Domenico Cancian
OSSERVAZIONI CONCLUSIVE
Premessa. Raccogliere sia pure in modo sintetico la ricchezza delle riflessioni e delle esperienze del Convegno rappresenta una soggettiva semplificazione che non fa certo giustizia alla realtà delle cose. Ma forse è utile cercare di mettere insieme gli apporti più rilevanti e tentare di far emergere l'essenziale in una visione d'insieme, pur con il limite suddetto.
1. Conviene anzitutto notare la stretta relazione tra il Convegno dell'anno scorso su "Il mistero del Padre" che aveva al centro la parabola del Figliuol prodigo, o meglio, del "Padre misericordioso" (Lc 15,11-32) e il Convegno che stiamo concludendo, avente come riferimento la parabola del "buon samaritano" (Lc 10,29-37).
Almeno due sembrano essere i collegamenti ideali: la riflessione che fa il Papa nei suoi Documenti e, più a monte, la lettura biblica.
1.1 L'amore del Padre misericordioso e del buon samaritano (Cristo) generano la nostra condizione filiale e la relazione vera tra gli uomini. L'uomo ritrova la sua identità di figlio e di fratello nell'amore che è allo stesso tempo dono e impegno.
L'intervento di T. Styczen è stato una dimostrazione della tesi di Giovanni Paolo II, alla base delle due grandi encicliche: "L'uomo rimane per se stesso un essere incomprensibile... se non gli viene rilevato l'amore, se non s'incontra con l'amore, se non lo sperimenta e non lo fa proprio, se non vi partecipa vivamente" (RH, n. 10). Sostiene il relatore: "L'autoidentificazione dell'uomo in quanto uomo appare come scoperta che il soggetto fa di se stesso come di qualcuno che è stato chiamato ad affermare ogni altra persona, cioè ad amare, in forza di un proprio autocomandamento". L'autocompimento è dunque frutto dell'amore, perché l'atto di amore persegue l'affermazione dell'altro, di ogni persona per se stessa (amore del prossimo più lontano). Quindi l'uomo non può comprendersi né compiersi come uomo senza l'amore: si compie sempre e solo quando ama. Il giudizio che l'uomo sente dentro di sé: devi amare!, è così basilare che il problema "amare o non amare" assurge a problema del tipo "essere o non essere dell'uomo come uomo", cioè a problema del senso della vita umana. Chi non ha incominciato ad amare non ha incominciato a vivere.
Gli altri diventano vicini (fratelli e sorelle) e io acquisto la pienezza del significato, quando confesso: "E' meraviglioso che tu esista!".
Ma ecco il dramma dell'uomo: egli constata in se stesso la tensione verso questo amore che riconosce come il senso della sua vita, ma poi deve ammettere la sua impotenza dinanzi al peccato (rifiuto dell'amore) e alla morte (distruzione della comunione). La condizione della speranza umana sta qui: che ci sia un amore più forte del peccato e della morte.
Ebbene il Cristo del vangelo risponde a questa domanda quando assicura: "Ti sono rimessi i tuoi peccati" (Lc 5,20) e "Tuo fratello risorgerà" (Gv 11,23).
1.2 Il collegamento biblico. Osserviamo che la dinamica del comportamento del Padre verso il figlio (prodigo) è la stessa che relaziona il Figlio (il samaritano) al fratello. Si possono mettere in parallelo gli atteggiamenti dell'uno e dell'altro per un confronto quasi puntuale. Del Padre si dice: "Quand'era ancora lontano, il padre lo vide, si commosse (lett.: le sue viscere si mossero a compassione), gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò più volte con effusione", gli preparò una grande festa, gli fece indossare il vestito più bello, l'anello e i calzari; fece uccidere il vitello più grasso (cf Lc 15,21 ss).
Del samaritano si dice: vide l'uomo bisognoso sulla sua strada, ne sentì compassione, scese da cavallo / gli si avvicinò, gli fasciò le ferite, vi versò sopra olio e vino, lo prese sulla propria cavalcatura, lo portò all'albergo, pagò per lui, s'impegnò a ripassare di lì qualora ci fosse stato bisogno d'altro (cf Lc 10,33 ss).
