CON I SACERDOTI SULLE ORME DI MADRE SPERANZA – 4 Sac. Angelo Spilla Madre Speranza e una Congregazione per l’"amato clero"
Edizioni Amore Misericordioso - aprile 2006 |
dei Sacerdoti diocesani Figli
dell’Amore Misericordioso
Relazione tenuta a Collevalenza
il 18/11/2004 al Convegno per il 50°
di Fondazione dei «Sacerdoti diocesani Figli dell’Amore Misericordioso»
È con sentimenti di gratitudine al Signore, innanzitutto, che mi accingo a presentare il volto materno ed affabile di Madre Speranza, quel volto come di ogni madre sempre pronto e vigilante nella cura dei suoi figli, e particolarmente un volto carico di attenzione e di tenerezza verso i sacerdoti.
Non è facile poter comprendere, e quindi spiegare, l’esperienza dell’amore di Dio che Madre Speranza ha fatto nella propria vita. La penetrante creatività dell’amore di Dio ha coinvolto questo cuore di donna, spingendola ad accogliere il carisma dell’Amore Misericordioso quale rivelazione di questo Dio "che vuole benignamente elargire le ricchezze della sua misericordia". Il Signore aveva già preparato per lei il Suo piano di salvezza.
Il contenuto essenziale del carisma che lo Spirito ha trasmesso a Madre Speranza è Dio, Amore Misericordioso, che nel Signore Gesù si è manifestato meravigliosamente "ricco di misericordia" (Ef. 2, 4) nei confronti di ogni uomo, specialmente dei poveri, dei peccatori e dei sofferenti. Questo Amore Misericordioso, in maniera tutta particolare viene riversato ai sacerdoti, primi destinatari, per farne profonda e personale esperienza mediante la santità della vita e poi poterlo testimoniare e condividere con i fratelli, perché anche "l’uomo più perverso, il più miserabile e perfino il più abbandonato è amato con tenerezza immensa da Gesù che è per lui un Padre e una tenera Madre".
Se grande è la figura di Madre Speranza per la diffusione del carisma in favore di ogni uomo e particolarmente degli ultimi, non di meno lo è per il suo servizio reso ai sacerdoti, da lei sempre amati con predilezione, discrezione e affabile cura. Nei confronti di questi ha avuto una attenzione tutta particolare fatta di preghiera, sacrificio e gesti concreti di accoglienza.
Madre Speranza si è sentita chiamata dal Signore a questa vocazione già nel 1927 e per questo si era offerta a Dio come vittima di espiazione per le fragilità umane dei sacerdoti, offerta che rinnoverà con frequenza soprattutto in occasione del Giovedì Santo.
Quando nel 1951 si sente chiamata a fondare la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso – le Ancelle erano state fondate circa vent’anni prima, precisamente nel 1930 – lei scriverà così nel suo Diario: "Sono pronta, Gesù mio, però aiutami Tu perché mi trovo in grande difficoltà con la Congregazione delle Ancelle dell’Amore Misericordioso e mi spaventa il dover fondare anche quella dei Figli".
Lei sa di essere strumento nelle mani di Dio e che non si può tirare indietro una volta chiamata; nonostante non si senta pronta e adeguata a fondare una Congregazione maschile per i sacerdoti, in spirito di obbedienza a Colui a cui non può dire di no, annoterà nel suo Diario: "Il Signore mi ha detto che è arrivato il momento di realizzare la fondazione della Congregazione dei Figli del Suo Amore Misericordioso".
