MARIA MEDIATRICE DI GRAZIA E MADRE DI MISERICORDIA
Suor Agata Lupu eam
Introduzione.
1. Il simbolismo biblico dell’icona di Maria Mediatrice.
2. Il Crocifisso dell’Amore Misericordioso.
3. Conclusione.
4. Bibliografia.
5. Sigle ed abbreviazioni.
6. Indice.
INTRODUZIONE
L’arte cristiana ha costituito da sempre un mezzo efficace di espressione della fede profonda dell’animo umano. In essa, la creatività dello Spirito ha operato meraviglie che destano stupore in colui che posa lo sguardo sull’immagine. L’icona desta in colui che la comtempla il gusto del bello che non è percepibile con i sensi, anzì lo si raggiunge uscendo da sé in cerca di verità; desta sentimenti nobili ma anche l’aspirazione di comunicare con Dio. L’iconografia ha donato all’umanità splendidi capolavori che sono sintesi di bellezza e compendi di verità di fede; attraverso colori e forme, luci ed ombre si esprime il proprio credo religioso, che viene trasmesso alle generazioni nella forma originale e semplice dell’icona. L’aspirazione profonda dell’anima è quella di vedere l’invisibile, di penetrare nel mistero stesso di Dio. L’apostolo Filippo chiese a Gesù: “Mostraci il Padre!” (Gv 12,21). Con lui anche la nostra generazione esprime il suo anelito di Dio, la sua sete di verità, di bellezza e di unità. Come distinguere tuttavia nell’immensità delle immagini che quotidianamente ci vengono proposte dai media la verità, la bellezza che da Dio proviene e a Lui conduce? La mia riflessione ha come scopo quello di imparare a leggere con gli “occhi” della Scrittura l’icona di Maria Mediatrice, cogliendo la simbologia biblica che in essa abbonda. Coniugazione del primo e del secondo testamento, frutto dell’arte contemporanea essa si trova nel Santuario dedicato all’Amore Misericordioso di Dio, a Collevalenza. In questo anno mariano, e nel mese dedicato a Maria, vorrei soffermarmi in contemplazione dinanzi a colei che: “con la sua materna carità si prende cura dei fratelli del Figlio suo ancora peregrinanti e posti in mezo ai pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata”[1]. Più bella del sole, perché in lei rifulge la pienezza della grazia e della verità, Maria conduce silenziosamente il fedele alla scoperta della sua identità mediante l’itinerario di fede che lei stessa ha percorso.
Capitolo I
IL SIMBOLISMO BIBLICO DELL’ICONA DI MARIA MEDIATRICE
Nell’anno del Rosario, anno in cui siamo chiamati a contemplare il volto di Cristo con gli occhi stessi di Maria, mi accingo a “guardare” a Lei, quale Madre di Misericordia e Mediatrice di Grazia. Perché dal numero immenso di icone che la raffigurano i miei occhi si sono soffermati su quest’icona? In un certo qual modo vi è un legame affettivo, ma anche un voler “penetrare” nel mistero di Maria, cogliendo soprattutto il legame che ha con Gesù Cristo, unico mediatore presso il Padre, portatore della grazia per l’intera umanità bisognosa di redenzione. Afferma il Papa: La Chiesa sa e insegna che “ogni salutare influsso della Beata Vergine verso gli uomini (…) nasce dal beneplacito di Dio e sgorga dalla sovrabbondanza dei meriti di Cristo, si fonda sulla mediazione di lui, da essa assolutamente dipende e attinge tutta la sua efficacia; non impedisce minimamente l’immediato contatto dei credenti con Cristo, anzi lo facilita”. Questo salutare influsso è sostenuto dallo Spirito Santo, che, come adombrò la Vergine Maria dando in lei inizio alla maternità divina, così ne sostiene di continuo la sollecitudine verso i fratelli del suo Figlio[2]. L’icona di Maria Mediatrice è custodita gelosamente all’interno del Santuario dell’Amore Misericordioso che si trova a Collevalenza. E’ un paesino sperduto tra le mistiche colline dell’Umbria, ma è altrettanto grande; è la città di Dio in quanto qui sorge maestosamente il Tempio dedicato all’Amore Misericordioso. Nato nei nostri tempi, il Santuario vuole essere richiamo e profezia di un Dio ricco di misericordia, pieno di grazia e di fedeltà. Voluto da Dio per opera di una semplice suora spagnola, Alhama Josefa Valera, costruito nei tempi fervidi del CV II, questo luogo è oasi di pace per l’anima assetata del suo Dio. Realizzato dall’architetto Julio Lafuente e innaugurato dai Padri conciliari, il Santuario è una struttura architettonica moderna, gioco di luci e di colori, di forme che si armonizzano tra loro dando un aspetto sobrio e maestoso nello stesso tempo. Il Santuario è dedicato a Gesù Amore Misericordioso ed è parco di immagini e statue, ma all’interno della Basilica, alla destra dell’altare troneggia l’icona di Maria Mediatrice. Gesù Cristo, l’unico mediatore presso il Padre, venuto per rivelare all’uomo l’amore eterno di Dio prende dimora nel grembo verginale di Maria. La Chiesa sa e insegna con san Paolo che uno solo è il nostro mediatore: “Non c’è che un solo Dio, uno solo anche è il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Gesù Cristo, che per tutti ha dato se stesso quale riscatto” (1Tm 2,5-6). La funzione materna di Maria verso gli uomini in nessun modo oscura o diminuisce questa unica mediazione di Cristo, ma ne mostra l’efficacia: è mediazione in Cristo[3]. Il Santuario è composto dalla Cappella del Crocifisso, la Basilica e la cripta. L’icona di Maria Mediatrice, opera del pittore Elis Romagnoli è situata nella Basilica, alla destra dell’altare principale. Sostare dinanzi all’icona significa rimanere “presi” tra le braccia aperte di Maria ed essere “illuminati” dalla luce che emana il suo volto. Uno sguardo attento coglie l’abbondanza dei simboli che in essa sono presenti:· la colomba;
· la luce;
· la corona regale;
· l’azzurro del manto ed il rosso della sua veste;
· le braccia spalancate verso orrizonti infiniti;
· il giglio;
· l’ostia bianca racchiusa nella coppa formata dai petali del giglio;
· l’arcobaleno;
· le nubi;
· la luna;
· il serpente;
· il mondo.
