PROFILI DI MADRE SPERANZA – 11

Sr. Gemma di Gesù Brustolin eam

Come è buono il Signore!

Edizioni Amore Misericordioso – 8 febbraio 1987

Per una persona come me, tendente a vedere le cose con un po' di pessimismo, la Madre è stata un vero balsamo, una carica sempre nuova di entusiasmo, di slancio, di gioia.

E' questo l'aspetto della sua personalità che mi ha colpito di più e che ora ricordo con maggiore abbondanza di episodi e di particolari. Se si riflette un momento sulla vita della Madre intessuta di problemi, preoccupazioni, sofferenze di ogni genere, sembra quasi incredibile che abbia potuto vivere in una pace e una serenità costanti e profonde, che si trasmettevano a chi l'avvicinava attraverso il suo gesto, la sua parola e spesso soltanto attraverso un semplice suo sguardo.

Mi viene ancora da ridere se ripenso alla prima immagine che ebbi della Madre quando arrivai a Collevalenza l'11 febbraio 1963, festa della Madonna di Lourdes e festa, all'interno della Famiglia dell'Amore Misericordioso, per l'anniversario della fondazione delle Ancelle chiamate ad operare nelle attività temporali. Essendo arrivata a Collevalenza con l'intenzione di entrare nella Congregazione fondata da Madre Speranza, dopo un periodo di esperienza, se l'avessi trovata corrispondente alle mie aspirazioni, la Madre dispose che in tutto partecipassi fin dal primo giorno alla vita della Comunità. Così, quel primo pomeriggio mi trovavo già assieme alle Suore nella sala da lavoro, seduta in uno dei tanti circoletti attorno ad un tavolino sul quale erano posate le perle, i fili e tutto il necessario per il lavoro di ricamo delle maglie. A me avevano dato, come primissimo impegno, alcune maglie da sfilare ed io cercavo di fare del mio meglio, quando arrivò la Madre, tutta sorridente e con un bel sacchetto di caramelle in mano e si sedette nello spazio più ampio della sala. Immediatamente ci raccogliemmo tutte intorno a lei, felici di vederla; incominciò a distribuire manciate di caramelle ad ogni suora, accompagnando il gesto con una parola o un sorriso, e poi disse: «Ringraziamo Dio, figlie mie. Come è buono il Signore! Da otto anni sono state fondate le Ancelle del Suo Amore Misericordioso in abito secolare e sono ancora pochine, ma Gli danno tanta gloria e Lui è contento. Preghiamo perché crescano di numero e si estendano in tutto il mondo».

Io ero partita da casa con l'idea di lasciare tutto, tutto quello che a me sembrava non corrispondesse al clima austero di un convento, e in particolare avevo pensato che avrei dovuto lasciare i dolci, la frutta e quelle cose che nei pasti possono considerarsi "superfluo". Mi ero anche un po' allenata a queste rinunce e quindi potete immaginare la mia sorpresa nel vedere la Madre distribuire a piene mani caramelle e sorrisi. Sorpresa, a dir la verità, positiva perché pensai che se la Madre si era santificata anche mangiando caramelle, lo potevo fare anch'io. Compresi più tardi che il sacrificio e la mortificazione, tanto praticati e inculcati in noi dalla Madre, erano qualcosa di molto più concreto e costruttivo e consistevano soprattutto in una donazione totale della persona nella carità fraterna, nel lavoro molto impegnativo e faticoso, nella rinuncia di sé attraverso tante piccole occasioni che il vivere in comune ti comporta. Le caramelle, come il sorriso, erano l'espressione esterna di una dolcezza e comprensione squisitamente materna e caratteristica della Madre.

 

«A questa figlia dà poco lavoro»

Della comprensione delicata e attenta della Madre feci esperienza qualche giorno dopo quel famoso pomeriggio, quando, avendo incominciato ad impegnarmi nel lavoro del ricamo come tutte le Suore, mi trovai in notevole difficoltà data l'assoluta ignoranza in materia. La Madre soleva allora venire tutte le mattine in sala a pregare con noi il rosario e il trisagio, e lo faceva camminando su e giù in mezzo ai nostri gruppetti e guardandoci lavorare. Io sentivo spesso il suo sguardo su di me, e questo aumentava la soggezione che m'incuoteva il fatto di trovarmi in mezzo a circa un'ottantina di Suore, per la maggior parte più giovani di me, scherzose e pronte a rilevare ogni minima cosa che potesse farle divertire poi a ricreazione. In quelle condizioni non riuscivo a combinare quasi niente e mi sentivo molto impacciata. Ad un certo punto la Madre si avvicinò alla Suora incaricata di distribuire il lavoro e con un sorriso le disse: «A questa figlia dà poco lavoro»; alzai la testa a guardarla con tanta riconoscenza e mi sentii subito più tranquilla. Mi applicai da allora con maggiore impegno e riuscii anch'io a fare qualcosa di buono.

