PROFILI DI MADRE SPERANZA – 21 P. Gino Capponi fam … vi ho chiamato amici… L’Amore Misericordioso ai sacerdoti Edizioni Amore Misericordioso - 30 maggio 1993 |
PREMESSA
Negli anni 1979-1980 P. Gino Capponi scrisse una diecina di articoli per la Rivista L’Amore Misericordioso per sottolineare il desiderio della Madre Speranza e delle Sue due Congregazioni di poter essere di aiuto ai sacerdoti.
Padre Gino è morto il 10 novembre 1995 e il 30 maggio 1996 avrebbe celebrato il suo 50° di ordinazione sacerdotale. Per tale ricorrenza, su richiesta di tanti amici, abbiamo pensato di pubblicare di nuovo quelle riflessioni, sottolineando ancora una volta quel progetto della Madre Speranza per i sacerdoti e che Padre Gino aveva raccolto con tanto ardore.
Allora, parlando delle due Congregazioni dell’Amore Misericordioso, Padre Gino scriveva: "hanno una tensione sacerdotale in quanto il Signore tramite la Madre Speranza, fondatrice, ha loro indicato il campo dei sacerdoti diocesani come quello di particolare inserimento.
Con intuito femminile e materno la Madre ha sempre guardato ai sacerdoti con predilezione ed ha sognato una congregazione di preti e fratelli, che sognasse e realizzasse con lei case familiari per i sacerdoti, che si sentono spesso poco sostenuti… La Madre Speranza e i suoi figli seguitano a sognare.
Aspirano alla fusione del clero diocesano con quello regolare in modo da ritenersi fratelli e da vivere da fratelli e poter meglio lavorare insieme nella vigna del Signore.
Il sogno più ardito è quello di fare un solo clero, inserendo nella Congregazione dell’Amore Misericordioso tanti, tanti preti, che spezzino così il loro isolamento e fondano cuore e braccia per salvarsi e per salvare…
Tutti, anche noi preti dobbiamo essere accompagnati nella crescita umana (siamo uomini anche noi). …ci sentiamo gente bisognosa di evangelizzazione. Il vangelo è anche per noi e soprattutto per noi. Ogni giorno deve arrivarci dentro e non sfiorarci le labbra per essere comunicato ai fratelli…
Chiamati a servire Cristo e i fratelli, lo faremo come uomini nuovi, che parlano, ma soprattutto vivono.
1 IL PRETE, UOMO DA SALVARE?
Se deve essere salvato ogni uomo, le conclusioni sono facili: anche il prete deve essere un salvato.
Mi rifaccio al messaggio cristiano ed in chiave moderna cito l’enciclica di Papa Giovanni Paolo II. È una salvezza che non umilia ma arricchisce, poiché ci mette in mano a Cristo, il Salvatore, il Redentore.
Ha in sé il prete gli elementi negativi della condizione umana, come tutti. Per questo si mette in braccio all’Uomo perfetto, gli diventa amico, cammina assieme a Lui.
Il Sacerdote vede la sua salvezza, operata da Cristo in chiave di amore, di elezione.
Ogni salvato tende al Signore Gesù come al Capo per ricevere vitalità, direttive rilancio. Colui che è La Vita dà movimento, crescita, porta a sviluppo il sacerdote. Infine, rendendosi conto di essere uno dei tanti uomini, se si vuol muovere è a Dio, è a Cristo, che si rivolge. Scatta a questo punto il momento iniziale dell’accettazione della salvezza. Ci si orienta a Gesù di Nazaret: cerco il Capo e resto unito a lui per andare con lui al Padre.
Il sacerdote sente il disagio interiore, che si manifesta in una insufficiente aspirazione di realizzarsi da sé. Apre la bocca nella sua qualità di orante nella preghiera a nome di tutta la comunità cristiana ed invoca: Dio vieni in mio aiuto; Signore affrettati a soccorrermi. Ed ancora: O Dio, vieni a salvarmi; Signore, vieni presto in mio aiuto.
È un povero e grida. Il Signore lo ascolta.
Per lui la condizione di povero è realtà e intelligente presentazione davanti al Dio.
D’altra parte è ammaestrato da Maria il Sacerdote in quanto ogni giorno a Vespro con le parole della Madonna ripete che il Signore "guarda all’umiltà della sua serva"; "ha innalzato gli umili"; "ha ricolmato di beni gli affamati.; "ha soccorso Israele suo servo".
Anche dell’inno di Zaccaria prende spunto ogni giorno a Lodi per piazzarsi favorevolmente davanti a Dio, che "ha visitato e redento il suo popolo e ha suscitato per noi una salvezza potente" nella casa di David, che si presenta "suo servo". "Salvezza dei nostri nemici"; "Egli ha concesso misericordia".
Messo nella giusta posizione, il sacerdote orante non si sente chissachi, ma si mette in posizione di servizio davanti a Dio ed anche davanti ai fratelli. Non cerca di emergere: "È necessario che Lui cresca ed io cali" dirà con il Battista.
"Rendimi la gioia di essere salvato"
(Salmo 50)Non si sente avvilito di vedersi soccorso da Cristo, ne è felice.
Non rinuncia a se stesso, ma arricchisce in quanto avverte che i propri limiti sono in fin dei conti la prima delle beatitudini, che gli dà la chiave di lettura del mistero della salvezza altrui, vuole realizzare la propria.
"Beati i poveri di spirito: Dio offre a loro il regno".
Salvato perché povero è il prete: Felice di realizzarsi in "Dio mio salvatore". "Signore, Dio della mia salvezza, davanti a te grido giorno e notte"
(Salmo 87).
