di Padre Elio Bastiani fam
Mi hanno chiesto una testimonianza personale di quei primi anni di fondazione dei F.A.M., quando sono arrivato a Collevalenza alla fine del luglio 1953. Ero sacerdote da un mese. Non conoscevo e non sapevo assolutamente niente della Madre Speranza. Sono stato accolto con senso materno dalla stessa Madre e con senso fraterno dalle comunità dei padri e delle suore. Un clima di “spiritualità particolare” mi impressionò fin dal principio. Un Dio più vicino, più presente, più Padre, più amore e Misericordia.
Il mio “Buon Dio”, durante gli studi teologici, si era arricchito di tanti bei concetti sviscerati e approfonditi nelle molteplici tesi studiate, ma forse si era un po’ troppo differenziato e distanziato da quello che avevo imparato da mia mamma e dai miei fratelli: gente di fede semplice e concreta. Ora, a contatto con la Madre Speranza, nella semplicità della vita di ogni giorno, mi sembrava di recuperare qualcosa e di capire di più e meglio. Si aveva la percezione di un Dio a portata di mano. Un “Buon Dio” presente e attivo nella quotidianità della vita, che manifesta i suoi progetti di amore e misericordia per ciascuno, che ti conosce per “nome e cognome”, che ti chiama a realizzare questi suoi progetti aspettando con infinita pazienza di Amore Misericordioso la tua libera e convinta risposta. Un “Buon Gesù” che ti vuole coinvolgere nella realizzazione della Sua Volontà che fa’ parte di una storia di salvezza che interessa tutta la Chiesa e tutti gli uomini, come se avesse bisogno di te e non potesse essere felice e far felici senza di te. Un “Buon Gesù” che operava nella Madre come una figlia a suo completo servizio con iniziative e progetti assolutamente fuori dell’ordinario: cose grandiose fuori della portata e delle possibilità comuni di una persona, sia pure dotata, di capacità straordinarie. Il tutto vissuto dalla Madre con una disponibilità generosa, ma sofferta, come di chi conosce i suoi limiti, di chi fa’ fatica a comprendere le logiche e i progetti divini, pur volendo essere fedele a tutti i costi.
Questo interiore disagio si manifestava anche all’esterno ed era evidente a chi l’avvicinava. Sofferenze tanto continue quanto misteriose accompagnavano la sua vita. Incomprensioni, critiche, dubbi costellavano i suoi rapporti con gli altri, insieme a persone che la consigliavano e l’aiutavano collaborando con il lavoro che era stata chiamata a realizzare. Ciò al principio mi incuriosiva e in seguito mi veniva piacendo sempre di più fino a cominciare a pensare ad una mia partecipazione a questa avventura (come alcuni mi dicevano) insieme ad altri che vedevo molto più convinti di me. Non pensavo di portare un contributo sostanziale all’opera della Madre anche perché lei mi disse che il primo ad avere bisogno di questo Amore Misericordioso ero proprio io. Convinto ormai di questo, dopo un’esperienza di alcuni mesi in una parrocchia della mia diocesi come coadiutore, il mio Vescovo mi concesse il permesso di aderire alla fondazione dei F.A.M. emettendo i miei voti il 15.08.1954.
La conoscenza e la quasi continua frequentazione della Madre, in quei primi tempi della fondazione dei F.A.M., mi hanno lasciato – e conservo gelosamente – alcune sue intuizioni o idee guida molto importanti e certamente anche ispirate quando, “distratta” come diceva lei, passava del tempo più o meno lungo “molto unita al suo Buon Gesù”.
Dio Amore Misericordioso
Il Signore non è ancora conosciuto dai più, così come Egli é. Alcuni uomini hanno ancora di Dio delle idee frutto di ignoranza e di una mentalità umana, per esempio, come di Uno che si offende delle ingratitudini ricevute, di Uno che non dimentica, non perdona… un po’ come fanno tutti gli uomini.
Un Dio lontano, sia pure nei cieli, Dio poco conosciuto, appunto. In mezzo a tanti problemi e situazioni anche dolorose della vita non è facile sentire Dio come “un Padre e, come Egli è una tenera Madre”: così afferma Madre Speranza nel suo Diario. “Un Dio Padre che cerca in tutti i modi la maniera di confortare i suoi figli, di aiutarli e farli felici e che li segue e cerca con amore instancabile, come se Lui non potesse essere felice senza di loro… quanto mi ha impressionato questo!”.
