Gerald O’Collins S.J.*
LA RESURREZIONE, MISTERO D’AMORE
Nella storia del Cristianesimo la risurrezione di Gesù è stata esplorata da diversi punti di vista.
La risurrezione di Gesù Cristo è presentata come mistero di redenzione, come mistero di fede, come mistero di speranza. Ma c’è poco sulla resurrezione di Gesù come mistero d’amore. La risurrezione come mistero d’amore è rimasta praticamente un campo inesplorato.
Voglio qui esaminare e interpretare la risurrezione di Gesù crocifisso in chiave di amore. Esplorando la risurrezione in chiave d’amore bisogna considerare tutta una serie di relazioni reciproche: la relazione di Dio Padre a Gesù; quella di Gesù a se stesso e al Padre; quella dello Spirito Santo a Gesù; quella di Gesù risorto a tutti gli uomini in generale e alla Chiesa in particolare; finalmente quella di tutti gli uomini a Gesù risorto.
Come ho detto, bisogna considerare una serie di relazioni reciproche. La natura reciproca dell’amore è uno dei temi principali dell’Enciclica “Dives in misericordia”. Papa Giovanni Paolo II ricorda che l’amore e, in modo particolare l’Amore Misericordioso, “non è mai un atto o un processo unilaterale” (n. 14). C’è una reciprocità dell’amore, anche nell’Amore Misericordioso.
L’amore richiede necessariamente una qualche reciprocità, almeno la speranza di una qualche reciprocità. Amando qualcuno, ritengo che i miei sentimenti sono ricambiati, o almeno spero che saranno ricambiati; spero che il mio amore farà dell’amato un amante. Faccio un esempio. Nella parabola del figlio prodigo il padre spera di trovare il suo amore ricambiato, spera di entrare in un nuovo dialogo di amore col figlio perduto. Il padre aspetta un amore ricambiato. La reciprocità dell’amore è un viaggio dell’Io verso il Tu, e viceversa. Nella parabola del figlio prodigo c’è il viaggio del padre verso il figlio e quello del figlio verso il padre.
Nel caso della risurrezione abbiamo soprattutto due viaggi d’amore: quello di Gesù verso il Padre e viceversa, quello di Gesù verso di noi e viceversa.
I° Dunque voglio inquadrare la risurrezione di Gesù crocifisso in questo mistero d’amore. Prima di farlo fermiamoci un attimo per riflettere sul mistero di Gesù e sulla questione che la su crocifissione lascia aperta.
Nel ministero di Gesù riportato dai vangeli sinottici vediamo una duplice relazione d’amore: è la relazione verticale del Padre a Gesù e viceversa, e quella orizzontale di Gesù verso gli uomini. Riguardo alla relazione verticale, il vangelo di marco fa riferimento, nel contesto del battesimo ad una voce dal cielo. Dopo essere stato battezzato da Giovanni, Gesù esce dall’acqua mentre dal cielo scende una voce: “Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto” (Mc. I, II). Poi, alla Trasfigurazione, esce una voce dalla nube: “Questi è il Figlio mio prediletto” (Mc. 9,7). Da parte di Gesù, c’è un intimo atteggiamento di amore dinanzi al Dio che chiama “Abbà,, caro Padre” e al tempo stesso c’è un’ubbidienza che raggiunge l’apice al Getsemani: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu” (Mc. 14, 36).
C’è una reciproca relazione d’amore tra Gesù e il Padre. Ma questa relazione reciproca sembra sciogliersi col grido sulla Croce: “Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato?” (15,34). Questa volta non c’è risposta. La relazione verticale d’amore fra Gesù e il Padre si spezza col silenzio della morte.
Nel ministero di Gesù vediamo anche la relazione orizzontale dell’amore esercitato a favore degli uomini. Gesù riconosce tutti gli altri e fa dono di sé agli altri. Non respinge nessuno. Non respinge i malati, i lebbrosi, i bambini, i pubblicani, neppure i suoi nemici. Presso di Lui tutti si sentono a casa loro.