È interessante cosa accadde, poi, quando la Madre si accingeva a fondare – sempre per volontà del Signore – il ramo dei sacerdoti diocesani con voti, l’8 dicembre 1954. Padre Arsenio Ambrogi ne dà testimonianza: " Siamo sul finire di novembre del 1954. Il 4 ottobre dello stesso anno si è aperta a Fermo la seconda casa della Congregazione FAM, perché proprio in quella Arcidiocesi si avrà la prima esperienza del Clero secolare in vita di comunità con voti, secondo il progetto affidato dal Buon Gesù alla Madre. La Madre Fondatrice che si trovava a Fermo si ammala gravemente al punto di credere che per lei è giunta l’ora della morte. Ci convoca attorno al suo letto e ci dice cose che si sono incise profondamente nel mio animo. Sono presenti i due sacerdoti che dovranno per primi emettere i santi Voti nelle mani dell’Arcivescovo Perini, il giorno dell’Immacolata. Essi sono di intesa con la Madre di andare a Loreto per un corso di Esercizi Spirituali in preparazione a questo evento. La Madre li esorta a prepararsi bene presso quella Santa Casa dove il Verbo di Dio si fece carne. E poi prosegue:"Figlioli, dovevo dirvi una cosa molto importante. Secondo Nostro Signore non serviva una Congregazione di più. Ce ne sono già tante (e ne fa una enumerazione per le varie necessità della Chiesa). Ne mancava una per il suo amato clero. Ricordate, presto verranno giorni che il Clero secolare, solo com’è non potrà più vivere… E il Signore ha fatto sorgere questa Famiglia Religiosa perché il Sacerdote secolare vi trovi la propria Famiglia. Ci fu una pausa di silenzio e poi con voce forte riprese: "E Dio la disfaccia sul nascere se non dovesse servire per questo".
"Ne mancava una per il suo amato clero". Così si esprime Madre Speranza nel riportare ciò che Gesù le ha detto. Ma nello stesso tempo non risparmia a dire: "E Dio la disfaccia sul nascere se non dovesse servire per questo".
È chiara e fa rabbrividire nello stesso tempo questa espressione; incute forse trepidazione ma senza equivoci per nessuno. Il Signore la vuole così: una Congregazione per il suo amato Clero. Madre Speranza anche in questo si sente solo uno strumento nel disegno di Dio.
Avviene così che l’8 dicembre 1954, a Fermo, don Lucio Marinozzi e don Luigi Leonardi emettono i voti come sacerdoti diocesani.
Risulta anche dagli scritti della Madre, come da qualche altra testimonianza, che il diavolo, chiamato dalla Madre il "tignoso", si scaglierà contro di lei suscitando sofferenze, contrasti, difficoltà di ogni genere al fine di ostacolare in ogni maniera questo progetto di Dio.
E proprio nella ricorrenza del cinquantesimo di fondazione dei Sacerdoti Diocesani Figli dell’Amore Misericordioso, vogliamo rivivere il dono di grazia che il Signore ci ha offerto, grati di questo provvidenziale progetto che vede riuniti i sacerdoti diocesani all’interno della Congregazione dell’Amore Misericordioso. Non nascondiamo le difficoltà registrate nella fase iniziale della nascita di questo ramo religioso come anche quelle altre avute in seguito, soprattutto in campo giuridico per la questione della doppia appartenenza in vista del riconoscimento da parte dell’autorità ecclesiastica. Ci consola però il fatto che tutto questo non ne ha impedito lo sviluppo e la stessa Congregazione dei Religiosi il 25 luglio del 1995 ha emanato un decreto con cui si approva, "ad experimentum", per dieci anni, anche quest’altro ramo della Congregazione religiosa, così come voluto dalla Madre.
Tenendo presente propriamente lo Statuto dei sacerdoti diocesani con voti, desidero richiamare l’attenzione su quanto Madre Speranza ha voluto realizzare in favore dell’amato clero, per vedere anche le finalità che questi sacerdoti sono chiamati a conseguire.
Unica vocazione e medesimo dono di grazia
Celebrare il giubileo dei sacerdoti diocesani FAM ci porta a guardare la figura del presbitero chiamato "ad accogliere, facendone profonda e personale esperienza, l’Amore Misericordioso di Dio e a testimoniare il primato nella nostra vita" (Cost. FAM, Art. 8).
I sacerdoti diocesani vivono assieme ai confratelli religiosi un’unica vocazione e un medesimo dono di grazia. Ci sforziamo di comprendere a quale vocazione si è chiamati.
Si tratta innanzitutto di chiamata all’amore al modo del Dio uno e trino. Sappiamo con San Paolo che "lo Spirito scruta le profondità di Dio" (1 Cor. 2, 10) e quindi "si può dire che nello Spirito Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutto dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio "esiste" a modo di dono. È lo Spirito Santo l’espressione personale di tale donarsi, di questo essere amore: È Persona-dono" (DV, 10).