Nella prima parabola incontriamo la misericordia del Padre nei confronti del figlio prodigo, nella seconda la misericordia del vero Figlio che diventa il vero fratello (il buon samaritano) dinanzi a un uomo, nel caso un nemico, nel bisogno. Questa misericordia è il cuore del vangelo.
Il P. Artola ha dimostrato che questa parabola del buon samaritano originariamente voleva presentare l'amore cristiano nella sua purezza ideale voluta da Cristo: si devono amare come prossimi tutti gli uomini, senza eccezioni, nemici compresi, senza nessuna scusa per voltar le spalle a chi è nel bisogno. Nessuno è escluso dall'amore di Cristo e quindi del discepolo suo.
Dopo un'ampia puntualizzazione dei termini "fratello, prossimo, straniero, nemico" nell'Antico Testamento e su come erano impostate le relazioni fino al tempo di Gesù, l'esegeta ha letto questo testo nei termini della vera novità evangelica. In modo paradossale Gesù stesso è quel caso-limite di amore che quel samaritano, odiato dai giudei (cf Gv 8,48), compie nei confronti del suo nemico gravemente ferito. Al centro di tutto il comportamento vi è quel "mosso a misericordia" (Lc 10,33): è il cambiamento interiore che permette di superare l'insensibilità e la durezza di cuore propria del sacerdote e del levita che passano oltre. La domanda astratta del maestro della legge: "Ma chi è il mio prossimo?", trova una risposta molto concreta ("Chi di questi tre si è comportato come prossimo per quell'uomo che aveva incontrato i briganti?... Quello che ha avuto compassione di lui... Va' e comportati allo stesso modo") e radicale (anche il nemico rientra nel "tuo prossimo": l'amore supera ogni ostilità). Occorre "fare questo per avere la vita eterna", ossia: negare l'estraneità, affermare la prossimità di tutti coloro che sono nel bisogno, nemici compresi, ponendo concretamente il gesto di misericordia che il malcapitato ci grida sia pure col suo silenzio.
2. Il Convegno ha proposto la riflessione critica del tema offrendo una base culturale a questo importante atteggiamento dell'uomo e del cristiano, superando il pericolo di una visione basata semplicisticamente sul "buon sentimento". La domanda che rimaneva sullo sfondo era: ma chi è il mio prossimo?
2.1 H. Franta ha letto la parabola dal punto di vista della psicologia del comportamento prosociale o altruistico, ossia di "un comportamento in cui la persona si sacrifica volontariamente o disinteressatamente per il bene degli altri" allo scopo di promuovere una migliore qualità di vita. Il superamento dell'apatia e dell'indifferenza che blocca questo atteggiamento di positivo aiuto verso gli altri, specie nelle situazioni di emergenza, comporta, secondo la parabola evangelica, tre momenti collegati in modo interdipendente: attenzione soggettiva ("lo vide" Lc 10,33), coinvolgimento emozionale empatico ("ne ebbe compassione" Lc 10,33), realizzazione dell'azione di soccorso (cf Lc 10,34 ss).
Lo studio psicologico dell'agire prosociale ci offre i seguenti contributi: ci indica quali fattori impediscono o favoriscono la nostra capacità di soccorrere il bisognoso, ci rende consapevoli delle reali motivazioni che ci spingono ad agire, chiede la nostra corresponsabilità concreta in ordine al caso. Sarà poi il messaggio cristiano ad indicare nell'amore il significato ultimo dell'agire prosociale.
2.2 A. Bausola ha analizzato il nostro vivere quotidiano (a livello sociologico) e la nostra cultura (a livello filosofico) circa la domanda: ma chi è il mio prossimo?
L'accresciuta socializzazione e universalizzazione ha portato con sé, paradossalmente, meno relazioni interpersonali. Anzi la tecnica punta al rapporto con gli oggetti senza la mediazione della persona.
Il maggior rispetto per la libertà altrui ha spesso, come rovescio della medaglia, l'indifferenza verso l'altro. Si arriva facilmente all'esaltazione della devianza e del diverso. "Il rispetto della libertà altrui diventa accettazione dell'equivalenza di ogni scelta e quindi indifferenza intorno ai valori". L'affermazione esasperata "io rispetto le opinioni di tutti" non sempre è sostenuta da due importanti motivazioni "io rispetto la persona" - "io rispetto la verità".
