del volontariato. Noi abbiamo organizzato quello che chiamiamo "il servizio comunitario della Caritas". Sono soprattutto giovani che accettano di seguire un corso di formazione e si mettono a disposizione come volontari per servire gli anziani, per visitarli individualmente e in tutte le istituzioni o ospedali: e ciò specialmente durante il week-end, le vacanze. Ciascun volontario si impegna a fare tante giornate all'anno secondo un calendario stabilito in precedenza. Abbiamo concordato con quelle istituzioni un piccolo salario orario per i volontari, ma questi non lo ricevono. Tale danaro va a costituire un fondo che finanzia piccolo progetti analoghi al terzo mondo, nelle missioni.

Si va così al di là del limite diocesano, nazionale. A lato di questa iniziativa c'è un'organizzazione abbastanza numerosa, più di 3-4 mila persone che visitano ammalati, abbandonati nelle Istituzioni e a domicilio.

In collaborazione con alcune comunità religiose riusciamo a organizzare il servizio, che comporta anche delle spese in quanto nell'andare a far visita ai malati in genere si porta loro qualcosa. E' una rete abbastanza importante, diffusa in tutte le diocesi.

La Caritas ha inoltre convinto i Vescovi, a lanciare, a fianco dell'operazione quaresima, l'operazione "Avvento" per il terzo e quarto mondo nel Belgio, ossia per gli stranieri senza lavoro: mussulmani, Nord Africani, Turchi, Greci ecc. In questo ambito, vediamo che prendono molto piede nella Caritas azioni meno istituzionalizzate, come piccoli centri per drogati, per ragazzi abbandonati, centri sociali per stranieri, teleservizi per tutte le possibilità: di queste iniziative ce ne sono più di 400 in un Paese relativamente piccolo come il nostro. E' anche questa una rete che attraversa il Paese con un coordinamento diocesano e coordinamenti, secondo la specialità, a livello nazionale.

Forse vi interessa sapere come funziona il teleservizio. E' un'organizzazione che lavora al telefono con volontari. Ognuno può chiamare questo numero: una sposa che ha problemi col marito, un ragazzo che scappa di casa, uno straniero che è solo e non sa dove andare, un disperato che pensa di suicidarsi.

La persona che ascolta può dare un consiglio, può fornire l'indirizzo dell'istituzione che può rispondere alla richiesta specifica. Questo nelle città moderne è una cosa molto preziosa. E' un lavoro pesante che raccoglie ogni tipo di miserie. Nella città con più di 25 mila abitanti abbiamo questo servizio. Risponde a delle necessità che 25 anni fa non esistevano: derivano dall'iperconsumismo della nostra società.

Altro problema che abbiamo affrontato è la formazione degli assistenti pastorali laici. All'inizio i cattolici e i cristiani accettavano solo il sacerdote; poi siamo riusciti a far accettare prima religiose e poi laici formati con la collaborazione dell'Università cattolica di Lovanio che realizza un corso permanente di formazione per i collaboratori pastorali laici che per il futuro potrebbe essere una realizzazione abbastanza importante. Con la stessa Università la collaborazione della Caritas è stata decisiva per la creazione di un Istituto per lo studio di problemi bioetici. In questa epoca di manipolazione genetica, di liberalizzazione dell'aborto, di idee circa l'eutanasia ecc., è molto importante che i medici cattolici ricevano una formazione in questo senso. E con mia gioia siamo riusciti a far accettare alla facoltà medica di questo Istituto la presenza di un filosofo e dottore in teologia laico. Fino a poco tempo fa era impensabile che un non medico fosse direttore in una facoltà medica di questo istituto.

