di P. Juan José Argandoña fam

 

       Antonio Alfayate rispondeva esattamente all’idea che la Madre aveva del fratello artigiano, un ingranaggio importante nel­la struttura della Congregazione, un tassello come un altro, ma ugualmente valido nel bel mosaico della famiglia religiosa che il Signore le aveva consigliato di fondare. Lui stesso era pienamente consapevole, felice e soddisfatto, alieno alle preoccupazioni linguistico-psicologiche sopravvenute più tardi soprattutto al momento di stabilire la stessa nomenclatura e di lasciare la stesura definitiva degli articoli delle Costituzioni, che si riferiscono alla figura giuridica di questi simpatici fratelli.

       Lo stesso titolo di “Fratello” egli lo considerò sempre come un titolo onorifico del quale peraltro cercò di essere degno. Con quel sonoro cognome di sicuro sapore arabo, Antonio era nato nell’antico regno di León, Spagna contadina, nord-ovest, non lontano dal Portogallo.

       Il suo paesino, Santa Colomba de la Vega, si trovava e si trova tuttora quasi immutato, praticamente nella periferia di La Bañeza, cittadina o paesotto, non certamente tra i più grandi della Spagna, ma specie in seno alla nostra Congregazione, arcinoto, perché punto di riferimento di La Nora e di tanti altri paesetti dove sono nati tanti Padri e sorelle dell’Amore Misericordioso.

       Antonio, che oggi avrebbe l’età di Padre Corsetti e di P. Lucas, giusto per farci un’idea, nacque spagnolo il giorno 28 di Febbraio del ’35 e divenne cristiano il mese dopo, il giorno di San Patrizio, ma non lo chiamarono né Fernando o Fiorenzo come i genitori, né Gabino o Fausto come i padrini e nemmeno gli imposero il nome del santo del giorno, ma Antonio come il santo più popolare, con San Isidro, nel mondo campagnolo.

       Sesto si sette fratelli, nacque in una casa spaziosa adornata da una grossa vite all’estremo lembo del paese, non lungi dalla bella chiesa con l’artistico soffitto arabo dedicata alla martire andalusa Santa Colomba.

       Fin dalla prima infanzia Antonio si troverà immerso nel mondo rurale e ne verrà profondamente segnato. I ricordi che della sua infanzia conservano parenti e paesani sono in prevalenza di genuino sapore campagnolo. Si distingueva per la sua passione per gli animali. Aveva un’arte speciale per trattarli, per renderseli amici. I suoi cavalli erano sempre i più docili del paese, mirabilmente affiatati con lui. Spesso anche i vicini ricorrevano alla sua arte di domatore perché addomesticasse cavalli e torelli del paese. Era estremamente agile, coraggioso e tenace e anziché la forza del bastone usava la forza della persuasione.

       Costituiva tutto uno spettacolo vedere come dominava i suoi cavalli e con quale docilità gli obbedivano. In Italia sbalordì una volta i suoi confratelli durante una gita ai Monti Martani saltando con disinvoltura in groppa ai cavalli selvaggi e cavalcando in piedi come gli acrobati del circo.

       Trascorre l’infanzia al suo paesino, come un ragazzo qualsiasi, scolaretto, lavoratore dei campi.

       Dopoguerra in Spagna, tempi duri, scuole povere, stufetta a legna in inverno, la lavagnetta personale cento volte riempita e cento volte cancellata a suon di vigorose passate di lingua. Forse più che cultura vera e propria Antonio ricevette a scuola lezioni di vita, di moralità, di bontà. Sicuramente imparò il catechismo a memoria, le parabole di Gesù, i fatti più salienti dell’Antico Testamento.

       Recitò ogni sabato il santo Rosario a scuola, imparò a cantare, specialmente l’inno nazionale che si ripeteva due volte al giorno il mattino quando s’intronizzava la bandiera e al pomeriggio al momento di riporla. Sicuramente gli sarà rimasto indelebile il ricordo e l’impressione di quelle Via Crucis recitate nella vicina parrocchia, con voce cadenzata e grave, in suggestive rime, dalla maestra alla presenza dell’intera scolaresca; i ragazzi da una parte e le bambine dall’altra della navata in penombra.

       I genitori, pur oberati dai lavori dei campi, si avvidero ben presto che la scuola non offriva le necessarie garanzie d’istru­zione e affidarono il figlio alle lezioni private del colto vicino di casa Don José de la Torre, ma Antonio non era fatto per le aule scolastiche, bensì per il vario­pinto mondo della campagna.