Di qui le conseguenze che il prossimo diventa motivo d'angoscia (visto che è libero di fare tutto), oppure il prossimo diventa l'eguale, l'uomo-finzione ("il rapporto torna ad essere tra funzionari").
Per ritrovare il volto più personale del prossimo è necessario l'elogio e il recupero delle "piccole virtù" particolarmente nell'ambito della famiglia e del volontariato: la virtù della castità e della misura, il superamento della vanità egocentrica, l'educazione al bene oggettivo e puntuale, momento per momento, ecc.
2.3 La misericordia cristiana è uno slancio soggettivo e irrazionale? E' una disposizione estranea all'esperienza comune? Si chiede Jean-Luc Marion. La sua risposta è di taglio filosofico su "l'intenzionalità dell'amore".
L'autismo dell'amore ("l'altro non può apparirmi, anche nell'amore, se non attraverso dei vissuti della mia coscienza) ci riporta all'autoidolatria ("il mio amore, io amo me"). Dunque non posso amare nella prossimità omicida.
Ma non posso amare neanche nell'esteriorità indifferente. "Accedere all'altro non vuol dire accedere a un nuovo oggetto. Noi non ci incontriamo come un io sdoppiato in sé, né come un io e un tu, ma come indirettamente convocati da Egli infinito".
Bisogna percorrere la distanza tra l'altro e me, superare l'autoidolatria da un lato e la pura visibilità di un oggetto dall'altra (idolatria), convertendo il nostro sguardo. Ciò implica la fede con cui si accerta il rischio di non essere amati, il dovere con cui l'amore non è più condizionato dalle egoistiche esigenze di reciprocità e la misericordia perché noi stessi ci scopriamo già amati da Dio, preceduti dal suo amore nella creazione e nel perdono. "Solo l'amore ci fa vedere il prossimo così come egli è in verità".
2.4 Dal punto di vista etico C. Caffarra ha analizzato:
- il significato teoretico della prossimità. "Si è vicini, si è prossimi, quando ci si conosce e quando ci si vuole". "La prossimità fra le persone è costituita dalla conoscenza della propria partecipazione alla e nella stessa umanità" e dall'esercizio della volontà libera che riconosce tale partecipazione, stabilendo un rapporto (interpersonale) personalistico che supera quello utilitaristico e/o edonistico strumentalizzante l'altro. La persona va riconosciuta in se stessa e per se stessa: il suo bene è il suo stesso essere.
In senso teologico il nostro essere prossimi consiste nel fatto che partecipiamo, in Cristo per mezzo dello Spirito, alla e nella stessa vita che è nel figlio. La partecipazione per grazia a tale figliolanza in Cristo si compie nella Chiesa con la fede e con i sacramenti.
- il significato normativo della prossimità. Scoperto chi è il prossimo, si è impegnati al che cosa ci si deve. Si diviene prossimi dell'altro quando si vuole che egli sia per se stesso, quando si vuole il suo bene in modo gratuito, libero e oggettivo. Il prossimo è ogni uomo in quanto è, a prescindere da ogni altra connotazione.
La norma evangelica porta a compimento questa norma personalistica, dicendo: "ama il prossimo in quanto è chiamato come te alla vita in Cristo", "ama ogni uomo perché e come Dio lo ama in Cristo", "amatevi come Io vi ho amati" (Gv 13,34). La carità è una virtù teologale: l'uomo è reso capace dalla grazia dello Spirito di amare il prossimo con lo stesso amore con cui Dio ama in Cristo l'uomo. Ciò implica il superamento dell'umanesimo ateo e del soggettivismo.
2.5 G. Chantraine ha formulato il punto di vista teologico offrendo una ricca sintesi a livello cristologico, ecclesiologico ed escatologico. Partendo da una puntualizzazione esegetica della parabola, egli fissa la sua attenzione su Gesù che si identifica nel buon samaritano.
Tale identificazione diventa reale nel dramma della passione. "Egli appare straniero all'uomo nato in questa carne di peccato... Gesù è lo straniero per eccellenza. Perché l'amore con cui ha preso questa carne è misconosciuto così come lo è la sua umanità".
Mosso dalla misericordia, Gesù si dirige verso l'uomo malridotto, per ricondurlo al padre. "L'incarnazione è l'effetto e la manifestazione originale della misericordia del Padre... (la misericordia) fa vedere chi è Dio e fa vivere l'uomo che era morto, trionfando sulla menzogna e sulla volontà omicida".