Certo che diciamo il Padre Nostro tutti i giorni, ma un Dio presentato e conosciuto così, non impressiona solo la Madre, ma molto di più tutti noi: di questo ci parlava nella maniera più semplice e nelle occasioni più impensate
Ecco allora la Missione che diceva di avere ricevuto già da molto tempo, come sapremo più tardi, e che cercava di assolvere nel migliore dei modi con la parola e la testimonianza. Una Missione non solo per lei, ma per una famiglia religiosa anche di Padri che si aggiungeva, completandola secondo lontani progetti del “Buon Gesù”, a quella delle Suore già in cammino e ben avviata: unica famiglia dell’Amore Misericordioso, così chiamata appunto per far conoscere meglio questo aspetto di Dio tanto antico, diceva, quanto il Vangelo.
Così parlava con noi, in quei primi anni, quando ad ascoltarla erano tre o quattro e quando poco si sapeva di ciò che ora nel Diario è più chiaro e dettagliato, ripreso e ordinato poi dalle nostre Costituzioni. In fondo, nulla di nuovo nella sostanza, ma questa Madre sentiva, viveva e manifestava un’esperienza personale di tutto ciò che comunicava con fede, con semplicità, quasi timorosa di essere sufficientemente convincente e fedele. Non ci faceva conferenze, ma ci raccontava quello che Lui le diceva e come lei l’aveva capito.
Molte volte la sorprendevamo in colloqui del tutto… misteriosi! Non si può dimenticare una esperienza simile e rimane il desiderio di conoscere meglio e vivere nella intimità personale questo rapporto con Lui.
I Sacerdoti
Evidentemente questa conoscenza di Dio Amore Misericordioso difetta in qualche modo anche nel suo amato Clero, ed è suscettibile di perfezionamento nello studio e nell’esperienza personale: un Padre che ti invita ad una comunione non solo di mente, ma anche di cuore. Diceva a noi che, forse, sapevamo anche molto di Dio a livello intellettuale, ma che potevamo e dovevamo fare molto di più in un cammino di rapporto con chi, dopo averci dato tutto se stesso fino alla fine, ci chiama a collaborare – come un altro Cristo – alla salvezza di tutti i nostri fratelli. Di fatto, non mancano debolezze, cadute ed offese che il Signore riceve dal suo amato Clero.
Per alcuni di noi, giovani sacerdoti, poteva essere un tema un po’ nuovo e una scoperta poco incoraggiante, ma il modo appassionato con il quale ci veniva presentato ci sosteneva e coinvolgeva in modo positivo. Non era la prima volta che si sentiva questa richiesta di riparazione a Dio per le debolezze dei suoi consacrati! Anche qui, una Missione da compiere a favore di questi nostri fratelli, per una necessaria riparazione richiesta, non da loro, ma da questo Padre pieno di bontà e di misericordia che vuole dimenticare e perdonare questi suoi figli prediletti. Che impressione a tutti noi questa sollecitudine e questo Amore un po’ nuovo da scoprire sempre più!
Evidentemente questo “Buon Gesù”, come capo di un corpo mistico, vuole associare tutte le sue membra vive per poter esercitare il suo Amore Misericordioso con tutti, ma specie con quelli che Lui ha chiamato ad essere “suoi compagni, amici e confidenti e a cui lo lega una dolce amicizia”.
La Madre ci manifestava allora, con altre parole, la sostanza di quello che è scritto nel Diario: cioè che lei aveva ricevuto dal Signore la richiesta di “non avere altra ambizione che quella di amarlo, soffrire in riparazione delle offese che Lui riceve dal suo amato Clero e far sì che tutti quelli che trattavano con lei sentissero il desiderio di soffrire e offrirsi vittime di espiazione per i peccati che commettono i sacerdoti del mondo intero”.
Ricordo ancora adesso l’impatto che “questa richiesta” ci faceva le prime volte, non essendo preparati a sufficienza per “offerte del genere” così impegnative e fuori del mondo ordinario di vivere il nostro rapporto, sia pure amoroso, con Dio.
