Eduard Card. Gagnon
LA PASTORALE FAMILIARE POST-CONCILIARE
Il tema ci invita immediatamente a ricordare e a prendere le grandi intuizioni del Concilio Vaticano II, per chiederci come si sono poi realizzate nell’ambiente della Chiesa e quali debbono essere le caratteristiche della pastorale familiare oggi.
1. Le intuizioni del C. Vaticano II
Il merito più grande del Concilio è stato di aver approfondito il grande Mistero della Chiesa e di offrirci un modo nuovo di presentarlo alla considerazione di chi lo guarda da dentro e da fuori. E in questo troviamo già le basi per una riflessione sulla famiglia e per una programmazione della pastorale familiare.
Il testo fondamentale per noi è quello della Costituzione dogmatica sulla Chiesa. La «Lumen Gentium» non definisce più la Chiesa, come nei manuali di teologia della mia giovinezza, a partire dai tre poteri della Gerarchia, quelli di insegnare, di santificare e di dirigere. Non cessa di considerarli come necessari e sa bene che l’autorità è uno dei servizi più difficili sempre. Ma partendo dal principio che la Chiesa ha come solo compito quello di continuare, di concretizzare nel tempo, la presenza attiva di Cristo nel mondo, il Concilio arriva alla conclusione che il Popolo di Dio, nel suo insieme, deve prendere su di sé la triplice missione di Cristo profeta, sacerdote e re. Parlando del sacerdozio comune del «popolo sacerdotale» che formano tutti i battezzati, il Concilio dice:
«... i coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, col quale significano e partecipano al mistero di unità e di fecondo amore che intercorre fra Cristo e la Chiesa, si aiutano per raggiungere la santità nella vita coniugale e nell’accettazione ed educazione della prole, ed hanno così nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al Popolo di Dio. Da questo connubio, infatti, procede la famiglia nella quale nascono i nuovi cittadini della società umana, i quali per la grazia dello Spirito Santo diventano col battesimo figli di Dio e perpetuano attraverso i secoli il suo Popolo. In questa che si potrebbe chiamare Chiesa domestica, i genitori devono essere per i loro figli con le parole e con l’esempio i primi maestri di fede e secondare la vocazione propria di ognuno e quella sacra in modo speciale»[1].
Applicando questa idea alla questione dell’apostolato dei laici riconosce a quello dei coniugi e della famiglia «una singolare importanza sia per la Chiesa sia per la società civile» (A.A., n. 11,a).
«I coniugi, dice, sono i primi araldi della fede ed educatori dei loro figli... La famiglia ha ricevuto da Dio questa missione, di essere la prima e vitale cellula della società.
E tale missione essa adempirà se, mediante il mutuo affetto dei membri e l’orazione fatta a Dio in comune, si mostri come il santuario domestico della Chiesa; se tutta la famiglia si inserisce nel culto liturgico della Chiesa; se infine presterà una fattiva ospitalità, se promuoverà la giustizia e le buone opere a servizio di tutti i fratelli che si trovano in necessità...
Le famiglie cristiane le quali in tutta la loro vita si mostrano coerenti con il Vangelo e mostrano con l’esempio cosa sia il matrimonio cristiano, offrono al mondo una preziosissima testimonianza cristiana, sempre e dovunque, ma in modo speciale nelle regioni in cui viene annunziato per la prima volta il Vangelo oppure la Chiesa si trova tuttora nei suoi inizi o versa in grave pericolo.
Affinché possano raggiungere più facilmente le finalità del loro apostolato, può essere opportuno che le famiglie si uniscano in qualche associazione»[2].
E conclude affermando:
«E’ compito dei genitori nella famiglia disporre i loro figli, fin dalla fanciullezza, a riconoscere l’amore di Dio verso tutti gli uomini. Insegnino loro gradualmente con l’esempio specialmente, la sollecitudine verso le necessità sia materiali che spirituali del prossimo. Tutta la famiglia dunque e la sua vita in comune, diventi quasi un tirocinio di apostolato.
E’ necessario, inoltre educare i fanciulli in modo che, oltrepassando i confini della famiglia, aprano il loro animo alle comunità sia della Chiesa che temporali»[3].
La dichiarazione conciliare sull’Educazione Cristiana ribadirà con eloquenza il ruolo insostituibile della famiglia.