Qual’è il significato dell’abbondanza di simboli e di colori? Cosa trasmettono all’occhio di chi la contempla in silenzio? Nel suo atteggiamento orante, Maria congiunge il cielo e la terra, è portatrice di luce nel mondo avvolto dalle tenebre. Sorge maestosa sul mondo e s’innalza verso il cielo, dimora dell’Onnipotente; pienamente radicata nella storia dell’umanità, nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4) accoglie nel suo grembo verginale il Verbo di Dio. “Alla terra è associato in modo particolare l’uomo. Il nome stesso, ‘adam, vi si richiama: ‘adamah, “il terreno”; e, quando gli viene tolto il soffio vitale, ritorna alla terra come tutti gli animali (Gen 2,7)” [4]. Maria genera il nuovo Adamo, Colui che con il suo Soffio ridà la vita eterna. La sete ardente di Dio del popolo eletto, il sospiro di intere generazioni, l’attesa colma di preghiera “Marana Thà!” ha avviato l’incarnazione del Verbo, perché “Dio ha tanto amato gli uomini da mandare nel mondo il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16-17). Nel mondo avvolto dalle nubi, simbolo dell’oscurità, del male e del peccato Dio vuole inviare il suo Figlio, la vera Luce (Gv 1,5). In Maria avviene la nuova creazione; e come inizialmente Dio separò le tenebre creando la luce e ponendo sul firmamento i grandi luminari (Gen 1,1-5), così in Maria splende la Luce vera, quella luce che illumina ogni uomo (Gv 1,9-10). La luce è simbolo della salvezza, che la Bibbia esprime attraverso le immagini della vittoria (Es 14,24; 2Re 19,35; Is 17,14; Sl 46,6), del trionfo del diritto e della giustizia (Sof 3,5; Sl 37,6; Os 6,5; Is 59,9), della guarigione (Sl 56,14; Is 58,8; NT i miracoli di guarigione dei ciechi compiuti da Gesù) e dell’illuminazione che traspare dal volto di Dio. Le tenebre esprimono tutto ciò che non è salvezza: in esse si concentra il peccato dell’uomo (Sir 23,25-26); come la notte, esse sono il tempo del delitto (Gb 24,13 ss; cf. Gv 3,20; Ef 5,11); sono simbolo di angustia, di paura e del giudizio finale di Dio, il quale solo ha il potere di trasformare questa connotazione negativa delle tenebre in luce di salvezza (Is 8,23-9,1; 10,17; 42,16; 58,8-10; Mi 7,8s; 2Cor 4,6)[5]. Nel mondo avvolto dalle tenebre, soggetto al peccato e alla morte Dio invia il suo Figlio nel quale si compie la profezia di Isaia: “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce” (Is 9,1-6); non è più nel potere della morte perché il Dio della vita lo ha salvato dalla lunga schiavitù e lo riporta nella terra dove scorre latte e miele. Come sarebbe il mondo senza la luce? Nulla può sussistere perché la stessa vita è collegata alla luce; l’uomo per vedere e per orientarsi ha bisogno della luce. Fisiologicamente abbiamo bisogno della luce per vivere, ma non possiamo vivere interiormente senza la luce della grazia e la luce della gloria. Questa luce primordiale, indispensabile per ogni genere di vita occupa un posto di rilievo nel racconto sacerdotale della creazione: Gen 1,1-2,4a attribuisce alla luce la prima beatitudine di Dio che crea: “Dio vide che la luce era cosa buona” (1,4). Perciò essa diventa la realtà guida di tutta l’opera creatrice di Dio: il cielo, il mare, la terra, le piante, gli astri, i pesci, gli uccelli, gli animali, l’uomo “vengono alla luce”… Lo stesso destino dell’uomo è definito attraverso il simbolismo della luce e delle tenebre, come immagine della vita e della morte. La sua esistenza, infatti, assume la forma di un conflitto in cui luce e tenebre si affrontano[6]. La potenza di Dio trionfa sulla morte e la donna che schiaccia la testa del serpente è l’immagine della nuova Eva che porta nel mondo il Salvatore (Gen 3,1-24a). La donna partorisce nel dolore colui che sarà il Messia. Satana la tenta, perseguita lei e la sua discendenza. La donna rappresenta il popolo santo dei tempi messianici e quindi la Chiesa in lotta. In Maria, nuova Eva, la figlia di Sion che ha dato vita al Messia avviene la creazione nuova (Ap 12,1-6) perché il cielo e la terra di prima non sono più. Cristo ha trionfato e ha vinto la morte con la sua morte in croce distruggendo in se stesso l’inimicizia posta tra la stirpe della donna e la stirpe dell’accusatore (Gen 3,15). Drakon significa drago, serpente, serpente mostruoso, mostro marino. In molti miti dei popoli antichi, il drago o il serpente (primordiale) è il simbolo della potenza primordiale (o escatologica), del caos. Allorché esso viene vinto da un Dio, viene creato il mondo, cioè dal disordine emerge