La sua presenza nel laboratorio era attesa e tanto desiderata da noi tutte, perché sentivamo che da lei ci veniva una carica di sempre nuovo entusiasmo, un desiderio di fare ogni giorno di più e meglio. Bastava che mi dicesse: «Figlia, a santificarti!», per far sì che il mio cuore mettesse le ali e mi sforzassi di approfittare ogni occasione per far dono al Signore di piccoli sacrifici.

 

Natale con la Madre: gli "alleluya"

Indimenticabile per me il primo natale trascorso a Collevalenza con la Madre, in un clima di tanta gioia e pace come mai avevo provato. Nonostante il lavoro che ci teneva impegnate anche fino a tarda notte, le Suore trovavano sempre il modo di preparare i "Bambinelli" e i presepi sparsi qua e là per la casa, e tutti diversi e significativi, che poi la Madre il giorno di Natale andava a vedere accompagnata dalle sue figlie. Dopo l'ora di adorazione al SS.mo solennemente esposto nel Santuario, partecipammo alla S. Messa di mezzanotte concelebrata e resa molto suggestiva dai bellissimi canti natalizi spagnoli, che le Suore accompagnavano con il suono delle nacchere e tamburelli.

Al termine della Messa ci raccogliemmo in sala con i Padri per fare gli auguri alla Madre. Con quale allegra energia invitava le Suore a ballare le tradizionali "jotas" delle diverse regioni di Spagna e sollecitava le più restie con battute scherzose, molto divertenti. Ad un certo punto, al cenno di una Suora delle più anziane, si fece improvvisamente silenzio e incominciarono gli "alleluya". Per fare comprendere di che si tratta, ne trascrivo alcuni.

Una Suora intona, improvvisando sulla melodia di un canto popolare spagnolo, questi versi:

«Yo te pido, Jesús mío, com muchisimo fervor»,

Io ti chiedo, Gesù mio, con grandissimo fervore

«que por siempre en mí reine la humildad y el amor»

che regnino per sempre in me l'umiltà e l'amor

e la Madre, pronta risponde a tono:

«Muy llena de timidez esta hija, Jesús mío,

molto timida questa figlia, Gesù mio,

«te ha suplicado dos cosas que espero se las concedas»

ti ha chiesto due cose che spero le concederai

poi subito un'altra Suora canta:

«Jesús mío, junto a ti yo me agarraré a la Madre

Gesù mio, vicino a Te io mi aggrapperò alla Madre

«y caminaré siempre segura, mientras dure en este valle»

e camminerò sempre sicura in questa valle.

e la Madre pronta:

«Has oído, Niño amado, lo que esta hija ha cantado

Hai sentito, Bambino amato, ciò che questa figlia ti ha cantato

«cógela Tú de la mano y ponla siempre a mi lado»

prendila Tu per mano e mettila sempre vicino a me

e così per venti-trenta volte; la Madre risponde a tutte le Suore che, scherzando provocano la sua battuta sempre appropriata e stimolante al bene.

Ogni ricorrenza, come il suo compleanno, il suo onomastico, la festa di Cristo Re A. M., di Maria Mediatrice, era da lei celebrata con gioiosa partecipazione, felice di vedersi attorniata dalle figlie e dai figli che tanto amava. Soleva ripetere: «Li vorrei tutti qui con me» ed era prodiga di consigli e di esortazioni; anche negli ultimi anni pur così sofferente, trovava la forza di un sorriso accogliente per tutti e per ciascuno in particolare.

 

«Poveri ragazzi, con quella suora che non sorride mai!»