«I genitori, poiché han trasmesso la vita ai figli, hanno l’obbligo gravissimo di educare la prole; vanno pertanto considerati come i primi e principali educatori di essa. Questa loro funzione educativa è tanto importante che, se manca, può appena essere supplita. Tocca infatti ai genitori creare in seno alla famiglia quell’atmosfera vivificata dall’amore e dalla pietà verso Dio e verso gli uomini, che favorisce l’educazione completa dei figli in senso personale e sociale. La famiglia è dunque la prima scuola di virtù sociali, di cui appunto han bisogno tutte le società. Soprattutto nella famiglia cristiana, arricchita della grazia e della missione del matrimonio-sacramento, i figli, fin dalla più tenera età devono imparare a percepire il senso di Dio e venerarlo e ad amare il prossimo secondo la fede che han ricevuto nel battesimo: lì anche fanno la prima esperienza di una sana società umana e della chiesa; sempre attraverso la famiglia, infine, vengono pian piano introdotti nel consorzio civile e nel popolo di Dio. Perciò i genitori si rendano esattamente conto della grande importanza che la famiglia autenticamente cristiana ha per la vita e lo sviluppo dello stesso popolo di Dio.
Il compito educativo, come spetta primariamente alla famiglia, così richiede l’aiuto di tutta la società. Perciò oltre i diritti dei genitori e di quelli a cui essi affidano una parte del loro compito educativo, ci sono determinati diritti e doveri che spettano alla società civile, poiché questa deve disporre quanto è necessario al bene comune temporale. Rientra appunto nelle sue funzioni favorire in diversi modi l’educazione della gioventù: cioè difendere i doveri e i diritti dei genitori e degli altri che svolgono attività educativa e dar loro il suo aiuto; in base al principio della sussidiarietà, laddove manchi l’iniziativa dei genitori e delle altre società, svolgere l’opera educativa, rispettando ― si intende ― i desideri dei genitori; fondare inoltre nella misura in cui lo richieda il bene comune, scuole e istituti propri»[4].
Le deliberazioni e i documenti del Concilio aprivano delle grandi prospettive e furono di forte stimolo per quanti si erano già impegnati profondamente nei movimenti familiari o nel servizio delle famiglie a livello locale o universale.
Non spetta a me giudicare il modo nel quale tante speranze si siano poi realizzate qui in Italia. Vorrei semplicemente dire come ho visto gli sviluppi degli anni postconciliari là dove ho lavorato nelle Americhe fino al 1972 e da allora nel dicastero della Santa Sede consacrato alla famiglia sotto la guida dei tre ultimi Pontefici.
2. Gli sviluppi ed i ritardi
Negli anni immediatamente posteriori al Concilio, l’attenzione pastorale si è, in molte parti, concentrata sulla riforma liturgica sulla riorganizzazione delle strutture ecclesiali, sulla redazione di nuovi catechismi, sulla reazione necessaria alle crisi della vita sacerdotale e religiosa.
Senz’altro, le associazioni e gruppi familiari, nati dalla riscoperta del Sacramento del Matrimonio dopo l’enciclica Casti Connubii di Pio XI, hanno perseverato nella loro ricerca d’una spiritualità coniugale rinnovata.
Ma non si può dire la famiglia sia stata in quel periodo al centro delle preoccupazioni pastorali né dei piani delle diocesi e delle conferenze episcopali. La parrocchia stessa, sotto l’influsso della tendenza alla specializzazione, non si vedeva più, come in altre epoche, una parrocchia per la famiglia, ma piuttosto come il luogo di convergenza ― o di divergenza ― di attività diverse per i giovani e gli adulti, i ragazzi e le ragazze, gli uomini o le donne. Le stesse scuole cattoliche non si sentivano come i mandatari dei genitori, ma come un’istanza superiore nei confronti della famiglia in relazione all’educazione dei figli.
Certi movimenti, limitandosi troppo alla valorizzazione dell’amore all’interno della coppia, non associavano i figli ai propri desideri di avanzare in santità; aiutavano le famiglie a chiudersi in se stesse, proteggendosi dal mondo, ma non vedendo la necessità di intervenire nella società quando le sue leggi e istituzioni creavano ostacoli sempre più gravi per l’esistenza della famiglia.
Si era glorificato tanto l’amore sessuale per se stesso, nell’insegnamento anche teologico in certi movimenti, che il Papa Paolo VI si trovò di fronte ad una resistenza sistematica quando scrisse l’enciclica Humanae Vitae. Eppure questo provvidenziale ed ispirato documento, non aveva altro scopo che di proclamare la vera grandezza e bellezza dell’amore e di mettere in guardia contro le insidie di un egoismo che si fa ancora più profondo quando diventa comune a due cuori.