l’ordine. Nel NT la parola drakon compare unicamente in Apocalisse, dove designa esclusivamente il diavolo (Ap 12,9; 20,2) con chiara allusione a Gen 3. In Ap 12 sono impiegati antichi motivi mitici… Il drago di Ap 12 ha sette teste e dieci corna (Dn 7,6s) ed esercita la sua potenza sul cielo: la sua coda fa cadere dal firmamento un terzo delle stelle; sotto il suo comando stanno i demoni. Esso si avventa contro la donna (in procinto di partorire il Messia) per strangolarlo, ma viene vinto da Michele e dalle sue schiere angeliche e gettato sulla terra insieme ai suoi demoni (Ap 12,7-9). Insegue la donna e tenta di affogarla con un getto d’acqua che esce dalla sua bocca (Ap 12,13-15)[7]. La Chiesa invoca Maria con il nome di “Foederis arca” perché in lei, l’alleanza infranta da Eva con il peccato della disobbedienza viene rinnovata mediante il sangue di Cristo. Dando al mondo il Salvatore, ella ha contribuito alla ristabilizzazione dell’ordine nell’universo e nella storia sconvolti dal peccato. L’arcobaleno ricorda l’alleanza gratuita di Dio con il suo servo Noè (Gen 9,8-17); essa si estende a tutta la creazione-abbraccia l’intero universo ristabilendo l’ordine iniziale creato da Dio. “L’arcobaleno è segno dell’alleanza di Dio e pegno della sua misericordia, (Gen 9,12-16). E’ perciò simbolo della divinità, anche come segno della sua magnificenza celeste, (Ez 1,28; Ap 4,3; 10,1)” [8]. Il mondo perde la sua amicizia con Dio mediante il pecato, ma Dio gli si fa incontro ed escogita sempre nuove iniziative di salvezza. Sommerso nelle acque del diluvio il mondo è sotto il potere del caos iniziale; avvolto dalla luce divina ritrova la bellezza originaria. Gen 9,8-17-Soltanto Dio è soggetto di azioni in questa pericope: egli solo parla, stabilisce la berit (vv. 9.11.17), dona la berit (v.12), ricorda la berit (vv. 15.16), vede l’arcobaleno (v.16). Noè e la terra sono totalmente passivi: non fanno nessun gesto né pronunciano parole. Il centro della pericope è il versetto 13b: «E sia il segno della berit tra me e la terra». Dio interviene a favore del mondo, annunziando che il diluvio non ci sarà più. Ora, il diluvio è l’anticreazione, perché riporta il mondo al caos acquoso primordiale (cf. Gen 1,2). La berit, dunque, è finalizzata a garantire la stabilità e la vita del mondo. La berit designa qui la liberissima iniziativa divina, il libero impegno, promessa di Dio creatore che salva il mondo e l’umanità dal caos del diluvio. La vita del mondo creato e dell’umanità non può realizzarsi positivamente che sotto il segno della libera berit divina[9]. In Maria abbiamo il segno più eloquente della premura divina di salvezza per tutto il genere umano. Essa, preservata fin dall’eternità da ogni contagio di colpa, domina sull’universo quale “rifugio dei peccatori e avvocata” presso il suo Figlio. In lei Dio interviene con il suo impegno –promessa per garantire l’ordine cosmico e salvare il mondo dalla distruzione del peccato e della morte. In virtù dell’alleanza che Dio ha stipulato con l’umanità, il mondo sta sotto il segno visibile (arcobaleno) di una promessa di salvezza: “Sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà mai fine” (Lc 1,32-33). L’arco posto fra le nubi: è un segno profetico, la prima grande promessa di salvezza per l’umanità e il mondo intero, il primo annunzio profetico rivolto a tutti gli uomini. Da Dio non viene che una volontà di salvezza per il mondo; la minaccia di distruzione del mondo non viene, dunque, dal di fuori, ma dall’interno del mondo stesso[10]. Con la sua volontà di Alleanza con il suo popolo e con il mondo intero, Dio manifesta e vuole attuare il suo piano di salvezza. L’alleanza non è un’idea ma è una struttura di rapporti che ha una storia; è grazia libera ed esigente che si dona all’uomo. Maria è l’arca della nuova alleanza, perché accogliendo Colui che ha firmato con il suo sangue il patto di libertà, di giustizia e di pace porta la benedizione al popolo di Dio. Ella porta sul suo petto il giglio, umile fiore del campo, più bello e maestoso dello splendore salomonico; la radice di Davide, il tronco di Iesse, Colui che è l’albero della vita. Eva mangiò il frutto dell’albero proibito e portò nel mondo la morte; Maria, aprendosi docilmente all’azione dello Spirito generò il Salvatore. Il profeta Isaia annuncia così il Messia: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is 11,1). Il vangelo di Matteo che tratteggia in Gesù l’atteso delle genti, colui nel quale si compiono le