Parlare della Trinità significa saper cogliere la comunione intima di Dio, quella comunione che ci viene partecipata e assume nella storia stessa ritmicità che anima in Dio lo Spirito di Dio. Questa apertura di Dio all’uomo, dunque, avviene nello Spirito e per opera di questo. Con la creazione e la redenzione Dio si è aperto all’altro da sé, in modo unilaterale e disinteressato. Una apertura divina a ciò che non è divino. O meglio ancora, per dirla con un teologo contemporaneo, è l’abitazione di Dio là dove Dio è, in certo senso, "fuori sé stesso". E’ l’estasi di Dio verso il suo "altro": la creatura (Cfr. C. Duquoc, Un Dio diverso, Brescia 1978, 117). E Dio si apre a noi non per mancanza d’essere, quasi che avesse o avvertisse un bisogno nostro, ma per sovrabbondanza d’essere e nella libertà d’amore. Come all’interno della Trinità, così si registra in noi questo "essere verso", "essere per": il dono del Figlio, voluto dal Padre, quale epifania dell’amore.
Il carisma dell’Amore Misericordioso, perciò, si radica essenzialmente nell’amore trinitario, quale agape eterna; un amore di Dio che ama per primo, un amore che mostra nel gesto oscuro dell’impotenza crocifissa la propria onnipotenza d’amore. Si comprende così l’immagine del Crocifisso dell’Amore Misericordioso nelle sue tre realtà fondamentali: Gesù in croce, l’Eucarestia e il comandamento dell’amore. Guardando il Crocifisso si scopre, poi, che nulla, nemmeno la morte che gli uomini hanno dato al Figlio di Dio, potrà impedire al Padre di amare gli uomini e al Figlio di effondere, oltre al sangue e all’acqua del suo costato, anche il suo Spirito pentecostale, come richiesta di misericordia e di perdono al Padre.
Si tratta di un carisma, allora, con la spiritualità di comunione trinitaria in cui si annunzia la vitalità di Dio come misericordia, perdono, amore, vicinanza e cura.
L’articolo terzo dello Statuto dei sacerdoti diocesani FAM sottolinea questo concetto quando dice:"Essi sono chiamati, innanzitutto, ad annunciare la pienezza di bontà di Dio Padre il quale ama tutti i suoi figli e li vuole rendere felici: per questo in Gesù Cristo si è rivelato particolarmente ricco di amore e di misericordia, affinché l’uomo, anche il più malvagio e peccatore, non temesse di tornare pentito alla casa del Padre, per esservi di nuovo accolto in qualità di figlio" (Cfr. anche Cost. FAM, Artt.1-7).
Sappiamo, però, che questo annunzio va fatto primariamente ai sacerdoti stessi. Destinatari e mediatori di questo amore sono proprio i sacerdoti, coloro che sono partecipi della missione sacerdotale di Gesù stesso.
Madre Speranza a questo è stata chiamata, ad annunziare questa misericordia di Dio particolarmente ai sacerdoti, amati dal Buon Gesù.
Tendere con rinnovato impegno alla propria santificazione
Qui viene da ricordare il motivo principale per cui Madre Speranza ha avuto una particolare attenzione per il Clero. Ci si chiede quali fossero state le motivazioni che hanno indotto la Madre a prendersi cura del clero. Perché li vedeva, a volte, stanchi, affaticati, soli, scoraggiati, lontani dal fascino iniziale della vocazione intrapresa.
La figura del prete non sempre è quella che ci si prefigge di vedere e soprattutto lo stesso sacerdote, a volte, si trova in una situazione di crisi da fare smarrire il cammino della sua vocazione e missione.