Lei era piena di vita e di vivacità e desiderava che anche noi lo fossimo, specialmente nei nostri rapporti con i bambini e i ragazzi ospiti delle nostre case. E' famosa la sua simpatica caricatura della santità intesa come "viso compunto, testa china, collo storto e languidi sospiri", e perciò non fa meraviglia che, incontrandomi spesso nel periodo che andavo all'Istituto per insegnare agli "apostolini" che frequentavano le Scuole Medie, un giorno dicesse alla Suora che l'accompagnava: «Poveri ragazzi, con quella Suora che non sorride mai!».

Giunta alle mie orecchie l'esclamazione della Madre ebbe su di me un benefico effetto, perché io fino ad allora non mi ero neanche mai accorta di avere un'espressione sempre seria sul viso e cercai di imparare dalla Madre il segreto del suo ottimismo "a prova di bomba". Fu lei stessa, molte volte, ad aiutarmi nei momenti duri a superare il mio facile scoraggiamento, anche solo con un abbraccio e un "Sta' tranquilla"; "Il Signore è contento"; "Io ti aiuterò sempre"; "Il Signore ti benedica, ti benedica tanto, tanto, ti benedica sempre".

Ricordo che una volta il suo intervento fu determinante.

Era il primo anno dello Juniorato, iniziato il 30 settembre 1968, e del quale la Madre mi aveva posto come responsabile. Come tutte le cose ai loro inizi, anche lo Juniorato incontrò notevoli difficoltà, sia per quanto riguarda l'organizzazione sia per la poca comprensione da parte di alcuni membri della Comunità di Roma, accanto alla quale era stato posto. Io ero molto preoccupata perché vedevo che mi mancava la capacità, non solo di superare tutte quelle difficoltà, ma anche semplicemente di guidare il gruppo delle Juniores che mi era stato affidato.

Quando nell'estate del 1969 andai a Collevalenza con le Juniores per gli esercizi spirituali, avevo la testa piena di problemi, ma soprattutto piena di me stessa, perché nel mio orgoglio non riuscivo ad accettare questo fallimento e provavo ripugnanza a tornare a Roma e riprendere quel lavoro. Durante tutto il tempo degli esercizi non feci altro che rimuginare questi pensieri, ma non li manifestai pensando che non mi avrebbero fatto caso, e partecipavo alle conferenze con nel cuore una grande angoscia.

Giunse il giorno della partenza per Roma ed io mi trovavo ancora nella situazione spirituale di quando ero arrivata a Collevalenza; dopo la Messa, piena di angustia, andai nel coro della cappellina della Casa della Giovane, mi inginocchia e dissi al Signore: «E' la tua volontà che io vada a Roma; ma se io penso a loro, tu devi pensare a me». Poi con tutte le Suore mi recai nella sala della Comunità dell'Istituto dove la Madre ci attendeva per salutarci. Passarono davanti a me molte Suore della Comunità di Roma e tutte le Juniores; quando arrivai davanti alla Madre, ella mi prese la mano, me la strinse forte guardandomi fissa negli occhi e poi mi disse: «Sì, tu pensa a loro, che Lui pensa a te». In quel momento sentii come se mi fosse stato tolto un enorme peso dalle spalle, provai una grande gioia, ed esclamai: "Oh Madre!" e lei sorridendo: "Va', figlia, che il Signore ti benedica".

Nel ritorno in pullman non facevo che pensare «Il Signore si preoccupa di me» e questo pensiero mi dava il desiderio di impegnarmi completamente per le Juniores.

Dopo tanti anni, e terminato il mio incarico nello Juniorato, ancora ripenso spesso a quelle parole della Madre, che sono per me un richiamo costante a dimenticare me stessa per pensare agli altri e dare in tal modo a Gesù la possibilità e la gioia di pensare a me.

 

«Non essere mai paghi di far felici gli altri»

Erano ancora gli anni in cui non si andava mai a casa a trovare i familiari, secondo l'uso proprio di tutti o quasi gli istituti religiosi, e tante Suore spagnole che lavoravano nel laboratorio di Collevalenza, giovani e molto legate alla famiglia, sentivano una grande nostalgia. Anche se non lo dicevano esplicitamente, però lo si intuiva dai loro discorsi che cadevano spesso sull'argomento e si alimentavano di ricordi più o meno recenti, dell'ansia di sapere notizie e di un po' di tristezza quando queste ultime notizie tardavano ad arrivare. La Madre, che aveva sperimentato personalmente la sofferenza di un distacco deciso e definitivo, percepiva chiaramente tutto questo e nel suo grande cuore stava preparando una magnifica sorpresa per tutte le sue figlie.