Ma l’Enciclica di Paolo VI dette valido incoraggiamento ai coniugi e ai loro consiglieri che, accettando il piano divino han fatto progredire lo studio dei metodi naturali di paternità responsabile ed hanno, con l’educazione alla vita matrimoniale aiutato numerose coppie ad approfondire il senso del loro amore. Questo aspetto educativo è così diventato uno degli elementi essenziali della pastorale per la famiglia, insieme alla lotta per la vita ed alla ri-valorizzazione del grande dono di Dio che il bambino costituisce.
Un altro fenomeno che ha influito sulla pastorale familiare, è stato il dilagarsi di un certo pessimismo nel parlare della famiglia e nel legiferare in un certo modo su di essa. Agli inizi degli anni ‘70, si diceva troppo facilmente che la famiglia non aveva futuro, che era un’istituzione del passato adatta alla cultura agricola, e non sarebbe più necessaria in un mondo dove lo Stato e altri organismo pubblici possono compiere la funzione educativa.
Di fronte alla mentalità anti-vita e anti-famiglia, Paolo VI, sentì l’urgenza di prendere delle misure concrete. Cominciò con la creazione di un «Comitato per la Famiglia», che sarebbe stato il suo strumento immediato per promuovere la pastorale familiare e l’amore alla vita.
Quando mi chiese di prendere la direzione mi dette il compito di proclamare dappertutto che la Chiesa non avrebbe mai perso la sua fede nella famiglia, dono prezioso del Creatore all’umanità. Mi chiese anche d’insistere, nei contatti con i Vescovi e le conferenze episcopali, perché la famiglia diventasse un oggetto privilegiato, prioritario della cura pastorale. Infatti i gesti e le parole di Paolo VI ebbero effetti concreti. Numerose diocesi e nazioni hanno fatto programmi e preparato direttori di pastorale familiare. I Sinodi sull’Evangelizzazione e sulla catechesi furono un’occasione per il Papa per affermare il ruolo primordiale ed essenziale della famiglia nella trasmissione della fede.
Anche negli ambienti politici la voce del Papa, per troppo tempo solitaria, finì per essere ascoltata e molti dirigenti che prima avevano preconizzato la sostituzione degli enti pubblici al posto dei genitori nell’educazione e nella vita sociale, hanno finito per confessare di aver sbagliato e di non poter fare a meno della famiglia.
Il cambiamento delle mentalità consentì a Paolo VI di pensare ad un Sinodo episcopale sulla famiglia che non sarebbe stato oscurato dalle contestazioni del Magistero.
La sua decisione in effetti fu confermata da Giovanni Paolo I, il quale fece molto per incoraggiare la famiglia durante il suo mese di pontificato. Nel suo discorso inaugurale disse della famiglia che era la «chiesa domestica» (prima si diceva che era «come» una chiesa; lui fu più categorico). E le sue catechesi delle udienze settimanali illustrarono quale tesoro di fede e di saggezza aveva ricevuto dall’esempio e dall’insegnamento dei suoi genitori e nonni.
Appena eletto, Giovanni Paolo II confermò la scelta dei suoi predecessori. Ma determinò il tema da studiare in modo più concreto. Non si parlerà della famiglia in termini generici o paternalistici, ma in termini positivi, cioè riannunziando la buona novella del sacramento matrimoniale e ritrovando l’importanza e il senso della missione affidata da Dio alla famiglia.
3. Giovanni Paolo II e la pastorale familiare di oggi
La famiglia era stata la realtà prediletta del Papa durante i suoi anni di ministero pastorale ed episcopale. Gli aveva anche consacrato studi e libri universalmente apprezzati.
Una volta sulla cattedra di Pietro dette alla famiglia, segno visibile dell’amore di Dio in Cristo, un’attenzione prioritaria e costante. Le serie successive delle sue catechesi del mercoledì durante più di tre anni, vertono sull’amore, il matrimonio e la famiglia. I suoi discorsi, omelie e messaggi durante i viaggi apostolici o davanti ai gruppi che accoglie a Roma, lasciano sempre un buon posto alla famiglia. E si trovano ancora delle indicazioni preziose per la pastorale della famiglia nelle encicliche e altri grandi documenti del Papa, quando si parla del Dio misericordioso, del Cristo Redentore, della riconciliazione, dei diritti umani, del lavoro, della catechesi.