Questo giovane professore nello stesso tempo è il mio successore nella Caritas belga, e questo ha rinforzato il legame tra la Caritas e l'Università. Vorrei ora raccontarvi un'esperienza di vita. In Vietnam, avevamo un'organizzazione sindacale di operai e contadini notevole (350.000 aderenti) che pagavano un contributo in natura: frutta, pollo, ecc. Era l'unica organizzazione dell'Asia autosufficiente. Il Presidente che era Buddista, mi aveva detto anni fa: "tu sei cattolico... anch'io sono cattolico". Io dissi: "io credevo che lei era Buddista..." e lui: "sì, sono buddista ma sono anche cattolico perché tutte le cose che tu credi, io le credo, tutte le cose che sono importanti, i valori che sono importanti per te, per me anche sono importanti. La dottrina sociale cristiana per me è la dottrina di base della nostra azione" e, mi diceva: "se siamo in pericolo di morte e tu sei con me, mi devi battezzare; in questo momento non lo posso fare perché ho 300.000 persone presso questa precristianità, e semi faccio battezzare perdo questa possibilità di apostolato". Dopo la presa di Saigon da parte dei Comunisti è andato in esilio ed è morto a Parigi qualche settimana dopo, ma prima si è fatto battezzare. Altro esempio. In Indonesia, 20 anni fa nell'isola di Giava c'era molta tensione tra Cattolici e Musulmani. Io ero lì per fare un accordo con i sindacati musulmani, ero arrivato di notte, non c'era elettricità e a lume di candela eravamo seduti attorno ad un tavolo.

I dirigenti musulmani tacquero per dieci minuti, perché non erano d'accordo per la conversazione; e dopo 10 minuti un tale ha detto: "io sono il più anziano, e non c'è niente in comune tra la fede cattolica e la fede musulmana". Io ho detto che non potevo aspettarmi che loro mi seguissero nella mia preghiera nella Chiesa, così come loro non si aspettavano che io li seguissi nella preghiera del venerdì, ma che non di meno avevamo qualcosa in comune: loro ed io credevamo in un Dio unico e Persona.

Loro credono che il male sarà punito e il buono sarà ricompensato: anch'io; loro credono che debbono agire nella vita secondo la legge di Dio: anch'io lo credo. Dunque, mi dicono: "se questo è vero ti accettiamo". Però aggiungono: "Noi abbiamo mandato al tuo paese, in Europa, i nostri figli per studiare all'Università, per avere una qualificazione, ma credici, molti di più perché tornassero con una risposta alle questioni fondamentali che si agitano nella nostra coscienza".

Ma i Cristiani non erano fratelli dei nostri figli, perché questi sono tornati increduli... loro non li hanno accettati come fratelli, e questa è stata una cosa abbastanza dura per noi. In Africa abbiamo lavorato in condizioni impossibili facendo persino 40 chilometri a piedi al sole per incontrarci con lavoratori di una piantagione o lavoratori di una fabbrica". Un giorno ho ricevuto una lettera di un dirigente che si è già imposto in Africa. "Caro Augusto passiamo un tempo difficile; domani devo andare in una fabbrica tessile a 20 chilometri da qui; la strada passa per un bosco tropicale dove ci sono le scimmie e mi fanno paura; prega per me". E l'ultima esperienza. Giovedì passato ricevo una telefonata; era arrivato dal Vietnam un mio collaboratore di 73 anni che non vedevo da 20 anni; dopo 7 anni di campo di rieducazione mentale l'ho trovato cambiato e mi ha detto: "io ti devo ringraziare perché in 7 anni quello che mi ha aiutato a sopravvivere moralmente era il tuo messaggio di speranza che un cristiano mai deve perdere qualunque sia la situazione". Un gesto di uno sconosciuto può avere un significato apostolico tremendo e la conseguenza è che non possiamo perdere l'opportunità di fare un gesto verso l'altro, e questo deve caratterizzare tutto l'apostolato, tutta l'azione sociale, caritativa e religiosa.

TEISSIER: - Siamo con lo stesso problema: relazione con i non cristiani, con i mussulmani di Indonesia o con i Buddisti dell'Asia. Però prima di parlare di queste relazioni con i Mussulmani, vorrei ritornare a quello che ha detto Loretta circa l'azione della Caritas italiana perché voi avete desiderato sapere qualcosa di essa; noi siamo in relazione di collaborazione con la Caritas italiana e perciò posso dare una testimonianza.