Non dimentichiamo che la vita è fatta di crisi, anche quella di chi si consacra al Signore nella verginità, nella povertà e nell’obbedienza. Si avverte la crisi soprattutto quando non c’è corrispondenza tra l’io ideale e l’io attuale o tra la propria identità e le provocazioni della realtà. Quante volte ci siamo chiesti perché tanti sacerdoti o religiosi abbandonano la propria vocazione. Qualcuno dice addirittura di assistere ad una seconda ondata di defezioni clericali, sia tra i religiosi che tra il clero diocesano. Anzi, il fenomeno pare oggi non solo peggiorato, ma privo di soluzioni. Mentre ci si preoccupa della pastorale vocazionale per fare fronte all’invecchiamento e ai decessi, non si dà uguale urgenza ed attenzione, non ci si interroga insomma sulle motivazioni reali di quanti a un certo punto abbandonano la propria chiamata vocazionale. Da un’indagine condotta ultimamente è stata smentita la teoria di coloro che attribuiscono la responsabilità della crisi, come causa immediata, ai cambiamenti teologici post-conciliari. Secondo i sostenitori di questa teoria, l’insistenza del concilio sulla universale chiamata alla santità sul superamento dei cosiddetti stati di perfezione, avrebbe poi di fatto livellato tutti gli stati di vita cristiana e avrebbe appiattito il senso di eccellenza su cui si era da sempre radicato l’impegno vocazionale. Se questo può avere un certo riscontro nell’incremento o al declino delle nuove vocazioni, non lo è per quanto riguarda gli abbandoni. Una prova di ciò è data dal fatto che gli abbandoni toccano sia i consacrati progressisti come pure quelli tradizionalmente orientati. Se abbandonano di più i progressisti è semplicemente per il fatto che ce ne sono di più nella fascia di età più a rischio o più colpita di casi di defezione.
Anche la teoria della secolarizzazione va notevolmente ridimensionata poiché non risulta nessuna evidenza riguardo all’influsso della secolarizzazione ambientale nei livelli di abbandono clericale. Neppure le tradizionali teorie psicologiche e teologiche reggono tanto. Gli abbandoni cioè non sono da addebitare a motivi psicologici, vale a dire per instabilità psichica, depressione, difficoltà di vita comunitaria, problemi familiari, ecc; oppure a motivi teologici riguardante l’obbedienza o conflitti con i propri superiori.
La risposta più immediata, per certi versi, è anche la più scontata. Il più delle volte la causa va intravista nel campo dei rapporti personali e problemi affettivi. Si vede una stretta relazione tra abbandoni e problemi affettivi. Spesso, quindi, ci si ripiega nel campo affettivo. Quando ci si innamora viene capovolta la scala dei valori che dominava l’orizzonte di comprensione del singolo, e che serviva come base di ogni scelta.
Il problema aperto più pressante, però, è quello di sapere che cosa è possibile fare per ridimensionare eventualmente queste emorragie. C’è da dire, comunque, che il tema affettivo non è stato affrontato in maniera adeguata al tempo opportuno durante la formazione, come pure il fatto che anche chi prega molto e chi trattiene ottimi rapporti fraterni è soggetto al rischio di defezione. È certo comunque che bisogna condurre una forte vita di preghiera, un forte impegno nella vita spirituale, ma bisogna anche assumere tutte le misure che favoriscono una risposta maggiore al carisma abbracciato.
Questa considerazione ci deve portare non tanto ad intravedere le cause degli abbandoni, ma soprattutto al malessere in sé, alla crisi che ci può essere, non ultimo all’impegno per il suo superamento. E Madre Speranza si è battuta per questo, si è offerta come vittima per le miserie commesse dai sacerdoti, si sentiva chiamata ad offrire la propria vita per essi, per quanti per disgrazia erano caduti nell’errore. Ed eccola pronta a ricorrere alla preghiera, al sostegno, a mettere una Congregazione al loro fianco, come il Signore le ha chiesto, sia per un momento di riposo, di ripresa nei momenti di stanchezza, sia per trovare la forza a tirarsi su da una situazione difficile. Madre Speranza intuiva i rischi a cui va incontro il prete: stanchezza fisica e spirituale, mancanza di conforto, disagio di solitudine, insuccesso pastorale, incomprensione con i confratelli e con il proprio vescovo, affievolimento nella vita spirituale e nella pratica religiosa. Può succedere anche che il prete trovi rifugio nel professionismo, nelle opere e nelle attività; che si lasci strascinare dal modo di vita della società: vivere in dipendenza dal fare. Ma il molto fare non è necessariamente segno di una missione viva; forse inconsciamente si risponde a quello che la società vuole, una società che guarda il rendimento e l’efficacia senza dare spazio alla gratuità. Madre Speranza, insomma, conosceva tanti rischi, forse non ne ha fatto un’analisi approfondita, ha fatto però delle considerazioni tenendo presente ciò che può indurre i preti a cedere nella fragilità e per questo, fedele al Buon Gesù, si mette al Suo servizio. Lei vede la vita del prete che rischia di contentarsi di poco, tentato di vivere senza audacia, senza illusione, cosa che appiattisce la creatività; senza credere nello stile di vita che si proclama. Il problema vero è quello degli stili di vita, la distanza o la vicinanza tra i valori che si professano e la realtà vissuta. Ciò si riflette in una mancanza di fede verso questo progetto di vita, in un vivere al traino della routine e senza passione, adagiati nella mediocrità, temendo il rischio della novità, senza entusiasmo per la missione, con addosso la stanchezza, con l’apatia e la tristezza negli occhi, il dubbio nella mente e la delusione nel cuore.
