Testimonianza di Fabio Fabbri
(Segretario dell’Ispettorato dei Cappellani delle Carceri italiane)
Usciamo dall’esperienza di questi due Anni Santi ravvicinati che tutti abbiamo vissuto e che già portano in sé un concetto reale che tocca pure il carcere. Pensate che lo stesso termine "giubileo" potrebbe interpretarsi come derivante dalla parola ebraica «Jobil», che significa "ricondurre", "richiamare", perché nell’anno giubilare si doveva dare la libertà agli schiavi israeliti ed i beni fondiari dovevano ritornare al padrone di prima. A questo "Anno Sabbatico", voluto dalla legge Mosaica, si allaccia il Giubileo. Rimanendo nel mondo biblico il concetto di carcere, di schiavitù, di prigionia ricorre costantemente, specialmente nel V.T. ( cfr. Ger. 20, 2-32; 2,11; 37,11-21; Gen. 39, 20ss; Sap. 10; 14).
L’intervento di Dio consiste, sullo sfondo della triste realtà della prigionia, nella liberazione sia del popolo nel suo insieme, sia dei singoli protagonisti, come Geremia, Giuseppe ed altri.
Nel N.T. troviamo addirittura, quella liberazione, che tecnicamente si potrebbe configurare come «evasione» (cfr. At. 5, 19; 12,7-11).
Gli Apostoli vengono messi in prigione. Lo stesso Paolo non teme di gloriarsi delle proprie catene (At. 20,22) ed esorta i cristiani a ricordasi dei prigionieri, come essi stessi fossero in catene. (Eb. 13,3)
C’é poi da aggiungere come il concetto di «catene» e di "prigionia" sia presente anche in senso morale e traslato, come frutto e conseguenza del peccato. La situazione stessa del peccato é prigionia e la redenzione operata da Cristo consiste essenzialmente nella liberazione da questa schiavitù e prigionia.
Ricordo come Paolo paradossalmente si dichiara dopo la conversione «prigioniero» non più del peccato e della legge, ma «prigioniero di Cristo» (cfr. Ef. 3,1; 4,1; 2 Cor. 11,23).
Vi é inoltre da dire come la realtà penitenziaria sia, più o meno, la conseguenza di una situazione di peccato e che la Chiesa ovviamente non può ignorare, ma anzi deve farsi carico per una vera azione di liberazione, cominciando dalla rimozione della causa, liberando cioè l’uomo dal suo peccato.
Non é certamente questo il momento, ma si potrebbe riportare normative di Concili o Sinodi o interventi di Magistero con particolare riferimento agli ultimi Pontefici in occasioni di udienze ai Cappellani, a giuristi cattolici, a persone operanti nelle carceri e nel contesto di discorsi e messaggi dove il problema é stato toccato o sfiorato.
Inoltre, partendo dalle premesse teologiche brevemente accennate sopra, ognuno può arrivare a comprendere come la Chiesa, in adempimento del «visitare i carcerati» sia stata presente in questo campo, quando, come ben tutti sanno, il potere civile era totalmente insensibile ed assente. Con l’aiuto di una veritiera indagine storica si può facilmente mostrare come la tradizione in questo campo specifico sia sempre stata viva e mai interrotta. Praticamente quando le carceri furono organizzate dall’Ente Pubblico, il Cappellano delle carceri non fece altro che assumersi, in pubblico titolo, quello che già faceva di assistenza materiale e morale.
La tradizione e questo bisogna onestamente dirlo, ha fatto la consuetudine e la consuetudine ha rinsaldato la tradizione. Ognuno può avere tra le mani i documenti storici attestanti la presenza degli ospizi, la costituzione delle famose «Misericordie» ecc., gli esempi non mancano certamente. Basti ricordare, come traccia, un Vincenzo De Paoli, un Cafasso, un Don Bosco, un Lino da Parma, un Massimiliano Kolbe ed altri.