Ma l’opera maestra del Santo Padre nei confronti della famiglia resta l’esortazione Familiaris Consortio con la quale raccoglieva, contemplava e arricchiva di un’aurea di saggezza evangelica, le conclusioni del Sinodo del 1980 sulla famiglia. L’attentato del 13 maggio 1981 ritardò la composizione della F. Consortio, ma i mesi di sofferenza permisero al Papa di dare un insegnamento che sgorgava non solo dalla riflessione, ma dalla sensibilità di un cuore addolorato.
Della F. Consortio il Papa diceva durante una riunione di vescovi e di operatori familiari di tutta Europa che deve essere la magna carta, cioè la guida fondamentale, per la pastorale della famiglia in questa fine di millennio.
Non si possono riprendere qui tutti gli insegnamenti dell’Esortazione. Vorrei semplicemente sottolineare due note caratteristiche: 1) la famiglia non può essere considerata soltanto come oggetto della pastorale; deve esserne anche il soggetto attivo; 2) la famiglia non può più chiudersi in se stessa in un’attitudine difensiva; deve aprirsi a tutta la missione della Chiesa e a tutte le necessità del mondo.
Quando i Vescovi si riunirono per il Sinodo sulla famiglia, molti pastori si chiedevano: «Che può fare la Chiesa a favore della famiglia?». Colpiti dalle difficoltà nelle quali vivono numerose famiglie, pensavano ai sussidi che possono venire da fuori per aiutare i coniugi ed i loro figli, piuttosto che alle energie che la famiglia può trovare in se stessa per superare le proprie crisi e mettersi al servizio delle altre famiglie.
L’intervento di buone coppie di uditori rese l’assemblea cosciente di iniziative eccellenti nelle quali le famiglie stesse si erano già impegnate in tutti i paesi cristiani. I pastori cominciarono a chiedersi: «Che può fare la famiglia per la Chiesa?».
La pastorale della famiglia non può più dunque contentarsi di cercare rimedio ai mali della famiglia senza coinvolgerla in uno sforzo globale, perché i suoi membri capiscano la loro vocazione, la famiglia si riconosca come Chiesa e s’impegni nel compiere l’opera di Cristo, profeta, sacerdote e re.
«L’avvenire dell’umanità, proclama il Papa, passa attraverso la famiglia!
E’ dunque indispensabile ed urgente che ogni uomo di buona volontà si impegni a salvare ed a promuovere i valori e le esigenze della famiglia.
Un particolare sforzo a questo riguardo sento di dover chiedere ai figli della Chiesa. Essi, che nella fede conoscono il meraviglioso disegno di Dio, hanno una ragione in più per prendersi a cuore la realtà della famiglia in questo nostro tempo di prova e di grazia.
Essi devono amare in modo particolare la famiglia. E’ questa una consegna concreta ed esigente.
Amare la famiglia significa saperne stimare i valori e la possibilità promuovendoli sempre. Amare la famiglia significa individuare i pericoli ed i mali che la minacciano, per poterli superare. Amare la famiglia significa adoperarsi per crearle un ambiente che favorisca il suo sviluppo. E ancora è forma eminente di amore ridare alla famiglia cristiana di oggi, spesso tentata dallo sconforto e angosciata per le accresciute difficoltà, ragioni di fiducia in se stessa, nelle proprie ricchezze di natura e di grazia, nella missione che Dio le ha affidato»[5].
Varie possono essere le attività, le organizzazioni, le associazioni, vari i servizi religiosi e sociali offerti alla famiglia. Devono essere scelti e promossi a seconda delle circostanze locali, delle culture e delle situazioni. Una condizione però, perché le iniziative producano risultati, è che siano ispirati dalla fiducia nella famiglia, nei laici che, con i sacramenti del battesimo, della cresima e del matrimonio cristiano, ricevono dal Signore un dono di grazia ed una missione che loro soli possono assolvere.
La F. Consortio ricorda il Concilio Vaticano II che dice:
«La famiglia metterà con generosità in comune con le altre famiglie le proprie ricchezze spirituali. Perciò la famiglia cristiana che nasce dal matrimonio come immagine e partecipazione del patto di amore del Cristo e della Chiesa, renderà manifesta a tutti la viva presenza del Salvatore nel mondo e la genuina natura della Chiesa, sia con l’amore, la fecondità generosa, l’unità e la fedeltà degli sposi che con l’amorevole cooperazione di tutti i suoi membri»[6].
«La famiglia cristiana è inserita a tal punto nel mistero della Chiesa da diventare partecipe, a suo modo, della missione di salvezza propria di questa: i coniugi e i genitori cristiani, in virtù del sacramento, hanno, nel loro stato di vita e nella loro funzione, il proprio dono in mezzo al popolo di Dio. Perciò non solo ricevono l’amore di Cristo diventando comunità “salvata”, ma sono anche chiamati a “trasmettere” ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando così comunità “salvante”»[7].