Madre Speranza aveva compreso che questo stile di vita non lascia trasparire la sequela di Cristo, che si rischia di essere seguaci di Cristo di bassa intensità. Lei insegna, allora, a vivere con passione, ad incarnare le passioni evangeliche, a mantenere i ministri appassionati di questo Dio che è appassionato di loro, suo "amato clero". Madre Speranza sa che Dio può servirsi anche d’un momento di debolezza e smarrimento per rivelarsi in modo inedito o per scuotere e attirare nuovamente a sé mediante la Sua misericordia.
Troviamo la Madre ancora pronta a questa missione quando il 16 luglio 1940 annota nel suo Diario: "Aiutami Gesù, perché in queste angustie, sofferenze e dolori, io soffra solo per Te, per la Tua gloria e per i sacerdoti del mondo intero che hanno avuto la disgrazia di offenderti" e nel Giovedì Santo di quello stesso anno, 21 marzo 1940, rinnoverà il suo voto come vittima per i sacerdoti, così come aveva fatto nel 1927: "Oggi, giorno del Giovedì Santo, rinnovo, Gesù mio, l’offerta fatta nel 1927 al mio Dio come vittima per i poveri sacerdoti che si allontanano da Lui e lo offendono gravemente".
In continuità di ciò la Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso vede proprio nei sacerdoti i primi destinatari della misericordia di Dio
Il carisma dell’Amore Misericordioso con l’esperienza di fede di Madre Speranza, con la vitalità e l’energia che ha accompagnato questa Famiglia religiosa fin dal suo nascere, troverà terreno accogliente nella Congregazione Religiosa ancora oggi. Se si ha cuore ad incarnare questo carisma in favore dei sacerdoti, ciò significa proiettarlo in avanti. Dio ha voluto questa Congregazione perché si senta preoccupata meno di se stessa e si senta maggiormente preoccupata, con attenzione e dedizione sincera, per i sacerdoti. La missione dei Figli dell’Amore Misericordioso consiste propriamente nel lavorare uniti ai sacerdoti ed in favore di essi.
Maggiore armonia tra vita interiore e azione apostolica
Papa Giovanni Paolo II nella Pastores Dabo vobis sottolinea che "la vocazione sacerdotale è essenzialmente una chiamata alla santità, nella forma che scaturisce dal sacramento dell’Ordine" (PDV, 33).
Ed è proprio sulla santità che insiste Madre Speranza quando fa intravedere i pericoli a cui si va incontro quando si eccede nell’attività apostolica a discapito della vita spirituale. Ella esorta i suoi figli dicendo "che l’esito dell’apostolato dipende dal loro spirito di orazione nel quale ogni giorno devono consolidare la pietà e temprare le loro anime nel fuoco soprannaturale" (El pan 14, 84). Dirà anche: " State molto attenti, figli miei, a calcolare bene il tempo per non lasciare mai la meditazione e gli atti di comunità, se non volete un giorno arrivare a dire pieni di amarezza: Dio mio, la mia abnegazione mi ha rovinato! La mia natura mi ha portato a trovare soddisfazione nel darmi tutto intero a fare il bene agli altri, tralasciando l’orazione, e mi sono compiaciuto dell’apparente buon risultato della mia attività, che mi ha fatto prendere un abbaglio nel mio lavoro interiore; così mi sono gettato nel precipizio e il mio apostolato non è stato secondo il desiderio di Dio" (El pan, 14,17-18).