In ultimo, come non dire che l’assistenza pastorale nelle carceri, secondo il senso tecnico della parola, sorge nella seconda metà del cinquecento per opera del Concilio di Trento, ispiratore delle attività pastorali dei tempi moderni, per approdare poi al Convegno Ecclesiale sulla promozione umana del 1976, dal quale, un ideale e reale continuità, siamo arrivati all’ultimo in ordine di tempo, quello di Loreto, sulla Riconciliazione e la comunità degli uomini.
In quella stupenda assise si riuscì a proporre e a mettere in atto gesti espressivi di volontà e di presenza animatrice, soprattutto a vantaggio dei più deboli, degli indifesi e dei più insicuri.
Ancora una volta é stato chiarissimo come il presente interpella il nostro servizio profetico: é questo il tempo provvidenziale nel quale dobbiamo dare sfogo a quella «carità» che costituisce il messaggio centrale del Vangelo.
Anche il nostro particolare mondo delle carceri attende oggi dalle nostre comunità ecclesiali un servizio non «nuovo»ma rinnovato: la profezia della carità.
E’ questa «la via migliore» (1 Cor. 12,31) sulla quale ci sollecita a camminare l’apostolo Paolo; é questo il comandamento nuovo che ci é stato lasciato da Cristo (cfr. Gv. 13,34); é questo il testamento spirituale affidatoci dal Signore (cfr. Gv. 17,26); é questa la testimonianza più grande che come cristiani siamo chiamati a dare ala mondo (cfr. Gv. 15,13). E’ un cammino coraggioso e non rinviabile, se siamo davvero convinti che chi non si lascia riconciliare da Dio non può pretendere di spargere nel mondo semi di riconciliazione, e che solo chi é disposto a riconciliarsi con i fratelli offre segni autentici della riconciliazione con Dio
Questa riflessione insieme, stasera, altro non vuol essere che un segno della nostra autentica e piena conversione.
La Chiesa, di fronte al mondo, si guarda attraverso lo specchio del Vangelo, per potersi presentare nel modo più conveniente agli uomini del suo tempo. E il modo più conveniente viene compendiato dal Cristo stesso in un’immagine semplicissima:
«Voi siete la luce del mondo. La vostra luce deve risplendere agli occhi degli uomini affinché, vedendole vostre opere buone, rendano gloria al Padre vostro che é nei cieli...La gloria del Padre mio é che voi portiate frutti abbondanti» (Mt. 5,14 e16)
Considerando l’attuale situazione della Chiesa secondo criteri che mettono in causa le persone e le istituzioni, la missione della Chiesa, nel mondo della detenzione, dovrà essere sempre più chiara e credibile.
Conoscere per comprendere é la strada del buon senso e della logica, il cui punto di partenza é la parola stessa di Gesù: «ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt. 25,31-46).
Anche se può sembrare incredibile, il Cristo si identifica con un personaggio al quale nessuno vorrebbe mai assomigliare: il detenuto.
Questa figura d’uomo, reietta dalla brava gente, che nemmeno ha trovato posto nella considerazione poetica di un certo filone letterario-esistenzialista che ha celebrato invece l’ammalato, il pellegrino, l’affamato, l’orfano, il disoccupato...da renderli simpatiche comparse della vita di sempre, e per questo amabili. Ma il Vangelo non é letteratura! E il detenuto non é certamente "amabile". Lui solo "canta" di sé; nessuno "canta" di lui. Non ha ruolo, ma il Vangelo lo fa protagonista. E che parte...la parte di Dio. "Meravigliosa parola che fa quasi stravedere. Gesù sta in prigione? Lo dice Lui!" (Paolo VI ai Cappellani delle carceri nell’estate del 1977).
A Cristo piace screditarsi? are di sì! "Sussistendo nella natura di Dio...spogliò se stesso, prendendo la natura di un servo" (Fil 2,6-7) e "...per noi da ricco che Egli era si fece povero" (2 Cor. 8,9).
Non può essere una tattica? Simili cum similibus é già uno stadio di comunione...poi verrà il resto per "dare la buona novella ai poveri, a guarire quelli che hanno il cuore contrito" (Lc 4,18), "a cercare e salvare ciò che era perduto" (Lc 19,10).