Quando i sinottici riportano l’attività di Gesù, di solito non parlano esplicitamente in termini d’amore (Mc. 10, 21). Tuttavia riferiscono un’attività ispirata dall’amore, dal profondo desiderio di servire gli altri (Mc. 10, 41), di guarire gli ammalati e i peccatori (Mc. 2, 17), di liberare gli uomini per una nuova vita. Nel vangelo secondo Luca, Gesù riassume la sua attività così: “Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (22, 27). La sua attività era totalmente ispirata dall’amore.
Per Gesù stesso, tale amore era profondamente pericoloso, se non fatale. Dimenticando se stesso e cercando di aiutare gli altri, Gesù rischiava di perdere se stesso. Il suo amore poteva rivelarsi autodistruttivo per la sua persona, pregiudicandone il suo compimento. La sua predicazione e la sua prassi, che erano segnate dall’amore e radicalmente portate avanti sotto il segno dell’amore, condussero Gesù alla sua morte. In fin dei conti, il suo esistere-per-l’altro, come persona totalmente riferita a Dio e ai fratelli, lo condusse al Calvario.
Come Paolo dice nella lettera ai Galati: “Il Figlio di Dio mi ha amato e ha dato se stesso per me” (2,20). Il Figlio di Dio ci ha amati e ha perso se stesso per noi.
La sua morte sulla Croce lascia aperta una questione: un simile amore per gli altri, può condurre al raggiungimento del proprio compimento o, in ultimo, si salda con la propria distruzione?
Colui che ama in modo assoluto gli altri, che cosa raccoglie da questo amore? La propria felicità o la propria distruzione?
II° Questo interrogativo trova la sua risposta nella risurrezione.
Come dicevo la risurrezione di Gesù coinvolge una serie di relazioni reciproche.
1. La prima relazione dell’amore di cui voglio parlare è quella rivelata nell’azione del Padre a favore di Gesù. Nelle sue lettere, S. Paolo cita parecchie volte una formulazione primitiva che presenta la risurrezione in termini di azione del Padre esercitata su Gesù morto. Ad esempio, all’inizio della sua lettera ai Galati scrive: «Dio Padre ha risuscitato Gesù dai morti» (1,1). Nella sua Enciclica “Dives in misericordia”, Papa Giovanni Paolo II scrive: «Il Figlio di Dio… nella sua risurrezione ha sperimentato in modo radicale su di sé la misericordia, cioè l’amore del Padre che è più potente della morte» (n° 8).
Qui Giovanni Paolo II fa un accenno a quei versetti famosi del Cantico dei Cantici: «Forte come la morte è l’amore, tenace come gli inferi è la passione: le sue vampe sono vampe di fuoco, una fiamma del Signore! Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo» (8, 6-7). Per esprimere la forza invincibile dell’amore, il Cantico dei Cantici si riferisce a tre forze naturali, primordiali: la morte, un fuoco intenso e le acque dei grandi fiumi e del mare. L’amore è potente come queste forze naturali, anzi è più potente di loro.
Ora nella sua Enciclica il Papa intende la risurrezione come l’attività amorosa e potente del Padre esercitata su Gesù morto.
Per meglio interpretare quell’amore del Padre, vorrei introdurre qui una breve analisi dell’amore in generale. Che cos’è l’amore?
All’età di nove anni il poeta Dante incontrò per la prima volta Beatrice, e poi dedicò quasi tutta la vita all’esplorazione dell’amore. Che cosa potrebbe fare un povero australiano in pochi minuti?
Però bisogna dire qualcosa. Che cos’è l’amore?
L’amore è un’esperienza vissuta da ciascuno, un fatto primario della nostra esistenza, un’esperienza forse ultimamente indicibile. Però si può rischiare qualche definizione.
a) In primo luogo, amare significa approvare. L’amore vuol dire assenso, approvazione. Colui che ama dice all’amato: “E’ bello che tu esisti, che tu sia nel mondo. E’ stupendo che tu esista. Perciò voglio che tu ci sia”. Colui che ama vuole che anche l’amato esista e viva.
b) In secondo luogo, chi ama vuol fare del bene all’amato. Chi ama, agisce ed opera per il benessere dell’altro. Chi ama vuol rendere felice l’altro. Chi ama deve volere il bene dell’amato non a parole, ma concretamente.