2 PRETE, CRISTO ANNIENTÒ SE STESSO
L’autoevangellizzazione salvante e maturante noi preti ce la diamo con il vangelo alla mano. Dopo aver toccato, direi sfiorato l’argomento della povertà in spirito, sento conveniente a indugiare su questa posizione, che non solo è chiave di lettura del Vangelo stesso, ma è rampa di lancio per chi partecipa del sacerdozio di Cristo, nonostante la propria inadeguatezza e nonostante i propri peccati.
Noi le letture del breviario non le brontoliamo fra i denti per adempiere in qualche modo l’obbligo della preghiera della comunità ecclesiale, ma ne facciamo testo e spunto di elevazione, di contemplazione e di continuo rilancio. Ebbene il Giovedì della XXIIª settimana del tempo ordinario abbiamo fatto riflessione sul 95° discorso "sulle beatitudini" tenuto da San Leone Magno. Una cannonata!
È alla ricerca di che povertà parla il Signore nella prima delle beatitudini: "Si sarebbe potuto pensare essere sufficiente il conseguimento del regno dei cieli quella indigenza che molti patiscono con opprimente e dura ineluttabilità. Ma quando dice - Beati i poveri in spirito - mostra che il regno dei cieli va assegnato piuttosto a quanti hanno la commendatizia della povertà interiore, anziché la semplice carenza di beni esterni".
Nel brano poi del giorno seguente, lo stesso San Leone invita a liberarci dall’abbondanza dei mezzi per essere indotti sull’esempio di Cristo e degli apostoli a poter contare su altre ricchezze. Parla infatti della risposta che Pietro e Giovanni dettero allo storpio, che chiedeva l’elemosina alla porta del tempio: "Non possiedo né argento, né oro, ma quello che ho te lo do. Nel nome di Gesù Cristo, il nazareno, cammina".
Camminare e far camminare contando sul nome di Cristo!
Non allettare con mezzi, né con l’arma del potere.
Umiltà sublime! Povertà ricca!
Insegnare il cammino dopo un lungo zoppicare sulle strade della vita.
Ma ci vuole umiltà vera e senso di povertà, che mette la soluzione dei nostri ed altrui problemi nelle mani di Gesù.
Formidabile il richiamo di Isaia 66, 2: "Su chi volgerò lo sguardo? Sull’umile e su chi ha lo spirito contrito e su chi teme la mia parola".
Potranno come Pietro legare e sciogliere, aprire e chiudere, liberi da se stessi e dalle cose esteriori.
Umiltà sublime! Povertà ricca!
Questa è autoevangelizzazione autentica: è porre la nostra anima davanti alla divina realtà del Cristo, che fa notizia, cioè affascina ed attira l’interesse.
L’anima ridotta alla piccolezza della povertà, dell’umiltà, sente l’attrattiva serena ed ingenua, tenace e robusta di un Dio, fatto bambino, diventato operaio, contraddetto fino ad essere soppresso con la morte più dura, perché carica di rifiuto.
Dal suo posto di dolore, di annientamento Cristo, in silenzio, seguita ad amare.
Tutto fa notizia in me. Non è solo il Cristo che dice di essere poveri ed umili, di farsi bambini, ma che realizza l’annientamento, accettando il programma del Padre, che prevede l’azzeramento.
Prete mio, il divino trascinatore ti è davanti per indurti ad approfondirti nella tua povertà interiore per essere piccolo, disponibile. Prete, Cristo annientò se stesso e tu?
3 PRETE, DISPONIBILE?
Disponibile è chi si arrende. C’è modo e modo per arrivare a questo punto. Per amore o costretti.
Per noi l’amore a Cristo ci invoglia a seguirlo. È arduo, ma possibile.
"L’affanno e il dolore degli umili, tu li vedi, Signore."
Quella del piccolo, del povero, dell’umile è sofferenza seguita dal Signore, che "solo ha plasmato il loro cuore e comprende tutte le loro opere"
(Salmo 32). Conosciuti, non solo, seguiti da Cristo, sostenuti, affiancati, consolati da lui. Infatti "Il signore guida gli umili nella giustizia, ai poveri insegna la sua via".Stiamo saccheggiando il breviario per lungo e per largo, sapendo che non solo è traccia di preghiera, ma di elevazione, che porta all’ascesi per farci camminare con la mano nella mano di Cristo: lui parla, stimola, porta, trascina.
Ora è Sant’Agostino che, maestro e fratello, ci spinge a rischiare; anche lui rischiò e sfondò: "Vanno errando... non vogliono morire di quella morte, che renda la loro vita nascosta in Cristo". Muoio ogni giorno, sì, di una morte che, simile a quella del chicco di grano, porta alla vita.
Quotidianamente sono inviato ed invogliato a spingermi verso Dio, verso Cristo, facendola finita di pensare eccessivamente a me stesso. Questo è morire. Questo è vivere. Si arriva ad essere disponibili.
Il tema, meglio la meta di nascondere la propria vita in Cristo è di sapore paolino e Paolo ha imparato da Cristo come si fa. Ci si annienta per amore in un altro.
Mentre Agostino dice di nascondere la propria vita in Cristo, Paolo dice di nascondere la vita con Cristo in Dio. Una frase vale l’altra, una frase è più eloquente dell’altra.
Evidentemente il nascondersi è costoso.
Il nostro tallone d’Achille è l’emergere, il restare a galla, il voler figurare. No! Cristo ti vuole accompagnare, meraviglioso compagno di viaggio, perché tu ti perda in Dio. tenendo presente che chi ama la propria vita la perderà, mentre chi la giuoca, la butta per il Vangelo, la troverà.
Un nascondersi, che è faticoso, ma utile, valido anche se da l’impressione di perdita. È vincente il coraggioso, il deciso, il forte che rischia, fidando sull’indicazione di Cristo e appoggiandosi a lui.