La Chiesa è chiamata a prolungare tale ministero della misericordia. Offrendo l'ospitalità all'uomo peccatore attraverso i sacramenti della misericordia. E' questo il tempo della pazienza e della speranza che deve mobilitare le forze umane al di là della "copertura" dei due denari accordati come anticipo dal buon samaritano".
2.6 "La Chiesa italiana nella veste del buon samaritano" è il tema svolto da S. E. Mons. Sandro Maggiolini, in due punti:
- la situazione attuale del nostro Paese in quanto presenta "mali da curare", urgenze particolari. Vengono portate alla luce le povertà meno pubblicizzate, come ad esempio la manipolazione culturale attraverso una dittatura dolce che suscita ad arte quei desideri e quelle richieste già decise dai potenti; l'essere tagliati fuori dal lavoro e da posizioni sociali se non ci si adegua a certe precise opinioni; uno Stato che cerca sempre più di gestire a suo modo i diritti fondamentali della persona; la scristianizzazione diffusa ecc.
- l'atteggiamento e lo stile dell'aiuto che la Chiesa è chiamata a recare per vincere a questi mali. Essa è responsabile come soggetto di evangelizzazione; deve curare la formazione dei cristiani riapprofondendo le genuine motivazioni evangeliche; ha l'obbligo di creare una cultura cattolica popolare (come dice il Papa), animando i settori prepolitici nei quali si preparano mentalità e competenze. Occorre uscire dalla paura (che la fa rinchiudere nelle sagrestie) e dalla violenza di uno scontro rigido. C'è bisogno di una presenza all'interno delle strutture politiche e una presenza di strutture proprie che operino, insieme, una mediazione dialogica seria e matura, un vero confronto con la cultura in atto, convinti che la proposta cristiana è per sua natura destinata a dare pieno senso all'esistenza.
2.7 Secondo L. Boff la parabola ci indica anzitutto che la missione della Chiesa comincia a partire dall'uomo ferito e umiliato. E' prossimo chi gli si avvicina e ha misericordia di lui, rompendo la chiusura egoistica del ripiegamento su di sé.
Alla domanda: come la Chiesa dell'America Latina compie la sua missione di buon samaritano?, risponde facendo significativi riferimenti alla storia di quel Continente, dal colonialismo descritto da Bartolomeo de las Casas fino al neo-colonialismo attuale. E' il grido di un popolo che ha sofferto e soffre le ingiustizie dei potenti padroni di turno.
Nel Vangelo troviamo una stretta relazione fra la proclamazione del Regno e l'azione liberatrice (cf Mt 10,7-8). La Chiesa intende continuare quest'opera di Cristo difendendo e promuovendo la vita umana particolarmente là dove è calpestata, facendo di conseguenza la sua opzione preferenziale per i poveri (cf la beatitudine evangelica), denunciando ogni forma di violazione dei loro diritti fondamentali attraverso le torture, le repressioni, le scomparse ecc. Tutto questo stimola una presenza di Chiesa come popolo di Dio tutto corresponsabile in quest'opera di evangelizzazione, una Chiesa che si rinnova e diventa capace di incarnare la parabola evangelica.
2.8 Tutte queste relazioni, raccolte insieme, offrono uno sviluppo ampio e organico del tema nei suoi molteplici aspetti.
Ed è questo uno dei meriti più rilevanti del Convegno: studiosi, specialisti di diverse discipline, di diverse scuole e provenienti da tutto il mondo hanno dato, ognuno portando il proprio approfondimento, un qualificante contributo in ordine alla comprensione dell'argomento del Convegno.
Le inevitabili ripetizioni sono risultate minime e la necessaria diversità delle accentuazioni più che nuocere all'unità dell'impostazione, che risulta abbastanza chiara, ha prodotto una ricca sinfonia nella proposizione del tema.
3. Le testimonianze e le comunicazioni hanno presentato alcune notevoli attualizzazioni, fra le tante possibili, della prossimità.
Il Convegno ha così mostrato come le parole e i discorsi sono diventati fatti concreti sulla pelle di autorevoli testimoni, spingendo in questo modo i partecipanti verso quel "và e fa anche tu lo stesso" (Lc 10,37), che è la conclusione della parabola da parte di Gesù, il Maestro-Buon Samaritano.