Una mattina, dopo aver pregato come di solito assieme a noi nella sala, si fermò davanti ad una finestra e guardando fuori, lontano disse: «Figlie mie, questa vostra Madre ha pensato ai vostri genitori e parenti. E' tanto tempo che non vi vedono e certamente hanno la segreta speranza di costatare di persona come state, se siete contente, e di sapere che cosa fate. Ebbene, consultandolo con il mio cuscino, ho deciso di mandarvi tutte con due pullman in Spagna a fare questa bella sorpresa alle vostre famiglie». Non è possibile immaginare l'esplosione di gioia nella sala, sembrava che all'improvviso si fosse scatenato il finimondo; tutte parlavano, tutte cantavano di gioia, molte si stringevano attorno alla Madre chiedendo: «Quando? come? che cosa dobbiamo fare?...» e mille altre domande, anche inutili, ma che dicevano la felicità che aveva invaso tutti quei cuori.

La Madre lasciava dire, guardava tutte in silenzio sorridendo felice e quando si rese conto che il primo momento di maggiore euforia era passato, incominciò a spiegare come si sarebbe realizzata la cosa, rispondendo a tutte quelle domande: «Partirete dopodomani e andrete tutte assieme con i pullman. Verranno anche le Suore italiane per conoscere le nostre case di Spagna, il lavoro che vi si svolge con i bambini e tutte quelle figlie che non sono ancora potute venire Italia. Quindi, durante la permanenza in famiglia delle spagnole, le italiane faranno il giro delle case e poi tutte insieme ritornerete qui per ringraziare l'Amore Misericordioso con me, nel Santuario.

Da quel momento fu un correre di tutte a prepararsi; chi aveva bisogno di un paio di scarpe, chi della mantellina o del velo nuovo, chi della valigia più grande... la Madre seguiva ognuna con attenzione e premura, godendo intensamente di tutto quel gioioso trambusto. Al momento della partenza ci furono lacrime sia fra le partenti, sia fra noi del Noviziato che restavano a casa; ma la Madre faceva raccomandazioni a questa e a quella, soprattutto attenta che nessuna partisse senza qualcosa da portare in regalo alla famiglia.

Quando rimanemmo sole noi del Noviziato, sentimmo un gran vuoto. Nella casa così grande non c'erano più le Suore professe e noi, una trentina, ci sentivamo sperdute. La Madre, intuendo anche il nostro disagio, ci chiamò presso di sé e ci accompagnò a vedere le opere di costruzione della Basilica, spiegandoci con molti particolari quello che si stava realizzando. Stando così vicino alla Madre, attente alle sue spiegazioni, passò il primo impatto con quella nuova situazione e quindi riprendemmo con allegria i nostri impegni.

Credo che ogni Suora di Collevalenza, in quegli anni, abbia fatto esperienza di un particolare caratteristico dell'attenzione materna della Madre. Quando si accorgeva che qualche figlia era un po' giù fisicamente, al mattino all'ora di colazione la chiamava e la portava con sé in dispensa, dove, con l'aria di chi la sa lunga in materia di ricette ricostituenti, preparava un bel tazzone di "zuppa inglese" con biscotti, latte, uovo sbattuto con lo zucchero, ecc. ecc. e si era sicure che dopo poco tempo la Suora aveva già ricuperato il suo bel colorito roseo e la voglia di vivere.

«Ricordiamo, figlie mie - ci ha lasciato scritto la Madre - che coloro che soffrono attendono da noi il conforto, anzi di più, essi confidano che le Ancelle dell'Amore Misericordioso si faranno partecipi delle loro sofferenze, come ci chiedono l'amore di Gesù e la carità.

Quando incontrate un uomo oppresso dal dolore fisico o morale, non provate a dargli un aiuto o una esortazione, senza prima avergli dato uno sguardo di compassione. Il mondo, figlie mie, si allontana da coloro che soffrono e quelli che piangono cercano la solitudine, però sentono la necessità di sfogare il loro dolore e noi dobbiamo dar loro modo di farlo con la nostra confidenza, che per essi deve essere una tavola di salvezza» (Perf. n. 2).