L’offerta di tutto se stessi per i sacerdoti e l’azione primaria come scopo principale della famiglia religiosa era l’argomento ordinario delle nostre familiari conversazioni con la Madre: da qui «l’unione del clero diocesano con i religiosi». Un po’ una novità ed una missione difficile: essere per loro dei veri fratelli, diceva, aiutandoli in tutto, più con fatti che con parole. Forse per incoraggiarci diceva così, sapendo che molti di noi non avevano preparazione e capacità per altre cose.
Subito lei cominciò con ritiri e gli esercizi spirituali per sacerdoti a Collevalenza. Ricordo ancora la meraviglia dei paesani nel vedere tanti preti e la meraviglia e la gioia di tanti preti nel ritrovarsi insieme. Il tutto voleva si facesse senza alcun compenso economico…” il sacerdote ha bisogno di case aperte ed accoglienti per ristabilirsi, riposarsi e ritemprare lo spirito in un clima di famiglia e di pace”.
Subito aprì una casa del clero a Perugia mandando le sue figlie e i suoi figli, allora pochi e giovani, quindi non esperti. Diceva: “Il cammino è aperto, il Signore lo vuole, i tempi con le loro esigenze e possibilità ne guideranno lo sviluppo”. Noi si seguiva e si collaborava, secondo le nostre possibilità personali, trascinati dall’esempio e dalla fede della Madre, anche se coscienti dei nostri limiti. C’era sicuramente anche un desiderio di non contristare la Madre stessa, tanto voleva compiere la volontà di Dio, e noi insieme a lei. Qui si inserisce la partecipazione diretta dei sacerdoti diocesani alla famiglia religiosa, come mezzo esemplare di comunione e fraternità a tutto campo: «i sacerdoti diocesani con voti». Novità anche questa e, per di più, di non facile collocazione giuridica, ma che la Madre portò avanti in mezzo a difficoltà di ogni tipo, come oggi è più chiaro dalla lettura del Diario: “…è arrivato il momento di scrivere ciò che riguarda il Clero in comunità… e siccome la cosa è grande e di tanto bene spirituale per il suo Clero, io non debbo farmi nessuna illusione… senza preoccuparmi del risultato, dispormi a soffrire, affamata di essere tutta di Lui…”. Questi dettagli arricchiscono, con grande meraviglia anche per tutti noi, quel poco che sapevamo allora – nelle varie vicende che accadevano – di un progetto di Dio che ora scopriamo era Sua espressa volontà. Progetto di Dio tanto ostacolato da misteriosi interventi diabolici oltre che dalla resistenza ragionevole di ottimi sacerdoti invitati da lei ad unirsi alla fondazione F.A.M.: appartenenza tanto discutibile perché contemplava la permanenza come sacerdoti diocesani ad una famiglia religiosa, per di più di recente e non sperimentata fondazione. Il tutto, come ora è chiaro nel Diario, con esperienze mistiche di grande rilievo e significativi insegnamenti di come Dio opera nelle persone chiamate a realizzare le sue opere, senza facilitarle con risultati spettacolari, ma coinvolgendole nella difficile realtà delle cose, e nel rispetto della libera volontà di ciascuno. Il suo paziente e continuo invito a realizzare le grandi cose da Lui proposte, costi quel che costi, ci fa conoscere meglio chi è Lui e come opera perché “…Lui è accanto a loro nella lotta… invitandoli a soffrire insieme a Lui… senza separarsi da loro, e aiutandoli con la sua cooperazione per vincere…” e mentre vivono ed operano queste cose il loro cuore si accende ancora di più nel suo amore.
Mi sembra di poter affermare che le cose scritte nel Diario della Madre, riguardanti il non facile carisma della Congregazione dei F.A.M., siano come una conferma di un progetto divino che si realizza comunque nel passare degli anni e che il cammino, fatto con tanta fatica, è aperto a nuovi promettenti sviluppi in proporzione alla nostra personale partecipazione al mistero dell’Amore Misericordioso che ci rende strumenti più efficaci di risultati positivi.
Una Famiglia… Unica Famiglia
Sono parole che rappresentano una novità e un programma non facile da capire e realizzare, né allora né adesso. Il clima di famiglia che si respirava in quella “particolare” comunità eterogenea, di suore e sacerdoti in Collevalenza, penso che fosse la testimonianza di un forte desiderio di vivere, in pratica, quella esperienza più profonda, personale e comunitaria, di “un buon Padre e una tenera Madre”.