Secondo il Nuovo Testamento l’amore si esprime soprattutto come attività. Faccio due esempi.
Nel dialogo tra Gesù e un dottore della legge – riferito da Luca 10 – il dottore cita il grande comandamento dell’amore: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso”. Gesù risponde: “Fa questo e vivrai”. Poi Gesù aggiunge la parabola del Buon Samaritano. Alla fine della parabola, dice al dottore della legge: “Va e anche tu fa lo stesso”. Nel suo dialogo col dottore della legge, Gesù due volte mette in rilievo l’amore come attività, come prassi.
Un altro esempio. Nel brano classico sull’amore della I Cor. 13, 4-7, Paolo usa 15 verbi[1]. Con questa serie di verbi, Paolo mette in risalto la natura attiva e dinamica dell’amore.
c) Un terzo aspetto riguarda l’effetto dell’amore. L’amore funziona per guarire ferite di ogni sorta e per salvare le persone da diverse forme di male. Frutto dell’amore autentico è sempre la vita. L’amore è, per eccellenza, ciò che “fa essere” (M. Blondel).
Nella parabola del figlio prodigo, l’amore del Padre rende possibile la conversione, la trasformazione del figlio. Coloro che sono veramente amati, si sentono profondamente spinti a crescere, si trasformano e diventano perfino belli. Invece, quelli che non sono amati spesso restano psicologicamente handicappati e talvolta fisicamente anche brutti.
d) Un altro aspetto ancora dell’amore è il suo ruolo generativo. L’amore genera e crea quello che fin qui non esiste. La procreazione umana è il caso paradigmatico. Ma ricordiamo anche gli artisti, gli insegnanti, gli scrittori e tutti quelli che dall’amore possono generare e creare un qualcosa che non è ancora esistito.
Nella mia attività come insegnante voglio amare i miei allievi e cerco di generare qualcosa.
e) Per completare questa breve analisi dell’amore, vorrei accennare a due altri volti dell’amore: la sua forza unitiva e la sua fedeltà.
L’amore accoglie ed unisce. Dell’amante e dell’amato fa tutt’uno. Colui che ama desidera essere presso l’amato, desidera essere una sola cosa con lui.
L’amore non solo crea unità, ma già la presuppone tra amante e amato. Faccio un esempio. Nella parabola del figlio prodigo c’è già unità tra il padre e il figlio anche prima che tornasse il figlio. Quando torna, certo c’è una nuova unione col padre. Però l’unità già esiste prima del ritorno del prodigo.
L’amore vuole anche significare fedeltà, una “fedeltà creatrice” (G. Marcel), che cerca di essere permanente, anzi più forte della morte. Nell’amore fedele c’è il desiderio che l’amato non morirà, che l’amore reciproco sarà immortale. La fedeltà dell’amore non permette limiti temporali. Il linguaggio di ogni giorno dimostra che l’amore non permette tali limiti. Un ragazzo innamorato non può dire alla sua ragazza: “Tesoro mio, gioia mia, ti amerò per due anni”.
Il filosofo francese, G. Marcel, ha analizzato così l’amore: dire “io ti amo”, vuol dire “tu non morirai”. Il nostro amore non morirà mai. Tuttavia la fedeltà dell’amore umano sente i suoi limiti. In ultima analisi siamo incapaci di realizzare una relazione interumana permanente.
Queste sono alcune dimensioni principali dell’amore.
Voglio adesso applicarle al caso del Padre che ha risuscitato Gesù dai morti.
Facendo risorgere Gesù dopo la sua morte, il Padre lo approva; dice: “Voglio che tu esista e viva”. La Risurrezione – diciamo – è un atto supremo di approvazione. Facendo risorgere Gesù, il Padre desidera chiaramente il suo bene. Agisce e opera per il benessere di Gesù. Una nuova esistenza che risorge trasformata, è un benessere unico. Risuscitandolo, il Padre guarisce e salva il Gesù morto.