 

«Siate contente e molto allegre, figlie mie, perché realmente ne abbiamo motivo»

La gratitudine profonda che la Madre esprimeva spesso al Signore per tutto e per ogni circostanza della vita era anche espressione del suo cuore contento e generoso. Ringraziava e ci invitava a ringraziare Dio Padre per il dono inestimabile della vita, per la vocazione con cui ci aveva chiamate alla Congregazione. «Non dimentichiamo mai, figlie mie, il grandissimo beneficio che ci ha fatto Gesù chiamandoci ad essere Ancelle del suo Amore Misericordioso» (Perf. n. 12).

E ancora: «Non dimentichiamo che da tutta l'eternità l'amore infinito di Gesù si è rivolto verso di noi. Egli ci ha scelte per essere Ancelle del suo Amore Misericordioso. Come gli corrisponderemo?» (Perf. n. 23).

Il suo grazie, lo sapevamo bene, era fatto di preghiere, di sacrifici, di maggiore impegno nelle virtù, nel lavoro, ma tutto sempre con tanta gioia.

Il suo stesso modo di pregare, forte, chiaro, ben scandito, faceva capire che era una persona contenta del Signore, di se stessa e degli altri, anche se la Madre molto realistica, sapeva bene che c'erano cose da rivedere, da migliorare, senza farsi tante illusioni. Varie volte è stata sul punto di morire, perché il suo fisico per natura delicato e tanto maltrattato dalle penitenze a cui lo sottoponeva, non reggeva più, ma la sua volontà era decisamente rivolta a continuare nell'impegno di dar gloria a Dio e di aiutare i poveri, i più bisognosi. «Il tempo dell'amore presente termina molto presto ed in base all'amore che noi otterremo il nostro posto nel cielo» (Perf. n. 23).

Per questi motivi, così chiedeva durante una sua grave e dolorosa malattia: «Chiedete tutti e tutte al Buon Gesù che mi conceda la grande grazia di vivere ancora alcuni anni per poter realizzare o cominciare le cose che Egli desidera che io faccia» (Circ. 2 marzo 1963). Sono frequenti nelle sue circolari esortazioni come questa: «In alto il cuore, figlie mie, e non perdiamoci di coraggio neanche per un solo momento ma seguimmo con gioia le orme di Gesù» (Circ. 31 agosto 1949).

Anche il dolore è per lei motivo di gioia se abbracciato per amore di Gesù: «Chiedo al buon Gesù che vi faccia comprendere, più coi fatti che con le parole, che quando si ama fortemente Dio si sperimentano tali gioie nel dolore, che si arriva a desiderarlo, a sognarlo e non si può più vivere se non sulla croce» (Circ. 24 ottobre 1952).

E ancora: «Figlie mie, grande è la gioia quando si rimane come vittime sull'altare del sacrificio per essere consumate dall'amore» (Perf. n. 36).

E' facile rilevare da queste citazioni che la felicità ha sempre come unica fonte l'amore, l'unione con il Buon Gesù, attraverso il fedele compimento della Sua Volontà. Ecco, in sintesi, la vita della Madre e il segreto della sua inalterabile pace.

«Se è così bello il rovescio del cielo, come sarà dove abita il mio dolce Sposo?!»

Fonte di gioia per la Madre era anche ogni cosa bella che fa parte della vita: gli spettacoli della natura, gli animali, i fiori, soprattutto i bambini.

Provo un certo timore nell'iniziare questo tema perché è così vasto e ricco nella vita della Madre che mi sembra di non essere capace di svolgerlo adeguatamente. A dir la verità, questo vale anche per tutti gli altri temi trattati, perché di fatto li ho solo accennati e in modo molto personale e limitato. Ma il mio desiderio è unicamente quello di trasmettere in chi legge un po' della gioia della Madre un po' della sua visione entusiasmante e amabile della vita.

I tramonti di Collevalenza sono particolarmente grandiosi e la Madre, seduta sulla terrazza della Casa del Pellegrino, non si stancava di ammirarne i colori e la suggestiva lenta trasformazione. Non aveva parole, solo diceva: «Mira, mira» - «Guarda, guarda» e si sentiva nella sua voce una infinita ammirazione per la bellezza dell'Autore di tanta bellezza. Poi, alla fine, con uno sguardo luminoso, in cui ancora si rifletteva la luce vivida del tramonto, diceva: «Se è così bello il rovescio del cielo, come sarà dove abita il mio dolce Sposo?!», e si avvertiva in queste parole una segreta nostalgia della Patria, dell'abbraccio eterno di Gesù.