La missione della famiglia è di
«custodire, rivelare e comunicare l’amore, quale riflesso vivo e reale partecipazione dell’amore di Dio per l’umanità e dell’amore di Cristo Signore per la Chiesa sua sposa...
Ogni compito particolare della famiglia è l’espressione e l’attuazione concreta di tale missione fondamentale»[8].
Non c’è tempo qui, di specificare nei particolari i diversi compiti, le diverse possibilità operative della famiglia: formazione di una comunità di persone, servizio alla vita, partecipazione nello sviluppo della società e partecipazione alla vita e alla missione della Chiesa.
Ciò ci conduce alla seconda considerazione. La pastorale familiare non deve rimanere centripeta ma deve essere sempre più centrifuga. In altre parole, si deve vigilare perché la famiglia non si chiuda in se stessa.
All’inizio del mio incarico come responsabile del «Comitato per la Famiglia», quindici anni fa, una delle prime persone che ci visitò fu un sacerdote, assessore di un grande movimento familiare, che mi disse: «Sono venuto qui perché mi hanno detto di venire, però ciò che interessa a noi non è la famiglia, è la coppia!» Come se Dio non avesse creato la coppia per la famiglia!
Una coppia, dirigente di un’altra associazione, venne a chiederci: «Che facciamo? Finora siamo stati un movimento di spiritualità matrimoniale; adesso siamo chiamati a coinvolgerci in un apostolato più sociale. Per noi sembra un dilemma». Ma non è un dilemma se pensiamo che la spiritualità coniugale è la spiritualità di un sacramento sociale.
E’ un gran frutto dell’azione dello Spirito Santo il fatto che molte associazioni capiscano che l’amore stesso fra i coniugi non può crescere, neppure conservarsi, senza un impegno comune al servizio di una causa nobile: quello della paternità certo ma anche il servizio degli altri.
La famiglia non può proteggersi chiudendo le porte della casa. Tutti gli influssi penetrano nella casa attraverso i mezzi di comunicazione, la televisione in particolare.
Le leggi, le misure governative, i servizi dello stato, influiscono molto sulle condizioni nelle quali la famiglia deve vivere e adempiere alla sua missione.
Si può applicare a tutti i campi dove può intervenire la famiglia, ciò che il santo Padre dice della politica:
«Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta politica familiare ed assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza»[9].
Quello che è importante non è moltiplicare i movimenti specificamente familiari ma di dare a tutta la pastorale una dimensione familiare nella proclamazione della Parola, nella preparazione e celebrazione dei Sacramenti e nell’organizzazione delle parrocchie e dei consigli diocesani.
La Familiaris Consortio dice infatti che tutti devono avere una parte nella pastorale familiare, la comunità ecclesiale, la parrocchia, le famiglie stesse, i vescovi ed i presbiteri, religiosi e religiose, laici specializzati, recettori ed operatori della Comunicazione sociale.
Conclusione
Per concludere, potrei dire che la cosa più necessaria è lo spirito, lo stato d’animo con i quali si concepisce la pastorale. E niente può descrivere più chiaramente tale spirito che le parole del Santo Padre all’inizio dell’Esortazione: F. Consortio:
«La famiglia nei tempi odierni è stata, come forse più di altre istituzioni, investita dalle ampie, profonde e rapide trasformazioni della società e della cultura. Molte famiglie vivono questa situazione nella fedeltà a quei valori che costituiscono il fondamento dell’istituto familiare. Altre sono divenute incerte e smarrite di fronte ai loro compiti o, addirittura, dubbiose e quasi ignare del significato ultimo e della verità della vita coniugale e familiare. Altre, infine, sono impedite da svariate situazioni di ingiustizia nella realizzazione dei loro fondamentali diritti.
Consapevole che il matrimonio e la famiglia costituiscono uno dei beni più preziosi dell’umanità, la Chiesa vuole far giungere la sua voce ed offrire il suo aiuto a chi, già conoscendo il valore del matrimonio e della famiglia cerca di viverlo fedelmente, a chi, incerto ed ansioso, è alla ricerca della verità ed a chi è ingiustamente impedito di vivere liberamente il proprio progetto familiare. Sostenendo i primi, illuminando i secondi e aiutando gli altri, la Chiesa offre il suo servizio ad ogni uomo pensoso dei destini del matrimonio e della famiglia»[10].