Giuseppe e Clotilde Carpita
quali valori per la famiglia
«La famiglia fondata e vivificata dall’amore, è una comunità di persone: dell’uomo e della donna sposi, dei genitori e dei figli, dei parenti. [...] Il principio interiore, la forza permanente e la meta ultima di tale compito è l’amore: come, senza l’amore, la famiglia non è una comunità di persone, così senza l’amore, la famiglia non può vivere, crescere e perfezionarsi come comunità di persone»[1].
Il documento pontificio conferma che i valori qualificanti l’esperienza coniugale e familiare si riassumono nell’amore. Oggi la sua interpretazione e realizzazione subisce tutta una serie di condizionamenti dovuti al contesto socio-culturale; nel nostro tempo, infatti, ci sono difficoltà a vivere scelte esistenziali secondo una coerenza a valori. Si può parlare di difficoltà di natura etica. Si diffondono sempre di più individualismi dispersivi e desideri fini a se stessi (accumulo dei beni economici e non di quelli culturali, disinteresse per gli ultimi, rapina dei beni necessari all’equilibrio stesso del mondo, rapina nel perseguire profitti favolosi con traffici di morte, ecc.).
La cultura odierna è sempre più strumentale: i rapporti tra gli uomini si sono ridotti a livello di scambio; esiste, dunque, una dissociazione tra gli interessi dell’individuo e i valori propriamente umani. L’uomo, spesso, non riesce a trasferire in scelte concrete ciò in cui crede.
La famiglia risente di tutto ciò e la questione etica trova nella comunità familiare, nel bene e nel male, il luogo di risonanza significativo ed emblematico. Aiutare a vivere l’amore nella sua profondità e verità è uno dei compiti delle coppie cristiane che si mettono al servizio dei fratelli.
La prima connotazione di questo amore è l’oblatività, cioè il dono di sé all’altro in una percezione realistica dei bisogni e delle necessità. Dopo il matrimonio, infatti, il contatto quotidiano tra i due rivela la realtà al posto dell’idealizzazione, propria dell’innamoramento. Con l’arrivo dei figli, il tempo da passare insieme diventa sempre più limitato, contrarietà, problemi portano i due a ridimensionarsi a vicenda. È così che viene meno l’innamoramento e può nascere l’amore.
L’amore non è più percepito come una magica atmosfera, ma come qualcosa di impegnativo che dà luogo ad una relazione di reciproco sostegno materiale e spirituale. L’amore coniugale, che sostiene, guarisce e fa crescere in un ambiente di serenità e sicurezza, è la base per l’educazione dei figli; la famiglia è veramente il luogo privilegiato per imparare ad amare.
Con il passare degli anni, nella famiglia alcune cose accadono: ogni membro, a poco a poco, si differenzia; i bambini crescono assumendo gradualmente una propria identità. I coniugi continuano lo sviluppo della loro realtà fisica e psichica; imparano a conoscersi sempre di più e ad integrarsi vicendevolmente. Ogni componente della famiglia, grazie all’amore, è in grado di raggiungere la piena consapevolezza e accettazione di sé. Siamo nel campo dell’autentica promozione umana, e che è il principale servizio a cui gli sposi, alla luce del loro ministero coniugale, sono chiamati.
«[...] la famiglia costituisce il luogo nativo e lo strumento più efficace di umanizzazione e di personalizzazione della società: essa collabora in modo originale e profondo alla costruzione del mondo, rendendo possibile una vita propriamente umana, in particolare custodendo e trasmettendo le virtù e i valori»[2].
Un amore vissuto come totale dono di sé comporta naturalmente la fedeltà assoluta fino alla morte, che rappresenta un altro valore del matrimonio.
Nella mentalità corrente, c’è chi subisce la fedeltà come una condanna alla monotonia, o come una condizione per assicurarsi una garanzia sociale ed economica, la conservazione della reputazione, la tranquillità della coscienza. C’è un certo impaccio negli stessi cristiani, quando devono difendere una fedeltà di cui non hanno ben chiaro, le motivazioni umane, al di là di una legge continuamente ribadita dal magistero ecclesiastico. Ci sono, poi, anche difficoltà pratiche dovute al fatto che non c’è un’abitudine pedagogica a questi valori, né nell’età giovanile, né nella vita del fidanzamento e del matrimonio.
La maggioranza dei cristiani, che pur si dice fedele, identifica la fedeltà con la non rottura del matrimonio, concedendosi però molte libertà in ordine a quelle piccole infedeltà quotidiane, che rendono triste e senza entusiasmo la vita coniugale.
La fedeltà, invece, si costruisce sull’intuizione di un destino comune e sulla comprensione fino in fondo. Con il passato cioè con tutto il mondo di lui e di lei; con la storia precedente, i parenti, la cultura, l’eredità bio-spicologica. Ci si compromette con il futuro, impegnandosi a costruirlo insieme per quanto possibile buono e ad accettarne le imprevedibilità e la precarietà.