Si impara a diventare disponibili per Dio e per qualunque delle sue proposte.
Ripenso ai verbi nascondersi, perdersi.
Il mistero pasquale è in vista con le realtà sacrificali del perdere la vita e del nasconderla.
Penso alla realtà di un prete, che diventa non tanto l’immolante, ma l’immolato. Non vittima da strapazzo, ma vittima volontaria, che approfondisce i misteri del Cristo, li capisce e li vive, ripetendo in sé quanto Cristo fece per l’umana redenzione.
Non incoraggiò un altro a soffrire la rinuncia, la perdita e il nascondimento, ma me stesso.
Povero prete guardo il Crocifisso; sapendo che debbo realizzarmi a sua immagine e somiglianza gli chiedo idee, coraggio, forza di riuscire ad affrontare un cammino così arduo. Cuore e braccia spalancate, il Crocifisso mi è modello e maestro, sostegno e guida, nutrimento e conforto.
L’eucarestia mi serve quanto mai, essendo lo stesso Cristo che mi da forza, che mi sostiene, che mi immola con sé e mi nasconde in sé
Comincio a diventare disponibile al buon Dio. "Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta": si è vuotato di sé, si è riempito di Cristo. Disponibile.
4 PRETE, APERTO
Questa volta l’argomento mi induce ad una rievocazione storica. Penso ad una Suora ad una Madre Fondatrice, veramente disponibile ai programmi del Signore e alle contraddizioni degli uomini.
Venticinque anni fa a Fermo nelle Marche la Madre Speranza incoraggiava due sacerdoti diocesani Don Luigi Leonardi e Don Lucio Marinozzi ad inserirsi nella Congregazione dei Figli dell’Amore Misericordioso emettendo i tre santi voti nelle mani del proprio Vescovo. Nascono così il giorno 8 dicembre i primi figli dell’Amore Misericordioso diocesani.
Erano passati poco più di tre anni dal varo del primo gruppo dei FAM sacerdoti e fratelli. Questi primi hanno subito limiti ben definiti dal punto di vista giuridico, mentre i FAM diocesani non si sono trovati sfavoriti da contorni chiaramente giuridici. Non è la prima volta nella storia che un fondatore, guidato dallo Spirito, lancia una iniziativa, che poi sarà compito della santa Chiesa far rientrare negli schemi e nei cataloghi.
L’idea fu di quella di dare apertura a questo tipo di sacerdoti in modo che facessero da legame fra il clero diocesano e quello religioso e abbattessero la linea di confine tra i due cleri. Mi viene alla mente il riferimento biblico dei due popoli da far diventare un popolo solo.
Vedo la mossa della Madre Speranza come atteggiamento profetico preconciliare anche e soprattutto dal punto di vista disponibilità ed apertura del prete diocesano, che tenta di azzerare l’individualismo ed il personalismo imperante per cercare più che nella propria famiglia d’origine in una famiglia sacerdotale il proprio centro di affetti, d’interesse, di azione.
Sacerdoti quindi, che cercano nei preti i veri fratelli, con cui convivere, assieme ai quali darsi da fare, mettendo insieme gli sforzi di maturazione umana, progresso ascetico cristiano e sacerdotale, oltre che l’attività apostolica da integrare in una pastorale d’insieme.
Vita di comunione e vita di comunità.
Comunione = fraternità = amicizia fraterna = stima = apprezzamento = collaborazione.
Comunione che deriva dall’apertura dell’ALTRO e dall’apertura agli altri preti.
Si punta sulla comunione con Dio e con Cristo; si va a finire alla comunione sacerdotale prete con prete.
I voti ti portano a vivere in povertà da te stesso, in libertà di spirito per aderire al piano divino, in annientamento, meglio, in abbandono, a chi ti si presenta misericordioso per farti diventare misericordioso.
È un tipo di prete ideale, che incarna la ricchezza della consacrazione e della vita religiosa da attuare in una diocesanità assoluta che lo vede nel presbiterio della chiesa locale a pieno titolo e con disponibilità.
Solo questi preti ideati da Madre Speranza saranno preti aperti? No, ma anche loro. Con un risvolto decisamente sacerdotale in quanto ognuno eredita dalla Madre Fondatrice la passione per i preti e diventa punto di confluenza sacerdotale e di irradiazione sacerdotale.
Sono favoriti questi preti dalla doppia appartenenza a chi fa vita comune ed a chi si butta nel lavoro: sostenuti e lanciati. Non sono nelle mani del Vescovo squadre di pronto intervento, ma gente che si evangelizza ed evangelizza, lavora su di sé per smussare gli angoli nel travaglio affettuoso della comunità = famiglia e, gomito a gomito con tutti i confratelli nel sacerdozio, porta avanti quanto il Vescovo = pastore le affida nel territorio e fra le pecorelle.
Si tende ad essere mediatori, dietro al Mediatore ed accanto alla Mediatrice di grazia.
L’immagine = segno dell’Amore Misericordioso è programma sia nel libro, che offre imperativa una parola «AMATEVI», sia nel Cristo del Calvario che in quello dell’Eucarestia, che ama, ama ed ama tutti e davvero, perché dona se stesso, si dona a tutti, si dona con amore=dono e non con amore=sfruttamento, si dona sempre, sempre, sempre.
Con il grande, ingenuo desiderio di andare incontro a Gesù e dietro a Lui: "spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo... umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte"
(Fil. 2,7).Aperto così vuole nella fatica quotidiana annientare ogni pretesa, che spunta dal proprio io. Non vuol chiudersi nel guscio di una comunità o di una congregazione, ma cerca in queste lo stimolo ed il sostegno per una tensione operosa verso tutti, in particolare verso i preti.