Per esempio dopo il terremoto in Algeria avvenuto tre anni fa, la Caritas italiana è stata una delle prime che è venuta ad aiutarci; fu appena due mesi prima del terremoto dell'Italia del sud e un collaboratore della Caritas italiana è venuto ad Algeri per condividere con noi la sua esperienza perché aveva lavorato anche nel terremoto del Friuli. Questo non è solo uno scambio di aiuto ma uno scambio di speranza. Anche adesso collaboriamo con la Caritas italiana perché abbiamo in Algeria un lavoro comune col "crescente rosso", cioè la Croce Rossa locale per la promozione delle donne, che è un problema dei paesi mussulmani. Hanno chiesto se possiamo fare un piccolo bollettino per la formazione delle donne che hanno responsabilità di un gruppo di donne e un centro; abbiamo chiesto con aiuto alla Caritas italiana per questo. Terzo esempio è il lavoro che fa la Caritas italiana in Somalia dove ha aperto un centro di formazione professionale, ma sapete che da dopo la guerra dell'Ogaden ci sono 500.000 rifugiati in Somalia e la Caritas italiana, insieme ad altre istituzioni italiane, ha organizzato un aiuto per i rifugiati inviando non solo medicine ma anche volontari infermieri e medici che lavorano 7 mesi e dopo ritornano; ci sono anche mussulmani, e questo è il campo d'impegno comune nel lavoro sociale.

Torno ora alla questione della nostra testimonianza come cristiani nei paesi mussulmani; ho detto che nostro compito è testimoniare che Dio è amore e che l'amore di Dio è universale, che bisogna lavorare insieme a tutti, anche in situazioni di ostilità. Ora voglio aggiungere una cosa molto importante: la carità non è una specialità dei Cristiani, essa è un dono di Dio e Lui può dare una vera carità ad ogni uomo che accetta il dono; allora il nostro lavoro in questi paesi mussulmani non è solo quello di cercare di essere caritatevoli, ma anche di incontrare quei fratelli che vivono della carità, che è un dono di Dio e non del Corano, un dono dello Spirito che mette nei nostri cuori la carità di Dio. Molte volte c'è gente che dice: "che cosa fate in questi paesi mussulmani... essi sono mussulmani e non vogliono cambiare..."

Siamo nel mondo intero per cercare di vivere insieme nella carità, per cercare una strada per andare insieme verso il regno di Dio. Adesso non possiamo davvero fare una Chiesa algerina... ma questo significa che non possiamo fare qualcosa per il regno di Dio in questo paese? Anzi sono fratelli che possono dire si o no a Dio, si o no al loro fratello.

Nel giudizio ultimo Gesù non dirà: "tu hai accettato il battesimo" ma dirà: "avevo fame e tu mi hai dato qualcosa". Per il cristiano non si tratta soltanto di dare una testimonianza di amore fraterno, bisogna anche ricevere questa testimonianza dagli altri. Nei nostri paesi molte persone non cristiane (mussulmani o altri) sono impegnate in opere di condivisione, di promozione sociale o di sviluppo, Le nostre comunità non si accontentano di aiutare i Cristiani, di essere al servizio della promozione di tutti i fratelli compresi i non cristiani. La Caritas si sforza di mettere i cristiani in contatto con i non cristiani che lavorano nel campo sociale. Ricordate la parabola del Buon Samaritano: è il Samaritano che dà al sacerdote ed al levita la lezione di generosità. In Siria alcuni cristiani hanno osservato con quale maggiore generosità i genitori mussulmani si occupavano dei loro figli handicappati. E' più facile in questo centro lavorare con i genitori mussulmani per cercare di favorire la promozione di questi bambini che con i genitori cristiani; non voglio dire che i mussulmani sono migliori, ma voglio dire che la grazia di Dio dà la carità ed essa può essere vivente nel cuore di ciascuno. In Algeria un gruppo di cristiani ed alcuni mussulmani lavorano insieme al servizio degli handicappati. Le autorità pubbliche e vari volontari hanno creato diverse associazioni regionali e nazionali per handicappati; varie Caritas hanno fatto da tramite fra i cristiani e i mussulmani che si prendevano cura degli handicappati.

In una città dell'Algeria si è scoperto che ci sono molti handicappati; si sono cercate persone mussulmane che vogliono lavorare in questo campo e si è trovato un piccolo gruppo; poi si è chiesta l'autorizzazione al Governatore per fare l'Associazione; si è raccolto il denaro fra i mussulmani e fra i cristiani; si è chiesto alle autorità mussulmane se si potevano chiedere elemosine legali per il digiuno e esse hanno accettato.