scritture, illustra il ceppo davidico di Gesù. In lui tutte le genti hanno sperato e la sua dimora in mezzo a noi (Gv 1,1ss) ci dona pace e salvezza: “In quel giorno la radice di Iesse si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa” (Is 11,10). La storia salvifica giunge al suo apice nell’incarnazione del Verbo (Gv 1,14) nel seno verginale di Maria. La profezia fatta al re Acaz: “Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio che chiamerà Emmanuele. Egli mangerà panna e miele finchè imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene” (Is 7,14-15) è annuncio di salvezza e di benedizione per Giuda, che trova pieno compimento in Maria. L’eletta figlia di Sion concepisce per opera dello Spirito “il Dio con noi”, ma prima di concepire nel grembo ella concepisce nella fede. Per fede Maria si apre all’annuncio dell’angelo (Lc 1, 38), si pone in fretta in viaggio per soccorrere la cugina Elisabetta (Lc 1,39); coglie con sguardo attento e premuroso il disagio degli sposi alle nozze di Cana (Gv 2,1-12). Intercede a favore del suo popolo l’ora della salvezza; essa è la scala che congiunge il cielo e la terra facendosi messaggera delle suppliche dei suoi figli: “Una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo” (Gen 28, 12). Le sue braccia spalancate accolgono le gioie e le speranze, le ansie dell’intera umanità e le solleva a Dio. Dio stesso scende in lei, e lei come madre ce lo ridona, ci ottiene il suo favore. Maria è forte della fede del suo popolo; in lei la benedizione fatta a Rebecca trova compimento: “Tu, sorella nostra, diventa migliaia di miriadi e la tua stirpe conquisti la porta dei suoi nemici!” (Gen 24,6s). Nel mistero dell’incarnazione Dio prende dimora nel suo grembo come anticamente dimorò in mezzo al suo popolo: “Ecco, io sto per venire verso di te in una densa nube, perché il popolo senta quando io parlerò con te e crederanno anche a te” (Es 19,9); essa è il Tabernacolo dell’Altissimo, il Santo dei Santi che porta la Nuova Legge. Maria porta sul suo petto il pane della vita, l’ostia: “Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e da la vita al mondo” (Gv 6,33). Come sarebbe venuto nel mondo Gesù se Maria non avesse asserito pienamente al progetto salvifico divino? Con la sua apertura incondizionata, piena e totale Maria apre all’uomo la porta del Paradiso; ella diventa per noi ostensorio vivente che porta sul petto, nella coppa del giglio il Santo dei Santi, colui che il cielo e la terra non possono contenere. Elisabetta esclama mossa dallo Spirito: “Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore” (Lc 1,45) e con lei anche noi ammiriamo la fede intrepida di Maria. Così come il peccato è entrato nel mondo per la disobbedienza della donna, così la salvezza entra nel mondo per l’obbedienza di Maria, la donna per eccellenza elogiata da Cristo perché custodisce nel suo cuore la Parola (Lc 2,51b), la medita e la trasforma in premurose attenzioni per l’umanità. Il vangelo di Luca tratteggia i linementi di Maria: donna aperta che all’annuncio dell’angelo si sgomenta, s’interroga e si rende “ancilla Domini”; gioisce ed esulta perché ora si compiono le attese. In lei il Messia dimora per opera dello Spirito che la adombra e la avvolge. E’ la stessa gloria di Ihwh che fa indietreggiare Mosè dinanzi al roveto ardente (Es 3,1-6); è la nube luminosa che accompagna gli israeliti nel cammino del deserto verso la terra promessa (Es 14,20); è il Dio grande e misericordioso che ha udito i gemiti degli israeliti e ha visto la loro sofferenza in Egitto (Es 2,24-25), che in lei si fa carne perché ha creduto. Si, “il Signore è con te” (Lc 1,28-29) come un prode valoroso; anzi, il Signore Dio è in te Maria così com’era sulla montagna con Mosè (Es 3,14) e noi possiamo esclamare: “Ecco la dimora di Dio in mezzo agli uomini!”