È stata sempre forte l’esortazione alla santità da parte della Madre; ad essa si giunge mediante la conformazione all’Amore Misericordioso, la pratica dei consigli evangelici, la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la partecipazione alla vita liturgica e sacramentale, particolarmente Eucaristia e Riconciliazione, la meditazione e la vita comunitaria, lo spirito di sacrificio e di mortificazione.
Questa santità di vita, ossia la perfezione della carità, era vista dalla Madre come permanenza in noi dell’Amore di Dio, in totale uniformità al suo volere. Diceva: "Per camminare nella perfezione… è necessario aspirare con entusiasmo alla santità" (El pan, 9,309).
E particolarmente nei confronti dell’Eucaristia e della Riconciliazione la Madre si è soffermata abbastanza facendone richiamo ai sacerdoti. Nell’Eucaristia vedeva l’azione di grazie per eccellenza che tende a trasformare in lode a Dio tutta la nostra vita. Ne raccomandava la partecipazione quotidiana, dandone la giustificazione: "Per alimentare una vita divina è necessario il Corpo e il Sangue del buon Gesù, la sua Anima e la sua Divinità che ci trasforma in Cristo medesimo, comunicandoci il suo modo di essere" (El pan, 9, 28).
Parlando, poi, della pratica del sacramento della riconciliazione, diceva che la nostra continua conversione a Dio consiste nello scoprire la sua misericordia.
Non possiamo tralasciare, a questo proposito, quanto ha scritto Giovanni Paolo II nelle Lettere indirizzate ai sacerdoti nel Giovedì Santo del 2002 e del 2004 a proposito del sacerdozio e del sacramento della riconciliazione. In una, quella del 2004, sottolinea l’importanza del sacerdozio quando dice: "Nell’ultima cena siamo nati come sacerdoti: ecco perché è bello e doveroso ritrovarci nel Cenacolo, condividendo la memoria, colma di riconoscenza, dell’alta missione che ci accomuna… Siamo nati dall’Eucaristia" (nn.1-2). E nel 2002, sul sacramento della riconciliazione, invece, dice, "Riscopriamo con gioia e fiducia questo Sacramento. Viviamolo innanzitutto per noi stessi, come un’esigenza profonda e una grazia sempre nuovamente attesa, per ridare vigore e slancio al nostro cammino di santità e al nostro ministero. Al tempo stesso, sforziamoci di essere autentici ministri della misericordia" (n. 4).
In spirito di servizio fraterno per l’unità del clero
C’è anche quest’altro connotato nello statuto dei sacerdoti diocesani con voti: l’impegno prioritario per i sacerdoti. La Madre lo ricorda ai suoi Figli: "Affinché il loro lavoro con i sacerdoti del clero diocesano sia fecondo, i Figli dell’Amore Misericordioso devono essere persuasi che tra le opere di carità da realizzare a beneficio dell’umanità, la principale è per loro l’unione con i sacerdoti diocesani; e uniti ad essi come fratelli eserciteranno con entusiasmo e solo per amore al Signore tutte le altre opere" (El pan, 14,5). Lo stesso viene sottolineato per i sacerdoti diocesani: "Il profondo inserimento di questi sacerdoti diocesani all’interno della Congregazione è espressione peculiare di quell’unione fraterna che i Figli dell’Amore Misericordioso sono tenuti a perseguire nei confronti del clero; allo stesso tempo, ne è anche strumento prezioso per una più incisiva azione apostolica nel presbiterio" (Cost., art. 20).
Ed anche "attraverso la pratica della vita in comune animata dalla carità, essi attestano il valore dell’intima fraternità sacerdotale che unisce i ministri sacri e si pongono in condizione di superare più facilmente i pericoli dell’isolamento" (Statuto, art. 9).
La vita comune dei preti diocesani, incoraggiata da diversi documenti magisteriali, è sempre più al centro dell’interesse e del confronto delle diocesi, al cui interno nascono e fioriscono forme diversificate di vita comune e di condivisione di vita sacerdotale.