Come è scritto in un rapporto islamo-cristiano dell'Aprile 1982 che trattava il tema dell'impegno per gli handicappati: impegnarsi insieme, cristiani e mussulmani, per il servizio degli handicappati significa afferrare con i fatti che ogni essere umano ha un valore che deve essere rispettato nonostante il suo handicap, che si può utilizzare le sue ricchezze e risorse umane nel modo più congeniale per lui e giungere così al bene ed alla felicità secondo quell'itinerario che gli è proprio.

Altro esempio in Egitto. La Caritas nel 1982 ha permesso a circa 500 giovani di essere formati in vista dell'azione sociale, un po' come hanno fatto in Belgio, ma in Egitto questa formazione sociale ha interessato cristiani e mussulmani insieme. Questi giovani imparano insieme a donare se stessi per soddisfare i bisogni sociali. I responsabili della Caritas dell'Africa del nord, del Medio oriente così si esprimevano nel seminario svolto nel 1974 ad Algeri: "Cristiani - e questa è una definizione del nostro impegno nel campo sociale e anche una definizione della nostra comprensione del cammino della nostra evangelizzazione tra una società mussulmana di cristiani e mussulmani - Dio ci chiama tutti a vivere fraternamente e al servizio della promozione umana dei nostri fratelli. In questo impegno comune per la promozione dell'uomo noi crediamo che gli uomini, guidata dallo Spirito, non dal Corano ma dallo Spirito Santo che parla nel cuore di ogni uomo, portano la creazione verso il suo vero fine, rispondono alla loro vocazione più profonda, scoprono infine una comunione che ha origine dall'alto e realizzano progressivamente la loro unione in Dio che è il Regno di Dio adesso realizzato fra noi". Gli esempi illustrati precedentemente sono stati proposti per illustrare la chiamata di Cristo ad un amore fraterno universale. appare evidente che la risposta della comunità cristiana è sempre inferiore rispetto alla chiamata ricevuta; per questo noi abbiamo costantemente bisogno di rileggere il Vangelo del Buon Samaritano, per scoprire di chi dobbiamo farci prossimi e anche per ricevere noi stessi la Buona Novella, poiché in definitiva il solo Buona Samaritano è Gesù che continuamente si fa prossimo degli uomini per riunirli in comunità fraterne. "Ora invece in Cristo Gesù voi che una volta eravate lontani - mussulmani e cristiani - siete divenuti vicini mediante il sangue di Cristo".

INTERVENTI: - Io non devo fare una domanda, ma dare soltanto una testimonianza. Giorni fa stavo a Betlemme e guidavo un gruppo di pellegrini e avevo promesso loro che li avrei condotti a vedere la grotta della natività, Gesù Bambino nell'immagine tratta da un tronco di ulivo fatto dai francescani e poi Gesù Bambino in carne ed ossa. Tutti pieni di curiosità... non li ho delusi, li ho portati al Caritas Baby, hospital di Betlemme, che è un ospedale per bambini ammalati: un ospedale dove l'assistenza è completamente gratuita (dico per inciso che in Israele l'assistenza all'ospedale non è gratuita ma si paga).

Questo ospedale è veramente "modello" dove questi bambini vengono curati molto bene e, nello stesso tempo, si fa un'opera di accostamento da veri samaritani verso questi bambini che hanno estremo bisogno di assistenza.

Ancora muoiono di freddo d'inverno. Le suore sono francescane, Elisabettine di Padova, mentre l'ospedale è della Caritas e viene sovvenzionato dalle raccolte che si fanno durante la notte di Natale in Svizzera e in Germania appunto per tenere in piedi questo ospedale, che è stato iniziato da un sacerdote svizzero dopo l'ultima guerra per un fatto commovente. Questo sacerdote stava a Betlemme la notte di Natale e vide un padre mussulmano che seppelliva il proprio bambino morto di freddo, allora cominciò con un piccolo ospedale; adesso è un ospedale moderno. Questa è la mia testimonianza del bene che fa la Caritas a queste popolazioni e nello stesso tempo io sono convinto che fa opera apostolica Perché il mussulmano e l'ebreo difficilmente si convertono, però capiscono il linguaggio dell'amore. Si avvicina moralmente, si avvicina dal punto di vista della mentalità che sotto certi aspetti per noi ancora è barbara Perché ci dicevano che lì i matrimoni li combinavano i genitori. Una ragazza si sposa dopo 7 giorni che è stata scelta dall'uomo che l'ha voluta... Termino con un appello che hanno fatto a noi e io volgo a voi: se c'è un volontario che conosca però l'inglese che voglia fare assistenza anche per un tempo limitato qualche mese lì, sarebbe accolto a braccia aperte. Poi la domanda che è abbozzata e confusa è questa: gli Ebrei non vanno in questo ospedale anche se è aperto anche a loro, forse perché è zona occupata, però si potrebbe fare qualcosa anche per gli Ebrei per far breccia in questo muro?