Prete aperto.
Prete aperto al prete. Prete, che da e riceve volentieri dai preti; che trova il tempo per i preti, che aiuta, compatisce, sostiene i preti, non li giudica.
Prete aperto ai preti.
5 PRETE: SENSO DI BISOGNO DELLA GRAZIA
Ho fra mano l’Avvenire, giornale d’informazione cattolica.
Mi ha destato interesse la rievocazione della figura ascetica e pastorale del santo Cardinale Idelfonso Schuster arcivescovo di Milano. È stata lumeggiata la sua personalità in queste settimane per il fatto che ricorre il 18 gennaio il centenario della sua nascita.
Mi ha edificato la commemorazione che ne fece 25 anni fa, nel 1954 poco dopo la sua piissima morte il Card. Roncalli, patriarca di Venezia.
Commovente il gesto del suo successore sulla cattedra di Sant’Ambrogio il Card. Montini, che introdusse il processo canonico per il riconoscimento eroico delle sue virtù.
Ma ho avuto la grande fortuna di conoscerlo personalmente e di stare a tavola con lui nel palazzo arcivescovile di Milano e godo ancora al ricordo della sua persona, che creava ascendente misto di confidenza e di rispetto, di grande considerazione e di filiale fiducia.
Rimasto sempre monaco benedettino, quel giorno che stetti a colazione da lui con il mio Vescovo Mons. Alfonso Maria De Sanctis dispensò la lettura durante la refezione. Il segretario veramente cominciò a leggere, ma amabilmente il cardinale lo interruppe dicendo che si doveva far festa per la presenza del Vescovo di Todi che era Presidente del comitato nazionale per i Congressi Eucaristici. La sua presenza al Congresso Eucaristico Nazionale in Assisi l’8 settembre 1951 fu semplicemente favolosa. Si imposero a tutti il suo ascendente e la sua pietà. Anche in quei giorni lo frequentai e ne rimasi conquistato. Mi domando come queste persone arrivano a tanta maturità.
Mi mette sulla strada di soluzione un altro arcivescovo di Milano, l’attuale. Rileggo l’intervista concessa da Mons. Carlo Maria Martini all’Avvenire e pubblicata il 5 gennaio 1980. In un determinato punto così si esprime parlando della sua preparazione all’ordinazione episcopale: "la prima cosa è ricevere questo sacramento con le disposizioni dovute: disponibilità allo Spirito, umiltà e senso del bisogno della Grazia di Dio sono indispensabili per entrare in questo tipo di servizio".
Noi poveri preti non abbiamo responsabilità e servizio come il Vescovo, ma gli siamo vicini. Ci è di grande utilità anche per il nostro ministero rilanciarci sulla disponibilità allo Spirito ed anche, ritoccando temi già trattati, sull’umiltà, che crea in noi la situazione del povero e ci fa sfruttare lo stato di bisogno di fronte alla Grazia di Dio.
Umiltà che in Padre Martini mi colpì quando anni fa venne a Collevalenza per una settimana biblica.
Tutti i convegnisti vollero salutare la Madre Speranza.
Sfilarono circa duecento uno dopo l’altro. Meraviglia per me quando vidi il docente, Rettore del Pontificio Istituto Biblico, chinarsi e dire parole che non afferrai; lo segnalai dicendo che era il meraviglioso relatore della settimana. La Madre gli mise le mani sulla testa dicendo: "Che il Signore ti benedica, figlio mio".
Umiltà che si esprime in gesti concreti e che diventa esercizio di povertà interiore.
Vescovi umili, preti umili.
Prete mio, abbiamo bisogno. Permettimi, vorrei sillabare bi-so-gno, cioè necessità della Grazia di Dio.
Quanta autosufficienza ci ritroviamo addosso.
Dice la Madre Speranza che non nelle nostre capacità o nelle doti di governo, che abbiamo, ci si deve confidare, ma nella Grazia di Dio.
Non ti devo fare catechismo, sei tu che me lo devi fare e mi devi ricordare e spiegare "che se il Signore non edifica la casa, invano si affaticano i costruttori; se il Signore non custodisce la casa invano veglia il custode".
Siamo noi che con la Grazia di Dio dobbiamo costruire il nostro edificio personale e quello della Chiesa; siamo noi preti che dobbiamo con la grazia di Dio custodire il nostro edificio e quello della santa comunità ecclesiale.
Prete mio, costruire nel Signore, custodire con il Signore.
6 PRETE PENITENTE
Il mercoledì delle ceneri, all’inizio della quaresima, il programma liturgico della Santa Chiesa utilizza un bellissimo brano del profeta Gioele al suo capitolo 2: "Ritornate a me con tutto il cuore, con digiuni, pianti e lamenti". A questa prima programmatica sollecitazione alla conversione, che è ritorno a Dio, fa seguito l’atteggiamento concreto liturgico-penitenziale, aspreso dallo stesso Gioele che dice: "Tra il vestibolo e l’altare piangono i sacerdoti, ministri del Signore".
Seguono parole di invocazione e di pentimento a nome del popolo; tutto espresso nel "pianto" dei sacerdoti.
"Sacerdoti in pianto".
Non mi passa per la mente che si tratti di un pianto rituale di stampo farisaico. Sarebbe atroce.
Penso al sacerdote della nuova alleanza, oggi; sente modestamente di sé il sacerdote cosciente del suo difetto, non completamente donato al suo Dio e non sempre dedito pienamente al servizio dei fratelli. Per questo sente il bisogno di interpellare il buon Dio a suo favore, poi a favore del popolo: "Perdona, Signore; non esporre la tua eredità al vituperio".