 

Infanzia e gioventù

       Siccome la vocazione religiosa tardava a farsi sentire, Antonio tira avanti con la vita normale di un giovane del suo tempo, compreso il servizio militare. Gli tocca la caserma d’Astorga a una ventina di chilometri e approfitta per farsi amico del cappellano militare che lo nominerà suo chierichetto. Sa usare le armi, ma non gli piace, così andrà a caccia soltanto per accompagnare il fratello. Preferisce la pesca soprattutto se gli serve per convertire qualche vecchio pescatore poco credente o per portare in dono pesce fresco del Tuerto a qualche vicino anziano che ormai non se lo può più procurare da solo.

       Dopo il servizio militare ha le idee ben chiare e non intende più stare ad aspettare il permesso dei genitori. Si reca addirittura in caserma per avvertire i carabinieri che un giorno o l’altro se ne andrà in convento e che pertanto i familiari non si prendano cura di rintracciarlo.

       E dove andrà? A Collevalenza. Ci sarebbe qui da parlare e molto si potrebbe dire di Don Pedro Montiel. Molti dei presenti lo ricorderanno ancora.

Non fu mai figlio dell’Amore Misericordioso con le carte in regola, ma sicuramente in paradiso gli avranno concesso il suo posticino nel nostro settore. Delle parrocchie di cui ebbe cura sempre mandò qualche vocazione all’A­more Misericordioso. Era in rapporti epistolari con la Madre attraverso M. Speranza Pérez del Molino alla quale le mandava interi elenchi di ragazzi e giovanette che, a suo parere, potevano essere utili per la Congregazione.

       Di Antonio scrive in una delle sue lettere a Collevalenza: “Antonio Alfayate Martínez, también fue mi monaguillo, los primeros años, joven de buen ca­rácter, alegre y piadoso, de 26 años, aficionado con gusto a trabajillos de la casa como afeitar, arreglar herramientas etc.”.

       Indirizzato dal parroco D. Pedro Montiel, Antonio sbarcò a Collevalenza nel 1961. I tempi eroici erano già passati. La Congregazione aveva già compiuto dieci anni. Trovò l’istituto già bello e finito e gremito di apostolini. Il Santuario, pur senza l’attuale Basilica a fianco, era già meta dei primi pellegrinaggi e si celebravano sempre più Sante Messe.

       Aveva fin da principio le idee chiare: voleva essere fratello artigiano; non avrebbe neppure tentato di abbordare gli studi classici, insieme agli altri ragazzi venuti con lui dalla Spagna. C’era tanto da fare allora a Collevalenza, tanti lavori da svolgere, anche di tipo agricolo, con tutti quegli orti da coltivare in persona dai membri della giovane Congregazione senza che nessuno, o quasi, si tirasse indietro di fronte ai lavori manuali. Antonio si dimostrò ancora una volta ben disposto, lavoratore indefesso.

       A Campobasso fece il noviziato con P. Serafino e la prima professione il 15 agosto 1962, dopo di che ritornò a Collevalenza per prendersi a carico la portineria dell’Istituto, l’orto, la sagrestia del Santuario. (Ancora il sempiterno Piero Dell’Acqua non era apparso per prendersi a perpetuità l’incarico di Sagrestano Maggiore del più grande tempio della Congregazione).

       Forse gli anni dal 63 al 70 trascorsi da Antonio a Collevalenza furono i più ricchi spiritualmente, i più produttivi. Li trascorse a fianco della Madre che lo capiva, lo stimava e sapeva guidarlo con uno sguardo, con una parola, con un gesto di incorag­giamento. Tanti aneddoti di cui si fece protagonista sono ancora freschi nella memoria di molti dei presenti. Sapeva difendere l’intimità dei confratelli e soprattutto quella della Madre e se c’era bisogno sfoderava i risvolti più risoluti della sua natura spagnola. Lo provarono una volta due giornalisti che avevano oltremodo importunato la Madre con la loro insistenza nel volerla intervistare. Antonio li mise letteralmente in fuga dopo essersi dimostrato disposto a usare le mani. Un’altra volta si recò dalla Madre a confessarle tutto confuso di aver fatto secco con un colpo di zappa un coniglio del vicino che si mangiava la verdura del convento. La Madre ci rise sopra divertita e lo mandò con un faceto: “No te preocupes Antonio y usa el mismo método con el demonio”.