. E’ significativo che, Maria, riconoscendo nella parola del messaggero divino la volontà dell’Altissimo e sottomettendosi alla sua potenza, dica: “Eccomi, sono la serva del Signore; avvenga di me quello che hai detto” (Lc 1,38). Il primo momento della sottomissione all’unica mediazione “fra Dio e gli uomini” - quella di Gesù Cristo - è l’accettazione della maternità da parte della Vergine di Nazareth. Maria consente alla scelta di Dio, per diventare per opera dello Spirito Santo la madre del Figlio di Dio. Si può dire che questo suo consenso alla maternità sia soprattutto frutto della totale donazione a Dio nella verginità[11]. Le braccia aperte di Maria indicano l’atteggiamento orante del sacerdote che presenta a Dio le suppliche dell’umanità. Maria intercede per il suo popolo il vino buono della Nuova Alleanza e anticipa l’ora messianica, la manifestazione di Cristo all’umanità (Gv 2,1-10) perché il mondo veda, vedendo creda e si converta. Generando Cristo, nella fede prima e poi nella carne, Maria genera tutta l’umanità a Dio per mezzo di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote (Ebrei 5,5-10). Mediante tale “ardente carità”, intesa ad operare in unione con Cristo la restaurazione della “vita soprannaturale nelle anime”, Maria entrava in modo del tutto personale nell’unica mediazione “fra Dio e gli uomini”, che è la mediazione dell’Uomo Cristo Gesù. Se ella stessa per prima ha sperimentato su di se gli effetti soprannaturali di questa unica mediazione - già all’annunciazione era stata salutata come “piena di grazia”, - allora bisogna dire che per tale pienezza di grazia e di vita soprannaturale era particolarmente predisposta alla cooperazione con Cristo, unico mediatore dell’umana salvezza. E’ tale cooperazione è appunto questa mediazione subordinata alla mediazione di Cristo[12]. Avvolta in un manto azzurro Maria è sovrana dell’umanità; la tunica rossa indica il suo essere preservata fin dall’eternità da ogni contagio di colpa. E’ la vergine madre (Lc 1,27-38), figlia del suo Figlio, immagine dell’umanità redenta; è il gaudio e la letizia di Israele, è la gioia dell’intera umanità perché in lei, Aurora della salvezza, risplende in modo mirabile la gloria dell’Onnipotente: “Svegliati, svegliati, rivestiti della magnificenza, Sion; indossa le vesti più belle, Gerusalemme, città santa; perché mai più entrerà in te il non circonciso né l’impuro” (Is 52,1). Consolazione e gioia inondano l’animo di Maria che canta il suo inno di lode perché “Santo è il suo nome” (Lc 1,49b); rivestita di maestà e di splendore è la figlia del Re, la Regina che siede alla sua destra e intercede presso lui salvezza per il popolo eletto (Ester 5,1-14). In Maria ogni preghiera è esaudita perché potente della potenza del suo Signore; resa regina sopra l’universo perché adornata di umiltà (Lc 1,48), riempita della stessa gloria di Dio. Ella, vestita con vesti di lino splendente ci invita al banchetto nuziale dell’Agnello. Sul suo petto verginale si nasconde la perla preziosa, il sacchetto di mirra profumata (Ct 1,13), la nuova ed eterna alleanza che riempie l’intera umanità con il suo soave odore. Il suo volto splende dello splendore del Tabor; è luminoso della luce del Sinai perché in lei Cristo Gesù si è fatto carne (Lc 2,30-32). “Nel cielo apparve poi un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Maria è la Nuova Eva che da vita al Nuovo Adamo; sotto la croce partorisce tutti noi alla figliolanza divina (Gv 19,26-27). Per tutti noi Maria è mediatrice di grazia che ella rende visibile nell’Uomo-Dio, Cristo Gesù. In lei trova riparo e rifugio ogni uomo: non ha forse partecipato al turbamento degli sposi a Cana mentre alla loro festa di nozze veniva meno il vino? Scorgendo il disagio dei giovani sposi perché “venuto a mancare il vino” si rende disponibile a impetrare l’ora della salvezza per la gioia dei commensali (Gv 2,3-5). E la sua visita affrettata alla cugina Elisabetta (Lc 1,39-56) non dice la sua commozione che diventa autentico servizio reso nel momento del bisogno? L’umile quotidiano a Nazareth, la vita di preghiera, l’accompagnamento silenzioso del Figlio nella vita pubblica e nell’ora tragica del Golgota, il dolore vissuto con dignità sotto la croce e l’attesa del Risorto, esprimono la grandezza di Maria. Per ricevere l’annuncio dell’angelo Maria rimane in piedi e rimarrà salda fino al compimento delle scritture: la troviamo intrepida e coraggiosa ai piedi della croce, con dignità e fortezza materna che superano di gran lunga ogni atteggiamento umano dinanzi al dolore: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19,25). Piena di fede fiduciosa comanda ai servi a Cana: “fate quello che vi dirà”; anche oggi nel cammino della Chiesa ripete con la stessa fermezza il suo invito ad una fede operosa capace di sperare contro ogni speranza. Con Maria l’umanità è invitata ad abitare in cielo comunicando con il pane della vita, Cristo Gesù che lei ha portato nel mondo. Arca della Nuova Alleanza, Maria ci solleva e ci rinnova; è la Mater Ecclesiae che cammina con ogni uomo facendosi serva fedele. La Chiesa la onora come:· Mediatrice di grazia;
· Madre di misericordia.