Ti fa pena vedere il sacerdote piangere? A me no. A me fa tenerezza.
È revisione e rilancio nelle mani del suo Dio quel pianto.
Attua la continua revisione della sua completa donazione a Dio con quel pianto.
Torna sui suoi passi il sacerdote e li vede non tutti orientati bene, non tutti realizzati in gioia ed entusiasmo.
Si esamina, piange, migliora la rotta, si dirige più decisamente verso il "suo" Dio. Si mette più decisamente nelle sue mani, si dispone meglio al suo servizio; si divincola dall’abbraccio egoistico a se stesso; Dio è di nuovo la sua definitiva meta.
Non si trova davanti a un Dio arcigno ed irremovibile, ma davanti ad un padre, che lo sollecita a rivolgersi più decisamente alle sue braccia paterne; esse sono accoglienti e piene di energia.
"Vogliamo risplendere ai tuoi occhi per il desiderio di te, Signore". Bella invocazione, bell’orientamento.
Non c’è angoscia nel cuore; c’è serenità di ravvedimento per una decisione di orientare meglio la propria traiettoria verso chi è saggio, verso chi ama, verso chi capisce e compatisce e soprattutto verso chi da energia e forza.
Si sente il cuore più leggero!
Non ci sono rimpianti, c’è solo il rammarico di aver perduto tempo ed energie, di aver sofferto a vuoto gironzolando.
Crea in me, o Dio un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo
(Sal 50). Cuore puro, spirito saldo. Limpidezza e solidità: atteggiamenti per riaprire bene e contemporaneamente mete per arrivare ad una maturità.C’è una spiritualità sacerdotale che prevede che il sacerdote assolva il fratello pentito; ma in questo caso mi piace vedere il sacerdote in ginocchio (più che davanti ad un confratello) realmente davanti al suo Dio e mandante. Non si straccia le vesti, ma si lacera il cuore non per fare l’autolesionista, ma per dissodare il cuore in modo che, arato dal pentimento, sia terreno adatto ad una nuova seminagione della parola di Dio. Parola che non sarà esaminata per presentarla agli altri ma sarà seme prezioso perché il terreno dell’anima sacerdotale sia fertile, fecondo e produca frutto e il frutto rimanga a gloria di Dio, a santificazione del sacerdote.
7 PRETE, PREGA E LAVORA!
Stiamo tutti sotto la gradevole impressione della figura esemplare di San Benedetto in questi giorni in cui il Papa stesso ha voluto far visita alla città natale del patrono d’Europa.
Giovanni Paolo II ha colto l’occasione per lumeggiare al Clero il suo atteggiamento nell’ora presente. Non si improvvisa il ruolo di essere portatori del "carisma del buon Pastore".
È una carica interiore che bisogna avere; nella contemplazione prima che nell’azione si realizza la capacità di avere un cuore da "Buon pastore".
Attingo dal messaggio dell’Episcopato Italiano per il XV centenario di San Benedetto e trovo che per essere pratici ci si deve porre in condizione di dialogare con Dio, dunque preghiera. Più chiaramente, contemplazione che inizialmente ci pone in ascolto: "Ascoltare è la prima battuta del dialogo orante, ed anche la più importante". Così riusciamo ad afferrare il progetto di Dio, si diventa capaci di leggere cose e fatti in chiave profetica: "negli avvenimenti della vita e della storia si colgono le tracce della presenza di Dio e l’attuarsi del suo disegno di salvezza". Per noi sacerdoti questo è importante sul piano cristiano, ma diventa un’esigenza pastorale anche, infatti il clima di preghiera (ascolto e colloquio) ci deve far diventare specialisti, cioè maestri di preghiera in generale e "saggi maestri di contemplazione" in particolare.
Già, perché oltre noi preti, devono pregare (ascolto e conversazione) anche i laici. Ti senti responsabile, prete mio, del fatto che non si prega in campo cristiano?
Non è per la tua apatia nella preghiera che è calata l’orazione sulle labbra e nel cuore dei fedeli? Fedeltà in questi fedeli ci vuole; fedeltà alla preghiera. È il contagio che noi non sappiamo più dare a tanti fratelli e sorelle in fatto di elevazione, di ascolto, di dialogo con il buon Dio. Non dobbiamo solo dire chi è Dio ed affannarci a chiarire più o meno teologicamente o biblicamente le idee su Dio e sul suo Cristo; è il contatto con Dio che dobbiamo provocare. Deve scoccare la scintilla del rapporto, della comunione con il Signore.
"Saggi maestri di contemplazione" ecco i preti che cosa dobbiamo essere. Creare un esercito di contemplativi!
Più grande è il nostro slancio verso il Signore, più intenso è il rapporto amichevole dei nostri cristiani con il buon Dio.
Ce lo dice San Benedetto con i suoi monaci; ce lo dice San Francesco con i suoi frati, ce lo dicono tanti santi preti, che con la preghiera esemplare hanno dato e danno ai fratelli vitalità vera. È la vita dello Spirito, che informa il corpo e si tramuta in opere.
È la contemplazione che deve informare la nostra vita di cristiani e di preti. Il nostro fare non sarà palcatura tenuta su da tecnica o da bravura, ma aspresione di un cuore pieno di Dio, traboccante in atteggiamenti, in parole, in mentalità da diffondere. Restiamo quella piccola, modesta cosa da nulla, ma piccola fiaccola, illumineremo e riscalderemo.
Che meraviglia, se ci mettiamo tutti noi preti ad illuminare e riscaldare il mondo!
Ci sentiamo deboli e forti allo stesso tempo con una vocazione ed una posizione, che ha riscontro con il libro di Tobia al capitolo 13 "Egli vi ha dispersi in mezzo alle genti per proclamare la sua grandezza".