Una testimonianza di fedeltà di fronte ad una forte prova rende credibile la parola di Paolo VI: «Fedeltà che può tal volta essere difficile, ma che sia sempre possibile, e sempre nobile e meritoria, nessuno lo può negare. L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì che da essa come da una sorgente scaturisce un’intima e duratura felicità»[3].
Essere fedeli non impedisce di essere creativi. L’amore creativo è quello che consente di perdonare per primi, di riprendere il dialogo interrotto per qualche torto subito, di dimenticare i momenti difficili. «Gesù avendo amato i suoi li amò fino alla fine» (Gv 13,1). In questo modo si costruisce l’unità della famiglia, intesa come un cammino comune in cui il marito e la moglie ci tengono ad essere uniti, ma sanno anche andare avanti da soli.
Ciascuno dei due persegue ideali che l’altro definisce irrangiungibili; si mantiene fedele anche quando non ne vede i frutti; rinuncia ad essere incoraggiato per dare coraggio, ad essere stimato per stimare. «[...] O Maestro, fa che io non cerchi tanto: di essere consolato, ma di consolare/di essere compreso, quanto di comprendere/di essere amato quanto di amare;/ poiché dando si riceve, perdonando si è perdonati, morendo si risuscita a vita eterna»[4].
La stessa libertà creativa deve caratterizzare il rapporto genitori-figli: il genitore deve proteggere e curare il figlio, ma allo stesso tempo stimolarlo all’autonomia. Può offrirsi al figlio come modello da imitare e nel contempo aiutare il figlio nella scelta delle mete che lo stesso vuole conseguire. «[...] I vostri figli non sono i vostri figli. [...] Potete amarli, ma non costringerli ai vostri pensieri, [...] Potete custodire i loro corpi, ma non le anime loro, [...] Voi siete gli archi da cui i figli, le vostre frecce vive, sono scoccati lontano»[5].
Tutto questo ci porta a riconoscere la necessità di rivedere continuamente all’interno di una famiglia i modelli di comportamento, di ripensare i bisogni del partner e degli altri membri, di ricorrere a momenti forti, soprattutto quando emergono situazioni che intaccano le relazioni affettive.
Il coraggio di rimettersi in discussione, di aggiustare il proprio passato su quello dell’altro, è indice di un amore fecondo e creativo. A questo proposito, può essere di aiuto l’esempio di Scott Peck, riportato da Alessandro Manenti, che paragona la famiglia ad un campo-base per scalare una montagna:
«Chi vuole scalare una montagna, deve aver un buon campo-base, un posto dove ci sia protezione, ristoro, affetto, riposo prima di avventurarsi di nuovo verso una cima ulteriore. Gli scalatori sanno di dover spendere molto tempo per costruirsi il campo-base, anzi si impiega più tempo per il campo-base che per la scalata; ma la sopravvivenza dello scalatore, il successo della scalata dipenderanno in gran parte dal campo-base. La famiglia è questo campo-base dove ognuno si sente inserito in un progetto comune, con un proprio contributo e significato per sé e per gli altri uniti a lui.
Il campo-base, però non è fine a se stesso; il suo fine è favorire la scalata che sarà sempre un viaggio solitario; anche se in cordata, ogni persona dovrà confidare sulle proprie forze e sul proprio coraggio se vuole raggiungere la cima. Così il matrimonio: richiede comunione, ma allo scopo principale di provvedere a tali viaggi individuali e personali verso le vette solitarie della propria crescita.
La scalata solitaria non è però individualista. Non distrugge la comunione ma la ricupera ad un livello più alto. Quando lo scalatore raggiunge una cima più alta non dimentica il Campo-base lasciato a valle, ma lo chiama a raggiungere la cima per equipaggiarsi - con lui - verso una cima ulteriore. Il ha favorito la scalata, ma la scalata arricchisce il campo-base. I viaggi individuali devono arrecare un beneficio a tutto il campo-base. I sacrifici fatti in favore della crescita altrui portano ad una uguale o maggiore crescita di sé. La vetta che lo scalatore raggiunge da solo deve servire per elevare il matrimonio a nuove altezze»[6].
Tralasciamo qui di parlare dell’amore fecondo. A riguardo è troppo nota la situazione storica in cui viviamo. Le famiglie si dividono per esaurimento di affetti e la vita si esaurisce per mancanza di nascite.
I valori qualificanti l’esistenza matrimoniale - come li abbiamo ricordati (amore oblativo, fedele, creativo-misericordioso, fecondo) - devono stimolare le coppie e le famiglie cristiane ad assumere uno stile di vita evangelico, caratterizzato dalla coscienza del dono ricevuto e dalla convinzione che la novità cristiana fonda e promuove i valori del matrimonio e della famiglia. Stile di vita evangelico che si traduce nel «coraggio di non essere ricchi»[7].
È altresì importante individuare come la famiglia, sul piano operativo, possa tradurre in «storia» i valori a cui s’informa.
Innanzitutto è opportuno che le famiglie, così ispirate, affrontino e aiutino gli altri ad affrontare i problemi di ogni giorno. L’amore e il servizio agli altri si concretizzano nelle azioni quotidiane. È così che può sbocciare una «coscienza di solidarietà».