TEISSIER risponde: - Naturalmente la carità è universale e allora bisogna lavorare anche per gli Ebrei; però noi non possiamo farlo perché i cittadini dei paesi arabi non possono andare in Israele. Abbiamo una piccola Caritas a Gerusalemme; il padre che ha la responsabilità può uscire ma noi non possiamo andare. Giacché ho preso la parola vorrei menzionare una signora che si chiama Anna Maria e lavora nel nostro paese a 1200 o 400 chilometri da Algeri, sola in un deserto; in un posto molto bello ma desertico. Lei sola tiene 20 gruppi di donne algerine che apprendono qualcosa per la loro promozione. Da dieci anni una persona sola con centinaia di famiglie che possono approfittare del suo impegno.

PESCHI: - Un'altra domanda giunta al tavolo della presidenza per iscritto dice: "siccome non mi rendo conto di quanto la Caritas si muove e di quanto no, chiedo in genere quali sono le motivazioni per gli interventi straordinari?". Se ho ben capito si vuol sapere, più che le motivazioni, i criteri in base ai quali si decide d'intervenire o meno in seguito a una catastrofe naturale o provocata da intenzionalità umana.

Il criterio è abbastanza semplice. In una catastrofe si tende intanto a vedere quali sono le dimensioni della stessa; si pensa molto di più ai vivi che non ai morti, si pensa cioè ai bisogni di chi è superstite. Per noi una tragedia non è grande se ci sono 2000 morti, ma è grande se ci sono persone cadute immediatamente nel bisogno per un evento straordinario. Secondo criterio è quello di riuscire a capire se il paese e la Chiesa del posto sono in gradi di far fronte o no da sole ai bisogni nuovi che si sono creati. Faccio un esempio concreto: sapete che in Florida, negli Stati Uniti, vi sono molto spesso dei tifoni che scoperchiano le case, distruggendo ponti ecc. Lì la Caritas normalmente non interviene perché noi sappiamo molto bene che le forze ecclesiali e le forze amministrative della Florida sono perfettamente in grado di far fronte alle situazioni di bisogno che si creano.

Ma lo stesso tornado magari fa il giro del Pacifico e arriva nel Borneo; allora lì la situazione di povertà e la mancanza di infrastrutture sociali amministrative sanitarie è tale che il bisogno di intervento dall'esterno scatta immediatamente; questi sono un pò i criteri sui quali ci muoviamo, naturalmente va detto anche che noi da Roma non decidiamo nulla aspettiamo sempre che la Caritas del paese colpito ci dica di cosa ha bisogno. Non decidiamo noi in base agli articoli di giornale che leggiamo. Ci possono essere delle volte in cui obiettivamente le comunicazioni sono difficili, allora mandiamo anche delle persone, ma il principio è sempre quello di lasciare per quanto possibile alla Caritas locale la responsabilità di dirci di quali risorse si ha bisogno e quello che obiettivamente la Caritas con le sue strutture può fare. Non è possibile che in una situazione drammatica, una Caritas possa fare tutto. Sceglierà di fare quello che può obiettivamente fare con le sue forze e l'appoggio esterno.

DO NASCIMENTO: - La seconda parte del mio intervento serve a darvi una panoramica sull'attività caritativa delle chiese nella cosiddetta Africa nera. Prescindo dunque dall'Africa del Nord, la quale è integrata nella regione Medio Oriente e Nord Africa.

Sicuramente ci sforziamo di far comprendere che la funzione della Caritas non riguarda soltanto l'aspetto assistenziale, l'aiuto d'emergenza.