Madre Speranza ha pensato anche a questo e ha visto in esse il luogo concreto visibile dove la comunione fraterna diventa già apostolato e contribuisce direttamente all’opera di evangelizzazione. Il fine della comunità è sempre l’annuncio del mistero di Gesù, il Figlio di Dio fatto carne, perché "il mondo creda" (Gv17, 21). Appare chiaro come la realtà della comunità e la missione, in questo caso prima di tutto nei confronti degli altri sacerdoti, siano legati l’uno all’altra in una reciprocità continua, tant’è vero che più intenso è l’amore fraterno, maggiore è la credibilità del messaggio annunciato. Vanno aggiunti anche altri vantaggi che riguardano il reciproco aiuto a fondamento spirituale e intellettuale, la collaborazione più efficace nel ministero, evitare i pericoli eventualmente derivanti dalla solitudine, ma soprattutto offrire ai fedeli un esempio luminoso di carità e di unità.
L’intento della Madre è stato quello di formare persone comunitarie al fine di "incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore per quanti sono maggiormente colpiti dal male morale, fisico o materiale, ponendo di preferenza la propria carità pastorale al loro servizio" (Statuto, art. 6).
È proprio l’ultimo aspetto che va richiamato come impegno chiesto dal nostro carisma: una Congregazione che annunzia al mondo l’Amore Misericordioso, scommettendo non solo sui sacerdoti ma anche sui poveri.
Il fuoco di santità ci fa missione. È sulla strada della storia che dobbiamo riconoscere e incontrare il Signore. Sulla strada dei nostri smarrimenti, delle speranze deluse, di chi piange ed è solo. Saranno le strade simili a quella che da Gerusalemme conduce ad Emmaus. Proprio lì incontreremo lui, il Risorto, che si fa compagno di viaggio, ci interroga, ci fa "ardere il cuore", si rende presente a noi allo spezzare del pane. Ed allora ritorneremo nella comunità per annunciare e comunicare ai fratelli ciò che abbiamo visto, il Risorto.
Il documento dell’ottavo Capitolo Generale FAM, ci invita a tuffarci in queste strade: "L’aiuto ai sacerdoti non ha come motivazione solo il loro bisogno, ma il fatto che essi sono ministri di quell’amore misericordioso che Dio rivolge a tutti gli uomini. Prendendoci cura della loro salute e della loro serenità di vita, li mettiamo in condizioni di svolgere con più amore ed efficacia il loro ministero" (pag.16). E allora la strada dei rumori, delle solitudini, delle domande di senso, di quanti vivono nello sconforto e nella indifferenza vedrà brillare l’Amore Misericordioso di Dio.
Considerazioni conclusive
Vorrei, in ultimo, richiamare un pensiero di David Maria Turoldo perché non pensiamo che il nostro destino sia un recinto di nostalgie, di stanchezza o di memorie del passato, ma fuochi da "accendere dovunque, fuochi di roveti che ardono dovunque e nessuno riesce a spegnere più… Fate che il vento non spenga il fuoco, bensì lo propaghi perché tutto il mondo diventi un incendio… Come ogni fuoco è acceso al cero pasquale di Cristo, così ognuno tramandi il proprio fuoco al fratello, e il fratello al fratello, perché dovunque arda il fuoco della resurrezione, la luce di Cristo risorto, segno della causa di Cristo che continua, segno che l’uomo non è mai morto, neppure quando è ucciso… Nessuno viva un giorno solo col suo fuoco spento, ognuno scelga la sua parte di combattimento ogni giorno, ognuno renda la sua testimonianza che Cristo è vivo, che il povero è vittorioso, che ogni uomo è libero" (D.M. Turoldo, Il mistero del tempo, Padova 1992, 74.76-77).
È la missione che l’Amore Misericordioso con i suoi sacerdoti si propone di fare. Trovando misericordia ci si sentirà chiamati a manifestare misericordia divina. Si tratta di una spiritualità che nasce dalla carità pastorale che riesce a farsi amare e che manifesta la paternità di Dio. Si è chiamati "ad incarnare nel proprio ministero la particolare sollecitudine dell’Amore Misericordioso del Signore" (Statuto, art. 6).
Siamo convinti che la "nostra" santificazione consiste proprio in questo ed è il compito essenziale del nostro carisma… fallito questo, tutto è perduto, come si afferma della carità (Cfr. 1Cor. 13, 1-8), essenza stessa della santità.