Dopo la dipartita del Figlio, la sua maternità permane nella Chiesa come mediazione materna: intercedendo per tutti i suoi figli, la Madre coopera all’azione salvifica del Figlio-Redentore nel mondo... La maternità di Maria perdura incessantemente nella Chiesa come mediazione che intercede, e la Chiesa esprime la sua fede in questa verità invocando Maria “con i titoli di Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice”[13].Capitolo II
IL CROCIFISSO DELL’AMORE MISERICORDIOSO
Il Santuario di Collevalenza esercita un fascino particolare sul pellegrino in quanto mostra all’uomo di oggi qual’è l’essenza della nostra fede cristiana: crediamo in Gesù Cristo che patì secondo le scritture, morì e fu sepolto secondo le scritture e il terzo giorno è risuscitato e fu innalzato alla destra del Padre. Il Crocifisso che troneggia sull’abside è opera dello scultore spagnolo Lorenzo Cullot Valera. Gesù ha lo sguardo rivolto verso l’alto, invoca il perdono presso il Padre: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Il santuario è un edificio moderno, semplice e imponente. Chi si addentra al suo interno rimane “preso” dallo sguardo vivo del Cristo, “catturato” dalle sue braccia spalancate che attendono con infinita tenerezza l’uomo peccatore per abbracciarlo e ricondurlo al Padre della misericordia. La luce pervade l’interno mediante le vetrate ed ha una calda tonalità che si riflette sul rosso dell’abside (legno di padouck) che ci parla, appunto dell’infinito amore di Dio, che firma con l’intera umanità la nuova alleanza non più con il sangue di tori e di capri, ma con il proprio sangue sparso in libagione. Il crocifisso ricorda ad ogni uomo il prezzo della salvezza (Atti 4,13) mediante i simboli che ci richiamano la centralità del mistero di Cristo:· l’ostia;
· il cuore con la scritta Charitas;
· il mondo;
· il vangelo aperto al comando d’amore;
· la corona regale.
Innalzato sulla Croce, Gesù Cristo attira tutti a sè. “Bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14b-15). Per ottenere la salvezza bisogna volgere lo sguardo a Colui che è stato trafitto perché, “innalzato” sulla croce più non muore (Nm 21,8; Zc 12,10; Gv 19,37), cioè credere che egli è il Figlio unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità. L’acqua che sgorga dal suo costato aperto dalla lancia del centurione (Gv 19,34) è l’acqua viva (Gv 4,10b) e colui che si abbevera a questo pozzo non avrà mai più sete. L’acqua viva promessa da Cristo alla samaritana purifica e rinnova l’intera umanità bisognosa di salvezza. Nel mistero dell’incarnazione Cristo si china sull’umanità (Fil 2,6-11), si abbassa fino a lavare i piedi (Gv 13,1-20) testimoniando così un Dio che si fa vicino all’uomo, che non umilia, anzì nobilita la sua umanità. Il Figlio dell’uomo infatti è venuto per servire e dare la sua vita in riscatto per molti lasciandoci l’esempio. Nella vita e nella morte Gesù testimonia la lieta notizia (Lc 4,16-22); egli è il Profeta per eccellenza inviatoci dal Padre per aprirci l’ingresso nel Regno dei cieli (Is 49,1-6). Il Deutero-Isaia preannuncia nella figura del Servo il Messia che libererà il popolo eletto dalla cattività babilonese: “Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio” (Is 42,1); egli è il mediatore della salvezza futura (Lc 22,19-20.37; Mc 10,45; Mt 12,17-21; Gv 1,2a). Il servizio che Gesù Cristo rende all’umanità culmina nella donazione totale di se sulla croce, scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani. L’economia salvifica nel mistero della croce supera la legge antica fatta di prescrizioni e di decreti; la nuova legge è scritta nei nostri cuori per mezzo dello Spirito che Cristo emise sulla croce ed è stipulata col suo sangue prezioso (Mt 27,50). La venuta del Figlio dell’Uomo ha segnato una svolta nella mentalità ebraica di intendere il messianismo: non un’esaltazione, non una riorganizzazione del territorio, ma una Persona che si cinge le vesti per servire: “Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita per molti” (Mc 10,45). La massima espressione del servizio che Cristo rende all’uomo peccatore è la donazione della propria vita liberamente e gratuitamente. Gesù, obbedendo al volere del Padre segna la Nuova Alleanza col suo sangue versato una volta per sempre (Ebrei 5,5-10), ristabilendo l’amicizia tra l’uomo peccatore e Dio: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi” (Lc 22,20). Come una volta nel deserto del Sinai il sangue delle vittime sigillò l’alleanza di Ihwh con il suo popolo (Es 24,4-8) così sulla croce il sangue della vittima perfetta, Gesù, sta per sigillare tra Dio e gli uomini la nuova alleanza (Lc 22,20) che i profeti avevano annunciato. Gesù si attribuisce la missione universale assegnata al “Servo di Ihwh”. Per portare a compimento la sua missione di salvezza Gesù risente, in tutta la sua forza, lo spavento che la morte incute all’uomo, prova ed esprime il desiderio naturale di sfuggirvi, pur reprimendolo con l’accettazione della volontà del Padre: “Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!” (Mt 26,39). La piena adezione di Gesù al volere del Padre ci ha