Tutto era specchio della grandezza, potenza, bontà del Padre, e così sorrideva compiaciuta indicando con il dito i canarini che gorgheggiavano festosi nella grande gabbia al lato della quale era seduta. «Questi non hanno nessuna preoccupazione; mangiano, cantano e danno gloria a Dio», e si univa ad essi nella lode. Amava circondarsi di fiori e le nostre case, pur nella estrema povertà degli inizi, non mancavano mai di grandi e piccoli vasi con piante ornamentali. Nessuno poteva cogliere le rose del giardino, neanche la sacrestana per metterle in cappella, perché la Madre non voleva che si toccassero.

Dietro la casa di Roma, il viale d'entrata dalla parte del cortile più grande era fiancheggiato da una splendida cascata di rose e la Madre amava fermarsi un attimo a guardarle, ma diceva compiaciuta che le anime in grazia sono molto più belle. «Non possiamo farci un'idea di quanto sono belle davanti a Gesù le anime pure» (Perf. n. 151).

Per vari anni a Collevalenza, quando già incominciava a sentire il peso degli anni e delle sofferenze, ogni pomeriggio usciva in macchina accompagnata da qualche figlia per fare una breve passeggiata nei dintorni, avendo come meta preferita o i monti Martani o il lago di Corbara. Un giorno andai con lei verso i monti Martani; arrivate vicino a Massa Martana stavamo percorrendo l'ultimo tratto del bel viale alberato che porta al paese e la Madre volle che l'autista fermasse la macchina per poter ammirare lo spettacolo di quelle piante secolari che formavano come un tunnel sopra le nostre teste e godeva nel respirare l'aria salubre di quella campagna.

Nel primo inverno che passai a Collevalenza, la neve coprì come un manto il Santuario e il boschetto aveva un aspetto molto invitante per noi che, sedute tutto il giorno a ricamare, sentivamo il bisogno di sgranchirci le gambe, magari facendo a pallate. La Madre ci fece uscire nel cortile e venne con noi. Conservo una sua fotografia scattata quel giorno, davanti alla scalinata del Santuario.

«Dobbiamo imprimere nel cuore dei bambini l'amore a Gesù»

La sua grande passione, però, erano i bambini. Aveva con essi un tratto così dolce e affettuoso che subito li metteva a loro agio. Era incantata dalla loro innocenza e diceva: «Credo che non ci sia opera più grande e più gradita a Gesù di quella di insegnare il catechismo ai bambini. E' così grande imprimere l'immagine di Gesù nel cuore del bambino!»(Perf. n. 205). La presenza di Gesù in quelle candide creature spiega il suo modo affettuoso e delicato di trattarle, quasi con venerazione, come faceva con la statuetta del Bambino Gesù che copriva di baci e di carezze, mentre gli esprimeva il suo ardente desiderio di rivederlo ancora.

Negli ultimi anni, costretta a passare tutta la giornata seduta nella sua stanzetta all'ottavo piano, sul tavolino davanti a lei aveva quasi sempre la fotografia di qualche bambino ammalato, che i genitori avevano raccomandato alle sue preghiere.

Spesso prendeva in mano quelle immagini e le accarezzava, quasi volessero far sentire al bambino lontano quanto gli voleva bene. Ho avuto a questo riguardo un'esperienza tutta particolare perché il quinto figlio di mia sorella Clara è affetto da una forma grave di spasmo agli arti e alla testa ed è inoltre sordomuto. Lo portai dalla Madre e, mentre avvicinavo la carrozzina alla sua sedia, il bambino incominciò ad agitarsi come fa quando gli si avvicina la mamma; rimane indifferente invece quando si tratta di persone a lui sconosciute. Questo si ripeté tre volte. Una intuizione particolare? Chissà. Certo la Madre ebbe per lui delicatissime attenzioni.

Episodi come questo si sono ripetuti infinite volte e sono sicura che, volendoli raccogliere tutti, se ne ricaverebbe un grosso volume.