3.1 E. Caroli ha portato la sua testimonianza, unica all'interno del mondo religioso, in qualità di Segretario Generale del Movimento Francescano Europeo da lui fondato. E' sua l'idea di sollecitare e promuovere una convergenza unitaria di tutti gli uomini e le donne (religiosi, religiose e laici) che si ispirano alla figura di S. Francesco.
Riscoprire quest'essenziale unità nei confronti del prossimo che è il confratello religioso (sembra ovvio... eppure!), superare accentuazioni che hanno esasperato le diversità qualche volta in modo poco evangelico, è un grande segno all'interno della Chiesa e del mondo le cui divisioni hanno generato l'indifferenza e l'odio.
3.2 Il malato è da sempre l'uomo da curare, sostenere, amare: è simboleggiato appunto nel malcapitato della parabola. Le cause possono essere diverse e si devono anche analizzare per prevenire i mali; resta però sempre da rivedere il modo con cui noi avviciniamo l'uomo in questa precisa situazione nella quale sperimenta tutta la sua fragilità e piccolezza.
I camilliani sono nati proprio per questo servizio e hanno sicuramente dei grossi meriti che la storia riconosce loro.
C. Vendrame in qualità di Superiore Generale ci ha testimoniato con quale spirito e con quali gesti i suoi religiosi avvicinano questi fratelli che nella loro malattia si sentono "lontani".
3.3 Due ragazze, Anna Da e Guenda Malvezzi, hanno realizzato un servizio a favore di due handicappati gravi, Fabio e Maria, a Ciampino, in una casa che è diventata la loro famiglia.
Un'esperienza ricca di spontaneità, ma anche di competenza, di calore e serietà. Tutto è stato suggerito loro da un profondo rispetto per il prossimo; in questo caso: piccolo, senza famiglia, con handicap mentale.
Risultato: questi bambini hanno trovato la loro casa e con questa lo loro espressione migliore. Si sono sentiti accolti quando delle persone li hanno amati fino a fermarsi e ricominciare con loro tutta un'altra vita. E loro, in queste condizioni, non solamente ricevono, ma sanno dare qualcosa d'importante.
3.4 Fratel Ettore Boschini da diversi anni lavora al centro di Milano, a Seveso e in altre località a favore degli emarginati, dei giovani senza lavoro, degli stranieri, dei vecchi abbandonati.
Ha avvicinato migliaia di persone, subito amate con tutta naturalezza come fratelli. La sua testimonianza coraggiosa e profetica va incontro alle esigenze materiali ed anche spirituali di questi poveri, i quali trovano nella sua opera un'ospitalità senza alcuna condizione. In questo modo tali persone riscoprono quasi da se stessi il senso della loro vita e spesso anche la fede.
3.5 La Tavola Rotonda su "La Caritas Internationalis di fronte ai bisogni del mondo" ha offerto un'analisi ampia di quelle che sono le necessità più urgenti di oggi e ha presentato il modo con cui sta conducendo e coordinando tutta la sua opera caritativa.
Insieme alla moderatrice L. Peschi che ha aperto gli interventi mostrando la vera fisionomia della Caritas, sedevano il Card. Do Nascimento il quale come Presidente ha richiamato i principi ai quali questa Confederazione si ispira; Mons. Teissier che si è soffermato sulla situazione dell'Africa del Nord e del Medio Oriente con il problema delle varie religioni e delle varie culture, con la guerra nel Libano, in Iran-Iraq ecc.; il prof. Vanistendael ha messo a fuoco le situazioni più critiche a livello europeo e la serie di iniziative approntate per affrontarle e risolverle in modo efficace e attuale, anche attraverso il volontariato che si sta consolidando sempre di più.
3.6 Le comunicazioni dell'ultimo pomeriggio hanno avuto lo scopo di proporre delle riflessioni e dei principi con cui operare in termini di prossimità evangelica, in settori particolarmente importanti.
3.6.1 G. Cereti ha segnalato degli orientamenti molto utili per favorire sempre più l'avvicinamento fra i credenti delle diverse religioni così che l'ecumenismo sia una realtà viva. Ha insistito sulla necessità della conversione, della collaborazione e del dialogo.