Disperdersi per proclamare.
C’è un amore da diffondere, c’è una verità da proclamare: è nostro compito.
Illuminati e riscaldati quotidianamente nella preghiera, nella contemplazione, agiremo. Certamente non ci muoveremo a vuoto, avendo il cuore pieno e le spalle coperte.
Riusciremo a portare avanti il carisma del buon Pastore, secondo il suggerimento del Papa. Acquieteremo più ancora il cuore da padre del figlio prodigo, l’affanno della donna che butta per aria casa pur di ritrovare la moneta e valorizzarla. Cuore pieno, mani in movimento.
Preghiera e azione ! Contemplazione ed azione! Prete, prega e lavora!
8 PRETE, ALIMENTATI !
Non voglio dirti, caro confratello, che devi mangiare, bere ed andare a spasso. Voglio dirti di attendere al tuo rifornimento e di dedicare al tuo sostentamento spirituale tutto il tuo tempo necessario.
Se hai una comunità religiosa o parrocchiale o di base (come si suol dire) trovi già in esse un certo tempo di contemplazione e di contatto con Dio e quello già ti serve a qualcosa. Altrimenti tirati fuori perché ti possa incontrare con Dio nel gran tempio della natura o in chiesa, o nella tua stanza, o nella cella del tuo cuore.
Tanto è da quest’ultima che devi prendere le mosse.
Mi diceva ieri un mio carissimo amico Vescovo che dovremmo organizzare un ministero dell’alimentazione. Ti meravigli?
Io sono convinto che quel superiore che disse al giovane sacerdote che non si iscrivesse a corsi di spiritualità, ma ad altri più pratici, disse una grossa corbelleria.
Più pratico del sostegno interiore che ti da una sostanza, ti struttura una spina dorsale e non fai come il mollusco, che cade da tutte le parti, ma sei eretto e resti e ti muovi da persona che si sostiene.
Mi pare di fare la parte dell’insolente, trattando questo argomento ai "maestri in Israele". Ma... conoscendomi e conoscendoti, sento quanto siamo povera gente come tutti e sento che dobbiamo incoraggiarci a vicenda nel curare la nostra nutrizione spirituale.
Se ti parlo di meditazione o contemplazione, torno a parlarti di autoevangelizzazione, come altri la chiamano autorilevazione.
Sappiamo quanto sia essenziale: porto giornalmente il Vangelo a contatto con me stesso; rivelo quotidianamente il Cristo alla mia anima. Oltre a vivere in continuazione nello stupore e nella meraviglia della affascinante figura del Cristo. Questi ci illumina, ci riscalda.
Che cerchiamo di meglio noi poveri preti, uomini come gli altri uomini; cristiani come gli altri cristiani con in più un carisma ed una missione da far tremare gli angeli.
Dovendo portare con noi la luce ed il calore del Signore, dobbiamo ricevere per poter dare.
Mi ripeteva giorni fa un amico che non è vero che noi preti siamo canali, dove passa la grazia per raggiungere gli altri, ma siamo conche, che riversano sugli altri solo quando sono piene.
Prete mio, alimentati!
Ti scoccio, se da questo posticino ti dico un’altra cosa importante, che è da anni disattesa nelle nostre file?
Il breviario, o come si dice meglio adesso, la liturgia delle ore come la mettiamo? Lo dicono tutti il breviario i preti?
Mi dirai che gli stracci si devono lavare in casa e questo non è il luogo, perché tanti non preti leggono e si scandalizzano di quel che stiamo dicendo. Senti, prete mio caro, noi siamo gli uomini di tutti e dobbiamo spenderci per gli altri; apparteniamo ad una stessa famiglia, che è la chiesa e loro e noi la formiamo. Credo che è bene che qualcuno dei fratelli e delle sorelle sappiano che alcuni preti non pregano il breviario e stanno su un piano di denutrizione, che compromette noi e loro. Non siamo gente messa nello scantinato, ma sopra i tetti; tutti ci vedono, tutti sanno come ce la caviamo. Ci aiutino i laici ad avere per la preghiera della chiesa un tempo conveniente. Bello è quando nei nostri gruppi più o meno spontanei, che arrivano ad essere comunità di base in cammino, preti e laici trovano a mattino ed a sera il tempo ed il modo di pregare insieme la liturgia delle ore! Soli o accompagnati, prete mio, preghiamo con la chiesa e per essa con una liturgia delle ore, che non è divorata, ma gustata; non ammucchiata, ma diluita nell’arco della intera giornata.
Le lodi del mattino ci servono per dirci con il buon Dio il buon giorno. L’ufficio delle letture è materiale ottimo per la meditazione: deve essere celebrato con tempo e serenità. A questo punto vedo la nostra conca riempirsi per traboccare sugli altri Grazia, tanta Grazia di Dio.
L’ora media è una piccola presa di contatto con il Signore durante il giorno: un piccolo respiro.
La recita del vespro è l’aggrapparsi al sole, che tramonta (a Cristo, che mi passa vicino) e ricercare ancora luce e calore, mentre il giorno e la vita ci sfuggono.
L’esame di coscienza e la preghierina della sera prima del riposo è la compieta.
Fratello, mi devi proprio scusare, ma noi dobbiamo innamorarci di questa preghiera e di questo sistema di preghiera: è la parola di Dio, è la parola di uomo. Qui si incontrano in colloquio, in dialogo il Padre ed il figlio, il Cristo e il cristiano, lo Spirito e il prete, che dopo essersene imbevuto, lo rivela.
Sento esemplare, mediatrice la figura materna di Maria in questo mese di maggio soprattutto per noi preti.