Come guida per i nostri rapporti con i bambini affidati alle nostre cure ci ha lasciato il seguente insegnamento: «Figlie mie, io credo che per la formazione dei bambini, che la divina Provvidenza ci ha affidati, abbiamo bisogno più di cuore che di scienza, più di pazienza che di metodi e di essere per loro prima madri e poi maestre. Molte volte dobbiamo rimproverare il bambino come farebbe la sua mamma, ma non dobbiamo dimenticare che questa cercherebbe di addolcire il dolore del figlio facendo sì che la gioia diventi il correlativo del castigo. Vedremo allora che il bambino dimenticherà prontamente il dolore del castigo; questo lascerà il posto alla più schietta allegria» (perf. n. 204). Il principio vale anche per le persone adulte, alle quali la Madre ricorda che: «La gioia è uno dei mezzi più importanti nel cammino della santificazione»(cfr. Perf. n. 191).

 

«Con entusiasmo, e nello stesso con un grande dolore nel cuore, sto preparando come madre ciò che è necessario...»

Con queste parole la Madre comunica, nella circolare del 21 ottobre 1969, a tutte le Comunità della Congregazione, la prossima partenza di alcuni Figli per la terra di missione. Si trattava della prima fondazione fuori d'Europa, in Bolivia, e la Madre ne parla con entusiasmo, ma nello stesso tempo con sofferenza pensando che lei non potrà accompagnare i suoi figli in questa meravigliosa "avventura". Da tempo veniva parlando di questo progetto nei nostri incontri e ci trasmetteva uno slancio ardente e generoso. Numerose Suore si erano offerte di andare a portare il messaggio dell'Amore Misericordioso alle popolazioni dell'America Latina; lei ne aveva scelte alcune e le stava preparando, preoccupandosi che fossero formate anche dal punto di vista linguistico e culturale. Ci diceva: «Pregate, figlie mie, pregate tutte perché si possa realizzare questo ideale di attraversare i mari in cerca di quelle povere anime che non hanno chi le aiuti» (reg. 15.8.1968).

Talvolta nelle nostre ricreazioni ricordiamo come la Madre, parlando di quella fondazione, ci faceva divertire con la descrizione un po' caricata del modo come i figli e le figlie avrebbero afrontato le inevitabili difficoltà in terra di missione. Con un pizzico di humour, insegnava e incoraggiava, rammaricandosi solo di non poter andare anche lei.

Purtroppo, quella volta la fondazione non fu più possibile realizzarla e alla Madre rimase nel cuore come un vuoto, che si colmò con la fondazione in Brasile. E' inesprimibile a parole la gioia della Madre quando tornarono per la prima volta in Italia i nostri missionari in Brasile e andarono ad abbracciarla e a raccontarle della loro vita laggiù.

Era il primo passo per la realizzazione del suo grande sogno-profezia-preghiera: «Fa', Gesù mio, che i figli e le figlie sempre uniti nel tuo amore e nella carità si estendano per il mondo intero e ti diano la gloria che tu desideri» (Circ. 2.3.1963).

«Eucarestia è la sorgente della vita felice»

«Beato chi se ne appropria» (Las Escl. p. 171). Innamorata di Gesù Eucarestia come poche anime, spesso davanti al tabernacolo era rapita in estasi e, dopo aver ricevuto la Santa Comunione poteva ripetere con gioia l'affermazione di S. Paolo: «Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me». Ne era pienamente convinta e chiedeva, anche per noi figlie, la grazia immensa di poter diventare tabernacoli viventi (Via Crucis). Con frequenza ci esortava ad invitare Gesù a restare, dopo averLo ricevuto nella Comunione, con sicurezza che sarebbe rimasto.

Nelle sue conferenza sull'Eucarestia ricorrono numerose le espressioni come: «felicità infinita - la maggiore fortuna - il dono più prezioso - fonte della gioia...», ma si avverte nello stesso tempo che la Madre non trova nel vocabolario parole adeguate per esprimere ciò di cui il suo cuore e la sua mente hanno fatto esperienza, e allora esclama: «Ah, figlie mie, come si allarga il cuore qui! Come vorrei potervi comunicare ciò che l'anima prova quando è tabernacolo di Dio!».

«Chi potrà spiegare tanta grandezza e tanta felicità?»(Las Escl. p. 177). Una straordinaria esperienza mistica che solo in cielo ci sarà dato comprendere; ora, dobbiamo accontentarci di quello che ha lasciato nei suoi scritti; e non è poco.