3.6.2 S. Grygiel ha analizzato il sorgere dell'autocoscienza nel rapporto interpersonale, alla presenza dell'Assoluto. L'uomo viene come risvegliato in tutta la sua originale dignità e sviluppa un vero dialogo tra un io e un tu. Questo è il lavoro dell'uomo, così come è stato realizzato dalla Samaritana nel suo incontro con Gesù.
3.6.3 "I mezzi di comunicazione ci avvicinano?" Una domanda a cui Jan Chrapek ha risposto sostenendo la necessità di restituire ai media la loro originale funzione di avvicinare l'uomo all'uomo e l'uomo a Dio. Tali strumenti cambiano l'uomo. E' dunque urgente correggere le gravi deviazioni con una formazione al loro uso.
4. Le riflessioni e le testimonianze del Convegno sono state collocate in un contesto di preghiera che si è articolata in Lodi, Vespri e ha trovato il suo vertice nelle Concelebrazioni.
La preghiera è stata vissuta come momento gradito e necessario, dato lo sfondo biblico del tema (la parabola di Gesù sul buon samaritano), dato il contesto geografico (il Santuario dell'Amore Misericordioso) e dato che la gran parte dei convegnisti era composta da cristiani.
Del resto siamo del parere che le parole devono trasformarsi in convinzioni e queste in opere: ed è il Signore che ispira e accompagna tutto questo processo con la sua grazia.
- Mons. Caporello ha presieduto la Concelebrazione d'apertura dedicata a Maria Mediatrice.
- Mons. Bellucci ha presieduto l'Eucarestia dedicata a Gesù Sommo ed Eterno Sacerdote, sviluppando nell'omelia tale tema a livello biblico.
- Il card. Do Nascimento ha guidato l'assemblea nella Liturgia Eucaristica dedicata a Gesù Amore Misericordioso.
- Mons. Maggiolini nell'ultimo giorno del Convegno ha formulato una preghiera che raccoglieva fatiche e propositi, invocandone i frutti.
5. Vanno ricordate anche le serate che hanno avuto aspetti culturali, informativi ed anche ricreativi.
- Il giornalista e scrittore G. Adani ha parlato in modo originale della sua concezione dell'uomo; ha quindi presentato la Compagnia di Operetta "Amore mio" ed ha intervistato il regista Mario Castellacci, autore della rappresentazione "Forza venite gente".
- La seconda serata è stata dedicata alla testimonianza di Madre Speranza. E' stato proiettato in anteprima un filmato che documenta l'opera della fondatrice della Famiglia dell'Amore Misericordioso. Il materiale proveniva quasi per intero dall'autobiografia e dalle testimonianze di coloro che l'hanno avvicinata.
- Il concerto della Corale Laurenziana "Raffaele Casimiri" della Cattedrale di Perugia ha eseguito canti polifonici tradizionali e moderni che hanno riscosso gradimento dal pubblico per l'impeccabile esecuzione.
6. Conclusioni
- Il Convegno nel suo insieme ha offerto autorevoli spunti molto utili per la costruzione della "civiltà o cultura dell'amore" e rappresenta certamente un servizio per la Chiesa e per gli uomini d'oggi.
- Si è parlato e si è meditato sulla Misericordia in modo sistematico; ma rimane indiscutibile la convinzione che è molto più importante e decisivo il "fare misericordia". Se ci accadesse come agli studenti ricordati da H. Franta, che dopo aver studiato la parabola del buon samaritano evitarono in modo sfacciatamente incoerente il povero incontrato sulla loro strada (fu un esperimento!), il convegno resterebbe una chiacchierata insulsa. Era meglio che non l'avessimo fatto. Sono i frutti che misurano la consistenza di questa proposta culturale.
- "Chi è il mio prossimo?" La risposta del Convegno emerge press'a poco nel modo seguente.
Non ho scuse per non fermarmi a prestare aiuto. Non posso dire (per elencarne alcune): quello lì non è mio parente, né un amico; adesso proprio non posso; tocca a qualche altro più competente di me; ciò che gli è accaduto è per colpa sua, s'arrangi; e via dicendo... secondo gli schemi della prassi spicciola o secondo le teorizzazioni più sofisticate. Di fatto la gran parte trova i propri "giusti (?) motivi" per ripetere con "buona (?) pace" della propria coscienza quel che fece il prete e il levita: videro l'uomo ferito ai bordi della strada, passarono dall'altra parte e proseguirono (cf Lc 10,31). In ultima analisi così facendo è come se dicessimo: il prossimo che sta lì bisognoso di aiuto è un estraneo, uno che non mi dice proprio niente, anche se sta gridando a squarciagola la sua urgenza, magari senza parlare: tanto è chiaro! Costui è lasciato lì, a morire nella sua sofferenza.
