Anton Schlembach*
CRISTO È LO SPAZIO NEL QUALE IO VENGO AMATO DA DIO
Nei nostri giorni si diffonde nel mondo occidentale un’atmosfera piuttosto di pessimismo. Poiché le ideologie del progresso non sono più convincenti prevale uno spirito e un atteggiamento di rassegnazione.
L’angoscia del futuro scuote tanti uomini al punto che non pochi ormai disperano dell’avvenire del mondo e dell’umanità. Il rifiuto di trasmettere la vita umana è uno degli inizi di questa situazione.
Il messaggio paolino nella lettura odierna è in contrasto con questo spirito della nostra epoca postmoderna. Esso è percorso da un ardito ottimismo. E infonde l’ottimismo cristiano della fiducia pasquale.
"Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio" sono le prime parole della lettura.
Noi sappiamo – dice San Paolo. E’ la convinzione di fede che possiede una certezza assoluta, anche se non la si può dimostrare agli altri con evidenza. Questa conoscenza viene testimoniata con la parola e con la vita e si rivela come forza portante persino nella morte. Non è tanto una conoscenza di dati ma della prospettiva e dell’orizzonte che danno senso alla nostra esistenza e alla realtà cosmica.
"Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio". Che uomini sono quelli che amano Dio?
Sono gli uomini che credono in Dio, perché la fede è la promessa dell’amore e l’amore è il compimento della fede.
Sono allora gli uomini che si sono aggrappati a Dio; che percorrono il cammino della loro vita insieme con Dio; che prestano ascolto a Dio; che ubbidiscono a Dio; che parlano con Dio; che si affidano a Dio senza riserve, senza condizioni e senza limiti nella vita e nella morte. Sono gli uomini che con il loro cuore affidano al cuore di Dio se stessi, i loro fratelli e tutta la creazione.
Per questi "tutto concorre al bene". Tutto senza escludere nulla. Nella seconda lettera ai Corinzi l’apostolo enumera situazioni che sembrano contraddire questa certezza. Egli parla di fatiche, di prigione, di percosse. Egli scrive: "Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi; tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balia delle onde. Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli; fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità. E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le chiese" (cf. 11, 23-28). San Paolo ha visto da vicino la morte di frequente. L’acqua gli è arrivata letteralmente sino alla gola. Sapeva cosa vuol dire quando una persona viene brutalizzata. Conosceva il carcere dall’interno non come visitatore, ma da prigioniero oppresso in mille modi. Paolo non dubita che anche tutto questo porta al bene, purché uno ami Dio come unica condizione.
A questo punto si impone una domanda: E’ possibile un simile amore di Dio? E’ possibile amare Dio così, sempre ed ovunque? Anche la psicologia afferma che la possibilità di amare dipende da una condizione previa, quella cioè di essere prima amato, quella di sentirsi amati. Può amare senza riserve e limiti solo chi viene amato senza riserve e senza limiti. Possiamo dunque amare Dio con tutto il cuore solo se Dio per primo ci ama con tutto il suo cuore. Questa è la condizione di possibilità del nostro amare Iddio.
Paolo afferma che questa condizione si è compiuta.
Egli annuncia che l’unico vero Dio che esiste rivolge il suo amore a tutti gli uomini. Non come gli dei pagani capaci di amare solo qualcuno, a condizione di ricevere sacrifici e solo durante la vita terrena perché anch’essi devono arrendersi impotenti di fronte alla morte. Dio annunciato da Paolo è Iddio dell’amore illimitato, incondizionato assoluto.
Noi domandiamo all’apostolo: Dove hai imparato questo? Dove e come hai trovato questo Dio? Paolo risponde: Ho trovato Dio non attraverso speculazioni filosofiche e nemmeno mediante l’osservazione meticolosa della legge secondo lo stile dei farisei alla cui setta io ho appartenuto. Lo ho trovato nell’incontro con Gesù Cristo. Sulla via di Damasco mi è venuto incontro e così ho trovato il Dio dell’amore assoluto che ha liberato in me l’amore per lui. In quel momento io sono morto alla legge e ho cominciato una vita nuova tutta per Dio, cioè offerta a Dio nell’amore. Da allora io vivo nella fede nel figlio di Dio che mi ha amato e si è sacrificato per me (cf. Gal. 2, 19-21).
Cristo è dunque lo spazio nel quale io vengo amato da Dio e nel quale io amo Dio. In questo spazio conduco la mia esistenza e sono certo che a coloro che amano Dio tutto porta al bene; che nessuna creatura potrà separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore (cf. Rom. 8, 28-29).
Tutto ciò applicato alla nostra vita significa che noi possiamo amare Dio e di fatto lo amiamo solo se troviamo Cristo e se rimaniamo in comunione con lui.
Dov’è possibile per noi incontrare questo Cristo?
La risposta ce la dà il Vangelo di questa messa. Noi troviamo Cristo lì dove lo hanno trovato i discepoli di Emmaus.
Prima di tutto nella sua parola. Anche oggi egli riesce ad infiammare i nostri cuori se egli ci parla mediante la sacra scrittura, quando ci lasciamo ispirare da essa nella lettura personale o quando l’accogliamo con fede della predicazione della Chiesa.
Noi troviamo Cristo infine come discepoli di Emmaus nel gesto dello spezzare il pane. La celebrazione dell’eucaristia ci dona la possibilità dell’incontro più profondo con Cristo morto e risorto e in Lui con il padre ricco di misericordia, eterno e puro amore.
Noi troviamo Cristo infine come i discepoli di Emmaus nella comunità degli apostoli e dei discepoli. A questa comunità ecclesiale, a questa fraternità sempre più intensa e partecipata mira l’unione con Cristo nella parola e nel sacramento. Appare così che lo spazio visibile, tangibile, storicamente e socialmente concreto dell’amore passivo ed attivo di Dio è la comunità cristiana, è la chiesa terrena concreta.
L’appartenenza vissuta alla chiesa, corpo di Cristo, nella quale comunichiamo con Dio eterno amore è per noi pegno e garanzia che anche nella nostra vita tutto concorrerà al bene, cioè alla risurrezione della carne e alla vita eterna nel mondo che verrà. Amen.
* Omelia di Schlembach S.E. Mons. Anton, vescovo di Speyer (Germania), nella concelebrazione da lui presieduta, commentando: Rom. 8,28-39; Sal. 136; Lc. 24, 13-35