Arrivato da poco, sconosciuto a tutti, trovai un’accoglienza materna e fraterna che mi meravigliò non poco. I dubbi e i perché erano tanti, ma quel clima familiare mi piaceva. Certamente da lì cominciò la predisposizione iniziale a decisioni posteriori, fino a desiderare di aderire e condividere quella esperienza di vita religiosa, mai da me pensata in antecedenza. Mi resi conto che la Madre era la fonte dalla quale promanava quel clima. Capii che ciò doveva essere costitutivo della famiglia religiosa in formazione, tanto era l’impegno personale che lei metteva nel formarlo ed esigerlo dagli altri. E che non fosse l’entusiasmo dei primi tempi, ma la costante di un impegno e uno sforzo continuo che non deve finire mai, ne ebbi conferma vedendo la Madre non in cattedra a comandare, ma sempre, finché poté, in prima fila nel realizzare tale clima di famiglia. Lei dava l’esempio di una madre che, come donna forte, sapeva esigere, soffrire, aspettare, spronare, comprendere e perdonare. Se potessero parlare quei fornelli, quelle pentole e quel grembiule da cucina che indossava spesso e toglieva quando doveva ricevere persone di riguardo! Non voleva essere “cane muto”, richiamando con forza agli impegni della vita religiosa, ma poi quante attenzioni per le figlie, i figli e gli ospiti, specie per quelli che avevano più bisogno! Che dire poi dell’impegno per educare le suore e noi sacerdoti allo spirito dell’unica famiglia che doveva costituirsi: cosa molto nuova per quei tempi. Le suore figlie di questa Madre, ci guardavano con gioia al pensiero di avere dei fratelli e ci trattavano con tenerezza e premura di sorelle maggiori.
Al principio, per superare qualche scrupolo da parte di qualcuno – frutto di un’educazione di eccessiva riservatezza – voleva che facessimo anche qualche ricreazione con loro. Lei stessa, per un certo periodo, si univa ai Padri nella ricreazione comunitaria. Amava venire nel nostro refettorio al momento dei pasti, spesso da lei preparati.
Che non tutto fosse facile, e che occorresse tempo per una reciproca educazione, era sicuramente nella conoscenza, illuminata anche dall’alto, della Madre. Prova ne era la sua accettazione silenziosa e sofferta, accompagnata a volte da preoccupazione e tristezza, per le incomprensioni e le reiterate critiche, anche interne, al progetto dell’unica famiglia.
Da poco ho letto dal Diario la seguente affermazione: “nel lavoro che sono stata chiamata a sviluppare mi debbo trovare con la forte impressione (a volte reale) di grandi fallimenti”. Sono stato, con altri, testimone di alcuni di questi apparenti fallimenti in un momento di incomprensione, anche sul problema dell’unica famiglia. Alle notizie che arrivano, la Madre, secondo autorevoli testimoni, si portava nel piccolo Santuario a Collevalenza sfogando la sua angoscia davanti a quel Crocifisso con espressioni come… ”Signore, la tua barchetta affonda”. Ma il Signore non lo ha permesso, rafforzando in tutti il proposito e la determinazione di formare l’unica famiglia dell’Amore Misericordioso secondo il progetto divino.
Come in ogni famiglia, ogni giorno tutti dobbiamo raddoppiare gli sforzi, perché ciò sia una felice realtà suscettibile anch’essa di maggiori testimonianze più credibili di tanti discorsi sull’Amore Misericordioso.
Vita religiosa
Il sacerdozio mi era sembrato, prima della conoscenza della Madre, una vocazione al massimo, come dono di Dio e risposta alla sua chiamata.
In Seminario il trattato sulla vita religiosa, non veniva nemmeno studiato, pensandolo come riservato ai religiosi.
La Madre invece, parlava a noi già sacerdoti della vita religiosa, come un cammino privilegiato di perfezione per raggiungere meglio la santità.
E’ un po’ nell’aria, come idea comune, che la santità, sì è per tutti, ma che alla fine la raggiungono solo pochi fortunati.