Si tratta dunque di vedere con gli occhi fermandosi un attimo e quindi di lasciare che il cuore si commuova, entri in quella situazione semplicemente: se fossi io lì... Non un commuoversi a livello di sentimento epidermico (oh, poveretto! oppure: quanti disgraziati a questo mondo!), ma: che cosa posso fare io adesso? Qui nasce la cultura dell'amore, in diretta continuità tra la domanda della situazione e il mio intervenire in modo immediato per quel che c'è di urgente e in modo più competente per chi ha bisogno di prestazioni più specifiche. Siamo lontani e dal semplice pietismo spontaneistico, inefficace e dalle programmazioni laboriose che funzionano perfettamente sulla carta, salvo che sulla pelle del malato o del bisognoso.
Le varie scienze ci assicurano l'importanza dell'amore nella vita dell'uomo. L'uomo nasce col bisogno di affetto: lo sviluppo equilibrato della sua personalità dipende dall'esaudimento "giusto" di questa domanda che viene dal bambino che si rivolge ai genitori; dal giovane che si rivolge all'amico/a, al gruppo; dall'adulto che si rivolge alla famiglia, al collega ecc.; dal vecchio che si sente solo e inutile. Occorre superare il latente narcisismo che dorme in ciascuno di noi (solo io!), il rapporto simbiotico o possessivo (tu per me!), per vivere e crescere nell'amore maturo che suppone il potenziamento della propria identità (io maturo), la percezione realistica dell'altro (tu) e la relazione posta in modo "trascendente", ossia: io e tu camminiamo insieme verso i valori.
L'uomo va concepito nella sua possibilità reale di superare il soggettivismo immanente e frammentario per ritrovare le radici del suo essere. Le quali radici più che nel "cogito ergo sum (penso dunque sono)" affondano nell'"amo ergo sum (amo dunque sono)". Ce lo garantisce la Parola di Dio: "Chi non ama il prossimo è ancora sotto il dominio della morte" (1 Gv 3,14).
Cristo, il buon samaritano, suscita e sostiene in ogni uomo tutta la dinamica dell'essere e dell'agire da prossimo nei riguardi dell'altro. L'incarnazione, la passione e la risurrezione sono il mistero del suo avvicinarsi (misericordia) a noi, offrendoci la possibilità di fare come ha fatto lui.
L'essenza ultima del Vangelo di Gesù è sicuramente la legge dell'amore che è il suo testamento. Egli ha detto: "Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro" (Lc 6,36). Ha assicurato che il giudizio inappellabile è sulla misericordia che noi abbiamo messo in opera, oppure rifiutato (cf Mt 25,34 ss). Così Paolo può affermare: "Senza l'amore niente io ho" (1 Cor 13,3).
La Gaudium et Spes enuncia questo principio: "Egli (il Verbo) ci rivela che 'Dio è carità' (1 Gv 4,8), e insieme ci insegna che la legge fondamentale dell'umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento della carità" (n. 38).
Madre Speranza, una persona che ha profuso la misericordia nel suo agire perché aveva un cuore di madre (e non tanto per aver elaborato delle teorie), scrive: "Io credo che la compassione che si esperimenta quando uno vede l'altro sofferente, oppure oppresso sotto il peso di una disgrazia, questo è misericordia. E così intendo che siamo misericordiosi nella misura in cui le pene degli altri ci fanno soffrire: chi ama sul serio il Signore, versa molte lacrime sulle sofferenze altrui, specialmente sulle miserie spirituali" (La Perfección, n. 175).
Maria, giustamente invocata "mater misericordiae", cantando il suo grazie al Signore per le opere grandi che in lei aveva compiuto, afferma che il leit-motiv di tutta la storia della salvezza s'incentra nella misericordia divina. "Di generazione in generazione la sua misericordia con tutti quelli che lo servono... Egli si è ricordato della sua misericordia" (Lc 1,50.54).