Il cardinale Giovanni Colombo in una pagina del programma pastorale della diocesi di Milano per l’anno 1977-78 individuava alcune forme attuali in cui si estrinsecherebbero le opere di misericordia spirituali e corporali da parte di un gruppo di famiglie:
― Prestarsi a custodire bambini degli altri in giorno di malattia o assenza della madre (alloggiare i bambini).
― Donare qualche ora diurna o notturna per assistere malati in casa o in ospedale (visitare gli infermi).
― Partecipare ad una veglia di preghiera in casa di un morto e impegnarsi per utili servizi in simili, dolorose circostanze (seppellire i morti).
― Avvicinare, ascoltare, confortare, consigliare persone addolorate: genitori di figli drogati, coniugi in difficoltà o in attesa di divorzio, vedove sull’orlo della disperazione, vecchi oppressi dalla solitudine o incapaci di districarsi nelle pratiche pensionistiche e mutualistiche (consolare gli afflitti, ammonire i peccatori, consigliare i dubbiosi).
― Concedere piccoli prestiti senza interesse (cf Lc 6,34-36) quando, in momenti di singolare ristrettezza, a qualcuno scade la bolletta della luce, del telefono o va in protesto una cambiale. (dare da mangiare ai nuovi poveri).
― Organizzare in collaborazione con la parrocchia, scuole per semianalfabeti o doposcuola per ragazzi privi di assistenza familiare (istruire gli ignoranti).
Tutto questo impone di dare un po’ del proprio tempo e, quando è il caso, un po' dei propri mezzi. Così smettiamo l’egoismo in un mondo dove ciascuno pensa solo a sé e cerca solo il proprio tornaconto. Sono gesti che fortificano la propria fede e la fanno nascere in altri. Semina amore e germinerà la fede[8].
È necessario inoltre, che la famiglia, in quanto soggetto attivo, operi sul territorio a difesa dei propri diritti.
In questo caso essa dà il proprio contributo al superamento dell’individualismo etico che caratterizza fortemente la società laicista in cui viviamo.
Questo compito responsabile della famiglia può essere così espresso: «Il compito sociale delle famiglie è chiamato ad esprimersi anche in forma di intervento politico: le famiglie, cioè, devono per prime adoperarsi affinché le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non offendano, ma sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri della famiglia. In tal senso le famiglie devono crescere nella coscienza di essere “protagoniste” della cosiddetta “politica familiare” e assumersi la responsabilità di trasformare la società: diversamente le famiglie saranno le prime vittime di quei mali, che si sono limitate ad osservare con indifferenza»[9].
nota bibliografica
aa.vv. Il coraggio di non essere ricchi, Atti del 9° seminario «La comunicazione della coppia» Assisi Cittadella cristiana, 30 aprile- 3 maggio 1987.
aa.vv., Nascere, amare morire. Etica della vita e famiglia oggi. Paoline, 1989.
crippa r., La dimensione etica della famiglia oggi, in Rivista di Teologia Morale 14 (1982) n.56, 571-577.
dini martino a.,manenti a., Vivere in due e più...Aspetti sociologici e psicologici, Paoline 1981
dominian j., Matrimonio: fede e amore, Assisi, Cittadella editrice, 1984.
gibran k., Il Profeta, Bergamo, Edizione Club, 1983/2.
humanae vitae, Lettera enciclica di SS. Paolo VI, Collana Magistero n.30, Paoline 1989/20.
marra b., Etica della vita coniugale, Napoli, Dehoniane, 1988.
martini c.m., Itinerari educativi, Milano, Centro Ambrosiano di Documentazione e Studi religiosi, 1988
mollo g., A scuola di valori. Metodologia per la formazione del carattere morale, Assisi, Porziuncola, 1986.
Matrimonio e famiglia: dottrina e vita. Problemi, orientamenti, esperienze, a cura del Pontificio Consiglio poer la famiglia, Leumann, Elle Di Ci, 1987
L’esortazione sulla famiglia «Familiaris consortio», a cura di D.Tettamanzi, Milano, Massimo 1982.
tettamanzi d., La famiglia via della Chiesa, Milano, Massimo, 1987.
von balthasar h.u., Solo l’amore è credibile, Roma, Borla, 1977.
[1] GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n. 18.
[2] Ibid., n. 43 b.
[3] PAOLO VI, Hamanae vitae, n. 9.
[4] S. FRANCESCO D’ASSISI, Preghiera semplice.
[5] K. GIBRAN, Il Profeta, ed. Club 1983-2 , p.33.
[6] A. MANENTI, Vivere in due e più... Aspetti sociologici e psicologici, ediz. Paoline 1981, p. 122.
[7] Cf AA. VV., Il coraggio di non essere ricchi. Assisi - Cittadella 1987.
[8] Cf. D. TETTAMANZI, La famiglia via della Chiesa, Milano 1987, pp. 108s.
[9] GIOVANNI PAOLO II, Familiaris consortio, n. 44 b.