Il Cristo "santo, innocente, immacolato" (Eb. 7,26) non conobbe il peccato (2 Cor. 5,21), ma facendosi trattare da peccato dal Padre in nostro favore, ha fatto sì che l’uomo diventi "per mezzo di Lui, giustizia di Dio" (2 Cor. 5,21).
Lo scopo ora é chiaro: se é venuto nel mondo al solo scopo di espiare i peccati del popolo (Eb. 2,17), allora in galera ci sta’ perché neanche il più "inservibile" degli uomini, debba essere buttato via.
Perché? Innanzi tutto é uomo, ed ogni uomo é immagine di Dio (Gen. 1,27), fatto poco meno degli angeli (Sal. 8, v.6) poi, "Egli ha scelto ciò che nel mondo é ignobile e disprezzato e ciò che é nulla per ridurre a nulla le cose che sono, perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Lui".
E Lui per primo si annienta: "La pietra scartata dai costruttori diventata testata d’angolo" (Sal. 117, v.22) - "Gesù pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio" (1 Pt. 2,4):
E qui vi é un logico mistero: "poiché i pensieri di Dio non sono i nostri pensieri" (Is 55,8), Egli, a differenza della buona società, si trova bene in mezzo ai peccatori, o meglio in mezzo ai delinquenti, a un punto tale che pur di conservarseli ha fatto al Padre, prima di morire, la più bella preghiera di cui forse era capace, per loro ed unicamente per loro "...che non si perda neanche uno di questi piccoli" (Mt 18,12-24; Lc 19,20; Gv. 17,12).
L’ultimo atto poi é fuori da ogni umano decoro, superando tutte le leggi e le procedure giuridiche, il primo che si porta in Casa Sua, nel Regno del Padre, guarda a caso, che é proprio un ladro e ladro condannato.
Ma la Chiesa non sta’ forse dov’é il suo Sposo? - Il carcere allora é il suo ! - Sì, ed eccola presente.
"Si può ben dire con tutta verità che la Chiesa, a somiglianza di Cristo, passa attraverso i secoli del bene a tutti (Pio XI Divini Redemptoris)
In questo passare attraverso i secoli, sta tutta la sintesi teologica della missione-presenza della Chiesa. Il suo messaggio infatti supera il tempo, é trascendente, viene da Dio e supera di molto ciò che il mondo possa desiderare. Il compito della sua missione é quello di far scoprire a tutti ciò che tutti devono sperare. E proprio perché la Chiesa precede il mondo nel suo messaggio di liberazione, il compito precipuo dei suoi Ministri é quello di permettere alla Chiesa di trascinarlo.
Dobbiamo innanzi tutto vedere il mondo come Dio lo vede. Affrontare il mondo, la realtà non in funzione della chiarezza di idee che possiamo avere, ma alla luce di Dio; passare cioè dal punto di vista antropologico che abbiamo "naturaliter" su ogni cosa, al punto di vista teocentrico.
Per la Fede, ciò vuol dire, interrogare il mondo non a partire da ciò che si vede, ma a partire da quanto Dio stesso ci ha rivelato. "...e per mezzo di Lui, riconciliare tutti gli esseri per Lui" (Col 1,16-20ss).
Tutto il mistero della Chiesa sta’ proprio qui: nel contenuto del disegno creativo di Dio che deve ricapitolarsi nel Cristo. Qui sta la sua ragion d’essere sulla terra: sposare il mondo fatto per lei e chiamare gli uomini ad essere suoi figli, Sposa e Madre!
E come al centro del mistero di Dio c’é la Chiesa, al centro del mistero della Chiesa c’é il mondo. Fra il mondo e la chiesa c’é un legame di reciprocità che li unisce come in una famiglia, dove genitori e figli completano. «Iddio che ha cura paterna di tutti, ha voluto che gli uomini formassero una sola famiglia e si trattassero tra loro con animo di fratelli».
Applicazioni immediate
Il mondo delle carceri, non é certo una pagina fulgida della vita di un popolo, di una nazione, di una Chiesa. Qualunque modello estetico rifiuta questo concetto, anche visibilmente. Tutto di quella realtà fa vergogna. Perché - Perché in ciascuno di noi alberga un potenziale detenuto in quanto il nostro essere porta la cicatrice di una colpa antica che nell’orgoglio della razionalità o ci brucia o si afferma che é solo un mistico alibi.