La Risurrezione ha il senso di una salvezza e di una guarigione definitiva.
Il frutto dell’amore paterno è una nuova vita. Nella Risurrezione l’amore del Padre trasforma Gesù che diventa glorioso e bellissimo. Dall’eternità il Padre ha generato il Figlio eterno. Adesso, nella risurrezione c’è per Gesù, in virtù della sua umanità creata, una nuova generazione. L’amore del Padre lo richiama alla vita generandolo ad essere il primo frutto della nuova creazione. Nella resurrezione c’è una nuova unione tra Gesù e il suo Padre. Il Padre mostra la sua fedeltà, il suo amore misericordioso che è più potente della morte. Neppure la morte può battere quella fedeltà divina. Quell’amore strappa l’amato alla morte, glorificandolo nel segno di un’assoluta e creativa fedeltà.
2. Così si presenta dunque l’amore del Padre effettivamente rivelato nella risurrezione. Adesso rivolgiamoci a Gesù.
a) C’è la relazione verticale di Gesù al Padre. La vita del Gesù storico – almeno da quello che percepiamo del suo mistero – era un continuo dialogo col Padre. Quel dialogo d’amore interrotto dalla morte sul Calvario, e ripreso in modo definitivo con la risurrezione. Gesù abbandonato sulla croce “fu assunto in cielo e sedette alla destra di Dio” (Mc. 16, 19).
b) C’è poi la relazione orizzontale di Gesù agli uomini. La sua risurrezione sta a dimostrare che, alla fine, il suo amore esercitato a favore degli uomini, non è stato autodistruttivo. Durante il suo ministero Gesù amava gli altri tanto da dimenticare se stesso. Tanto meno cercava di realizzare se stesso. Ma una volta risuscitato dai morti, riceve e ritrova se stesso in modo definitivo.
Durante la sua vita terrena, Gesù esprimeva il suo amore mediante il suo corpo. Quel corpo era lo strumento e il simbolo reale del suo amore toccando il lebbroso, abbracciando i bambini e spezzando il pane per dare da mangiare alla folla. E’ sempre l’amore ad esporre quel corpo, con cui Gesù serviva gli altri, alla morte. Però nella risurrezione, la sua esistenza corporea raggiunge il suo stato finale e glorificato. Il corpo di Gesù – quello strumento del suo amore – è stato risuscitato, trasformato e glorificato. C’è un altro modo per esprimere lo stesso punto.
Invitando gli altri a seguirlo, Gesù dice: “Chi perde la propria vita la salverà”.
Questo detto esprime perfettamente il suo caso. Esercitando l’amore, perdeva la propria vita. Però la sua risurrezione rivela come perdendo la propria vita a motivo d’amore, Egli la salva, ricevendo una vita nuova piena e gloriosa.
Tutto questo riguarda la relazione verticale di Gesù al Padre e la sua relazione orizzontale con gli uomini.
3. Un’altra relazione dell’amore coinvolto nel mistero pasquale, concerne lo Spirito Santo. Nella vita eterna della Trinità, lo Spirito è l’Amore personale e personificato tra il Padre e il Figlio. Lo Spirito d’amore opera quale personale scambio d’amore tra il Padre e il Figlio – come evento trinitario dell’amore. Durante il suo ministero Gesù era pieno dello Spirito e operava nel potere conferitogli dallo Spirito. Nella Risurrezione, lo Spirito ha pienamente spiritualizzato Gesù rendendolo “Corpo pneumatico”. Gesù adesso risorto, è completamente permeato dallo Spirito e reso definitivamente capace di entrare nel dialogo d’amore col Padre.
4. Esplorando il mistero pasquale come mistero d’amore, una quarta relazione da ricordare è quella del Gesù risorto all’umanità in generale e alla Chiesa in particolare.
Durante la sua vita terrena, Gesù era limitato nell’esercitare il suo amore. Poteva esprimere e mostrare il suo amore personale soltanto verso un numero limitato di persone. Risuscitando dai morti, è liberato. Può allora essere dinamicamente presente dappertutto, per tutti gli uomini.