meritato la salvezza e il suo rimanere “innalzato” tra cielo e terra ci ricorda continuamente la gratuità dell’amore misericordioso di Dio. La missione di Gesù si estende fino ai confini del mondo – Egli è l’unto del Signore, il Cristo, il Messia atteso dalle genti; è il mandato, l’inviato del Padre per comunicare l’amore di Dio. L’uomo non è più sotto il giogo della schiavitù del peccato, ma è liberato dal “Dio con noi”, l’Emmanuele venuto a spezzare il giogo e sciogliere i legami. Il volto di Cristo è un volto orante che continua a intercedere per noi presso il Padre (Lc 23,34). Egli, il Santo, il Giusto, l’Innocente prende su di se i peccati dell’intera umanità; è vittima, altare e sacerdote. Afferma il Papa: “Per riportare all’uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell’uomo, ma caricarsi persino del «volto» del peccato. «Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo trattò da peccato in nostro favore, perché noi potessimo diventare per mezzo di lui giustizia di Dio» (2Cor 5,21)” [14] In Gesù Crocifisso si manifesta il nuovo culto e si aprono per il credente le porte del Regno. Il vangelo di Matteo illustra nel momento della crocifissione la manifestazione della gloria divina mediante la lacerazione del velo del Tempio e del terremoto – segni del giorno grande e terribile di Ihwh. Nell’antico Israele il Sommo Sacerdote entrava una sola volta all’anno nel Santo dei Santi per impetrare il perdono di Dio per i peccati del popolo. Ora, Cristo sacrificato sulla croce ha distrutto in se stesso il peccato e la morte: “Il castigo che ci da salvezza si è abbatuto su di lui”. Gesù “è il mediatore dell’alleanza nuova, affinchè, essendo intervenuta una morte in redenzione delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, i chiamati ricevessero la promessa dell’eterna eredità” (Ebrei 9,15). L’alleanza di Gesù è “più eccellente” di quella dell’antico testamento, perché “fondata su migliori promesse” (8,6). “Promessa”, ossia libero impegno divino gratuito, è diventata sinonimo di “alleanza” (…). Gesù Cristo ha portato una alleanza nuova, così che ha reso antiquata ogni alleanza precedente (8,13). La nuova alleanza è istituita non mediante il sacrificio di animali come l’antica (Ebrei 9,20; Es 24,8), ma mediante la morte di Gesù, che ha versato il suo sangue per la nostra salvezza (9,11-14)[15]. La regalità di Cristo è insolita alla nostra mentalità. Infatti, nella comune accezione regnare significa detenere poteri, avere autorità, amministrare la giustizia. La regalità di Cristo supera questo modo di intendere: il suo trono regale è costituito da una croce, la sua corona è una corona di spine. Il suo dominio, la sua forza è quella dell’amore che nonostante le derisioni, gli oltraggi non cessa ad amare sino alla fine. Non è un re riverito, rispettato, anzi, schernito dalla soldatesca “Egli non aprì la sua bocca”…. “E i soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo e gli misero addosso un mantello di porpora; quindi venivano davanti e dicevano: «Salve, re dei Giudei!» E gli davano schiaffi” (Gv 19,2-3). Le braccia spalancate abbracciano l’intero universo; sono le braccia del nouvo Mosè che intercedono presso Dio la salvezza per il popolo eletto (Dt 9,7-21). E’ il massimo gesto di apertura che esprime la magnanimità del nostro Signore Gesù Cristo, che vuole che tutti gli uomini siano salvi e giungano alla conoscenza della verità. “Innalzato” come l’antico serpente nel deserto, Cristo ricorda ad ognuno di noi la necessità della fede come condizione sine qua non per la salvezza. Uno sguardo pieno di fede rivolto a Colui che è stato trafitto ci merita la vita eterna: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14). Dietro le spalle del Crocifisso abbiamo l’ostia, che ricorda il sacrificio perenne compiuto da Cristo per noi uomini e per la nostra salvezza. L’eucaristia è la nuova alleanza che Gesù ha fatto per riscattarci dal potere del peccato e della morte. E’ soprattutto a riguardo dell’eucaristia che ricorre il termine diatheke (Mt 26,28; Mc 14,24; Lc 22,20; 1Cor 11,25). Insieme si fa menzione del “sangue”, con evidente richiamo a Es 24,8. Al sacrificio di animali si sostituisce la dedizione della vita di Gesù che stabilisce un vincolo nuovo e definitivo tra l’uomo e Dio. Il sacrificio reale che Gesù fa di se è un sacrificio di espiazione (cf. Is 53,10) per molti. (…) La morte di Gesù (sangue versato) è vista come la “divina disposizione” (alleanza) di una nuova salvezza (nuova alleanza): “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue” (1Cor 11,25)[16]. L’espressione massima dell’amore è il cuore sul quale leggiamo la scritta: “Charitas”. Il cuore, (kardia, leb o lebab) nell’accezione biblica indica il mondo interiore dell’uomo: è la sede delle emozioni, dei sentimenti, dei pensieri, delle decisioni e delle tendenze. La Bibbia usa il vocabolo “cuore” / “reni” per sottolineare l’essere bidimensionale dell’uomo: la sua esteriorità (faccia esterna e immediata) e la sua interiorità (volto interiore nascosto e profondo). Nel cuore l’uomo concepisce la sua decisione per il bene o per il male; lì