Certamente tutti ci sentiamo puri e onorati, saggi e lodevoli fino a quando un piccolo banale specchio non assorbe la nostra immagine riportandocela nuda...e quello che era l’altro, sono io.
Se questa introspezione può essere drammatica, al contempo può offrirci delle scoperte meravigliose, come quella che, se Cristo é detenuto, anch’io lo sono. Lui povero in assoluto, spogliato, Gli resta solo la capacità di amare gratuitamente, neanche un compenso. E io chi sono? Il povero fa povero. Quest’incontro fa capire o dovrebbe far capire il carcere interiore di ciascuno. Ecco perché accanto a quest’uomo si prova una scossa, scopriamo cioè la nostra impurità, le nostre debolezze, l’intreccio di amore e di interesse, la gelosia, la paura della croce, la delusione.
E d é così che il detenuto, come del resto qualsiasi uomo, diventa l’inatteso deposito di grandezze soprannaturali in un immenso bisogno di pace, sentore di provvisorietà quotidiane di tenace impulso alla speranza. Chi gli é vicino a vario titolo, deve scientificare una intenzionalità profondissima di recupero e capire che il vuoto non può essere spaventoso, perché fatto per essere riempito con l’amore di gesti, anche i più piccoli, che soli danno il senso raffinato della giustizia.
Solitamente si accosta il carcerato per dargli qualcosa, ma forse ci d° più di quello che chiede, provocando un comune sentire, una solidarietà e uno scambio che sono apertura a convertirsi a Cristo.
Conversione questa che non deve restare un fatto puramente intimistico o rituale: essa comporta invece il cambiamento di certi rapporti sociali; implica talvolta rottura col proprio ambiente e sostiene sempre l’impegno a ambiare certe strutture ingiuste.
Se é vero che non ci può essere carità senza la giustizia, é altrettanto vero che ci sono situazioni in cui la pura giustizia non basta. rimangono sempre, infatti, spazi nei quali solo la dedizione personale e lo spirito di servizio volontario sono in grado di venire incontro alle esigenze dei fratelli. Il cristiano si fa carico di queste situazioni, con un atteggiamento di donazione. La carità alimenta così un modo di vivere la giustizia, accordandola alle esigenze della persona, in tutte le situazioni, anche quelle che, umanamente parlando, possono sembrare definitivamente perdute, o magari oggettivamente colpevoli come la realtà carceraria.
Conclusione
Dio ama anche prima e al di là della Chiesa. Ma senza la Chiesa, nessuno può conoscere il disegno concreto e pieno del suo amore per l’uomo. A lei é dato di farlo emergere attraverso le vicende incerte e mutevoli della storia.
L’amore di Dio é da sempre. Ma la rivelazione di questo dono é stato affidata a noi, i più piccoli tra i santi, perché la facessimo diventare luce per le genti, letizia dei poveri, sapienza dell’uomo.
Nel tempo della Chiesa, salvezza e condanna si intrecciano e si intrecciano sempre. Ma la Chiesa sa - e qui é fondata la sua speranza invincibile - che sul peccato sovrabbonda la grazia: «Dio ha rinchiuso tutti nella disubbidienza, per usare a tutti misericordia» (Rom. 11,32).
Il mistero dell’iniquità, che sembra condannare gli uomini all’impotenza e alla distruzione, prende luce dall’altro più grande mistero «nascosto da secoli nella mente di Dio» (Ef. 3,9) ed ora rivelato nel Cristo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia ma abbia la vita eterna» (Gv. 3,16).
Questa attesa espressa o inespressa, presente in tutte le speranze umane, in tutti gli uomini, e l’annuncio della salvezza che viene dalla risurrezione di Cristo, sono tra loro legati da un filo nascosto e misterioso.
La vita nuova di Cristo muove il cammino della Chiesa lungo la storia, verso la perfezione del Regno, forse partendo anche da una galera.