Riporto qui un passo, che mi sembra particolarmente significativo: «L'anima che nell'Eucarestia riceve la veste purissima del corpo del suo divino Maestro viene ricoperta dal duplice spirito di Gesù stesso, con il quale è capace di compiere opere di meravigliosa virtù e fortezza. Questo duplice spirito è la carità verso Gesù e verso il prossimo. In tal modo, per effetto della S. Eucarestia, si sono formate nel mondo tante vive immagini di Gesù Cristo, esempi luminosi di santità. Dalla fonte Eucaristica, figlie mie, nascono gli affetti vivi e generosi e l'anima che riceve ogni giorno il suo Dio non rimane soddisfatta soltanto dei suoi devotissimi affetti, ma pone mano alle opere della carità, fino alle più eroiche e difficili, assetata del bene spirituale e corporale del prossimo, il quale è creatura del suo Dio e immagine del suo Creatore, fratello e rappresentante di Gesù Cristo.

Ah, figlie mie, come si infiamma nell'amore del prossimo l'anima alimentata dalle delizie della S. Comunione se la riceve con amore e con il desiderio di unirsi all'amato!» (Las Escl. pp. 186-187).

Una corrente divina che unisce l'anima a Gesù. Un dono d'amore che chiede ed ottiene una risposta d'amore; «Egli ama con infinito amore ed ella quanto più lo ama tanto più lo vuole amare» (Perf. n. 27) e questo la rende felice.

Da quanto detto si comprende come, al fondare una nuova casa, la prima preoccupazione della Madre era quella di ottenere dal Vescovo del luogo l'autorizzazione per poter conservare nella cappella il SS.mo Sacramento. E si comprende pure la lunga sofferenza che le procurò la difficoltà incontrata a questo riguardo per la casa di Madrid. Diceva che la casa era fredda, vuota senza l'Eucarestia e ci esortava ad intensificare le preghiere per ottenere la grazia. Quale non fu la sua felicità quando finalmente, nel 1969, giunse il tanto sospirato permesso. Chiese che si facesse un fervoroso ringraziamento all'Amore Misericordioso per questa ennesima espressione della sua infinita bontà.

Legata strettamente all'Eucarestia era la sua filiale devozione a Colei che ella chiamava semplicemente "Madre" e che ci ha insegnato a venerare con lo speciale titolo di "Mediatrice". Il cammino per giungere all'unione con Gesù, dice infatti nel suo libro "Perfección de la vida religiosa", passa per Maria. «L'anima non può arrivare a possedere Gesù se non attraverso Maria» (Perf. n. 60). E Maria, come Gesù, è per la Madre fonte purissima di gioia: «La felicità più grande che ci è dato provare sulla terra come preludio al cielo è quella di vivere uniti a Maria; questa, figlie mie, è una grazia immensa, che ci prepara alla suprema felicità, vivere con Gesù» (Perf. n. 60).

«Come è buono il Signore!»

«Il Signore è Padre, è tanto Padre... se mi dovesse giudicare il mio padre terreno avrei timore, ma siccome mi giudicherà il Signore sono tranquilla, sono contenta». Quante volte abbiamo sentito la Madre ripetere questa affermazione, anche negli ultimi anni, e poi, in prossimità della sua partenza per il cielo, se non l'abbiamo più percepita dalle sue labbra, l'abbiamo potuta vedere, ammirate e commosse, in tutto il suo aspetto, nel suo umile comportamento. Era serena, profondamente in pace e traspariva dai suoi occhi la fiducia, quell'abbandono incondizionato che solo una persona pienamente convinta della bontà misericordiosa di Dio può avere, al termine di una vita lunga e travagliata.

Guardandola talvolta mi veniva alla mente il pensiero che così doveva aver atteso la Vergine Maria il momento di potersi riunire per sempre in cielo al suo amatissimo Figlio.

Quanti insegnamenti preziosi abbiamo ricevuti da te, Madre, nel tempo del tuo silenzio, lungo, paziente, sereno, carico di preghiera e di sofferenza, più eloquente di qualsiasi parola!

Grazie, perché ci hai fatto costatare la verità di quello che un giorno ci avevi proposto con tanto entusiasmo: «Figlie mie, non è forse vero ciò che vi ho detto mille volte che l'amore si alimenta di sacrifici e che amando è dolce soffrire? Sì, figlie mie, Gesù è amore e l'amore è fuoco che consuma» (Perf. n. 39).

È il fuoco che ha consumato la tua vita e che ora ti fa immensamente felice.