Da Paolo VI è stato detto: "la Caritas insegna al cristiano a saper dare ma anche ricevere". D'altra parte però, è un dato di fatto, il sorgere delle varie Caritas si ricollega a circostanze d'emergenza. In Angola, per esempio, la nostra Caritas è nata nei giorni difficili degli anni '61, quando scoppiò l'insurrezione nazionale che in seguito ci avrebbe portato all'indipendenza. Casi umani di rifugiati, orfani, vedove, furono il maggiore interesse della Chiesa. Tutto ciò guadagnò alla Chiesa un'irradiazione mai prima raggiunta. devo però dire che la gerarchia in quell'occasione diede solamente l'approvazione: l'iniziativa fu dei laici, ma soprattutto delle laiche. In ogni modo ancora oggi la maggior parte delle Caritas del mondo, in particolare nel terzo mondo, non potranno lasciare questo aspetto assistenziale, di soccorso e di emergenza. E come potrebbe permetterselo in Asia o in Africa dove il fenomeno dei rifugiati si estende a milioni di individui? se la guerra civile, per esempio in Angola, e ricorrente nei Paesi Africani, le siccità mantengono aperto il problema immediato dell'esistenza come questione di vita o di morte.

Deve essere dunque tenuta in conto l'osservazione del Santo Padre che ha voluto richiamare l'attenzione sulla funzione che ancora aspetta alla Caritas nel servizio diretto e indiretto all'indigenza. Migliorare o addirittura cambiare le strutture è proprio della visione globale della Caritas: mi sembra il senso più importante. E' qui sufficiente ricordare il messaggio dell'ultima Assemblea Generale nostra, messaggio rivolto a tutto il mondo, ma prima ancora di arrivare a considerare questa macroprospettiva, accenniamo più modestamente a ciò che si è fatto, progetti eminentemente pratici, come l'alfabetizzazione o corsi di formazione per le donne, borse di studi o per gli studi superiori, piccole cooperative, l'iniziativa che la Caritas sta realizzando in Tanzania: una campagna di costruzioni di mulini per la lavorazione della farina ad uso alimentare, per i villaggi. Questa Caritas ha presentato un progetto che interessa e impegna piccole comunità con l'approvazione delle autorità civili e richiede aiuti all'estero, contando sul contributo dei beneficiari. Certamente vorreste saper qualcosa sul come lavora la Caritas Angola in un paese marxista-leninista. La Nostra Caritas ha conosciuto già tre diversi regimi: quello coloniale portoghese, quello di transizione e ora regime socialista scientifico. Fin dagli inizi, avendo la Costituzione dichiarato la totale separazione tra la Chiesa e lo Stato ed avendo lo Stato poi avocato a sé l'esclusività dell'educazione e dell'assistenza, si intravedevano per la nostra Caritas giorni difficili; e veramente ne abbiamo avuti ancor più quando le relazioni fra Stato e Chiesa si fecero tese a causa della Lettera Pastorale del 14 Dicembre '77, nella quale l'Episcopato Angolano prendeva in modo fermo le distanze da nuovo indirizzi politici intrapresi dalle nuove autorità politiche. Ci furono dei tentativi di piegare la Caritas alle dipendenze di servizi sociali della Stato. Per la Chiesa questa soluzione era inaccettabile. Avrebbe frodato le intenzioni dei donatori. abbiamo allora preferito accontentarci delle nostre risorse ed organizzarci in vista della relativa auto sufficienza.

Oggi possiamo dire che in questo senso si è già fatta molta strada: il nostro popolo si sta educando sempre più a non attendere soltanto aiuti dall'estero ed ansi si sarebbe fatto certamente di più se le condizioni attuali, ancor più penose ed estese in tutto il Paese, non ci avessero obbligato a ricorrere agli aiuti dall'estero. Fa pena veramente vedere che un Paese così ricco come l'Angola sia diventato un mendicante internazionale. E' importante notare che nel frattempo le relazioni col potere politico sono cambiate, camminando verso un intesa migliore; perciò è stata accolta la linea del dialogo, senza allo stesso tempo cedere su ciò che per noi è essenziale. Ora si aprono prospettive maggiori sul piano assistenziale.