Aiutaci tu, mamma santa, ad aver voglia e tempo per nutrirci del tuo Gesù. Madre della Parola scesa a livello umano, Madre dell’Eucarestia, nutri dal tuo Gesù chi deve rifornire gli altri di Lui.
9 PRETE, CONTINUA AD ALIMENTARTI!
Nell’ultimo mio servizio del mese precedente ho indugiato sulla nostra alimentazione a base di parola di Dio e di nostra conversazione con Lui.
È questione di creare un certo clima e di viverci dentro: il clima di Dio.
È veramente favoloso il sistema di nutrizione, che il buon Dio ci ha preparato.
Già prima del Concilio, la nostra Madre Fondatrice ci diceva e ci scriveva della necessità di mangiare alla mensa della Parola e a quella della Eucarestia. Cose vecchie! Chi ha cose nuove da dire?
Era la preoccupazione di veder crescere figli e figlie.
Questi cibi aveva scoperto e sperimentato e questi ci raccomandava.
Mi voglio soffermare sull’Eucarestia senza pretendere di dire niente di nuovo.
Mi lasciate parlare della Madre, che a noi e a tutti mostra due segni e in tutte e due pone in evidenza l’Eucarestia? Infatti nell’immagine dell’Amore Misericordioso ed in quella di Maria Mediatrice l’Ostia santa ha un forte spicco. Vuole essere il compendio dell’enorme sacrificio del Calvario; ci è presentata da Maria Mediatrice. Interessante sempre e (se me lo consentite) soprattutto in questo 1980, anno nel quale il Santo Padre Giovanni Paolo II ha richiamato Vescovi e Sacerdoti alla realtà eucaristica con la lettera Dominicae Cenae del Giovedì santo e nel contempo in questi ultimi giorni la Sacra Congregazione per i Sacramenti per mandato del Papa ha emanato l’Istruzione Inaestimabile Domum.
Nei due documenti vari aspetti vengono proposti: quello teologico, quello pastorale, quello ascetico e quello liturgico. Tutto perché noi preti in prima fila prendiamo coscienza del grosso regalo che Gesù ci ha fatto con l’Eucarestia sacrificio-sacramento.
Torna il discorso Messa, Comunione, Tabernacolo.
Questa volta il discorso è prevalentemente per noi.
Prete mio, la tua Messa. Recuperiamo intanto tutto il senso sacro del divin sacrificio, dove il vero Agnello spazza via qualunque altro tipo di vittima e una volta per sempre offre se stesso vittima di espiazione per i nostri peccati e contemporaneamente, anzi addirittura la sera avanti dell’olocausto sul Golgota, comanda di fare nel sacrificio del pane e del vino quanto lui stesso ha operato. Una volta per sempre e sempre come quella prima volta, sull’altare.
Consapevolezza e convinzione ci vuole da parte nostra. Con la parola un po' sonante ci diciamo ministri, con una più modesta direi servitori; eccoci lì davanti ad un pezzo di pane, che pane non è più; davanti ad un sorso di vino, che ha ceduto il posto al sangue di Cristo ed allo stesso Cristo.
Non ti dico di tremare, ma di renderti conto di quello che tratti. Non dobbiamo più dare l’impressione ai nostri fedeli che noi con l’ostia ci... giochiamo a palla e per quanto è la "res" mirabile (cosa meravigliosa) non la consideriamo osa, ma persona e che persona! Due atteggiamenti in uno dobbiamo recuperare nel momento della celebrazione: fede ed amore. Fede per cui si veda che ci crediamo e ne siamo compresi: amore in modo che renda evidente che di quel Cristo siamo innamorati.
Interessante come l’Istruzione della Sacra Congregazione per i Sacramenti mette in evidenza il nesso strettissimo che intercorre fra la celebrazione della Parola e quella tipicamente eucaristica. Perché? Allo scopo di dissodare ogni volta il terreno con Cristo-Parola prima di avvicinarsi a Cristo-Eucarestia.
Ancora consapevolezza e convinzione, quindi fede e amore!
Fino al punto di arrivare ad impastarci di Lui attraverso l’incontro della sua benevolenza e la nostra arrendevolezza con l’entrare in comunione con Gesù.
Suggerisce l’Istruzione di recuperare le pause dopo la Comunione. Bene. Entrate cioè nell’atteggiamento contemplativo, che valorizza un’incontro non superficiale, ma
INTIMO.Prete, non aver fretta! Succhia, mangia, bevi! Non ti far scivolare via un momento tanto vivo e vivace!
Questione di tempo o questione di voglia il ritrovarsi spessino davanti al Tabernacolo? Eh, questione di tempo e di voglia, le due cose.
Interesse e convinzione.
Si che siamo convinti, ma ci facciamo giocare dalla superficialità. Non è che manchi interesse, tuttavia l’indifferenza prende piede.
Cristiano mio prete, accovacciati davanti al tuo Signore e Maestro; accoccolati ai piedi del "tuo" Gesù. Parla, sfogati: è il tuo vero, unico confidente. Digli tutto. È notte e giorno a tua disposizione. Apriti, confidati. Solo lui è capace di afferrare il tuo discorso (se riesci a farlo), il tuo mugolio (se non riesci a parlare).
Parla, parla!
Parla e taci! Sì, perché ha qualcosa, ha tante cose da dirti anche Lui.
Il tuo Tabernacolo pieno zeppo di Cristo. Non interessa se l’involucro - Tabernacolo è bello o brutto, grande o piccolo, in una mini-cappella o in un superbo tempio. Non il contenente ti interessa, ma il
CONTENUTO.Nel tuo arrivare e al momento di licenziarti, una bella genuflessione calda, calda.
Ne abbiamo di esempi sacerdotali di punta in questo; di santo Curato d’Ars non ce ne è uno solo.