In particolare, mediante il mistero pasquale, Gesù ha fondato la Chiesa come vera comunità in cui le vecchie divisioni tra gli uomini devono essere superate.
Come Paolo scrive nella Lettera ai Galati, «non c’è più Giudeo né Greco, non c’è più schiavo né libero, non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28). Possiamo completare la lista di Paolo: «Non c’è più australiano, né italiano, non c’è più spagnolo, né francese».
Attraverso il suo Spirito, il Cristo ha fondato la Chiesa, una nuova civiltà di amore.
Attraverso lo Spirito d’Amore, il risorto ha generato la nuova comunità di coloro che amano (cf. Gv. 17).
Il Vecchio Testamento ha già rappresentato Israele come la sposa di Jahvé (Os. 1, 2 ss).
Nel Nuovo Testamento la Lettera agli Efesini intende il Cristo risorto come lo Sposo del nuovo Israele, la chiesa.
Secondo il libro dell’Apocalisse la nuova Gerusalemme – il popolo messianico – verrà da Dio come una sposa adorna per il suo sposo.
Non a caso, il Nuovo Testamento adopera questo linguaggio nuziale per parlare della Chiesa come sposa di Cristo qui e adesso (Ef. 5, 23) e anche nel regno futuro (Apc. 21,2).
E’ proprio l’immagine che si addice quello dello sposo per esprimere il rapporto d’amore che sta al cuore della Chiesa.
5. Infine, non si deve dimenticare un’ultima relazione, quella dei credenti al Gesù risorto. Durante il suo ministero era evidente che Gesù si mostrasse molto attraente. La sua persona attirava a sé interesse ed affetto. Nella sua gloria e bellezza risorta, Gesù attira gli uomini. La sua bellezza misteriosa ma reale attrae la nostra devozione, suscita la nostra gioia. Adesso amiamo Gesù perché è rivelato come bellissimo.
Amiamo ciò che è bello, sì.
Ma spesso Gesù ci viene incontro nel dolore, nelle persone abbandonate che soffrono, nelle nostre sofferenze. Gesù è risorto, entrato nella sua gloria. Però si rivela a noi spesso con un corpo che soffre, con una faccia deformata. Siamo invitati a riconoscere la sua bellezza nascosta in quel corpo che soffre, dietro quella faccia deformata, in quelle persone abbandonate. Se riusciamo a riconoscere la sua bellezza, lo amiamo.
Quelli che riescono a vedere la bellezza del Cristo risorto, hanno quella gioia, quell’allegria di cui ci ha parlato l’arcivescovo Carlos Amigo.
Nel Nuovo Testamento Giovanni è il testimone per eccellenza di quell’amore dinamicamente rivelato nel mistero pasquale. Nel capitolo 17 Giovanni chiude la preghiera sacerdotale di Gesù così: «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto; questi sanno che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’Amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».
Secondo questa preghiera lo scopo della morte di Gesù e della sua risurrezione è quello di fondare una nuova città, una città di coloro che mediante lo Spirito dell’amore possano esercitare quell’amore che definisce la vita della Trinità.
Come sapete, Dante chiude l’ultimo canto della sua Commedia, lodando “L’amore che muove il sole e le altre stelle”.
E’ lo stesso amore divino che muove il Cristo risorto e che sta al centro del suo mistero pasquale.
In questa relazione ho voluto esplorare le diverse relazioni d’amore che sono coinvolte nella risurrezione di Gesù. Così ho cercato di mostrare che in ultima analisi, quando Paolo definisce Dio in termini di risurrezione e Giovanni in termini d’amore, ambedue dicono la medesima cosa. Ripetutamente, Paolo definisce Dio in termini di Risurrezione, Giovanni invece dice semplicemente “Dio è Amore” (I Gv. 4, 8)
Dio è quell’amore sovranamente rivelato nel mistero pasquale.
[1] A volte le nostre traduzioni del Nuovo Testamento, non riescono a conservare tutti i verbi. Appaiono come aggettivi. “L’amore è paziente, benigno”. Nel testo originale Paolo non usa aggettivi, ma verbi.