Attualmente abbiamo più di cento suore impegnate nell'assistenza ospedaliera e in dispensari anche se è importante non perdere di vista una naturale diffidenza nei riguardi dell'attività caritativa della Chiesa. Pensavamo che questo fatto allontanasse la gente dalla Chiesa; avviene invece che le nostre chiese sono piene soprattutto di giovani. Mi è capitato una volta di andare in una città dove ci fu un sopruso: il commissario politico una domenica ha impedito il culto, poi sono andato io, abbiamo parlato molto e in fine mi hanno chiesto: "Noi sappiamo che le vostre chiese sono affollate, dunque eccellenza dica ai giovani che vengano anche da noi!" Io ho risposto: "Io devo essere un buon cittadino e la nostra consuetudine dice che la chiesa è la chiesa e lo stato è lo stato! Ma se il vostro partito è scientifico, seguite dunque le regole della scienza".

Ognuno deve fare il suo lavoro e un prete non fa il lavoro del partito. Il peggio che può capitare al potere o a un'autorità è il ridicolo! Io ho conosciuto qualcuno che non fa il giuoco del governo: dopo una Messa, dico: "Adesso andreste a sentire il Presidente della repubblica? "Sarebbe così ridicolo come se dopo un comizio il Presidente della Repubblica dicesse: "Adesso andreste a sentire il Presidente della Repubblica?" Sarebbe così ridicolo come se dopo un comizio il Presidente della Repubblica: "Adesso andate a sentire il card. Do Nascimento!" Insomma è di estrema importanza per la Chiesa non dimenticare il suo dovere di testimonianza, distinguere chiaramente i punti sui quali non può transigere senza tradire la sua missione ed anche senza poter servire il popolo come deve. E' ugualmente importante ribadire che qui non entriamo in competizione con lo Stato-partito come insegna il Vaticano II: dobbiamo realmente rispettare le giuste autonomie e competenze del potere civile legittimamente costituito.

Presentiamo adesso alcune preoccupazioni espresse dalla Gaudium et Spes quando dichiara che le nazioni in via di sviluppo che rappresento tendono soprattutto ad assegnare espressamente, senza equivoci, come fine della loro evoluzione, la piena espansione umana di tutti i cittadini. si ricordino che questo progresso trovò innanzi tutto la sua origine e il suo dinamismo nel lavoro e nell'ingegnosità delle popolazioni stesse, tanto più che esso deve appoggiarsi non solo sugli aiuti esterni, ma prima di tutto sulla valorizzazione delle proprie risorse e così pure sulla propria indole e tradizioni che devono essere coltivate. Ciò significa, penso io, anzitutto che nelle relazioni tra Paesi ricchi e Paesi poveri si deve tener ben presente la dignità delle persone e il rispetto dei popoli.

Ho avuto più volte l'occasione di notare, tra gli indigeni del mio popolo, che ciò che essi maggiormente apprezzano non è anzitutto l'aiuto materiale ma il calore umano, lo sguardo pieno di rispetto. E siccome non possiamo tralasciare del tutto l'elemento economico nelle relazioni tra i popoli, è opportuno tener presenti le seguenti parole del Concilio: "bisogna che negli scambi con le nazioni più deboli e meno fortunate le Nazioni evolute abbiano riguardo al bene di queste, che per la loro sussistenza hanno bisogno dei proventi ricavati dalla vendita dei propri prodotti. ecco perché ancora una volta dobbiamo, noi del terzo mondo, denunciare lo scandalo dei prezzi, il fatto che deve essere il compratore di materie prime a stabilire il prezzo e che poi nella vendita dei prodotti industrializzati sia ancora lui, ora venditore, ad imporre le proprie condizioni.

Ancora una volta dobbiamo denunciare la mancanza di rispetto nell'offrire al terzo mondo aiuti condizionati ad opzioni malthusiane o neomalthusiane. Dobbiamo denunciare lo scandalo della vendita di armi a governi le cui popolazioni muoiono di fame. Potrei ancora enumerare altre denunce, ma conosco abbastanza i miei fratelli d'Europa e d'America per dire loro con tutta franchezza che grazie a Dio, sono molti i cristiani che non solo formulano vivi desideri, ma già hanno cominciato a mettere in pratica - come disse il concilio - il servizio agli uomini del proprio tempo con generosità sempre più efficace senza limiti.