Coraggio!
La tua alimentazione a base di Cristo è la migliore e più soda formazione permanente, che ti stimola e ti trascina verso una permanente conversione.
Che bella cosa quando così si consegue la robustezza e ci si abitua a convergere sempre più verso Cristo.
È formidabile tutto questo e la gente se ne accorge. Pastoralmente anche si parte bene.
Alimentati ancora, sempre nutriti, prete mio.
10 PRETE, I FAM TI VOGLIONO BENE
I Figli dell’Amore Misericordioso hanno vita dal 1951, quando la Madre Speranza, adunati i primi tre elementi in Via Casilina a Roma nella casa generalizia delle Suore, se li vide consacrare a Dio attraverso i Santi Voti nelle mani del Vescovo di Todi Mons. Alfonso Maria De Sanctis.
Il 323 di Via Casilina tuttavia non era se non la culla della Congregazione maschile dell’Amore Misericordioso, che prendeva nome di Figli a differenza di quella femminile nata 21 anni prima, che aveva preso nome di Ancelle. Il loro sviluppo era a Collevalenza, dove arrivarono il 18 agosto.
Il carisma-dono era ed è per ambedue le Congregazioni dell’Amore Misericordioso, che le une spingevano fino all’assimilazione ascetica, ad un amor di Dio, che ha tonalità misericordiosa, cioè di grande apertura, particolarmente rivolta alla gioventù da educare ed istruire e a qualunque tipo di bisogno. Gli altri, FAM, hanno avuto come campo di lavoro il più vasto nei riguardi delle necessità dei fratelli, ma particolarmente rivolti al clero diocesano, considerato bisognoso di affetti, di affiancamento e soprattutto di riscoprire un clima di famiglia, che i FAM stessi hanno avuto l’incarico di strutturare.
Cose vecchie queste per chi conosce il Santuario di Collevalenza, ma cose rilanciate dal IV Capitolo Generale di questa giovanissima Congregazione, che ha appena 29 anni di vita.
Dal 15 luglio al 6 agosto i venti eletti dalla base hanno fatto un bagno nel dono ricevuto dal buon Dio (carisma), nella missione, nel campo di lavoro e nelle modalità di lavoro loro proprio.
È stato un Capitolo straordinario nei primi giorni in quanto si è fatto lo studio e la limatura delle nuove costituzioni secondo le indicazioni della Santa Sede.
Io, se me lo consentite, vi faccio una confidenza. Per me l’ho vissuto come un secondo noviziato; infatti ho rivisto tutta la volontà del Signore nei suoi progetti e nei nostri riguardi. Gli scritti della Madre Fondatrice ed in particolare le costituzioni e il così detto libro delle usanze, da lei scritti mi hanno fatto una panoramica di quanto il Signore ci sta chiedendo come Figli del suo Amore.
Ho detto un secondo noviziato; già, il primo durato tanti e tanti anni l’ho fatto accanto alla Madre stessa, che con cuore di madre e con le certezze, che gli venivano da un impulso superiore mi ha e ci ha limato e sgrossato, anche se in me non ha ottenuto un grosso risultato.
L’ho rivista in questi giorni con la decisione e chiarezza di sempre: "Figli miei, siete bravi preti, ma ancora non avete il taglio religioso, perché non praticate la vita comune e non vi inoltrate nella contemplazione".
Non si meraviglino i miei confratelli, se sto dicendo cose di casa nostra; è ora che i nostri amici, i lettori, ci aiutino con la preghiera ad essere uomini di vita comune e di preghiera.
Non lo siamo stati finora? Poco!
Il Capitolo ci ha ripresentato il progetto di Dio su di noi ed è nostro obbligo riscoprirlo e riviverlo.
La dimensione comunitaria ci vuole gente che fa famiglia e che vive in clima fraterno con tutti i rischi e le ricchezze che comporta lo stare con gli altri, anche se uno è alto e uno basso, anche se uno è calmo e l’altro si agita, anche se uno sta volentieri in casa e un altro cerca evasioni.
Evidentemente non sono evasioni le attività esterne, ma quante volte la Madre ci ha detto di misurare bene il tempo per non perdere il contatto con Dio nella preghiera e rafforzare i contatti fra noi in quei tempi, dopo pranzo e dopo cena, in cui dobbiamo sfogarci, confidarci, ricrearci in un clima fraterno, che si riduca in fin dei conti in celebrazione della carità.
Mi rivolgo soprattutto ai preti e dico che nel capitolo abbiamo dichiarato la nostra Congregazione "famiglia aperta" in particolare per voi, sacerdoti diocesani, che non avete il più delle volte la ricchezza di una comunità, che vi affianca e vi sostiene e vi difende.
Preti, vi vogliamo bene!
Se venite in casa nostra, ci fate felici in quanto con il vostro arrivo viene un fratello. Mangeremo alla stessa mensa, pregheremo assieme, faremo quattro chiacchiere e rideremo insieme: cresceremo, ci matureremo.
La nostra fraternità ne guadagnerà e diventerà amicizia sacerdotale. Che bello! Io per te e tu per me.
Se poi un giorno vengo a casa tua, allora sarai felice non solo perché potrò aiutarti in qualche giornata pastoralmente piena, ma fonderemo le nostre anime sacerdotali pregando, confidandoci e misurando per lungo e per largo non tanto la tua casa e la tua chiesa, ma anche la tua parrocchia o il tuo campo di lavoro.
Il nostro sogno e il tuo è far comunione e diventare amici fraterni. Lo capisci ora quel che ci ha acceso nel cuore la Madre Speranza? Te lo dico con una frase che la caratterizza dal punto di vista materno: "I preti sono la mia passione".
Santa passione, amore operoso!