La Madre invece, ne faceva quasi un obbligo, non solo per se stessa, ma per tutte le figlie e i figli.
I suoi scritti, sono pieni di questa presentazione della vita religiosa, come una speciale chiamata alla santità ed il mezzo eccellente per realizzarla.
L’espressione: “i primi dovete essere santi” ricorreva spesso nelle sue conversazioni familiari, specie in quei primi tempi della fondazione dei F.A.M.
Parlava a noi della vita religiosa, come di una cosa grande, un dono gratuito per un progetto di Amore e Misericordia di Dio, verso ciascuno di noi.
Un dono che invita a una risposta generosa, proporzionata alla bontà del donatore e alla finalità da raggiungere.
La pratica dei voti emessi nella professione religiosa, era un impegno formativo nei nostri riguardi, da parte della Madre, specie per noi che non avevamo fatto nessun Noviziato.
Qualche volta ci richiamava maternamente con una frase molto significativa: “…sarete pure dei buoni sacerdoti, ma come religiosi lasciate molto a desiderare”.
Per farci entrare, con più convinzione, a vivere la vita religiosa, ci incaricava, a turno, di trattare temi di vita religiosa alle nostre consorelle nei ritiri e negli Esercizi Spirituali.
Quei brevi colloqui estatici della Madre, che a volte ci capitava di ascoltare, ci svelavano le grandi possibilità inscritte in quei voti, se vissuti con amore, fedeltà, dedizione e anche sacrificio, come faceva lei.
I pochi scritti della Madre che allora erano a nostra disposizione, avrebbero dovuto arricchire la nostra conoscenza della vita religiosa, ma la Madre stessa ne rimarcava la poca conoscenza, sia da parte delle Suore e anche dei Padri.
Diceva che, in seguito, tutti i suoi scritti, sarebbero conosciuti, studiati e utilizzati da tutti, nel migliore dei modi.
Intanto ci guidava oltre che con l’esempio, con le parole e i richiami che ci ricordavano questo o quel punto della vita religiosa.
La fedeltà e la puntualità agli atti di comunità, per esempio, era uno dei punti per lei molto importanti.
Con le suore, il suo cuore materno la portava ad atteggiamenti forse oggi un po’ discutibili: lei si metteva con le braccia in croce in Chiesa, quando una figlia ritardava, e solo dopo il suo arrivo terminava… la penitenza.
Da noi sacerdoti esigeva fedeltà e puntualità in altri modi, ma sempre convincenti.
Una delle giustificazioni più ricorrenti per vivere la vita religiosa al minimo, è quella dell’apostolato.
Ho fatto per qualche anno il parroco a Collevalenza, e mi permetteva di assentarmi, solo con l’impegno di ricuperare in altri tempi le pratiche fondamentali.
L’importanza della ricreazione dopo i pasti, era per lei, tanto importante quasi come la preghiera: un’ora dopo il pranzo e un’ora dopo la cena, momento di relax, di fraternizzare, di scambiare idee e fare comunione in pratica, in un clima fraterno di vita familiare;
La Madre come donna illuminata che aveva esperienza di diaboliche illusioni e sulle (debolezze) dei principianti, e forse anche di tutti gli altri, in un libretto che allora chiamavamo “libro delle Usanze” scrive cose, che non ho letto altrove con tanta concretezza e lucidità. Frasi vere e forti, alcune paurose e in un certo senso terribili… ”l’esito dell’apostolato dipende dallo spirito di orazione… sforzi vani quelli affidati alla sola scienza, al carattere e alle doti di governo… Dio mio la mia abnegazione mi ha rovinato… così mi sono gettato nel precipizio e il mio apostolato non è stato secondo il cuore di Dio… si sono moltiplicate le mie cadute…”.
Ora con il pensiero spesso rivolto al passato…per particolare situazione personale, non finisco di ringraziare e lodare il Signore, che per mezzo della Madre Speranza, ha guidato la mia vita, verso un cammino di impegno sacerdotale, completato ed arricchito da un ulteriore chiamata alla vita religiosa, nella Congregazione dei F.A.M., un’unica famiglia con le consorelle E.A.M., per una missione carismatica, con e per i sacerdoti nella esperienza mai del tutto conclusa, di una Paternità e Maternità di un Dio Amore Misericordioso.