avverte una sofferenza maggiore rispetto alla sofferenza fisica. In questo scrigno interiore l’uomo si volge verso il suo Dio o verso il peccato. I cuori induriti dal peccato sono trasformati in cuori di carne, grazie al Cuore di Cristo. Il suo, infatti, batte incessantemente per ogni uomo e per tutti gli uomini (Ez 36,26-28). La legge nuova dell’amore annulla l’incirconcisione (Ger 4,49), l’ostinazione e l’uomo ha di nuovo in sé la vita. La riconciliazione è indispensabile per l’uomo, ma è impossibile senza l’aiuto della grazia: “Darò loro un cuore capace di conoscermi” (Ger 24,6). Sulla croce Gesù Cristo non solo incrocia la storia umana, ma l’attraversa. Egli va oltre il suo passato storico, perché è contemporaneo di ogni uomo e raggiunge l’estremo limite futuro. In una parola Gesù Cristo è all’interno del processo storico e nel contempo lo supera. Il mondo intero contempla in lui il Salvatore; Egli è il Re della gloria, pieno di grazia e di amore che non viene mai meno, e annienta nel suo stesso corpo l’iniquità.CONCLUSIONE
Maria rimane per noi, uomini del terzo millennio il modello e la via più sicura per arrivare a Gesù. A lei guardiamo pieni di speranza perché possiamo imitarla nella fede e nell’amore per compiere il volere del Padre. La sua totale unione con Dio ci sprona a renderci umili testimoni del vangelo con la testimonianza della vita spesa per la causa di Cristo. Sotto la croce del Figlio Maria ci accoglie premurosamente sotto il suo manto, ma sta a noi accoglierla nella nostra casa, tra i nostri beni più cari. Così, insieme a lei possiamo essere le sentinelle del mattino che annunciano l’alba radiosa di una nuova umanità. Il redentore affida sua madre al discepolo e, nello stesso tempo, gliela da come madre. La maternità di Maria che diventa eredità dell’uomo è un dono: un dono che Cristo stesso fa personalmente ad ogni uomo (…). Ai piedi della croce ha inizio quello speciale affidamento dell’uomo alla Madre di Cristo[17]. Maria Mediatrice di grazia e Madre di Misericordia rappresenta l’ideale più alto dell’amore che ascoltando crede, e credendo spera che l’amore è più forte della morte. Portando a Dio tutti i suoi figli di adozione genera pienamente Dio nel cuore degli uomini: essa gli presenta a Dio e presenta Dio agli uomini. La sua mediazione materna è mediazione in Cristo, unico mediatore perso il Padre. Essa è per noi madre nell’ordine della grazia che ci ridona la vita dando al mondo l’autore stesso della vita, Cristo Signore.
BIBLIOGRAFIA
1. COENEN L., BEYREUTHER E., BIETENHARD H., Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1976.
2. DUFOUR X. L., Dizionario del Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia, 1978.
3. GIOVANNI PAOLO II, Redemptoris Mater, Lettera enciclica del Sommo Pontefice sulla Beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in cammino, Ancora, Milano, 1987.
4. GIOVANNI PAOLO II, Rosarium Virginis Mariae, Lettera apostolica del Sommo Pontefice all’episcopato, al clero e ai fedeli sul santo rosario, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2002.
5. GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, Lettera apostolica del Sommo Pontefice all’episcopato, al clero e ai fedeli al termine del Grande Giubileo dell’anno duemila, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 2000.
6. ROSSANO P., RAVASI G., GIRLANDA A., Nuovo dizionario di teologia biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1998.
SIGLE ED ABBREVIAZIONI
CV II Concilio Vaticano II
LG Lumen Gentium
NMI Novo Millennio Ineunte
RM Redemptoris Mater
RVM Rosarium Virginis Mariae
[1] Cv II, LG 62
[2] Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, Lettera enciclica del Sommo Pontefice sulla Beata Vergine Maria nella vita della Chiesa in cammino, Ancora, Milano, 1987, 38, p.61
[3] Giovanni Paolo II, Redemptoris Mater, Ancora, Milano, 1987, 38, p.61
[4] A. Riva, “Simbolo” in Nuovo dizionario di teologia biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Girlanda, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, p.1481-1482
[5] P. Gironi, “Luce” in Nuovo dizionario di teologia biblica, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Girlanda, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, p.858
[6] P. Gironi, “Luce” in NDTB, a cura di P. Rossano, G. Ravasi, A. Girlanda, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo, 1988, p.857
[7] H. Bietenhard, “drago” in Dizionario dei concetti biblici del Nuovo Testamento, a cura di L. Coenen, E. Beyreuther, H. Bietenhard, Edizioni Dehoniane, Bologna, 1976, p. 545
[8] A. Riva, “Simbolo” in NDTB, p.1483
[9] A. Bonora, “Alleanza” in NDTB, p.30
[10] A. Bonora, “Alleanza”, p. 30
[11] Giovanni Paolo II, rm 39, p. 62
[12] Giovanni paolo II, rm 39, p. 64
[13] Giovanni Paolo II, rm 40, p.40, 66
[14] Giovanni Paolo II, Novo millennio inneunte, Lettera apostolica del Sommo Pontefice all’episcopato, al clero e ai fedeli al termine del grande Giubileo dell’anno duemila, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano, 2000, 25, p.29
[15] A. Bonora, “alleanza”, ndtb, p.32
[16] A. Bonora, “alleanza”, p.31
[17] RM 45, p.73